Contro la cementificazione delle colline di Vesima: cosa sta succedendo?

“Il treno ferma in tutte le stazioni tranne Genova Vesima”. Chiunque sia entrato in una stazione ferroviaria genovese negli ultimi anni ha sentito almeno una volta questa precisazione, in attesa dell’arrivo del proprio treno. Il Comitato per la Salvaguardia del Territorio della Vesima, di fronte alla proposta di variante al PUC richiesta dall’imprenditore Giacomo Cattaneo Adorno, proprietario della quasi totalità dei terreni della collina, si fa avanti per far sentire la propria voce e la propria contrarietà alla costruzione di residenze di lusso. E richiede anche la fornitura di servizi essenziali per i residenti.

Genova – Oltre al grande fermento della cittadinanza per la delocalizzazione dei depositi chimici da Multedo a Sampierdarena, a far discutere i genovesi in queste settimane c’è un’altra questione ambientale sollevata dal Comune di Genova, stavolta sulle colline di Vesima, l’ultimo borgo a ponente dell’area metropolitana. Cosa sta accadendo? Il Comune ha deciso di modificare il PUC per autorizzare investitori privati a costruire villette e residenze di lusso sui terreni agricoli di questa collina verde.

Elena Parodi, del Comitato per la salvaguardia del territorio – La Vesima, ci ha raccontato che, al momento, lei e tutti i membri del comitato sono in “attesa vigile”: «Restiamo in contatto con le persone che ci chiedono notizie e condividiamo sulla nostra pagina ciò che ci sembra più interessante. Ora però c’è stato un aggiornamento: la nostra petizione ha superato le 11.000 firme, per cui a breve ci muoveremo di conseguenza».

La petizione a cui si riferisce Elena è #TranneGenovaVesima, in cui si richiede all’amministrazione comunale di non procedere con la proposta di variante urbanistica che sulla collina di Vesima permetterebbe di edificare nuove residenze destinate anche a chi non è agricoltore di professione. Ma contiene anche l’esplicita richiesta al Comune di erogare più servizi al territorio e ai suoi abitanti.

«Dopo l’ultimo consiglio comunale a cui abbiamo partecipato stiamo aspettando di capire se la variante passerà in Regione. In tutti questi step intermedi, saremo invitati a dire la nostra ed è ciò su cui contiamo», evidenzia Elena. «Ci sono stati proposti passi più pesanti, ma abbiamo rifiutato il ricorso al Tar, perché decisamente impegnativo. Dopo un lungo confronto, come direttivo abbiamo respinto questa opzione. In ogni caso non rimarremo in silenzio».

L’ESCURSIONE DI PROTESTA

A far sentire la propria voce, in un’assolata domenica di novembre, più di cento persone si sono ritrovate per una passeggiata insieme, proprio per esplorare questo territorio minacciato dalla speculazione edilizia. Il trekking, partito da Voltri, ha attraversato Crevari e si è concluso nel pomeriggio a Vesima, dove gli abitanti della frazione hanno raccontato a tutti i presenti storia e tradizioni della valle.

«Durante l’ultima commissione consiliare, tutti i consiglieri di maggioranza hanno rifiutato di effettuare un sopralluogo in valle – sottolinea Elena – mentre i tanti partecipanti all’escursione hanno scelto di vedere con i propri occhi la situazione del territorio».

LA RETE

Il comitato è appoggiato in questa battaglia da Legambiente Liguria e Italia Nostra: «Vesima è solo il primo tentativo di cementificare ancora le campagne intorno a Genova», denuncia Daniele Salvo del direttivo di Legambiente Liguria. «La giunta ha da poco ricordato i morti dell’alluvione di dieci anni fa, ma persevera nei soliti errori. Quello che sta succedendo a Vesima deve mettere in allarme il resto della città».

LA CONTROPROPOSTA

Quattro ventiseienni genovesi con in tasca una proposta alternativa votata alla rigenerazione rurale come opportunità per creare buone pratiche di sviluppo sostenibile, hanno avanzato la loro idea. «Il progetto nasce da una riflessione che portiamo avanti ormai da tempo e che si è concretizzata durante l’esperienza prolungata come WWOOFers con i contadini della Vesima», raccontano i ragazzi.

