Freschette: le tre vite del cibo locale e biologico a Palermo

Da dieci anni Marina e Francesca si battono per diffondere a Palermo, la loro città, la cultura del cibo sano, locale e biologico. Lo fanno nonostante le mille peripezie che le hanno costrette a chiudere e riaprire il loro locale, le Freschette, per ben tre volte. Ma sempre più motivate ed entusiaste di prima!

PalermoSicilia – Ricordate la leggenda secondo cui secondo le leggi della fisica il calabrone non potrebbe volare, eppure lui non lo sa e vola lo stesso? Questo aneddoto viene spesso usato come analogia sull’esistenza dell’impossibile e dello scientificamente inspiegabile. Ed è proprio una storia simile che vi sto per raccontare e cioè quella del primo bar/ristorante biologico con grande scelta di piatti vegetariani e vegani nato a Palermo e di tutte le sue trasformazioni per sopravvivere: Freschette. Quando Marina Scalesse e Francesca Leone decidono di aprire questo luogo assolutamente nuovo e innovativo per la Palermo del 2011 hanno appena 27 anni. Dopo aver lavorato insieme in un ristorante molto famoso – Il Fresco, poi chiuso lasciando le due con un pugno di mosche – non si scoraggiano e decidono di aprire un posto tutto loro. Marina è la chef e Francesca si occupa della gestione.

Grazie a un bando di Invitalia, nel novembre del 2011 apre in piazza Monteleone Freschetteprimo locale in città con la cucina a vista, che usa prodotti completamente biologici e siciliani e con un market all’interno. La loro cucina è da subito contraddistinta dalla ricerca di produttori incontrati e scelti personalmente dalle due fondatrici in Sicilia.

Da quella cucina, oltre ai piatti nascono mille connessioni, collaborazioni, festival, idee. Nel 2016 viene affidata loro anche la caffetteria di Palazzo Riso, sede di un museo d’arte regionale in pieno percorso Arabo Normanno dell’Unesco. Le due portano a Palazzo Riso il primo festival di illustrazioni della città – Ciciri –, il See You Sound Festival Film da Torino e una edizione straordinaria del SiciliAmbiente. Inoltre organizzano un capodanno insieme al circolo Arci Porco Rosso e Moltivolti per devolvere metà dell’incasso a Mediterranea e ospitano 22 tirocini di minori stranieri non accompagnati, ragazzi provenienti da case famiglia e detenuti. Purtroppo Palermo sa conquistare il cuore di molti con il suo fascino decadente e un attimo dopo si trasforma in degrado e inciviltà e anche la piazza dove con tanto amore era nato Freschette, come la peggiore delle metamorfosi, si trasforma, presa d’assalto dalla movida, dai locali notturni con musica a decibel da fare impallidire il concertone del primo maggio a Roma. Cocktail a pochi euro chiamano a raccolta solo giovani che hanno voglia di divertirsi e, in più, la piazzetta viene riempita di cassonetti: «Erano ben 22 quando abbiamo deciso di mollare gli ormeggi e salpare alla ricerca di un nuovo locale», racconta Francesca Leone. «Tutto quello che ci circondava strideva con la nostra ricerca, cura e attenzione».

Nel settembre del 2018, dopo aver fatto tutti i dovuti lavori di adeguamento al nuovo locale, aprono la nuova sede in via Grande Lattarini. Anche da questa viuzza nel centro storico partono mille connessioni, incontri e idee, una fra tutte è quella di fare diventare la via pedonale e in accordo con il Comune partono le prime sperimentazioni. Il festival di illustrazioni Ciciri si sposta in quella via diventata temporaneamente pedonale e per Natale si organizza un market di artigianato, aperitivi teatrali e pranzi sociali domenicali.

Poi nel marzo del 2019 arriva il Covid, con la pandemia e i lokdown. Freschette non regge la botta d’arresto e Francesca e Marina, conti alla mano e la morte nel cuore, sono costrette a chiudere i battenti per la seconda volta. Ma siccome si dice che niente nasce o muore e tutto si trasforma, grazie alla caparbietà e la voglia di farcela, seguendo le loro regole – anche se tutto il mondo sembra remare contro – le Freschette si reinventano.

