Neoliberismo e plutocrazia: l’Italia alla deriva

Noam Chomsky lo ha detto chiaro e tondo a Firenze: siamo schiavi del neoliberismo, la democrazia in Italia è finita, destra e sinistra inseguono le stesse idee politichechomsky

Noam Chomsky, filosofo e linguista, nella sua estrema lucidità, non ha dubbi: in Italia la democrazia è virtualmente terminata quando si è insediato un governo non scelto dagli elettori. La destra e la sinistra portano avanti le stesse idee politiche e subiamo il frutto amaro del neoliberismo, distruttivo per i popoli d’Europa. Chomsky ha poi rincarato la dose durante la sua recente conferenza a Firenze:  il welfare state è stato annientato; nei suoi discorsi Mario Draghi parla di banche, ma le persone dove sono?  Perfino il Wall Street Journal ha scritto che la democrazia è collassata. E gli intellettuali? Fondamentalmente, ha aggiunto Chomsky, i cosiddetti intellettuali servono il potere, ecco perchè vengono rispettati. Ma ci sono anche intellettuali che sfidano il potere e allora vengono combattuti, messi ai margini. “Il 70% della popolazione non ha nessun mezzo di influire sulle politiche adottate dai vari livelli delle amministrazioni, ha proseguito Chomsky.  Questo 70% è rappresentato da coloro che occupano le posizioni inferiori nella scala di reddito. Via via che si risale, l’influenza delle persone sulle politiche effettivamente adottate cresce. Sino all’1% che si posiziona più in alto nella scala sociale, rappresentato da coloro che, dalla politica, ottengono tutto ciò che desiderano. Questa non si chiama democrazia ma plutocrazia ed è questa la direzione verso la quale le nostre società stanno venendo sospinte. Il nome di questa tendenza si chiama neoliberismo: designa cioè tutto l’insieme di politiche economiche e sociali e di altro genere, ideate per conseguire questi risultati. Esiste a tal proposito uno studio effettuato dall’agenzia umanitaria Oxfam:  85 persone nel mondo detengono la medesima ricchezza detenuta da 3,5 miliardi di altre persone. Questo era l’obiettivo del neoliberismo e questo è quanto osserviamo sia in Italia che in altri paesi. Definirei ciò come un grande attacco alle popolazioni mondiali, il più grande mai avvenuto negli ultimi 40 anni. Direi persino un grande esercizio di Guerra di Classe, che ha veramente pochi esempi con cui essere paragonata”.

Ascoltate nel video le parole di Chomsky.

Fonte: il cambiamento

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Il riscatto degli schiavi moderni, ossia come possiamo sfuggire allo sfruttamento economico

«Gli esseri umani sono esseri sociali e come diventano dipende profondamente dalle circostanze sociali culturali e istituzionali della loro vita». Noam Chomsky, filosofo e linguista, ci mette in guardia dai condizionamenti e ci mostra tutta l’ipocrisia di quelle verità lapalissiane di cui tanti si riempiono la bocca ma che nella pratica quasi nessuno segue.schiavi_moderni

