Valdibella: il “chilometro etico” per combattere l’agricoltura industriale

Per proporre un’alternativa sostenibile ed etica al modello di produzione e consumo dell’agribusiness bisogna creare reti nazionali di piccoli agricoltori consapevoli che costituiscano un’opportunità praticabile per chi non vuole rifornirsi presso la Grande Distribuzione. È questa la direzione su cui sta lavorando Valdibella, cooperativa agricola pioniera del biologico in Sicilia, che ha coniato il concetto di “chilometro etico”. Negli anni ’90 la Sicilia era ancora un territorio vergine per chi parlava di biologico, di agricoltura sostenibile, di filiera corta. Vergine e fertile. Tant’è che il percorso avviato da Massimiliano Solano – giovane laureato che aveva dato vita a una piccola rete produttiva invitando amici e colleghi agricoltori a convertirsi al bio – ebbe subito un riscontro positivo. Erano quelli i primi vagiti di ciò che nel 1998 si sarebbe trasformato in Valdibella, una cooperativa agricola che ancora oggi è un punto di riferimento per chi – produttore o acquirente finale – è alla ricerca di alternative al circuito della grande distribuzione, dei supermercati e di un mercato “drogato” da politiche agricole studiate su misura per le multinazionali dell’agro-industria.

Per proporre un’alternativa sostenibile ed etica al modello di produzione e consumo dell’agribusiness bisogna creare reti nazionali di piccoli agricoltori consapevoli che costituiscano un’opportunità praticabile per chi non vuole rifornirsi presso la Grande Distribuzione. È questa la direzione su cui sta lavorando Valdibella, cooperativa agricola pioniera del biologico in Sicilia, che ha coniato il concetto di “chilometro etico”. Negli anni ’90 la Sicilia era ancora un territorio vergine per chi parlava di biologico, di agricoltura sostenibile, di filiera corta. Vergine e fertile. Tant’è che il percorso avviato da Massimiliano Solano – giovane laureato che aveva dato vita a una piccola rete produttiva invitando amici e colleghi agricoltori a convertirsi al bio – ebbe subito un riscontro positivo. Erano quelli i primi vagiti di ciò che nel 1998 si sarebbe trasformato in Valdibella, una cooperativa agricola che ancora oggi è un punto di riferimento per chi – produttore o acquirente finale – è alla ricerca di alternative al circuito della grande distribuzione, dei supermercati e di un mercato “drogato” da politiche agricole studiate su misura per le multinazionali dell’agro-industria.

La scintilla che ha generato l’esplosione fu accesa dall’istituto salesiano di Camporeale, che gestiva una comunità di minori in affido. «Il direttore di allora – ricorda Massimiliano – ci propose di partecipare chiedendoci di aiutarli nella gestione dei ragazzi, attuando un metodo educativo diverso da quello tradizionale, con l’obiettivo di creare una sinergia con una realtà produttiva che da un lato accompagnasse gli ospiti della comunità in un percorso riabilitativo attraverso il lavoro nei campi e dall’altro portasse un beneficio a favore del territorio».

Nacque così Valdibella, realtà agricola biologica fra le prime in Sicilia e con una spiccata vocazione per il sociale. Vocazione che mantiene ancora oggi, tastando di continuo il polso del territorio e di chi lo vive, creando occasioni di lavoro per disoccupati e persone in difficoltà «senza alcun tipo di programmazione particolare: ci guardiamo intorno, vediamo di cosa c’è bisogno e ci attiviamo», specifica Massimiliano. Con il passare del tempo, le attività e le intuizioni iniziali si sono affinate e sviluppate anche attraverso numerosi contatti e Valdibella ha modulato una sua idea, portando avanti il concetto di un’agricoltura libera dai condizionamenti come politiche agricole, filiere della grande distribuzione, attività bancaria e così via.« Quello che cerchiamo di fare è svincolarci da questi sistemi favorendo delle filiere tutte nostre. L’agricoltura è un’attività che utilizza parte delle risorse dell’ambiente per produrre cibo e interessa due soggetti, chi mangia i prodotti e chi li coltiva. Noi vogliamo creare filiere in cui esistano solo questi due soggetti».

La scintilla che ha generato l’esplosione fu accesa dall’istituto salesiano di Camporeale, che gestiva una comunità di minori in affido. «Il direttore di allora – ricorda Massimiliano – ci propose di partecipare chiedendoci di aiutarli nella gestione dei ragazzi, attuando un metodo educativo diverso da quello tradizionale, con l’obiettivo di creare una sinergia con una realtà produttiva che da un lato accompagnasse gli ospiti della comunità in un percorso riabilitativo attraverso il lavoro nei campi e dall’altro portasse un beneficio a favore del territorio».

Nacque così Valdibella, realtà agricola biologica fra le prime in Sicilia e con una spiccata vocazione per il sociale. Vocazione che mantiene ancora oggi, tastando di continuo il polso del territorio e di chi lo vive, creando occasioni di lavoro per disoccupati e persone in difficoltà «senza alcun tipo di programmazione particolare: ci guardiamo intorno, vediamo di cosa c’è bisogno e ci attiviamo», specifica Massimiliano. Con il passare del tempo, le attività e le intuizioni iniziali si sono affinate e sviluppate anche attraverso numerosi contatti e Valdibella ha modulato una sua idea, portando avanti il concetto di un’agricoltura libera dai condizionamenti come politiche agricole, filiere della grande distribuzione, attività bancaria e così via.« Quello che cerchiamo di fare è svincolarci da questi sistemi favorendo delle filiere tutte nostre. L’agricoltura è un’attività che utilizza parte delle risorse dell’ambiente per produrre cibo e interessa due soggetti, chi mangia i prodotti e chi li coltiva. Noi vogliamo creare filiere in cui esistano solo questi due soggetti».