«Non è resilienza e non è resistenza, è sopravvivenza, volere esserci. Alla fine siamo come un liquido che si adatta ai vari contenitori», continua Francesca. Con questo motto apre in un’altra forma – la terza – il laboratorio di Freschette in via Quintino Sella, dove si fanno asporti e consegne a domicilio solo in bici elettrica, oltre a rifornimenti al banco del fresco di Natura Sì nonché a quattro mense di scuole private. Feel rouge che accompagna ogni loro scelta è la ricerca dei prodotti: dal 2011 Francesca e Marina girano e incontrano fornitori e produttori locali, provano i prodotti e stipulano contratti annuali con queste realtà. L’olio viene dall’azienda agrigentina Carbonia di due donne, mamma e figlia; per le zucche c’è Simeti, per le patate Volo Bio Organic Farm, i formaggi sono di Invidiata Madonie. In tutto sono undici le aziende siciliane dalle quali si riforniscono e sono tassativamente escluse quelle che operano nella grande distribuzione organizzata.

«Nonostante tutto quello che ci è accaduto –- aggiunge Francesca –, nonostante i debiti, le chiusure, i traslochi, le delusioni, penso comunque di essere una persona fortunata e di dover condividere questa mia fortuna, anche se spesso in questa città mi sono sentita come un’erbaccia che cresce spontanea nonostante non la voglia nessuno. La nostra è anche una scelta di autoaffermazione».

«Palermo per adesso straripa di food, spesso di scarsa qualità – dice Marina – e la nostra scelta di esserci in questo modo è anche educativa. In tanti negli anni ci hanno detto “da quando mangio qui sto meglio”. Il nostro segreto in cucina è togliere: togliere il soffritto, togliere il burro… quando la materia prima è buona non c’è bisogno di altro. Ci fanno i complimenti per le nostre patate al forno, forse la chiave di volta è rendere le cose semplici». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/freschette-locale-biologico/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Arriva Ficos, la Filiera Corta Siciliana per un cibo sano, buono e locale

Sostenibilità, presenza sul territorio, mutualità e una nuova cultura economica basata sulle relazioni e sulla collaborazione. Sono questi i pilastri su cui si fonda Ficos, la Filiera Corta Siciliana, una rete di imprese creata da poco per gestire un sistema di distribuzione regionale basato sulla decentralizzazione e sull’uso efficiente e sostenibile delle risorse del network di produttori e consumatori di cibo sano. I nostri lettori conoscono molto bene una bellissima e storica realtà della Sicilia Che Cambia, quella delle Galline Felici, fautrice di tantissime iniziative virtuose e ispirate ad una visione di insieme e di cambiamento. Il consorzio, nato grazie a Roberto Li Calzi, riunisce produttori agricoli e rifornisce numerosi gruppi d’acquisto solidali in nord Italia e all’estero. Ed è proprio all’interno del consorzio che è nata l’idea di Ficos, la Filiera Corta Siciliana.

Costituita nel giugno 2020, Ficos è una rete di imprese che organizza un sistema di distribuzione regionale basato sulla decentralizzazione e sull’uso efficiente e sostenibile delle risorse della rete di produttori e consumatori di cibo sano. I principi su cui si basa sono: collaborazione/coproduzione, filiera corta, agricoltura biologica e contadina, garanzia partecipata, sostenibilità ambientale, prezzo equo e trasparente, governance partecipata e responsabile. Irene Carrara, una delle anime di Ficos, ci racconta l’evoluzione di questo progetto: «Ho conosciuto miriadi di realtà entusiasmanti e persone appassionate che indirizzano i propri sforzi verso un’economia e una società altre. Da tanti anni si parlava di una rete del genere, ma la Sicilia non era ancora pronta, neanche le aziende agricole erano pronte. Adesso i tempi sono maturi, ma c’è bisogno della partecipazione di tutti: produttori, consumatori e altri attori della filiera. Uno strumento come Ficos permette di avere una casa e un obiettivo comuni, oltre a una potenzialità condivisa di sviluppo del commercio locale di prodotti sani per rendere concreta una collaborazione tra i vari attori che al momento ci sono e vanno nella stessa direzione, ma non si tengono per mano».

