Alimentazione ed energia: il Made in Italy è la soluzione

Da oltre trent’anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Se ci fossimo mossi trent’anni fa, ora le cose sarebbero molto diverse.

Da oltre trent’anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Cosa dicevano gli esperti trent’anni fa? Che l’apporto delle energie rinnovabili in Italia era risibile e non erano nemmeno da considerare alternative perché non lo erano affatto, al massimo potevano essere una graziosa cornicetta al quadro ben delineato dei combustibili fossili sempre e comunque. Ma del resto anche un ragazzino delle medie o forse anche di quinta elementare guardando una piantina nazionale di insolazione media annua o della ventosità, visto che siamo un paese pieno di costa e di monti, poteva facilmente capire le potenzialità enormi delle energie rinnovabili. Così come era altrettanto ovvio che i combustibili fossili erano una fonte esauribile. Ma a quanto pare i nostri esperti non avevano conoscenza nemmeno delle basi, del due più due che fa quattro. O forse le conoscevano e le conoscono ma hanno ben altri interessi da servire che quelli delle energie rinnovabili, dell’ambiente e di conseguenza della salute delle persone. Ora grazie a questi esperti, rigorosamente dotati di lauree prestigiose e master, messi a capo anche dei grandi gruppi energetici nazionali e grazie a una politica cieca, sorda e muta, l’Italia al 2020 (!!) è ancora dipendente dall’estero energeticamente per oltre il 75%, e con pervicace e masochista ostinazione si continua ad andare in quella direzione.

Si vedano a questo proposito, fra le innumerevoli follie, le trivellazioni in cerca di petrolio, il metanodotto TAP in Puglia, la metanizzazione della Sardegna e gli oltre 18 miliardi di euro che ogni anno lo Stato regala in modi diversi alle aziende di combustibili fossili. E sono quegli stessi esperti e quella stessa politica che poi si lamentano se c’è, ad esempio, la disoccupazione, quando sono le loro azioni che la determinano. E gli stessi esperti e gli stessi politici che grazie a scelte suicide hanno costruito un paese fortemente dipendente soprattutto nei due aspetti principali che determinano l’esistenza di tutti noi che sono l’energia e l’alimentazione. Cosa sarebbe successo se trenta o quarant’anni fa, invece di non fare nulla fino ad oggi, sottolineo nulla, confermato dalla dipendenza che ancora abbiamo, si fosse puntato decisamente alle energie rinnovabili e all’abbattimento di tutti gli sprechi energetici? Avremmo ora una filiera italiana sviluppata in innumerevoli settori, milioni di posti di lavoro certi, stabili, con un senso sociale e ambientale. Anche solo con la diffusione a tappeto delle tecnologie solari termiche applicate alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano, avevamo e avremmo da lavorare per i prossimi cento anni. E che dire degli enormi risparmi di soldi per le tasche dei cittadini italiani e per quelle pubbliche che si sarebbero avuti con questi interventi? E che dire della salute e delle centinaia di migliaia di morti evitati a causa dell’inquinamento di ogni tipo che li determina ?

Niente di tutto questo è stato fatto e così il paese del sole si è visto arrivare, in tutti questi anni, tecnologie per le energie rinnovabili e il contenimento energetico anche dai paesi del nord Europa, che il sole a malapena sanno cosa sia ma che in maniera seria, intelligente e lungimirante hanno puntato su questi settori. Ci lamentiamo ora con la Germania brutta e cattiva ma le abbiamo comprato questo mondo e quell’altro di tecnologie solari, che solo a dirlo viene da ridere o da piangere, quando saremmo dovuti essere noi a vendergliele, altro che vendergli vestiti alla moda o le Ferrari. Infatti chi al mondo può sviluppare questo tipo di tecnologie e lavoro se non il Paese del sole? Ma queste sono considerazioni così ovvie, così semplici e solari appunto, che forse proprio per questo non entrano nei mega cervelli dei nostri mega esperti.