Il punto di riferimento rimane il rapporto diretto fra produttore e acquirente finale, che deve essere anche lui protagonista del processo, se necessario acquistando al di fuori del prezzo di mercato, che non può più essere stabilito da entità astratte ed estranee al processo produttivo, ma deve essere deciso da chi sta ogni giorno nel campo e conosce il reale valore di ciò che produce. Per raggiungere questo obiettivo sono due gli aspetti centrali: «Il rapporto diretto e l’autonomia rispetto a logiche esterne – fra cui la PAC –, sono questi i due filoni su cui lavoriamo».

Ed ecco che si arriva a un concetto chiave che Massimiliano definisce “chilometro etico”, giocando un po’ con il più noto slogan “chilometro zero”. Ci facciamo spiegare perché: «Stiamo sviluppando una rete con alcune realtà in giro per l’Italia. Con ciascuna di esse avviamo una collaborazione che “unisce” i rispettivi territori e i loro prodotti. Ad esempio, in Piemonte abbiamo creato una sinergia con Agricoltori Consapevoli, una cooperativa locale con cui abbiamo condiviso i panieri di prodotti in modo che i loro clienti possano acquistare anche ciò che produciamo noi e viceversa. Lo stesso stiamo facendo anche in altri territori, come l’Emilia, dove collaboriamo con Retebio. Siamo molto attivi anche nel mondo dei gruppi d’acquisto solidali, di cui non siamo solo fornitori, ma ai quali offriamo supporto anche con consigli e indicazioni organizzative».

L’obiettivo di questa rete di sinergie è istituire un’alternativa concreta e praticabile alla Grande Distribuzione: «Molte realtà offrono prodotti a chilometro zero – spiega Massimiliano –, ma per forza di cose non possono garantire una gamma di prodotti molto ampia e quindi l’acquirente finale è indotto ad andare al supermercato. Noi vogliamo creare delle reti con altre realtà per unire le forze e ridurre al minimo la necessità di ricorrere alla GDO». Naturalmente tutti i nodi di questa rete sono costituiti da piccoli produttori di prossimità etici e consapevoli.

In questa direzione va anche il progetto di Timilìa, un grano antico recuperato con grande passione e abnegazione da Valdibella con l’intento di creare una filiera interamente interna che copra tutto il percorso dal campo alla tavola. «La nuova legge sulle sementi ha sbloccato una situazione davvero difficile; oggi abbiamo la possibilità di inaugurare una filiera che sottragga dalle logiche commerciali. Valdibella è “agricoltore custode” riconosciuto dal ministero, produce il seme e lo conserva in purezza. Da Timilìa nascono poi prodotti lavorati come farine, grissini, pasta, couscous e tanto altro».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/valdibella-chilometro-etico-combattere-agricoltura-industriale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Dalla terra al ristorante: una filiera del gusto alle porte di Palermo

Dalla passione di un giovane siciliano e della sua famiglia per la propria terra è nato il progetto Villa Costanza, ristorante e realtà imprenditoriale che nella natura alle porte di Palermo promuove un’alimentazione sostenibile, valorizza le eccellenze locali e con il suo orto crea un filo diretto fra terra e cucina. Qualità e stagionalità delle materie prime, valorizzazione del territorio e promozione della filiera corta. Sono questi gli ingredienti principali che hanno reso vincente, negli anni, il progetto Villa Costanza: un ristorante pizzeria che si trova ai piedi della riserva di Monte Pellegrino, a Palermo.  

«È stato un processo lungo e lento, ma soddisfacente», afferma il co-fondatore, insieme alla sorella Costanza, Marco Durastanti. In circa sette anni, infatti, con impegno e dedizione hanno selezionato, uno ad uno, i micro produttori del territorio, esclusivamente siciliano, puntando su numerosi presidi Slow Food.

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Marco e Costanza Durastanti

Una scelta ambiziosa e sapiente che è la sintesi perfetta dei valori in cui credono: qualità dei prodotti e lavoro di squadra. Nella loro cucina, guidata dallo Chef Antonio Terzo, si trovano solo le eccellenze del territorio, dai formaggi ai salumi, dal Piacentino ennese allo zafferano o al pepe nero alla razza bovina Cinisara o al suino nero dei Nebrodi, dal miele di Ape nera Sicula alle mandorle di baucina bio.  Tutti prodotti buoni e sani che rappresentano la Sicilia. Anche per le pizze hanno adottato la stessa filosofia: lievito madre lievitato per 48h e grani antichi siciliani, come la farina di grano duro Biancolilla Bio di San Cataldo. Non si sono, però, “limitati” a selezionare con cura le materie prime, ma hanno coinvolto l’intero staff nel processo di selezione: organizzano, infatti, visite ai produttori locali attraverso le quali acquisiscono consapevolezza rispetto agli alimenti da portare in tavola e generano quel senso di appartenenza fondamentale in ogni azienda. Negli ultimi anni hanno inoltre, scelto di vendemmiare personalmente il vino di Villa Costanza con visite presso le aziende agricole, cantine, pascoli e vigne. Hanno creato poi tre tipi di birra diversa per valorizzare i piccoli produttori e raccontarli agli ospiti.