Azienda Ciuri di Roberta Rabuazzo, Belpasso, socia fondatrice di Ficos

Una rete destinata a crescere. Al momento sono otto gli imprenditori agricoli che si sono esposti contribuendo alla creazione di Ficos, ma come ci racconta Irene sono tante le richieste di partecipazione da parte di altri produttori. Molto presto, infatti, è previsto un incontro per accogliere nella rete nuove realtà che rispettano i requisiti. L’obiettivo è creare un sistema di garanzia partecipata di comunità in cui ciascun attore può verificare, tramite la conoscenza diretta, la qualità delle persone che si avvicinano alla rete. In questa fase iniziale, la certificazione biologica è il requisito più importante. Ma Ficos non è una rete del biologico, anzi, cerca di andare oltre, facilitando così i piccoli produttori a cui non conviene sostenere i costi della certificazione e che, avvantaggiandosi del rapporto diretto che si mantiene tra produttore e consumatore, potrebbero evitarlo. Al momento la certificazione serve per chi non conosce il produttore, ma attraverso un sistema di conoscenza diretta non sarà più indispensabile. Ficos non è solo economia agricola, ma anche sociale. Il rispetto della terra e delle persone e i rapporti equi di lavoro sono altri requisiti considerati importanti. Una parte delle attività del gruppo Ficos è legata a un progetto finanziato dal PSR – circa 90.000 €, di cui 30.000 € già anticipati da Le Galline Felici come prestito infruttifero – complementare e integrato all’operatività: il sito online è collegato alla piattaforma per gli ordini (Open Food Network) e si sta lavorando all’organizzazione di tanti eventi: visite aziendali per conoscere i produttori soci, eventi nei punti di distribuzione, partecipazione ad iniziative locali.

Ficos supporta i nodi della rete siciliana già esistenti e favorisce la nascita di nuovi per la distribuzione di prodotti sani, buoni e siciliani. Supporta i gruppi di acquisto solidali collegandoli tra loro per aiutarli ad ampliare il proprio paniere di prodotti. La merce della rete si troverà negli spacci aziendali di alcuni dei produttori e anche le piccole botteghe offriranno nei loro negozi una selezione di prodotti Ficos. La rete sta lavorando anche all’apertura di punti vendita gestiti collettivamente.

«Adesso – aggiunge Irene – abbiamo lanciato il pre-acquisto delle nostre tessere con i buoni spesa on line. Presto tutti i nostri soci potranno distribuirle al mercato del contadino dove partecipano, si troveranno presso la sede delle Galline Felici e le sedi di tutti i produttori. Per noi è importantissima la diffusione, non solo per avere la liquidità necessaria ad avviare le nostre attività, ma anche per dimostrare a noi stessi che stiamo andando nella direzione giusta. Mi piacerebbe che arrivasse a tutti la concretezza di questo progetto. Ficos non è solo una piattaforma informatica su facebook o su internet, Ficos è soprattutto un progetto incentrato sulla sostenibilità, sulla presenza sul territorio, sulla mutualità e su una nuova cultura economica basata sulle relazioni e sulla collaborazione».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/06/ficos-filiera-corta-siciliana/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Alessandra Guigoni: valorizzare i territori partendo dal cibo locale – Meme #5

Partire dai prodotti alimentari per valorizzare i territori, favorendo il recupero dei saperi, il turismo e l’economia locale. Di questo e di altri temi legati all’alimentazione abbiamo parlato con Alessandra Guigoni, antropologa culturale che anni si occupa di storia e cultura del cibo. Alessandra Guigoni è un’antropologa culturale sarda specializzata in alimentazione da oltre venti anni. È una collaboratrice del festival Scirarindi, che da anni Italia che Cambia ha il piacere di seguire e raccontare. Si occupa di storia e cultura del cibo, nell’ottica della valorizzazione delle produzioni locali, del patrimonio agro-alimentare e delle eccellenze enogastronomiche.

“Un lavoro che non è fine a se stesso – ci spiega Alessandra – perché cercando di valorizzare le comunità del cibo si prova a valorizzare i territori che sono alle spalle dei prodotti, i saperi a volte millenari che accompagnano la storia di questi prodotti: il legame tra le comunità del cibo che realizzano i prodotti e il cibo è un legame che è doveroso far emergere, d’altronde è in questo frangente che la storia del cibo diventa anche la storia degli uomini e dei luoghi che li circondano”.

