Lo smog nel 2030 tra Milano, Torino e altre città europee: lo studio, oltre le polemiche

Un nuovo studio pubblicato dai ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Laxenburg (Austria) presenta diversi possibili scenari della qualità dell’aria in Europa nel 2030, attraverso modelli matematici basati sulle concentrazioni del Pm10 registrati dalle centraline del 2009

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Non è possibile prevedere con esattezza l’andamento delle polveri sottili di qui a 15 anni, ma con l’aiuto dei modelli matematici possiamo avere un’idea dei possibili scenari che ci aspettano, a seconda delle azioni che verranno intraprese di qui al 2030. Ed è proprio questo il risultato del lavoro dei ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Laxenburg (Austria), uno studio che non ha mancato di creare polemiche e battibecchi politici a Milano. Secondo lo studio infatti, con le attuali misure antismog in vigore, le possibilità che la qualità dell’aria nell’area di Milano rientri nei limiti entro il 2030 sono scarsissime. (Milano ma non solo: a farle compagnia ci sono immancabilmente Torino, Stoccarda, Parigi, le città dell’Est più industrializzato (prevalentemente in Polonia e Repubblica Ceca) e della Bulgaria. Fa capolino, un po’ a sorpresa, anche Stoccolma). Sul banco degli imputati è finita nuovamente l’Area C del capoluogo lombardo, accusata dai suoi detrattori di essere un inutile dazio completamente inadeguato a risolvere i problemi di smog della città. Senza addentrarci inutilmente nella polemica, è stato però ribadito più volte che nessuna misura da sola può eliminare il problema dello smog, ma tutti i provvedimenti sono utili a migliorare una situazione che, in mancanza di queste pur inadeguate misure di controllo, potrebbe peggiorare ancora notevolmente. Inoltre, va ricordato che i dati presi in esame dallo studio riguardano il 2009: anno in cui Area C nemmeno esisteva. Sarebbe stato interessante vedere le proiezioni con una base dati più recente. Più interessante della contesa politica è però il contenuto della ricerca. Sulla base dei dati registrati dalle centraline europee nel 2009, i ricercatori hanno potuto modellare due diversi scenari possibili: il primo è una mappa fotografica di ciò che accadrebbe se non ci fosse alcun miglioramento delle strategie antismog attualmente in vigore nelle varie città europee; il secondo ci mostra invece – attraverso il confronto di curve di riduzione del Pm10 – i risultati che, con un buon livello di approssimazione, si potrebbero ottenere adottando le politiche di controllo degli inquinanti più avanzate attualmente esistenti ( Per esempio l’uso di biocombustibili o la limitazione dei diesel).  Purtroppo lo studio non disegnaa una vera e propria mappa per il secondo scenario, essendo i parametri del caso estremamente variabili (dalle stime sull’aumento del traffico, alla difficoltà nel definire il concetto di “misura applicabile più avanzata”). Ciò che invece si rivela estremamente utile è la prima fotografia, quella che mostra cosa accadrà mantenendo gli attuali provvedimenti antismog tali e quali. Ebbene, Londra sembrerebbe riuscire a limitare significativamente le proprie concentrazioni di polveri, grazie alle politiche approvate dal Sindaco Boris Johnson (che pure vengono attaccate dagli ecologisti inglesi): la media annuale del Pm10 resterebbe al di sotto dei 25 mcg/m3.  Convincono meno invece i piani dell’amministrazione di Parigi, guidata da Anne Hidalgo: secondo il modello messo a punto dai ricercatori, la metropoli francese nel 2030 sarà alle prese con medie ancora al di sopra dei limiti previsti dalla riforma delle direttive sulla qualità dell’aria in programma alla Commissione Europea (NdR: il limite per la media annuale del Pm10 dovrebbe scendere da 40 a 25 mcg/m3). Stesso discorso per la Pianura Padana, che vedrà l’intera area ancora fuori legge – medie comprese tra i 25 e i 35 mcg/m3, in ogni caso in netto miglioramento rispetto al presente – con le zone di Milano e Torino ancora sopra i 35 mcg/m3. Le altre città europee fuori dai limiti saranno, secondo il modello, Stoccarda, Gijon, Stoccolma, Sofia e Cracovia: ossia le aree più industrializzate e densamente abitate del continente.
Mantenendo le misure attualmente in vigore, riassumono i ricercatori, sarà possibile ottenere significative riduzioni di Pm2.5, SO2 ed Nox, ma non possiamo aspettarci ulteriori passi avanti per il Pm10 e per l’NH3. Per il futuro, assumendo che le misure attualmente approvate dalle amministrazioni vengano attuate in modo efficace, i livelli di Pm10 in tutta Europa potranno sì essere ridotti, ma non riportare entro i limiti in tutte le città. Le aree più critiche restano quelle dell’Est Europa – prevalentemente a causa dell’uso massiccio del carbone e del legname come principale fonte di riscaldamento domestico, e le zone urbane più densamente popolate e industrializzate, i cui problemi principali restano il riscaldamento domestico e il traffico stradale, che si prevede aumenterà ancora. “Una soluzione semplice a questi problemi dev’essere ancora trovata – concludono gli studiosi – misure mirate, come le limitazioni del traffico e l’istituzione di più zone a basse emissioni, possono tuttavia rivelarsi utili per garantire che le riduzioni delle emissioni ottenute finora non vengano compensate da un aumento delle emissioni di gas di scarico e polveri dovute all’aumento del traffico”.