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Durastanti continua sottolineando come questo modus operandi abbia generato entusiasmo e relazioni di fiducia, senza le quali adesso non potrebbe fare a meno. “La follia” come la definisce lui, continua, perché in sinergia con la cooperativa Coltiviamo Tradizioni hanno creato un orto da cui attingere i prodotti per la ristorazione. Un filo diretto tra terra e cucina che, in armonia con i tempi della natura e delle sue stagioni, gli permette di avere prodotti sempre freschi e genuini. Una scelta che non predilige certo l’economicità, ma la qualità. E la qualità ripaga. Villa Costanza, inoltre, propone ai clienti che lo desiderano la possibilità di coltivarsi il proprio orto, tramite gli orti urbani della cooperativa e/o di usufruire del servizio di consegna settimanale delle verdure a domicilio. Le prelibatezze di Villa Costanza si possono trovare anche all’interno del nuovo Bastione di Cefalù. Un centro culturale polifunzionale che ospita Bastione&Costanza, un caffè letterario con cucina e pizza slow. Villa Costanza promuove un’alimentazione sostenibile, valorizza le eccellenze locali e tutela la biodiversità. È l’espressione di un sogno riuscito, di una scelta imprenditoriale etica e della passione di un giovane e della sua famiglia per il territorio siciliano.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/10/terra-ristorante-filiera-gusto-palermo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Milano, un grande campo agricolo per l’uso temporaneo di Porta Genova

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Presentato al Comune il progetto vincitore della manifestazione d’interesse che rifunzionalizza l’area dello scalo ferroviario di Porta Genova nel breve termine: campi, serre e mercati per uno sviluppo a “Chilometro zero”. Aperti anche i bandi per gli usi temporanei di Farini e Romana. Un grande campo agricolo produttivo, sperimentale e multifunzionale. È questo il cuore del nuovo volto temporaneo dello scalo ferroviario di Porta Genova. Il progetto “Agroscalo 2020”, vincitore della Manifestazione d’interesse indetta da FS Sistemi Urbani e Ferrovie dello Stato Italiane secondo le linee guida stabilite nell’Accordo di programma per la riqualificazione dei sette scali ferroviari, è stato presentato al Comune che avvierà la fase di interlocuzione con Future Fond, la società di Lorenzo Castellini promotrice ed esecutrice del progetto per arrivare in autunno alla sua versione dettagliata e definitiva. Il masterplan è dello Studio di architettura Andrea Caputo e dell’architetto Salvatore Porcaro.

“Agroscalo 2020” è un’idea basata su un modello di economia circolare, che vuole superare la contrapposizione citta-campagna in un’ottica di valorizzazione reciproca e promuovere uno stile di vita sostenibile, riducendo l’impatto ambientale di alcuni consumi e comportamenti quotidiani. Si prevede quindi l’insediamento nell’area ferroviaria di un’attività agricola che sviluppi l’intera filiera produttiva, dalla coltivazione alla trasformazione di oltre 150 specie di erbe, germogli, fiori e ortaggi, fino alla vendita. Oltre a questo saranno realizzati percorsi di collegamento, un padiglione in legno, una serra panoramica, aree attrezzate per il fitness e per il gioco dei bambini. Gli spazi potranno accogliere fiere, un mercato settimanale, laboratori didattici e incontri pubblici, coniugando al meglio le identità agricola, culturale, sociale e commerciale di “Agroscalo 2020”.

Il contratto locativo con il Gruppo FS italiane per l’uso dello scalo sarà firmato dopo l’approvazione definitiva del progetto da parte del Comune e durerà 2 anni + 1 eventualmente rinnovabile.

“Quando sostenevamo progetti di uso temporaneo degli scali speravamo proprio di intercettare proposte come questa. ‘Agroscalo 2020’ ha tutte le caratteristiche per restituire nel breve periodo l’area alla fruibilità pubblica, riconnettendo la stazione, i navigli e zona Tortona attraverso la nascita di un luogo multifunzionale per grandi e bambini – sottolinea l’assessore all’Urbanistica Pierfrancesco Maran -. È un progetto molto suggestivo, ma di semplice realizzazione che ha il pregio di valorizzare la peculiarità agricola della nostra città e rispondere alle esigenze del quartiere espresse nell’Accordo di programma. Ora andremo ad affinarlo con tutti i settori dell’Amministrazione ed il Municipio 6 per renderlo il più funzionale ed efficace possibile”.

Fonte: ecodallecitta.it

Il mercato contadino, un esempio concreto di economia circolare

Lontano dalle logiche della grande distribuzione organizzata, il mercato contadino propone prodotti locali di qualità, combatte lo spreco alimentare e promuove la condivisione. Ne abbiamo parlato con Tommaso Orazi, che collabora con il Mercato Contadino di Zagarolo, in provincia di Roma, un esempio reale di circuito economico e sociale virtuoso. “Secondo l’ultimo rapporto Ispra sullo spreco alimentare in Italia si spreca il 60% delle risorse. Questo genera aumento dell’effetto serra, spreco di acqua, degradazione dell’ecosistema terra ed enormi problemi di natura socio-alimentare. I sistemi agro-alimentari, basati sull’industria agrochimica e sulla grande distribuzione, poco integrano la dimensione ambientale, sociale ed economica dell’intero sistema. Di fatto non sono sostenibili”.

Ne abbiamo parlato con Tommaso Orazi che ci ha spiegato cosa lo ha portato a collaborare con l’organizzazione del Mercato Contadino di Zagarolo, in provincia di Roma.12400747_10208757403597514_7836045629580058692_n

Il mercato contadino di Zagarolo

“La grande distribuzione organizzata, protagonista della globalizzazione, crea disparità e spreco. Non si produce in base alla domanda, ma si sfruttano le risorse del mondo, anche umane, per produrre il più possibile al minor costo; si accumulano i prodotti per distribuirli a chi se lo può permettere. Non c’è contatto diretto tra chi produce e chi consuma e spesso sono proprio i braccianti che coltivano per le grandi aziende a non avere sufficiente accesso al cibo”.