Illuminate e illuminanti le parole di Noam Chomsky, durante la conferenza tenuta di recente alla Columbia University davanti ad una vasta platea di attenti ascoltatori. Chomsky ha la capacità di mettere a nudo le ipocrisie di tutti noi, dell’uomo comune come del grande uomo, evidenziando con schiettezza quelle contraddizioni e quelle scomode verità che, nel macro e nel micro, spesso cerchiamo di non vedere. Quelle che Chomsky definisce le verità virtuali, sono quelle verità «che tutti professano, universalmente, ma che poi, altrettanto universalmente, tutti nella pratica rifiutano» dice. Pensiamo solo a quella «verità lapalissiana secondo cui dovremmo applicare a noi stessi gli stessi standard che applichiamo agli altri, dedicandoci alla promozione della democrazia e dei diritti umani, proclamati a livello universale, anche dai peggiori mostri, mentre poi il panorama generale non mostra altro che crudeltà». Non a caso Chomsly adotta come esempio gli scritti di John Stuart Mill, nella fattispecie Saggio sulla libertà, dove si fa riferimento alla «assoluta ed essenziale importanza dello sviluppo umano nella sua più ricca diversità». Le parole vengono citate da Wilhelm von Humboldt, fondatore del liberalismo classico, ha ricordato Chomsky. «Ne consegue che le istituzioni che ostacolano tale sviluppo sono illegittime, a meno che non riescano in qualche modo a giustificarsi». E quando Adam Smith accenna a una delle massime più seguite dall’essere umano, cioè “tutto per noi e niente per gli altri”, aggiunge anche che, secondo lui, «le passioni originarie, più positive, della natura umana sapranno comunque compensare questo pensiero patologico». Insomma, Chomsky spiega e rende evidente con le sue parole l’ipocrisia che sta dietro alle aspirazioni umanistiche dei fondatori del capitalismo. Poi fa sua l’affermazione di un pensatore e attivista anarchico del secolo scorso, Rudolf Rocker, laddove sostiene che «il problema che si pone ai giorni nostri è quello di liberare l’uomo dal gioco dello sfruttamento economico e dalla schiavitù sociale». Perché lo fa? Per smascherare un’altra ipocrisia, quella degli equivoci che si giocano sulle parole e che vorrebbero forse ancora far credere che il brand americano del libertarianismo abbia qualcosa di analogo al pensiero libertario. «Il primo – spiega Chomsky – accetta e anzi invoca la subordinazione dei lavoratori ai padroni dell’economia e la soggezione di tutti alla disciplina restrittiva e ai tratti distruttivi dei mercati». Il secondo, cioè il pensiero anarchico, «si oppone notoriamente allo Stato e invoca una amministrazione organizzata delle cose nell’interesse della comunità, come dalle parole di Rocker, oltre ad ampie federazioni di comunità e luoghi di lavoro che si autogovernano».  «Oggi però – prosegue Chomsky – il pensiero anarchico può spesso arrivare anche a sostenere il potere dello Stato al fine di proteggere i più deboli, la società e il pianeta dai saccheggi del capitale privato. Non c’è contraddizione, la gente vive e soffre e va avanti in questa società e gli strumenti a disposizione dovrebbero essere utilizzati a salvaguardia e beneficio di essa, anche se un obiettivo a lungo termine è quello di costruire alternative preferibili». Oggi la condizione in cui viviamo è quello di una plutocrazia, dice ancora Chomsky: «Circa il 70% della popolazione, nello scalino più basso della scala sociale, non ha influenza sulla politica; salendo la scala sociale, l’influenza lentamente aumenta. Ai vertici ci sono quelli che determinano la politica. Il risultato non è una democrazia, ma è, appunto, una plutocrazia». C’è chi ha già confezionato un termine per “travestire” di rosa la plutocrazia, definendola una neo-democrazia, socia del neoliberismo; attenzione all’apparente innocuità del termine, si tratta di un sistema in cui la libertà è privilegio di pochi e la comprensione del pieno senso delle cose è accessibile solo ad una elite, eppure tutto inserito in un contesto di diritti generalizzati benchè solo formali e non sostanziali. Ma non è questa la vera democrazia, come anche Rocker ha sostenuto. «La vera democrazia ha le caratteristiche di un’alleanza fra gruppi liberi di uomini e donne basata sul lavoro in cooperazione e su una pianificata amministrazione dei beni per l’interesse della comunità». Chomsky ha poi continuato nella sua affascinante disamina dei pensieri a confronto. «Nessuno prenderebbe mai il filosofo americano John Dewey per un anarchico. Eppure considerate le sue idee. Egli riconosce che il potere oggi risiede nel controllo dei mezzi di produzione, degli scambi, della pubblicità, dei trasporti e della comunicazione. Chi li possiede, regola la vita del paese, anche se resta la forma democratica. E i politici resteranno la casta ombra nella società dei grandi affari, come si vede già oggi. Questo riconduce a una visione della società basata sul controllo dei lavoratori, com’era nel diciannovesimo secolo». Insomma, una “democrazia” di questo tipo ha geneticamente in sé molti rischi e molti limiti, già peraltro ben noti fin dall’antichità, cioè da quando Aristotele riconobbe nella democrazia la “meno peggio” forma di governo, ravvisandone un solo “difetto” (oggi annullato da chi ha il potere di imporre anche nomi e volti per i quali votare): la massa dei poveri potrebbe usare il proprio voto per prendersi le proprietà dei ricchi, che ne sarebbero molto dispiaciuti!  E di fronte a questo “rischio”, c’è chi, come Aristotele, consigliava di ridurre le disuguaglianze e chi, come molti altri anche oggi, consigliano invece di ridurre la democrazia!
La tradizione libertaria si può dunque ricondurre fino ad Aristotele? Si è conservata ed evoluta nei secoli, pur rimanendo sotto la superficie?Chi ne è l’erede oggi? E cosa vogliamo farne? Potrà aiutare le comunità di persone ad uscire da questa crisi strutturale? Vale la pena rifletterci.

Fonte: il cambiamento

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Noam Chomsky contro il fracking e le sabbie bituminose

Il celebre linguista e attivista politico ritiene folle spremere scarse risorse di cattiva qualità provocando devastazioni ambientali e danni alla salute. E’ soddisfatto che siano i nativi americani ad avere assunto la leadership della protestaNoam-Chomsky-586x369