Si tratta del progetto di agricoltura sociale Le Ciappe, che ha a monte una premessa: «Ci sentiamo vittime e responsabili: vittime perché ci troviamo tra le mani un mondo precario e in cambiamento, ma senza una direzione sicura. I cambiamenti climatici esistono e ormai lo sappiamo bene e proprio perché lo sappiamo, ne siamo responsabili», sottolinea Gregorio Clavarino, portavoce del gruppo, che rimarca: «Ora siamo in attesa di una risposta. A chi dice che la Vesima non è abitabile e nessuno è interessato ad abitarla, rispondiamo che non è vero. Anzi, noi siamo pronti a partire con il nostro progetto agricolo. Proprio a Vesima».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/contro-cementificazione-vesima/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Visione 2040 – Ambiente: uscire dalla cultura antropocentrica, verso il consumo di suolo zero

Combustibili fossili, consumo di carne, cementificazione. Sebbene la situazione ambientale in Italia e nel mondo non sia delle più rassicuranti, sono molteplici le azioni possibili per uscire dalla cultura antropocentrica oggi dominante e raggiungere una reale tutela del nostro Pianeta. Ne hanno discusso i partecipanti al tavolo Ambiente di #Visione 2040 che si sono confrontati sulle criticità attuali e sulle proposte per un cambiamento concreto.

Quando parliamo di ambiente, di terra, di ecosistemi, stiamo parlando dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo e con cui ci laviamo, innaffiamo i terreni, del cibo che mangiamo. La retorica che vede l’ambientalista come colui che si preoccupa di salvare gli orsi polari, o il pappagallo della foresta amazzonica ha segnato il suo tempo. Non è in corso nessuna battaglia per salvare la natura, piuttosto l’obiettivo è garantire a noi esseri umani la possibilità di continuare a vivere in condizioni buone su questo pianeta.piant

LA SITUAZIONE ATTUALE

Vista da questa prospettiva la situazione ambientale in Italia e nel mondo non è delle più rassicuranti.
Come prima riflessione possiamo affermare che molti degli squilibri e degli scompensi che l’uomo ha causato all’interno degli ecosistemi nascono da una filosofia antropocentrica che vede l’uomo come una figura che sta al di sopra o al di fuori dei cicli naturali. A causa della storia urbanistica italiana le città sono cresciute privilegiando l’automobile ai mezzi pubblici e la crescita del settore delle costruzioni alla tutela dell’ambiente e della qualità spaziale. Oggi ci troviamo di fronte a città in forti difficoltà in termini di qualità dell’aria, di consumi energetici, di gestione dei rifiuti, ma anche e soprattutto di gestione dell’ambiente urbano e delle risorse pubbliche per migliorarlo. Il consumo di combustibili fossili (soprattutto petrolio e gas naturale) è elevatissimo. Molta energia finisce inoltre sprecata per via della mancata efficientazione degli edifici: le perdite di calore attraverso i tetti, le pareti e le aperture sono enormi, rispetto alle possibilità di contenimento reali. Per quanto riguarda l’alimentazione, anche in Italia si rileva un consumo di carne troppo elevato. Un concetto come quello di rifiuto, inesistente in natura, è diventato per l’uomo contemporaneo uno dei più grossi problemi da risolvere. Nel nostro Paese solo il 30% dei rifiuti viene raccolto e avviato al riciclo, infrangendo le prime tre R e allontanandoci dagli obiettivi fissati a livello comunitario. In Italia le discariche costituiscono ancora la via principale per smaltire i rifiuti, modalità che alimenta affari illeciti e impedisce lo sviluppo di un ciclo virtuoso fondato su riciclaggio e prevenzione oltre ad essere una pericolosa fonte di inquinamento. Il consumo di suolo (soil sealing) in Italia ha avuto accelerazioni molto significative, portando il nostro paese a percentuali di occupazione del suolo superiori al tasso medio europeo. Secondo Ispra nel 2015 vengono cementificati 7mq al secondo, 50/60 ettari al giorno. Nel 2015 il 7% della superficie italiana (pari a circa 21 mila chilometri quadrati) è cementificato, asfaltato, impermeabilizzato per la costruzione di edifici e di infrastrutture e non risulta più disponibile per l’agricoltura o per la crescita dell’erba e degli alberi. Negli anni ’50 era il 2,7%, nel 1998 il 5,8%. Si tratta di un percentuale addirittura quasi doppia rispetto alla media europea. L’Italia è il primo produttore di cemento e il primo cementificatore d’Europa. Il fenomeno dell’abusivismo edilizio dal 1948 ad oggi ha ferito il territorio con 4,5 milioni di abusi edilizi (75 mila l’anno, 207 al giorno), favoriti da sciagurati condoni edilizi che hanno fatto incassare allo Stato l’equivalente di 15 miliardi di euro d’oggi per poi doverne spenderne 45 in oneri d’urbanizzazione. Il mar Mediterraneo è un mare ricco di biodiversità, ma al tempo stesso fragile. Una prima problematica è rappresentata dalla pesca eccessiva: circa 1.500 tonnellate l’anno (trend in calo), con una gestione decisamente scadente: circa l’80% delle specie ittiche di interesse commerciale non ha una valutazione adeguata della sua popolazione e dove tale valutazione esiste risulta che il 60% della delle popolazioni è pescata al di là dei limiti di sicurezza. Un altro gravissimo fattore di rischio per il Mediterraneo è rappresentato dall’estrazione e il trasporto del petrolio. In ogni momento circolano sul Mediterraneo circa 2000 navi, 300 delle quali sono petroliere o trasportano idrocarburi. Questo traffico è alla base dell’elevato numero di incidenti che secondo l’UNEP hanno causato lo sversamento di 55.000 tonnellate di idrocarburi nel Mediterraneo negli ultimi 15 anni.
In generale l’inquinamento da attività industriali, agricole e dagli insediamenti abitati è uno dei principali problemi. L’isolamento del mediterraneo amplifica questi fenomeni e alle fonti di inquinamento lungo le coste si aggiungono quelle dell’entroterra che comunque scaricano nei fiumi che si versano nel mediterraneo. Anche il turismo ha avuto un ruolo notevole nel degrado delle zone costiere, per via di uno sviluppo urbano rapido e incontrollato e la stagionalità dei flussi turistici che produce picchi di produzione di rifiuti; inoltre il turismo si concentra in zone di interesse paesaggistico causando una seria minaccia per l’habitat delle specie a rischio (es. foca monaca e tartarughe marine).