Da consumatore occasionale dei mercati e partecipante ai gruppi di acquisto solidale, da qualche anno Tommaso è impegnato in una realtà di economia circolare. “Al mercato contadino, che si tiene ogni domenica mattina, partecipano circa 30 produttori con un vasto assortimento di prodotti alimentari di stagione, fiori e piante, erbe aromatiche e officinali, cosmesi naturale. Abbiamo un regolamento che cerchiamo di fare rispettare per mantenere alta la qualità del mercato. Nessun prodotto deve provenire dalla grande distribuzione. Oltre alle visite degli agronomi accreditati, dallo scorso anno, partecipano alle visite anche i consumatori stessi del mercato per conoscere meglio i produttori e scoprire cosa c’è dietro ogni loro prodotto. È un modo per valorizzare il lavoro di chi propone prodotti di qualità rispetto a quanto si trova nella GDO. I contadini vengono stimolati a produrre varietà antiche o tipiche del territorio e i cittadini a riconoscere e ad apprezzare i prodotti autoctoni come la Sarzefina e il Cavolo di Zagarolo, la nocciola dei Colli Prenestini, il Marrone di Labico e speriamo da quest’anno il Pisello labicano. La parte più bella forse è che il mercato non è solo un luogo per fare la spesa ma è uno spazio per trascorrere una piacevole mattinata, qualche volta animata da musicisti e artisti di strada”.27750141_10216304152141511_9115219256850101180_n

Intorno al Mercato contadino di Zagarolo sono nati 2 progetti. Il primo è il progetto di artigianato artistico a Km 0 “In corso d’opera XL”: ogni seconda domenica del mese il mercato si estende con lo spazio per gli artigiani con dimostrazioni sul posto di vecchi e nuovi mestieri. Creazioni artigianali estemporanee permettono di mostrare come si può lavorare il legno, il ferro, il vetro, la lana, la pelle, il PET, quindi anche alcune tecniche di riuso creativo, ed altri materiali. Il secondo progetto si chiama “No Spreco Alimentare/Invenduto solidale di Zagarolo”: consiste nel raccogliere l’invenduto del mercato per destinarlo a famiglie o associazioni oppure per trasformarlo per eventi solidali. Tommaso chiarisce: “L’obiettivo non è fare assistenzialismo ma creare relazioni di mutuo aiuto. Si cerca di non donare ma di creare uno scambio con la famiglia o l’associazione beneficiaria anche solo nel portare avanti il progetto stesso. Il gruppo No spreco Alimentare collabora anche con Baobab Experience che sostiene i migranti di passaggio da Roma con pasti caldi, abiti e supporto di vario genere.19366173_10213238827786253_6779514925787920805_n

Sabato 17 Febbraio a Zagarolo è in programma “Più U.. Mani per Capricchia”. Dalle ore 16 ci vediamo per impastare la pasta insieme e poi per proseguire con la cena solidale per la comunità di Capricchia, in provincia di Amatrice, colpita dal sisma un anno e mezzo fa. Le cene solidali sono preparate sempre con l’invenduto del mercato, organizzate a rifiuti 0, a contributo libero e con il meccanismo del Buono spesa sospesa. Per chi collabora è stanziata una parte simbolica del ricavato, concordata con il beneficiario dell’iniziativa, sotto forma di Buoni da spendere al Mercato Contadino di Zagarolo. L’invenduto diventa volano per la crescita del territorio e per azioni di solidarietà, un circuito virtuoso di economia circolare e socializzante.  “Un evento particolarmente partecipato è quello dello Scambio di Semi organizzato ogni anno per favorire la biodiversità. Domenica 18 febbraio si potranno scambiare o prendere semi con l’impegno di riprodurne una parte per regalarli. Semi e piantine sono tutte autoprodotte, anche di varietà antiche. Uscire dal circuito di sfruttamento globalizzato ed entrare nei circuiti del rispetto del locale si può”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/02/mercato-contadino-esempio-economia-circolare/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Buyme4you: vendere e comprare a chilometro zero

Dal cibo ai prodotti artigianali, fino alle prestazioni lavorative. Buyme4you è un app che permette di gestire la compravendita di oggetti fatti in casa valorizzando l’economia a chilometro zero.

Quante volte vi è capitato di voler vendere o comprare qualcosa da Internet ma i costi di spedizione superavano quelli del prodotto? Ad accorciare le distanze (azzerando le spese extra) ci ha pensato una nuova applicazione per smartphone. Si chiama Buyme4you e consente di gestire la compravendita di oggetti fatti in casa (dal cibo ai lavori artigianali) in un raggio massimo di 50 chilometri. Siete appassionati di cucina e vorreste vendere le vostre torte? O avete un orto e vi farebbe comodo cedere il raccolto in sovrabbondanza? L’applicazione è geolocalizzata e intercetta la domanda e l’offerta più vicina a te per dare la possibilità di scambiare direttamente la merce, senza pacchetti né spedizioni. Grazie alla vicinanza, non si scambiano solamente oggetti, ma anche animali e piccole prestazioni lavorative (baby sitter, pulizie o giardinaggio).handmade-column-feature-1

Buyme4you si adatta a target molto diversi, dal privato cittadino fino alle piccole aziende agricole, agrituristiche e artigianali o alle microimprese domestiche. Questa app facilita infatti anche l’avvio di business casalinghi come ad esempio il sempre più diffuso “home restaurant” – il ristorante in casa – consentendo la vendita dei posti a tavola per pranzi, cene, grigliate o feste. L’app è completamente gratuita e scaricabile da playstore (ma è disponibile anche per i dispositivi apple), non ci sono spese di registrazione né tasse per l’inserimento del proprio annuncio. L’applicazione guadagna il 10% più IVA (per emettere una regolare fatturazione) solo quando il prodotto viene venduto e pagato. L’acquirente paga via PayPal e il 90% della cifra concordata viene accreditato direttamente al venditore mentre il restante viene girato all’applicazione automaticamente. Buyme4you è un’invenzione che valorizza l’economia a chilometro zero ma che in poco tempo ha già avuto riconoscimenti a livello internazionale e a novembre volerà a Lisbona per il Web Summit 2016.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/08/buyme4you-vendere-comprare-chilometro-zero/