Fonte:  ecodallecitta.it

Progetto CLUE, Torino tra le altre città europee per progettare il quartiere a impatto zero

L’obiettivo del progetto CLUE, sviluppato sulla base delle più significative esperienze europee, è quello di individuare e favorire soluzioni e tecnologie a supporto di un’economia a basse emissioni nelle aree urbane. Il confronto tra buone pratiche e prospettive di sviluppo locale ha come focus il “quartiere a impatto zero” in vista della crescente domanda di urbanizzazione, cambiamento climatico379505

Si sta svolgendo presso l’Urban Center Metropolitano di piazza Palazzo di Città il secondo seminario (il primo si è svolto il 4 ottobre 2013) di “diffusione locale” del progetto europeo Clue (Climate Neutral Urban Districts in Europe/Distretti urbani climaticamente neutrali in Europa). L’incontro si è aperto con gli interventi dell’assessore all’Innovazione e all’Ambiente, Enzo Lavolta, e dall’assessore all’Urbanistica Stefano Lo Russo. “È l’ennesimo tassello di un mosaico più ampio nell’ambito del miglioramento della qualità della vita a Torino” – spiega Lavolta. Nel progetto collaboriamo con una città come Stoccolma che ha come obiettivo la riduzione entro il 2050 del 100% delle emissioni di CO2. Spinti dagli altri esempi – continua – ci fissiamo come obiettivo la riduzione del 40% entro il 2020”.
L’obiettivo del progetto CLUE, sviluppato sulla base delle più significative esperienze europee, è quello di individuare e favorire soluzioni e tecnologie a supporto di un’economia a basse emissioni nelle aree urbane. Il confronto tra buone pratiche e prospettive di sviluppo locale ha come focus il “quartiere a impatto zero” o “climaticamente neutro” come soluzione alle sfide di crescente domanda di urbanizzazione, cambiamento climatico e riduzione dello spreco di risorse naturali. Altri obiettivi del progetto sono l’identificazione delle migliori pratiche condotte dai partecipanti o elaborate dalla sintesi espressa dai tavoli di lavoro, l’individuazione di strumenti e metodi per misurare, mappare e valutare le diverse tecnologie o soluzioni volte a realizzare quartieri a impatto zero.
Il partenariato del progetto riunisce autorità locali e regionali e tre università provenienti da nove paesi europei: le città di Stoccolma (Svezia, capofila del progetto), Amburgo (Germania), Roma (Italia), Torino (Italia), Vienna (Austria), Paggaio (Grecia); Area Metropolitana di Barcellona (Spagna); Regione di Malopolska (Polonia); Università Napier (Edinburgo, Regno Unito), KTH – Istituto Reale di Tecnologia (Stoccolma, Svezia), Università di Delft (Olanda).