Una valorizzazione che assume un aspetto ancora più importante in anni in cui il processo della globalizzazione, oltre che a governare processi umani ed economici notevoli, influenza anche il cibo, i consumi e gli stili alimentari verso una sempre maggiore omologazione. In questo contesto il ruolo centrale della ripartenza delle economie locali si collega al cibo, il quale gioca un ruolo considerevole nella valorizzazione del turismo. Alessandra nel suo lavoro parla di Food Experience, che come ci spiega “non è da intendersi come la semplice foto della pietanza, o farsi il selfie con lo chef. C’è molto di più: noi attraverso il cibo raccontiamo la storia e la cultura delle persone che lo preparano, c’è un plus-valore in questo che non viene compreso e il mio lavoro è cercare di raccontarlo e valorizzarlo”.11796455_438081003041365_5433422733796718966_n

Alessandra Guigoni

Da diversi anni, oltre che con Scirarindi, Alessandra Guigoni collabora con enti pubblici e privati, associazioni, con piccoli comuni (“più piccoli sono più mi piacciono”, ci confida) e anche con singoli in base ad un singolo progetto ma soprattutto in base all’autenticità della realtà rispetto ai valori sopra elencati. Con la condotta di Slow Food di Cagliari ha contribuito a far nascere alcune Comunità del Cibo in Sardegna come quella del cappero selargino, dei produttori di materiali edili e sostenibili e dell’Anguria di Gonnosfanadiga. Oltre a questo collabora con riviste e trasmissioni radiofoniche e televisive su temi sempre legati al cibo.

Antropologia e alimentazione insieme: quali strumenti ci danno per capire davvero noi stessi e di riflesso la realtà che percepiamo? Come facciamo a scoprire di noi attraverso il cibo?

L’antropologia culturale (anche la sociologia, per certi versi) offre una chiave interpretativa della realtà che ci circonda che non è mai banale e mira a scardinare pregiudizi e luoghi comuni: tratta come straordinario ciò che è ordinario e quotidiano, come il cibo, e considera come ordinario, comune, ciò che ci appare, ad un primo momento, come straordinario. Uno sguardo ironico, attento e straniante, che toglie la maschera a tanti atteggiamenti e comportamenti che non hanno niente di “naturale”, ma sono appunto, figli del proprio tempo. L’antropologia dell’alimentazione si occupa del cibo a trecentosessanta gradi, e cerca di saldare il passato al presente, attraverso la ricerca sul campo, l’interpretazione dei dati raccolti e la sistematizzazione in teorie organiche e convincenti.

Siamo ciò che mangiamo: secondo te, i problemi ai quali assistiamo in questa fase eternamente delicata del nostro Pianeta sono direttamente collegati alla standardizzazione e al netto peggioramento della qualità del nostro cibo?

Potenzialmente, in Occidente, non si è mai mangiato meglio, nel senso di quantità di cibo e sicurezza alimentare. Sino alla Seconda Guerra Mondiale la mortalità infantile era disastrosa e si moriva, mediamente, abbastanza giovani. Il cibo era spesso di scarsa qualità, non c’erano frigoriferi, non c’erano le tecnologie di conservazione e stoccaggio odierne… Oggi c’è cibo per tutti e potenzialmente il cibo è salubre, ma, c’è sempre un ma, l’Industria alimentare negli ultimi venti anni ha deteriorato la qualità del cibo riempiendola di zuccheri, grassi, coloranti e conservanti inutili. Ho visto un integratore alimentare che sembrava attraente, scontato del 50%, in una parafarmacia. A parte che se si mangiano le 5 porzioni quotidiane di frutta e verdura non ci servono vitamine e sali minerali da integratori ma… comunque ho letto l’etichetta con gli ingredienti. Sai quali erano i primi due in lista, quindi i più rilevanti? Acqua e fruttosio. Molte persone preferiscono prendere questi beveroni invece di sbucciare un paio di arance e preparare un insalata con verdure fresche di stagione, convinti che l’assunzione di questi prodotti equivalga a mangiare in modo sano e consapevole, ma ovviamente non è così. Manca l’educazione alimentare, totalmente, e le cucine -pubbliche e domestiche- spesso non sono sostenibili: si spreca troppo cibo, si usano troppi oggetti che hanno packaging di plastica, alluminio, cartone, ci sono troppi prodotti monouso. Non si utilizzano scarti e avanzi, si butta tutto.localfoodnetworkslidedeck

Secondo te, meno cibo e coltivato meglio sarebbe davvero catastrofico per l’umanità? In tanti dicono che la produzione industriale e chimica del cibo ha risolto la fame, hai degli strumenti per dirmi che c’è anche un’altra strada e questa non sia l’unica?