«Sfidiamo la precarietà con il chilometro zero»

Giovani, precari, scollocati loro malgrado; ma non si sono persi d’animo e, grazie alla creatività e all’intraprendenza, hanno dato vita a una sfida imprenditoriale che punta sulla sostenibilità dei prodotti a chilometro zero. «Perché tutti, con le proprie scelte personali, possono contribuire a sconfiggere un sistema iniquo e malato» dicono.chilometro_zero

Le presentazioni sono d’ordinanza. Fabio Papurello ha 30 anni, Gabriele Ricca ne ha 31 e Ivan Grippa va per i 42. Ognuno di loro ha un suo percorso che, come tanti altri giovani di questi tempi, è fatto di precarietà. Ma, all’ennesima risposta non trovata nel “sistema”, hanno deciso di procedere dando corpo e vita alla loro idea: aprire un sito che metta in contatto produttori agricoli e consumatori delle stesse zone senza intermediari, in modo da far circolare beni primari a chilometro zero. Il sito si chiama agrobiokilometrizero.com

«Ognuno di noi ha un suo percorso – spiega Fabio – Io per esempio sono sempre stato precario, ho acquisito diverse abilità in differenti campi, ho vissuto all’estero per un periodo, ma più acquisivo abilità più faticavo a trovare lavoro e che la fortuna non ha aiutato. L’ultimo lavoro passato da precario ha visto la fine poiché l’azienda ha chiuso per colpa della crisi. Mi occupavo di un area e-commerce, ricevevo gli ordini, cercavo online prezzi concorrenziali (ebuyer) e gestivo qualche lavoro di magazzino». Ivan lavora ancora, mantiene una famiglia, ma si spende moltissimo per il progetto, sentendolo anche suo, «perché sento una spinta verso il cambiamento; poi… non voglio solo cambiare le cose dal lato lavorativo, ma anche a livello umano» spiega. «C’è chi ha perso il lavoro, ci siamo ritrovati tutti e tre all’interno di un contesto politico e abbiamo iniziato a capire che probabilmente ci volevano soluzioni differenti» continua Fabio, che ha avuto l’idea per partire.

Fabio, come ti è venuta l’idea di questo progetto?

«L’idea mi frullava in testa da tempo, perché vedevo che esistevano gruppi d’acquisto isolati, poco considerati e altri invece che detenevano strani monopoli e non erano gestiti in modo totalmente etico. Così ho incluso Gabriele nella creazione della mappa e ho chiesto ad altri di aiutarmi a condividere il progetto. Volevamo crearci una sorta di lavoro, ma allo stesso tempo non sapevamo come fare e ci piaceva il fatto anche solo di sensibilizzare le persone alla filosofia del chilometro zero. Eravamo e siamo profondamente arrabbiati per la situazione che siamo costretti a vivere e abbiamo iniziato a fare riflessioni sul sistema economico che ci controlla. Siamo arrivati a comprendere che le nostre scelte di vita possono determinare il crollo di un intero sistema. Nel percorso abbiamo pensato: “Manca il lavoro perché abbiamo centralizzato l’economia e quindi per quante competenze possiamo avere, diverrà sempre più un gioco contorto; riprendiamoci gli spazi, perché tutti inclusi noi stessi possano tornare ad avere un lavoro normale”. Poi esiste un discorso etico contro l’industria».

Come avete organizzato e pianificato le cose da fare?

«La verità? Abbiamo buttato uno schizzo su carta, l’idea iniziale era solo quella di creare una mappa in cui venissero inseriti i vari produttori, con un’area feedback in cui la gente potesse commentare e puntare il dito contro chi si comportava male. Volevamo già gestire il trasporto a chilometro zero per crearci un lavoro, ma anche perché sapevamo che il cittadino profondamente apatico sarebbe andato dai produttori una, due, tre volte e poi per questioni di ritmi di vita non l’avrebbe più fatto. Allora ci siamo proposti per fare consegne a domicilio. Ancora non sapevamo bene come fare, sembrava semplice ma in realtà non lo era. Inizialmente pensavamo solo di realizzare consegne su chiamata, ma la gestione era lunga e non volevamo gestire il denaro del consumatore finale. Da lì abbiamo creato un area e-commerce multivendor, dove ora abbiamo alcuni spazi per il produttori e altri dove c’è merce in conto vendita biologica non certificata, perché lavorata secondo i canoni della permacultura, almeno alcune cose. Abbiamo rialzato il prezzo del prodotto di pochissimi centesimi per permetterci di pagare le commissioni paypal, ma si parla di 50 centesimi, perché non facciamo intermediazione. L’idea é nata anche perché qualcuno chiedeva di comprare online. Poi é esplosa, ma abbiamo sempre avuto l’intenzione di non snaturarla. Il commercialista ci aveva detto semplicemente di usare i corrieri. Avremmo fatto arrivare l’olio dalla Calabria, saremmo partiti alla grande e avremo tagliato fuori i piccoli, perdendo l’etica del chilometro zero. La filosofia di vita non ci consente di deviare, noi volevamo e vogliamo far lavorare i produttori “vicini”. Attualmente grazie al blog la visibilità cresce e noi siamo soli, pertanto abbiamo deciso di cambiare la politica offrendo lo spazio e-commerce a chi vuole organizzare gruppi Gas, dandogli però un’etica, uno spazio autogestito a pagamento (poco) nella propria città o borgo di appartenenza, dove seguendo regole specifiche può decidere di mettere in contatto diversi produttori».