Fonte: ecodallecittà.it

Greenpeace salva le api e le porta in 100 città europee

In 100 città europee circa 1000 volontari di Greenpeace hanno spiegato ai cittadini l’importanza delle api per una grande manifestazione in difesa degli impollinatori. Da Amburgo a Roma, da Sofia a Malaga oltre mille volontari e attivisti di Greenpeace hanno lavorato oggi in Italia, Austria, Bulgaria, Germania, Grecia, Ungheria, Slovacchia, Spagna e Svizzera per diffondere presso i cittadini l’importanza degli impollinatori messi in pericolo dall’uso eccessivo dei fitofarmaci tra cui i potenti neonicotinoidi per cui in alcuni stati europei è in atto una moratoria prossima allo scadere. Le api da miele,con altri impollinatori, contribuiscono a farci arrivare sulla tavola di 1 dei 3 bocconi di cibo che mangiamo. Le api impollinano 71 delle 100 colture che costituiscono il 90% dell’approvvigionamento alimentare del mondo. I prodotti dannosi per le api sono usati proprio in agricoltura e in fitocoltura.campagna-salviamo-le-api-di-greenpeace

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Gli eventi di Greenpeace perciò si sono svolti anche sotto forma di pacifiche proteste nei pressi sei vivai mentre nei mercatini altri volontari hanno raccolto firme a favore di una petizione da inviare al ministro per l’Agricoltura. Greenpeace in Italia ha coinvolto ben 23 città con diversi eventi declinati come flash mob o come food coocking con ingredienti tipici ottenuti grazie al silenzioso lavoro di impollinazione delle api. Spiega Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia:

Il declino delle api è un sintomo di un sistema agricolo industriale fallimentare, basato su un uso sempre più crescente di prodotti chimici di sintesi ed energia, monocolture su larga scala e la dipendenza da poche multinazionali agrochimiche. Le api non si limitano a produrre miele, come molti pensano. Un terzo del cibo che mangiamo e la maggior parte della flora spontanea dipende dalla loro opera di impollinazione. Le bancarelle dei mercati sarebbero quasi vuote senza il lavoro delle api, dovremmo scordarci mele, mirtilli, zucchine, broccoli, cipolle, mandorle, caffè, e molto altro ancora. Per proteggere le api e l’agricoltura dobbiamo lavorare con la natura, non contro di essa. Solo un’agricoltura ecologica e sostenibile ci permetterà di garantire diversità e sicurezza alimentare e proteggere le api a lungo termine. È ora che i politici europei ascoltino “il ronzio” delle tante persone che si stanno mobilitando per salvare le api, è il momento per loro di agire.

Foto | Courtesy @Greenpeace

Fonte: ecoblog.it

 

Acque reflue urbane, la raccolta migliora in Europa, ma con troppe differenze da un Paese all’altro

Il 91% del carico inquinante proveniente dalle grandi città dell’UE beneficia di un trattamento più rigoroso, con un notevole miglioramento rispetto al 77% del 2008. Eppure, solo 11 delle 27 capitali sono dotate di un adeguato sistema di raccolta e di trattamento, nonostante l’obbligo risalga a vent’anni fa375908