C’è chi potrebbe obiettare che i cinesi, grazie al regime di schiavitù lavorativa che hanno, avrebbero abbattuto i costi e quindi potuto venderci anche quel tipo di tecnologia, come in parte è avvenuto in maniera recente; ma a questi si può tranquillamente rispondere che tutti i soldi e le agevolazioni date ai fossili si sarebbero potute dare alle rinnovabili e così il “sistema Italia” avrebbe retto anche all’invasione dei prodotti cinesi. Oltre al fatto che realizzare campagne di informazione e sensibilizzazione per utilizzare il Made in Italy avrebbe fatto scegliere con cognizione di causa i prodotti italiani piuttosto che quelli arrivati da chissà dove e fatti chissà come. Inoltre partendo molto prima dei cinesi in quei campi, avremmo avuto vantaggi enormi. Per non parlare poi di tutto il personale tecnico e non, che avrebbe il compito di diffondere ovunque le buone pratiche e la consapevolezza presso la popolazione e tutta la conseguente formazione da fare in ogni luogo per divulgare come risparmiare energia e interagire con le fonti rinnovabili. Lavori e prassi normali e diffuse che sarebbero dovute diventare tante e usuali come le pizzerie e inserirsi nella mentalità e quotidianità così come si conosce a memoria la formazione delle propria squadra di calcio o le canzoni del proprio cantante preferito. E visto che ci si lamenta pure dell’Europa, cosa sarebbe successo se l’Italia fosse stata fortemente indipendente nei fatti, non nelle chiacchiere e nelle sparate dei finti sovranisti, per gli elementi base dell’esistenza? Avrebbe significato che ciò che faceva o fa l’Europa ci sarebbe interessato fino ad un certo punto, forti della nostra vera e sola sovranità che è quella nei fatti, perché è assolutamente ridicolo fare i sovranisti se poi si è totalmente dipendenti da tutto e tutti, che si chiamino Europa, Cina, Giappone, Russia o Stati Uniti. Sarà il caso ora finalmente di rivedere radicalmente la questione? Sarà il caso di puntare decisamente ad una filiera italiana di energie rinnovabili e tecnologie per il risparmio energetico? Si trasferiscano in questi settori i soldi che vengono regalati ai combustibili fossili, si taglino le innumerevoli spese inutili e dannose come ad esempio quelle per gli aerei militari da combattimento F35 e si vada diretti in questa direzione senza se e senza ma. Abbiamo tutto, conoscenze, tecnologia, competenze, persone, non ci manca nulla, se non la volontà politica o la volontà tout court, perché anche senza la politica si può andare risolutamente in quella direzione coinvolgendo la società civile, le imprese lungimiranti e la finanza etica. Poi anche la politica seguirà, tanto è sempre l’ultima a reagire (se mai lo farà).

E veniamo ora all’alimentazione. Per cosa è conosciuta l’Italia nel mondo? Per il cibo e non potrebbe essere altrimenti visto che ogni più piccolo paesino, borgo, città che sia, ha le sue specialità e cultura alimentare, cibo di qualità sopraffina frutto di attenzione e cura secolare per uno dei motivi di maggiore piacere nella vita e per il quale siamo invidiati da tutto il mondo. E una cultura di questo tipo da cosa è stata favorita? Anche dalla posizione geoclimatica meravigliosa dell’Italia dove praticamente è possibile coltivare una varietà di alimenti incredibile, considerate anche tutte quelle coltivazioni antiche e particolari che sono state trascurate e dimenticate e che possono essere facilmente riprese. Mangiamo due o tre tipi di mele quando ne esistono centinaia. Ma in una tale situazione da paradiso terreste dell’alimentazione abbiamo trascurato le nostre ricchezze e varietà alimentari e siamo riusciti a farci colonizzare da cibo spazzatura che arriva da paesi che non sanno nemmeno lontanamente cosa sia una cultura dell’alimentazione. Vengono prodotti e venduti cibi imbottiti di sostanze chimiche e veleni assortiti che sono un attentato quotidiano alla nostra salute. Bombardati da pubblicità dementi ci fanno credere che prodotti industriali pieni di robaccia che arriva da mezzo mondo e packaging ci facciano tanto bene e siano pure naturali. Viste quindi le nostre immense risorse e potenzialità, perché non dirigersi verso la massima sovranità alimentare possibile, recuperando ogni centimetro coltivabile, facendo rifiorire la nostra eccezionale agricoltura da nord a sud, coltivando di tutto e proteggendo con sacralità la biodiversità che tra l’altro è quella che ci aiuta ad avere ottime difese immunitarie?