Come funziona tutto il procedimento?

«C’è grande facilità nella gestione degli ordini, che vengono pagati all’acquisto, facciamo consegna a domicilio sull’area di Torino e cintura. Chi vuole organizzare il Gas nella propria città fuori al di fuori di Torino, può decidere di organizzare una propria politica di trasporto, oppure di tenere la merce in magazzino. A noi interessa che rispetti delle regole fondamentali: la merce deve essere prodotta localmente, distribuita entro un’area massimo di 200 chilometri e non deve arrivare da altri continenti, deve essere lavorata in modo naturale, no ogm, no pesticidi. Non necessariamente deve essere certificata (sulla mappa chi fa permacultura é segnato in blu, perché lo consideriamo il superbiologico, ma non esiste certificazione). Chiunque si comporti male, anche se paga una quota di 10 euro mensili, viene desettato dalla piattaforma; se si tratta solo di un prodotto, cancelliamo il prodotto. Chi invece semplicemente vuole usufruire della mappa e chiamare per suo conto un produttore con cui si trova bene e andare a trovarlo, può farlo senza che noi ci mettiamo becco. Anzi a noi non interessa come, ci interessa che le persone diventino sensibili alla questione, infatti molti servizi sono totalmente liberi sulla nostra piattaforma. Sulla mappa dei produttori inseriamo nomi, siti, numeri di telefono. Noi offriamo un implemento, un servizio d’élite; a noi fa solo piacere se la gente inizia a boicottare i supermarket per tornare a favorire l’economia locale e magari anche a mangiare sano. Inoltre abbiamo un’area social, che abbiamo inserito dopo che avevamo visto il blog fare faville, con condivisione su progetti della permacultura, traduzione di articoli sulle green energy, antibiotici naturali e quant’altro. Abbiamo aperto un social interno sullo scambio libero di semi e piante, anche se abbiamo il problema che è bombardato dagli spammer e attualmente stiamo cercando una soluzione».

Gli obiettivi che vi ponete?

«Non ci poniamo grossi obbiettivi, le idee nascono giorno per giorno e hanno fatto diventare il portale sempre più una piattaforma multiservizio. Abbiamo cambiato strategie diverse volte, cercando anche di includere la rete in questo, vorremmo essere un corpo unico, a volte però non ci riusciamo e allora dobbiamo fare di testa nostra. Il problema principale é che molti interessati sono persone di mezza età e la paura é che non sappiamo usare il paypal o il postepay, ma abbiamo pensato anche a questo, almeno con i produttori abbiamo risolto. Inoltre attualmente stiamo seguendo corsi di permacultura sinergica e bioedilizia. Con pochi soldi stiamo facendo tutto questo perché vogliamo offrire anche servizi sul portale, ma ci vuole tempo. Vogliamo che il progetto vada oltre il chilometro zero, che arrivi a toccare quei fili che possono portare le persone a cambiare prospettiva, attraverso i blog ma anche attraverso qualcosa di concreto, che possa portare molti ad abbracciare un processo di decrescita. L’importante é che la gente inizi a cambiare direzione e modo di vedere le cose, perché la società sta arrivando al collasso».

Avete pensato a qualche progetto di crowdfunding per finanziarvi?

«Abbiamo aperto un’area crowfounding e all’inizio le donazioni le abbiamo fatte noi, per vedere se partivano, ma non hanno avuto molto successo; anzi pur avendo già il progetto semirealizzato e averci speso qualche soldino non é stato per nulla facile. Abbiamo usato i soldi che ci siamo autoversati per costruire l’e-commerce, differenziare le bacheche e comprare plugin aggiuntivi. Attualmente, visti i corsi che stiamo seguendo, abbiamo deciso di trasformare quell’area in una proposta di ecovillaggio per arrivare a un progetto comune e iniziare a coltivare anche i nostri prodotti in modo condiviso. Ci siamo appassionati di bioedilizia e di case passive, perché siamo strozzati dalla crisi e abbiamo visto che se la gente torna a casa e non deve pagare gas, luce, acqua e affitto, vive molto più serena, anche solo con 800 euro al mese».

Fonte: ilcambiamento.it

 

Io Faccio così #16: Piero Manzotti e i detersivi a chilometro zero di Tea Natura

Le persone mangiano, dormono, escono, viaggiano e…lavano! Forse non ci siamo mai resi abbastanza conto di quanto spesso usiamo detersivi per pulire. Piero Manzotti, fondatore dell’azienda marchigiana Tea Natura, parte proprio da questo semplicissimo concetto per applicare il proprio cambiamento cercando di ridurre l’impatto ambientale di una delle nostre azioni quotidiane.

Dopo anni di attività imprenditoriale nel mondo dell’alimentare, nel 2003 Piero Manzotti decide di cambiare strada e dedicarsi alla produzione di saponi e cosmetici ecologici completamente biodegradabili. “Se vogliamo perseguire il sogno di un’altra economia” – spiega – dobbiamo ripensare il tradizionale sistema imprenditoriale e, per questo, la crisi economica deve diventare un’opportunità per riconsiderare le proprie prospettive”.Teanatura1

Per arrivare dov’è oggi, è stato fondamentale per Piero l’incontro con i GAS (Gruppi di acquisto solidale) e con la REES Marche (Rete di Economia Etica e Solidale), realtà con cui si è formato, confrontato e ibridato. Oggi la sua azienda rifornisce circuiti alternativi come empori e botteghe, ma sempre a livello regionale. Tea Natura non aspira ad espansioni territoriali di portata nazionale, non per mancanza di ambizione ma perché vuole rimanere fedele ai propri ideali di “Chilometro zero”. Manzotti vuole un rapporto diretto con i suoi clienti e preferisce non appesantire la merce di tutto ciò che è dietro al mercato tradizionale: l’imballaggio, i depliant, i rappresentanti commerciali. “La grande distribuzione è un sistema non spirituale – riflette – e nonostante io non punti ad un’espansione economica esagerata, le vendite aumentano annualmente”.Tea-natura2