Migliora, secondo i dati diffusi dall’Unione europea, ilsistema del trattamento delle acque reflue delle città europee, anche se rimangono differenze significative fra i diversi paesi. Nel periodo 2009/2010, il tasso di raccolta risulta molto elevato, con 15 Stati membri che raccolgono il 100% del loro carico inquinante totale. Tutti hanno mantenuto o migliorato i risultati già ottenuti, sebbene il tasso di conformità sia tuttora inferiore al 30% in Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia e Slovenia. I tassi di conformità per il trattamento secondario sono in media pari all’82%, con un aumento di 4 punti rispetto alla relazione precedente. I tassi di conformità per il trattamento più rigoroso destinato a contrastare l’eutrofizzazione o ridurre l’inquinamento batteriologico che potrebbero avere ripercussioni sulla salute umana, sono, complessivamente, pari al 77%. L’Austria, la Germania, la Grecia e la Finlandia registrano una percentuale di conformità del 100%. La maggior parte (91%) del carico inquinante proveniente dalle grandi città dell’Unione europea beneficia di un trattamento più rigoroso, e ciò costituisce un notevole miglioramento rispetto alla situazione descritta nella relazione precedente (77%). Ma in un allegato della relazione, in cui si confronta la situazione delle 27 capitali europee, si lancia un monito: solo 11 delle 27 città sono dotate di un adeguato sistema di raccolta e di trattamento, nonostante il fatto che le norme siano state fissate piu’ di 20 anni fa (nel 1991).
Nel periodo 2007/2013, l’Ue ha contribuito a migliorare la situazione con fondi per 14,3 miliardi. Il migliore trattamento delle acque reflue e la minor quantità di scarichi di acque reflue non trattate nell’ambiente hanno consentito di migliorare la qualità delle acque di balneazione: se all’inizio degli anni’ 90, solo il 60% circa dei siti di balneazione vantava acque di qualità eccellente, oggi la quota e’ aumentata al 78%. Janez Potočnik, Commissario per l’Ambiente, ha dichiarato: “Il trattamento delle acque reflue è un test fondamentale per la società: Eliminiamo i rifiuti che produciamo o stiamo rovinando l’ambiente da cui dipendiamo? Sono soddisfatto di vedere che le tendenze vanno nella direzione giusta e sono lieto di constatare che l’azione della Commissione, che associa misure di sostegno finanziario a, se necessario, azioni legali, sta dando i suoi frutti a vantaggio dei cittadini europei”.
Leggi la relazione della Rappresentanza Italiana a Bruxelles

Fonte: eco dalle città

Adattamento al cambiamento climatico: le città europee si organizzano

Legambiente e Università Iuav hanno organizzato a Venezia una due giorni dedicata al tema del cambiamento climatico in ambito urbano, con esperti, docenti universitari ed esperti a vario titolo di climate change. Le interviste video realizzate da Eco dalle Città, i dossier e gli atti integrali del convegno375066