Non si può fare? E’ troppo difficile? Assolutamente no, basta puntare decisamente su questi due ambiti di forte indipendenza alimentare ed energetica così come si è fatto per altri ambiti che non solo ci hanno regalato pericolosissima dipendenza ma ci hanno determinato spese, prodotto inquinamento e danneggiato la salute. In alternativa potete sempre staccare uno sportello della vostra automobile, magari proprio della tanto decantata Fiat, orgoglio nazionale che di nazionale non ha praticamente più nulla e provare a mangiarlo. Magari sarà un po’ indigesto ma sai che scorpacciata….

Fonte: ilcambiamento.it

No al cibo nella spazzatura. La campagna di ActionAid parte dalle scuole di Torino

“Io mangio tutto” è il percorso di sensibilizzazione sul diritto al cibo per le scuole primarie che ha come obiettivo affrontare, attraverso il gioco, la tematica della fame nel mondo e dello spreco di cibo. Secondo una ricerca Ipsos il 45% dei piemontesi taglia gli sprechi alimentari, il 51% riduce gli alimenti che finiscono in pattumiera e l’87% predilige la filiera corta380659

Ogni anno in Italia vengono sprecate 20 milioni di tonnellate di cibo. Ma perché permettiamo che il cibo finisca nella spazzatura quando al mondo 870 milioni di persone soffrono la fame? Un cambiamento possibile e fortemente richiesto dai piemontesi, come dimostrano i dati Ipsos per ActionAid, diffusi in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, secondo cui gli abitanti della regione sono sempre più attenti a tavola, con il 45% che taglia gli sprechi alimentari, il 51% che riduce gli alimenti che finiscono in pattumiera e l’ 87% che predilige la filiera corta, facendo quotidianamente la spesa al mercato e cambiando così il paradigma dei consumi. Ed è dai più piccoli che deve partire il vero cambiamento, dalla scuola, per sensibilizzare ed educare correttamente i più piccoli a mangiare tutto e non buttare nulla nella spezzatura. Io mangio tutto. No al cibo nella spazzatura. Questa la campagna di ActionAid, organizzazione internazionale ed indipendente impegnata nella lotta alle cause della povertà e dell’esclusione sociale, sponsorizzata da Nexive, il primo operatore postale privato italiano. “Io mangio tutto” è il percorso di sensibilizzazione sul diritto al cibo per le scuole primarie che ha come obiettivo quello di affrontare, attraverso il gioco e la fantasia, la tematica della fame nel mondo e dello spreco di cibo in Italia, così da sviluppare nei giovani alunni una consapevolezza maggiore sul valore del cibo e le difficoltà che una grossa fetta di umanità riscontra nell’ottenerlo. Il percorso è gratuito e si avvale di un kit didattico cartaceo, un’attività a scuola della durata di circa 2 ore, fruibile direttamente in aula dai docenti, che potranno avvalersi di una guida dettagliata e del supporto a distanza del nostro staff. In tal modo, grazie al sostegno di Nexive, circa 2000 bambini potranno sviluppare conoscenze sulla tematica della fame nel mondo, sulla prevenzione degli sprechi alimentari e sui principi di un’alimentazione giusta e sostenibile, e in 15 scuole, non solo di Torino ma anche di Firenze e Padova, si lavorerà affinché gli alunni acquisiscano maggiore consapevolezza sulle tematiche e gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita dei propri territori e per promuovere un’economia del cibo locale, giusto. “Essere nati nella parte del mondo ‘più fortunata’ ci impone, da un punto di vista etico, di essere consapevoli di quanto accade nell’altra metà, di praticare e diffondere buone abitudini e sensibilizzare le nuove generazioni sulle tematiche dello spreco e del diritto al cibo –dichiara Roberta Culella, CSR Manager di Nexive- . L’alimentazione è fondamentale nella crescita di ogni bambino; tantissime persone nel mondo soffrono la fame ogni giorno e gettare cibo nella spazzatura rappresenta una sconfitta e una vergogna, per una società che ne ha un accesso privilegiato e illimitato.” “È dai bambini che frequentano le mense che può partire il vero cambiamento. Parliamo di un comparto attorno al quale ruotano 10 milioni di persone, tra addetti ai lavori, insegnanti, docenti, studenti e personale non docente. Un bacino enorme che rappresenta 1/6 della Nazione e che può farsi davvero promotore e partecipe di consumi alimentari sostenibili, attraverso l’adozione di comportamenti individuali e collettivi virtuosi –dichiara Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia-. Siamo dunque molto contenti che Nexive abbia scelto di essere al nostro fianco attraverso l’iniziativa Io Mangio Giusto, per intervenire fermamente nella realtà scolastica di Torino, promuovendo con forza e a tutti i livelli la lotta agli sprechi, e coinvolgendo alunni, insegnanti e genitori in attività di formazione su stili alimentari rispettosi della propria salute e delle risorse disponibili”.