Quando ha approcciato alla nuova attività, Piero Manzotti voleva raggiungere le persone a cui l’ecologia interessava meno. Per far utilizzare un prodotto ecologico ad una persona distante da questi mondi, la prima necessità era quella di realizzare una merce efficace e soddisfacente. Per questo ha ridotto la quantità di acqua nella composizione e ha reso i suoi detersivi più efficienti di molti altri. Anche nella realizzazione dei detergenti, l’ibridazione e il confronto sono stati fondamentali. Piero racconta di come ha passato giornate al fianco dei chimici per trovare le componenti adatte ai suoi saponi, di come grazie ad una reciproca contaminazione sono venute fuori soluzioni nuove e originali. Una delle sue ultime “eco-idee” è stata quelle del Ridetersivo, un detergente ricavato da prodotti di scarto come gli oli esausti. “Per questa trovata ringrazierò sempre una signora incontrata alle riunioni con i GAS”, racconta, “dove chiedeva consigli su come utilizzare i suoi scarti di olio cucinato”. Da lei ha preso ispirazione e ha creato un prodotto nuovo su cui ha ricevuto riscontri molto positivi. Un altro valore fondamentale per l’imprenditore marchigiano è quello di voler raggiungere tutte le fasce di popolazione con prezzi competitivi. “Mi è successo che alcuni mi rinfacciassero che i miei prodotti costano più di altri”, continua Manzotti, “ma bisogna sempre considerare che con i miei detersivi bastano dosi molto minori rispetto ad altri e il flacone dura di più.”8528824889_7b7e58f751_b

Anche sulle prospettive future dell’azienda, Piero ha progetti non convenzionali. Vorrebbe liberarsi delle proprietà e fare di Tea Natura una realtà condivisa tra quanti perseguono gli stessi ideali, come ad esempio la REES Marche. Allo stesso modo, critica i tradizionali concetti di successione ereditaria perché l’azienda, secondo Piero, dovrebbe passare a chi la merita e a chi crede davvero nelle sue qualità. Piero Manzotti ci insegna che non c’è un solo modo di fare politica ma tante strade da cercare e percorrere per mettere in pratica i sogni. Lui ha cominciato a realizzarne uno, creando un’attività economica alternativa, etica e solidale.

Elena Risi

Fonte:  Tea Natura

Roghi di rifiuti: la punta dell’iceberg di un problema che viene da molto lontano

In questo periodo, la vicenda venuta alla luce dei roghi di rifiuti tossici a cielo aperto che hanno contaminato l’aria e le colture di intere zone del nostro paese ha scosso le coscienze delle popolazioni interessate e delle istituzioni. Tuttavia il problema nasce da un’altra parte e ossia affonda le sue radici nella cultura dell’immoralità ai fini del facile guadagno e del consumismo bieco alla ricerca di un’impossibile soddisfazione materialeterra_fuochi2