“La produzione industriale e l’uso dei concimi chimici, la cosiddetta rivoluzione verde ha risolto la fame nel venti per cento della popolazione, ma l’ottanta per cento fa ancora la fame, e le cause sono davvero complesse e sono connesse a fattori sociali, economici, politici. Oggi nel mondo c’è cibo a sufficienza per sfamare tutti, così dicono molti scienziati, ma è distribuito in modo ineguale e molto va sprecato. Non ne va prodotto di meno, almeno allo stato odierno, ma meglio. Con tecnologie meno impattanti, inquinanti. E poi vanno redistribuite le calorie: in Occidente ci sono tassi di sovrappeso e obesità preoccupanti, si parla di epidemia mondiale di obesità perché anche nei paesi emergenti, come Cina, India, Messico, i tassi sono in aumento, mentre c’è parte delle loro popolazioni che soffrono la fame, esistono molte disparità socio-economiche. Noi mangiamo troppo e male, si parla di “malnutrizione” anche in Italia, ma intendendo l’esagerato consumo di cibi confezionati, pieni di zuccheri e grassi, che sono consumati soprattutto dalle fasce deboli della popolazione, deboli culturalmente e economicamente. Ricordi l’orto di Michelle Obama? Negli USA i ricchi sono magri, seguono la dieta mediterranea e mangiano bio, i poveri, e sono tanti, fanno colazione e pranzo da McDonald’s e la loro speranza di vita sta diventando drammaticamente inferiore a quella dei loro concittadini ricchi.

Le élite politico-economiche si assomigliano molto: i giovani ricchi di Teheran fanno una vita assai più simile a quella dei giovani ricchi russi o italiani, rispetto a quella dei loro coetanei iraniani. E nello stile di vita ci metto anche l’alimentazione, che discrimina anche nella speranza di vita, nella qualità della vita e nello sviluppo del corpo nei bambini, oggi come cento anni fa. Tutto questo è insopportabile e intollerabile. Il cibo deve essere democratico, e la consapevolezza alimentare deve essere uno dei diritti inviolabili. Poi credo che aiutare i produttori locali faccia bene all’ambiente, all’economia e allo sviluppo locale. Non capisco perché devo nutrirmi di arance che vengono dall’altra parte del mondo quando nelle campagne attorno a Cagliari è pieno di agrumi. L’impronta che questi trasporti di merci alimentari lasciano è molto importante. Certo fare la spesa al giorno d’oggi è complicato: ci sono troppe sirene che abbagliano i sensi, e alla fine si riempie il carrello di porcherie anonime, dimenticando i sapori della propria identità, i sapori di casa, i sapori della propria terra. È un peccato…”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/04/alessandra-guigoni-valorizzare-territori-partendo-cibo-locale-meme-5/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Dalla terra alla tavola: La Ficaia, cibo locale e risto-educazione

In Toscana, non lontano da Viareggio, nel comune di Massarosa, sorge un ristorante molto particolare, La Ficaia. La peculiarità di questo locale consiste nelle cuoche che, durante la settimana sono agricoltrici e nel week end si trasformano in chef cucinando e offrendo i prodotti delle proprie fatiche.

In Toscana, non lontano da Viareggio, nel comune di Massarosa, sorge un ristorante molto particolare, La Ficaia, gestito dal gruppo locale di “Donne in Campo” (1) e coordinato da Massimo Gay, responsabile “CIA Versilia” (2).

La peculiarità di questo locale, più che nell’indubbia bellezze dell’edificio che lo ospita, consiste nelle cuoche che, durante la settimana – dal lunedì al giovedì – , sono agricoltrici e nel week end, dal venerdì alla domenica, si trasformano in regine dei fornelli trasformando e offrendo i prodotti delle proprie fatiche. Più che di “Km zero”, quindi, in questo ristorante si potrebbe parlare di “metro zero” mentre osserviamo il proverbiale “dal produttore al consumatore” palesarsi nella sua più semplice e totale veridicità.