COSA POSSO FARE IO?

CITTADINE E CITTADINI – E’ importante privilegiare lo spostamento con i mezzi pubblici o con la bicicletta, rispetto all’auto privata, quando è possibile. Per quanto riguarda l’efficienza energetica, una buona pratica possibile è rendere il più possibile efficienti le proprie abitazioni. Per quanto riguarda il consumo di suolo, votare programmi politici in cui c’è riscontro sullo stop al consumo di suolo. E poi fare pressione ai politici, chiedere riscontro ai sindaci. In generale, cercare di far circolare il più possibile le informazioni: la rete oggi consente la circolarità delle buone pratiche, delle utopie concrete, delle azioni dei comuni virtuosi.

PROFESSIONISTA/IMPRENDITORE – Fare l’imprenditore oggi significa lavorare con grande generosità sociale e reinvestire una parte di quello che si accumula non solo nell’impresa personale (o men che mai in finanza) ma nel territorio. Dunque un imprenditore potrebbe investire nella riqualificazione e nel recupero dei centri storici e non in nuove costruzioni in aree agricole, così come consociarsi con altre imprese e sperimentare modelli di blue economy e economia circolare.

POLITICHE E POLITICI – Per quanto riguarda l’ambito politico, una buona azione iniziale sarebbe la pianificazione di orti e coltivazioni urbani, più in generale istituire “laboratori urbani” dove venga garantita l’informazione e la partecipazione della cittadinanza e che consentano di gestire le strategie di trasformazione. Fondamentale è non far prevalere l’interesse di partito sul bene comune, approvando piani regolatori a crescita zero. Introdurre inoltre campagne di sensibilizzazione nelle aree affette da variazioni del ciclo idrologico (eventi estremi di precipitazione, siccità, variabilità degli afflussi, ecc.) e disseminare informazioni sull’esistenza di buone pratiche in campo agricolo e industriale.