La Terra dei fuochi è una zona della Campania dove per tanti anni è stata bruciata, sepolta o accumulata un’elevata quantità di rifiuti tossici, i cui residui sono poi finiti nell’aria e nei terreni coltivati con frutta e ortaggi come pesche, zucchine, broccoli, spinaci, e soprattutto pomodori, venduti poi in Italia e all’estero. Il termine Terra dei fuochi è stato coniato nel 2003 da Legambiente per denunciare l’ecocidio del Sud Italia, e in particolare per definire un’aera compresa tra le province di Napoli e Caserta, dove in 22 anni sono stati sversati circa 10 milioni di tonnellate di veleni, con oltre 400.000 camion che arrivavano dal Nord per seppellire scorie industriali e addirittura nucleari. Negli anni Novanta, il pentito di camorra Carmine Schiavone aveva rivelato alle autorità giudiziarie che in Campania e anche in Sicilia, Puglia, Calabria e, risalendo, fino alle zone di Latina, parecchi terreni erano stati utilizzati per sotterrare rifiuti tossici, ma queste dichiarazioni sono state rese pubbliche solo negli ultimi mesi, in quanto erano coperte da segreto di Stato, a scapito della salute dei cittadini. La frutta e gli ortaggi raccolti in questi terreni sono stati sottoposti ad analisi scientifiche ed è risultato che sono strapieni di metalli pesanti in quantità superiore ai valori consentiti con mercurio, arsenico, manganese e piombo, che se ingeriti quasi ogni giorno, e per lungo tempo, provocano tumori e gravi malattie. Nella Terra dei fuochi sono già decedute moltissime persone e altre sono gravemente ammalate a causa dei terreni contaminati e anche per l’aria inquinata da nubi di diossina e sostanze nocive sprigionate dai rifiuti illegali che vengono bruciati quotidianamente. Secondo i dati raccolti dai Vigili del fuoco, dal primo gennaio 2012 al 31 agosto 2013 i roghi di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci e altro sono stati 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta. In questi giorni, l’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli ha presentato uno studio che mostra come in Campania il numero delle persone colpite da neoplasia al polmone stia aumentando, e su un campione di 500 pazienti operati al Pascale circa 175 provengono dalla Terra dei fuochi. Pure l’Istituto superiore di sanità (ISS) è concorde nell’affermare che i continui smaltimenti illegali di rifiuti con dispersione di sostanze nocive nel suolo e nell’aria sono in stretta correlazione con l’incremento significativo di patologie tumorali in Campania. In diverse trasmissioni televisive o radiofoniche capita spesso di ascoltare delle interviste agli abitanti della Terra dei fuochi e quasi tutti incolpano gli industriali del Nord, i politici di Roma e i contadini proprietari dei terreni, ma nessuno dice esplicitamente che la causa di questo grave problema è in prevalenza la camorra. Viene in mente la scena del noto film di Roberto Benigni Jonny Stecchino, quando l’autore, come personaggio-sosia del suo omonimo boss mafioso, è in macchina con l’avvocato che lo informa delle piaghe siciliane dicendo che un problema in Sicilia è il vulcano Etna, un altro grosso problema è la siccità e la terza piaga più grave di tutte è il traffico, soprattutto a Palermo, con troppe macchine che impediscono di vivere causando scontri tra famiglie, ed evitando in tutti i modi di dire che la causa dei mali siciliani è la mafia. Come riportato da molte fonti e autori che si occupano di criminologia, quasi tutto il territorio del Sud Italia, da Napoli in giù, è oramai controllato totalmente dalla criminalità organizzata, che con decenni di dominio intimidatorio ha soggiogato le menti della popolazione che vive nella paura e nell’omertà. Le mafie funzionano come uno Stato che si sostiene riscuotendo le tasse (pizzo) dalle attività commerciali e imprenditoriali, ma invece di erogare servizi sociali, investe in attività illecite (dalla droga ai rifiuti tossici) per poi riciclare i proventi in attività lecite (dall’edilizia al gioco di azzardo). Il giudice Giovanni Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni avrà una fine, ma da quando nel 1992 lo hanno fatto saltare in aria nella strage di Capaci il percorso delle mafie è stato inarrestabile, sviluppandosi economicamente in altre zone del Nord Italia ed esportando dal Sud una condizione di paura che anni fa al Nord non era conosciuta. L’ultimo rapporto di SOS IMPRESA della Confesercenti, giunto alla XIII edizione, descrive un giro di affari delle mafie italiane di circa 137 miliardi di euro nel 2010, con una crescita rispetto ai 135 miliardi di euro del 2009. Oltre 70 miliardi di euro dei ricavi provengono dai traffici illeciti, circa 25 miliardi da tasse mafiose tra racket ed usura e circa 16 miliardi dalle attività delle ecomafie, generandosi complessivamente una liquidità da investire che supera i 65 miliardi di euro. Gli utili sono anch’essi incrementati di anno in anno, in quanto le mafie, come le aziende, hanno attuato misure di riduzione dei costi con il taglio dei compensi alla manovalanza e molti “picciotti” si sono riorganizzati aprendo delle proprie imprese, ovviamente gestite irregolarmente tra falso in bilancio, fatture fittizie, insolvenze verso fornitori, evasione fiscale, riciclaggio e corruzione. Il giornalista Carlo Lucarelli nella prefazione al rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente (edito da Edizioni Ambiente) scrive che «Il business della criminalità organizzata non conosce recessione e, anzi, amplia i suoi traffici con nuove rotte e nuove frontiere […]. Con una lungimiranza e una profondità che politici, imprenditori, istituzioni e cittadini spesso non hanno o fanno finta di non avere, le mafie sono riuscite a fare sistema penetrando in tutti i settori della nostra esistenza in maniera globale e totalitaria». Per sconfiggere le mafie è fondamentale intercettare il loro denaro, non pagare più il pizzo interrompendo l’origine monetaria e trasformare la paura in ostilità per ribellarsi. Tutto questo è estremamente difficile, perché ognuno non rischia la propria vita e soprattutto quella dei familiari, ma qualcosa sta iniziando a muoversi e ci sono adesso alcuni cittadini che stanno alzando la testa come in Campania, dove recentemente sono scesi in piazza per denunciare la vicenda dei rifiuti tossici. Quando dal basso si muove l’opinione pubblica, lo Stato è costretto a intervenire. Uno dei primi interventi è stato realizzato qualche giorno fa dal Dipartimento investigativo antimafia (DIA) che ha arrestato Cipriano Chianese considerato l’inventore del traffico illegale di rifiuti per conto del clan dei Casalesi. Chianese è un avvocato, imprenditore e massone, cui nel 1993 gli era già stato contestato il reato di associazione mafiosa in seguito a un’inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti, e che era stato in seguito assolto. Nel 1994 Chianese si era poi candidato alla Camera dei deputati nelle liste di Forza Italia. Per quanto riguarda invece l’intervento della politica, il 10 dicembre 2013, il governo ha emanato un decreto legge per il controllo, nei prossimi anni, di tutti i terreni della Terra dei fuochi sospettati di contenere nocività tossiche con azioni che riguarderanno il monitoraggio e le classificazioni dei suoli, l’accertamento dello stato d’inquinamento, la riforma dei reati ambientali, l’accelerazione e la semplificazione degli interventi necessari e infine lo stanziamento di risorse per le bonifiche. Considerando però, che una buona parte dell’economia nazionale è ormai supportata da mafiosi, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, imprenditori senza scrupoli e professionisti senza etica, vi è il rischio che il denaro da investire per il risanamento territoriale campano vada nelle mani di questi soggetti malavitosi. Proprio due giorni fa, il Sindaco del Comune di Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, è stato sorpreso dai Carabinieri mentre intascava una mazzetta di 15.000 euro da un imprenditore del settore dei rifiuti. Siamo dinnanzi a una realtà gattopardesca dell’apparenza del cambiare tutto per non cambiare sostanzialmente nulla, ma c’è sempre l’ultima speranza che qualcosa possa mutare veramente e nell’attesa è meglio consumare ortofrutta a chilometro zero acquistandola dal contadino locale dove possiamo vedere le terre che coltiva al fine di evitare alimenti nocivi.

Fonte: il cambiamento