“Quando le agricoltrici si riunivano per le loro riunioni – ci racconta Massimo Gay – portavano ognuna qualcosa da mangiare, qualche specialità della propria azienda. Da qui, nacque l’idea di trasporre questo modello informale in qualcosa di strutturato e di riproponibile a livello commerciale”. Lo chiamarono agricatering – catering agricolo – e inizialmente era rivolto a clienti in cerca di banchetti speciali, meeting, compleanni, coffee break; clienti in cerca di un catering che avesse come tema fondamentale la preparazione di prodotti del territorio.

“Abbiamo elaborato un progetto che non fosse meramente economico – continua Massimo – ma abbiamo inserito elementi valoriali: le materie prime vengono offerte direttamente dal territorio, dagli agricoltori locali, alimentando in questo modo un tessuto di agricoltura di prossimità che poi fa a sua volta da volano economico per l’economia locale. Questo tipo di attività, inoltre, favorisce indirettamente una corretta gestione del territorio ed evita il dissesto idrogeologico”.IMG_0782-1

Il progetto è ancora molto giovane. Il ristorante, infatti, ha aperto solo il 23 marzo 2015. In futuro, vorrebbero creare un vero e proprio centro di produzione consortile: un centro di trasformazione dei prodotti da offrire ai piccoli agricoltori che, di fronte a eccedenze di mercato, vogliano operare in un luogo dedicato, senza dover impazzire dietro a norme burocratiche o spese ingestibili.

“La nostra attività – continua Massimo – ha voluto essere economicamente molto sana fin dall’inizio. Quando dovevamo attivarci per richiedere un finanziamento ci siamo subito rivolti a Banca Etica perché crediamo che i nostri valori siano ben rispecchiati dai valori di quella banca. I finanziamenti da loro offerti, infatti, si basano sulla qualità delle persone e dei loro progetti anziché sulle loro proprietà o ricchezze”.

Il focus dell’attività della Ficaia, comunque, è il cliente finale, che viene ‘selezionato’ attraverso un’offerta molto specifica e settoriale. “Il cliente viene istruito sulla materia prima che mangia e da dove proviene – ci spiega Massimo – non tutti sono predisposti a spendere qualcosa di più per avere più qualità. Il nostro è quindi un lavoro di risto-educazione! Spieghiamo e lasciamo scritti sul menù i nostri punti di forza; qui non c’è ‘l’imbarazzo della scelta’, perché prepariamo solo i prodotti che questo territorio offre in questo preciso momento, in questa stagione. Non usiamo ingredienti artificiali, usiamo persino poco sale, perché non sia intaccato il vero sapore dei cibi”.IMG_0861

Paola Benassi, Presidente di Donne in Campo, Agricoltrice e cuoca

Lasciamo Massimo alle sue attività e ci spostiamo nella cucina, dove incontriamo Paola Benassi, Presidente di Donne in Campo, Agricoltrice e – ovviamente – cuoca! Paola, tra un fornello e l’altro, ci racconta la sua storia.

“Allevo bovini da latte e produco formaggio vaccino che servo nel ristorante nel fine settimana. Ho cominciato dopo le medie a lavorare, in una pensione a Camaiore come aiuto cuoca e da allora non ho mai smesso. Ho anche un agriturismo, la cucina faceva quindi già parte della mia quotidianità. Amo lavorare e offrire i miei prodotti, ma non solo. Tramite Monica – la collega che sta cucinando accanto a lei – ho imparato anche la cucina vegetariana e vegana e mi sto interessando a questo mondo per me nuovo”.

Sì, perché nell’agristorante La Ficaia il menù segue tre filoni: cibo tradizionale, vegetariano e vegano. Vengono inoltre realizzati prodotti per celiaci.

“Mettiamo passione nel nostro lavoro ma anche fatica. Non ci fermiamo mai. Lavoriamo sette giorni su sette. La nostra passione viene trasformata in cucina; comunichiamo con le persone attraverso il cibo, raccontiamo loro cosa facciamo e come. Ed è per noi una grande soddisfazione”.

 

Note
1. Donne in campo è la principale Associazione italiana di imprenditrici e donne dell’agricoltura
2. CIA – Confederazione Italiana Agricoltori

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/io-faccio-cosi-109-la-ficaia-cibo-locale-risto-educazione-femminile/