GLI ESEMPI

Sono numerose le Associazioni e le organizzazioni che da anni, in Italia, si occupano di divulgare la cultura del vivere secondo natura, di riunire i comuni virtuosi nell’ambito delle buone pratiche e nella salvaguardia del Paesaggio. L’associazione AnimaTerrae  si prefigge di divulgare la cultura del vivere secondo natura, creando il minor impatto possibile, autoproducendo e riciclando materiali, impegnandosi nel continuo studio e approfondimento di stili di vita alternativi e socialmente accettabili, attuabili anche in piccolo, in campagna come nelle proprie abitazioni in città, per affrontare piccole-grandi questioni, dall’aspetto ludico per grandi e piccoli, al giardinaggio, alla cosmesi, al mangiar sano.

La rete dell’Associazione Comuni Virtuosi  riunisce le amministrazioni locali che in Italia portano avanti politiche virtuose nei campi della gestione dei rifiuti, dell’efficienza energetica della sostenibilità ambientale. Il Forum Nazionale “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori”  è un aggregato di associazioni e cittadini di tutta Italia (sul modello del Forum per l’acqua pubblica), che, mantenendo le peculiarità di ciascun soggetto, intende perseguire un unico obiettivo: salvare il paesaggio e il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio.

Grazie a…

I partecipanti del Tavolo Ambiente:  Guido Della Casa  – Ecologia Profonda | Domenico Finiguerra – Salviamo il Paesaggio | Serena Maso – Greenpeace | Paolo Pileri – Politecnico di Milano e Progetto VENTO | Chiara Pirovano – WWF.

Leggi il documento completo 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/07/visione-2040-ambiente-uscire-cultura-antropocentrica-consumo-suolo-zero/

Chi “mangia” veramente con Expo?

Corruzione, inquinamento, spreco, cementificazione, questo è l’EXPO di Milano, da qualsiasi parte la si veda è una sciagura sul paese. L’editoriale di Paolo Ermani.

expo_multinazionali

Sulla corruzione che la magistratura ha fatto finora emergere è la solita litania di cifre pazzesche, indagati, scandali, mazzette, mafia assortita e così via. I costi sono lievitati esponenzialmente come al solito, rimarranno sulle spalle dei cittadini/sudditi e buonanotte ai suonatori; tanto mica siamo in crisi, abbiamo soldi da spendere noi italiani furbi e lungimiranti, che più siamo derubati e presi in giro e più insistiamo pervicacemente a dare carta bianca sempre agli stessi. Si calcola che nemmeno se arrivassero 20 milioni di visitatori, che è già numero miracoloso da raggiungere, si rientrerà delle spese. Se gli italiani e i milanesi fossero davvero in crisi, alla fame, non avrebbero mai permesso una simile follia. A queste kermesse dell’assurdo basta dare un nome che riecheggi un po’ qualcosa di nobile, che intenerisca i cuori così come gli esperti di marketing sanno molto bene, basta coinvolgere un po’ di personaggi impegnati nel sociale, nell’ambiente e poi il gioco è fatto e dietro ad una pseudo parvenza di sostenibilità si può fare di tutto. Come si fa a dire di sfamare il mondo, combattere gli sprechi quando Expo per sua natura è l’apoteosi dello spreco? Chi si “nutrirà” veramente grazie ad Expo? Guardate la lista degli sponsor ed è già tutto chiaro. Si parla di alimentazione e ci si inginocchia a sponsor come Mc Donald’s , fra le multinazionali peggiori, garanzia di devastazione ambientale e degli apparati digerenti, riempiti di cadaveri animali e chimica, altro che sostenibilità. Fiera che rispetta l’ambiente? Certamente, si cementifica tutto con massimo impiego di energia, soldi e risorse, poi rimarranno le solite cattedrali nel deserto a futura memoria. Si produrranno quantità inimmaginabili di rifiuti che alimenteranno i cancrovalorizzatori. E a proposito di rispetto per l’ambiente, quanto inquineranno i viaggi delle persone che verranno a vedere i monumenti dello spreco? Il settore turistico è uno dei più inquinanti del pianeta, ve le immaginate milioni di persone che usano l’aereo o l’auto per arrivare a Milano? Il massimo della purezza ambientale, non c’è che dire. Purtroppo, magari in buona fede, partecipano a questa assurdità anche gruppi e persone che pensano che, chissà, possa essere forse una occasione per comunicare qualche messaggio decente. Ma ragioniamo razionalmente. Per dare un minimo di contenuto etico si aderisce e quindi si legittima una mostruosità che asfalterà qualsiasi misero risultato pseudo etico di personaggi come Vandana Shiva o simili che vengono ovviamente invitati in modo da mettere qualche foglia di fico qui e lì. Bisogna invece dire un chiaro e netto no a queste operazioni che, ormai lo sanno pure i sassi, servono solo ai soliti sporchissimi interessi, anzi sono fatte apposta. Più no ci sono e più si rafforza la cultura che questi eventi non hanno senso e non meritano il nostro apporto da nessun punto di vista. Non appoggiate l’Expo in alcun modo, non andateci e non fateci andare i vostri parenti e amici, il pianeta ve ne sarà estremamente grato. Infine un appello a tutti quei giovani che gratuitamente donano il proprio tempo per la sagra della corruzione. Non fatevi sfruttare, non regalate il vostro appoggio, la vostra energia il vostro sudore, la vostra intelligenza a questa gente senza scrupoli. Ci sono mille modi migliori per conoscere altre culture, per fare attività veramente utili, interessanti e arricchenti che vadano a favore degli altri e dell’ambiente e non a favore di chi sul vostro lavoro ci lucra, si ingrassa e l’ambiente lo distrugge.