Ecco le scuole che a Torino aderiscono all’iniziativa Nexive:

Istituto Comprensivo Abbadia di Stura

Scuola Carlo Casalegno

Istituto Comprensivo C. Dogliotti

Istituto Comprensivo Gabelli

Istituto Comprensivo Sidoli

 

Fonte: ecodallecitta.it

Deserto alimentare: quanto dista un punto vendita di cibo sano?

Negli USA si iniziano a classificare le città in base alla facilità di accesso pedonale a negozi che vendono cibo salutare: dove non ci sono, si parla di deserto alimentare.

Il blog americano walkscore classifica le città americane in base al grado di desertificazione alimentare.

Che cos’è un deserto del cibo? E’ un ambiente urbano in cui non è possibile trovare a distanza di camminata  una rivendita di cibo sano, ma solo cibo spazzatura. Chi vive in questi deserti e trova solo cibo pronto ricco di grassi, calorie, sale o zucchero è a maggiore rischio di obesità o di altre malattie legate alla cattiva alimentazione, come il diabete o i disturbi cardiaci. Walkscore ha preparato una classifica delle città americane in base alla quota di popolazione che vive a meno di cinque minuti a piedi da un punto vendita di cibo salutare (alimentari freschi non trattati industrialmente). (1)

Come si vede dall’immagine qui sotto, la città più “fertile” è New York, con il 72% di accesso, mentre Indianapolis è la peggiore, cioè la più “arida”, con solo il 5%. Altre buone città sono San Francisco e Philadelphia, mentre Washington DC vorrebbe raggiungere questo obiettivo nel suo piano di sostenibilità. La vecchia Europa, e ancor meno l’Italia, non dovrebbe soffrire di questi problemi; tuttavia è bene iniziare ad avere questa sensibilità, perché anche nel nostro paese i processi di desertificazione potrebbero procedere con grande rapidità.

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(1) Walkscore ha costruito un database georeferenziato di negozi alimentari che vendono prodotti freschi, con i dati di popolazione dall’US Census Bureau. Le mappe non sono statiche, ma vengono continuamente aggiornate. La classifica è basata sulla prossimità del cibo e non sul suo costo.

Fonte: ecoblog.it