Ondate di calore, eventi meteorologici estremi, periodi siccitosi e nevicate fuori stagione: le prime conseguenze del cambiamento climatico sono ormai una realtà conclamata e coinvolgono soprattutto gli ambienti urbani. Le città, di conseguenza, sono in prima linea nella ricerca di strategie di adattamento al climate change, ovvero di politiche e misure che consentano di affrontare le mutate condizioni e di gestire al meglio eventuali emergenze. Della dimensione dei cambiamenti climatici e della consapevolezza della necessità di doverli affrontare con strumenti di intervento nuovi e specifiche risorse relative alla dimensione urbana si è parlato nei giorni scorsi a Venezia, in occasione della conferenza internazionale “Il clima cambia le città”, organizzata da Legambiente e Università Iuav. Alla presenza di relatori europei e americani, ricercatori e amministratori locali tra cui Corrado Clini, direttore generale del Ministero dell’Ambiente, Marino Zorzato, vicepresidente della Regione Veneto, il Rettore della Iuav Amerigo Restucci, il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza e l’assessore all’Ambiente del Comune di Venezia Gianfranco Bettin, sono state illustrate ricerche e studi che da New York a Stoccarda hanno mostrato i problemi degli impatti dei cambiamenti climatici e le strategie per farne fronte, e studi per comprendere cosa potrebbe succedere nel centro di Roma piuttosto che di Napoli o Milano se, come previsto dall’Ipcc, la temperatura media continuerà a salire nei prossimi anni con conseguente aumento degli effetti climatici estremi.
Studio Legambiente – Osservatorio meteorologico di Milano Duomo
Tra gli studi presentati, quello realizzato in collaborazione con Legambiente dall’Osservatorio meteorologico di Milano Duomo, ha analizzato i cambiamenti e i relativi aumenti delle temperature in nove città italiane (Torino, Milano, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo) dal 1961 ad oggi, valutandone anche gli effetti critici da un punto di vista energetico (con maggiori consumi per la climatizzazione) e dal punto di vista della salute, per la maggiore frequenza di picchi di calore nelle ore diurne, temperature calde anche nelle ore serali e disagio termico per l’afa e l’umidità. Un esempio è l’aumento della mortalità avvenuta nella caldissima estate del 2003 (secondo il Ministero della Salute superiore al 50% rispetto ai dati medi in alcune città italiane) e pur non esistendo ulteriori monitoraggi, è evidente che l’aumento della frequenza dei picchi di calore sta determinando in intere zone urbane del nostro Paese condizioni di vita sempre più difficili, in particolare per le persone in età avanzata e per chi soffre di malattie croniche. Uno studio specifico su Milano ha evidenziato anche come dal 1961 ad oggi il numero di giorni con temperature massime diurne superiori ai 35 gradi e minime notturne superiori ai 25 gradi si siano concentrate per oltre l’85% tra il 2001 e il 2012 evidenziando, ancora una volta, la necessità di affrontare il tema dei cambiamenti climatici e del loro impatto sulle città in modo innovativo e urgente.
Scarica il dossier “Il clima cambia le città”
L’Italia delle alluvioni
La seconda indagine, elaborata dall’associazione del cigno verde, ha messo in evidenza la vulnerabilità delle città italiane rispetto ad eventi estremi di pioggia avvenuti negli ultimi anni. Le tendenze previste dall’Ipcc come conseguenza dei cambiamenti climatici e cioè l’aumento di fenomeni estremi e violenti quali alluvioni e trombe d’aria, fanno già parte della cronaca quotidiana del nostro Paese. La ricerca di Legambiente ha analizzato, nello specifico, l’alluvione e le esondazioni avvenute a Genova il 4 novembre 2011, il nubifragio di Roma del 20 ottobre 2011, l’esondazione del Seveso a Milano del 18 settembre 2010, la straripamento dei fiumi e le frane a Messina avvenuti l’1 ottobre 2009, tutti eventi accomunati dalla caduta di enormi quantità di acqua in poche ore (a Messina la metà dell’acqua che cade nell’arco di un anno, a Genova 1/3) con conseguenti danni in termini di vite umane e economici rilevantissimi che potranno, nel futuro essere limitati grazie a nuove strategie di adattamento urbano da mettere in campo al più presto, a partire da nuovi e più attenti ragionamenti sulla trasformazione del territorio e degli ecosistemi.
Scarica il dossier “L’Italia delle alluvioni”
Le interviste di Eco dalle Città
Intervista di Eco dalle Città a Paola Viganò, docente di Urbanistica presto l’Università Iuav di Venezia, sul tema dell’adattamento al cambiamento climatico in ambiente urbano:

Intervista alla professoressa Viganò sul rischio che la Senna inondi Parigi:

Intervista di Eco dalle Città a Francesco Musco, ricercatore del Dipartimento di Progettazione e pianificazione in ambienti complessi dell’Università Iuav, sulle iniziative urbane in materia di adattamento al cambiamento climatico:

Scarica gli atti della conferenza

Fonte. Eco dalle città