Noam Chomsky, il celebre linguista del MIT  nonchè il più influente attivista politico della sinistra libertaria USA ha preso duramente posizione contro lo sfruttamento canadese dello shale gas nel New Brunswick e delle sabbie bituminose in Alberta. In un intervista al Guardian ha detto  «Significa spremere ogni goccia di idrocarburi dal suolo  e cercare di distruggere l’ambiente il più rapidamente possibile, senza minimamente preoccuparsi di quale aspetto avrà il mondo dopo.» Fortunatamente le popolazioni native del Canada stanno assumendo la leadership delle battaglie contro i combustibili fossili e il cambiamento climatico. Il movimento Idle no more! si è diffuso rapidamente tra le 600 First Nations del Canada (1) ed ora è in prima linea contro lo sfruttamento delle sabbie bituminose, che a fronte di un ritorno energetico modesto è altamente inquinante e rappresenta un pericolo per la salute. «E’ abbastanza ironico che i cosiddetti “popoli meno sviluppati” sono quelli che stanno guidando la protesta nel tentativo di proteggerci tutti, mentre i più ricchi e potenti tra noi sono quelli che stanno cercando di portare la società alla distruzione» ha detto Chomsky. Secondo il ricercatore, i progressisti dovrebbero dare più spazio ai cambiamenti climatici nelle loro attività, ma in un modo che enfatizzi il fatto che affrontare il global warming può migliorare e non peggiorare le nostre vite: «Se è una profezia di sventura, smorza l’entusiasmo e la reazione delle persone sara, ok, mi godo questi ultimi anni finché ci sarà una possibilità. Ma se si tratta di una call to action, allora abbiamo ancora una possibilità, ad esempio, volete che i vostri figli e nipoti abbiano una vita soddisfacente e dignitosa?» Pur essendo un fautore della decrescita, ritenendo cioè fondamentale governare la sovraproduzione e il sovraconsumo delle nostre società, Chomsky considera il trasporto pubblico, l’agricoltura locale e l’efficienza energetica come esempi di come si possa crescere mitigando i cambiamenti climatici e migliorando la qualità della vita. «Se le banche sono state salvate dalla crisi del 2008», ha concluso «non ci può invece essere alcun bailout per l’ambiente»

(1) Le first nations sono gli oltre 600 popoli nativi del Canada, confinati dopo tre secoli di guerre coloniali europee in una miriade di minuscole riserve. Sono anche detti indiani, perpetuando nei secoli il grossolano errore geografico di Colombo.

Fonte: ecoblog

Chomsky: “Cinque anni al punto di non ritorno energetico”

Nelle librerie italiane l’ultimo saggio del linguista e politologo statunitense che guarda con attenzione alla questione ambientale

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Visto l’ampio raggio della sua imponente opera saggistica Noam Chomsky si è guadagnato un posto nella top ten delle dieci fonti più citate nella storia della cultura. Con lui ci sono William Shakespeare e Karl Marx, tanto per fare qualche esempio di “opinion maker” in carne d’ossa. L’ottantacinquenne linguista e politologo esce in Italia con un nuovo saggio intitolato Sistemi di potere ed edito da Ponte alle Grazie. Nella sua analisi del mondo contemporaneo e delle tensioni che lo animano Chomsky ha un occhio di riguardo per l’ambiente visto come punto nodale del presente e del futuro (prossimo) dell’umanità. Oggetto della sua attenta analisi sono i sistemi di potere – governi, organismi finanziari – che alimentano le divisioni all’interno della società con lo scopo di controllare e assoggettare gli individui. La lettura del mondo di Chomsky include Occupy e la Primavera araba, gli indignados e Twitter, Wikileaks e Youtube, le multinazionali e la Banca Centrale Europea. In questo sguardo ad ampio raggio sul nostro presente, Chomsky parla in maniera specifica di sopravvivenza della specie poiché

i rischi derivanti dal sistema finanziario possono essere sanati dal contribuente, ma nessuno accorrerà in aiuto se l’ambiente sarà distrutto. E che l’ambiente debba essere distrutto sembra quasi un imperativo istituzionale.

Provocazione o constatazione? Di certo le parole di Chomsky sono pesanti, proprio in virtù dell’ampia influenza di cui il pensatore gode a livello globale e della profondità delle ricerche che sono alla base delle sue riflessioni. Citando l’Agenzia Internazionale per l’Energia, Chomsky spiega come manchino all’incirca cinque anni al “punto di non ritorno” energetico ovvero al momento in cui le risorse energetiche non potranno più far fronte alla richiesta da parte della popolazione. A rafforzare questa tesi ci sono anche i dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change che vede nella dipendenza dal carbone un serio pericolo per la sostenibilità del pianeta. Soltanto la scorsa settimana il premier cinese Li Keqiang messo di fronte agli 1,2 milioni di decessi causati dallo smog in Cina nel 2010 ha affermato che

“non è buono essere poveri in una natura meravigliosa, ma non è buono neppure essere ricchi in un sistema degradato. E in definitiva respiriamo tutti la stessa aria, poveri, ricchi e governanti”.

Cinque anni per accelerare su tutti i fronti dello sviluppo sostenibile. E tocca alla politica fissare i paletti dello sviluppo, bloccare il consumo sconsiderato di suolo e risorse fossili e incentivare l’innovazione da cui dipende il mondo che verrà.

Fonte: Sole 24 Ore