Fonte: ilcambiamento.it

Genova ma non solo…una strage infinita

Ancora un morto per l’acqua che si riprende, ingoiandola, tutta quella terra che gli è stata strappata con il cemento, con la violenza, con l’imposizione, con la speculazione e con l’ignoranza. Genova, oggi, è lo specchio delle nostre colpe.alluvione_genova

Un morto, paesi devastati, strade scomparse, scuole chiuse, una popolazione in emergenza che guarda sbigottita la voragine che le si apre sotto i piedi. Le piogge hanno fatto esondare torrenti che non avrebbero dovuto esondare, hanno provocato danni che non sono giustificabili. Genova è travolta per l’ennesima volta e paga il pezzo di decenni di sfruttamento ambientale senza scrupoli e di abbandono del territorio. «Basta grandi opere inutili, è ora di ragionare seriamente sulla prevenzione e la messa in sicurezza del territorio», ha detto Legambiente. «Gli investimenti previsti dalla Legge obiettivo per l’area di Genova – afferma l’associazione – parlano solo di grandi infrastrutture: tre miliardi per la seconda autostrada di Genova Gronda di ponente, sei miliardi per il Terzo valico ferroviario, la linea ad alta velocità Milano-Genova in gestazione da oltre 20 anni. A cui si possono aggiungere i 45 milioni di euro previsti per la realizzazione dello scolmatore del Fereggiano, destinato a convogliare le acque del torrente». «Per proteggere la popolazione – afferma Legambiente – serve un programma di manutenzione del territorio e di prevenzione del rischio, che fornisca strumenti concreti e fondi per renderli operativi oltre a un’efficace azione di informazione e formazione dei cittadini sulla ’convivenza con il rischiò, per sapere cosa fare in caso di fenomeni come questi». «Occorre – dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -invertire la tendenza degli ultimi anni, in cui si è speso circa 800mila euro al giorno per riparare i danni e meno di un terzo di questa cifra per prevenirli. Ma abbiamo una politica delle infrastrutture che continua a sostenere le grandi opere, e progetti che continuano a rimanere solo sulla carta, a scapito della sicurezza delle persone e del contrasto del dissesto idrogeologico». «Il ministro dell’Ambiente Galletti – prosegue Cogliati Dezza – dichiara che nello Sblocca Italia sono inserite norme che consentono di velocizzare le procedure amministrative sulle opere strategiche per la messa in sicurezza del territorio e afferma la necessità che questi cantieri partano subito. Chiediamo però che a partire sia soprattutto una efficace politica ordinaria di mitigazione del rischio e che si esca finalmente dalla logica dei commissari straordinari». L’articolo 7 del decreto Sblocca Italia, sostiene l’associazione ambientalista, «affronta il tema del rischio idrogeologico attraverso la realizzazione di interventi puntuali, senza mettere in campo una strategia generale di governo del territorio e dei fiumi e un’efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici, a partire dalle aree urbane che oggi sono le più colpite A Genova un abitante su sei vive o lavora in zone alluvionabili e, di fatto, la popolazione convive con il rischio idrogelogico in una città insicura e pericolosa». «Una politica di adattamento e di mitigazione ai cambiamenti climatici – dichiara Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria – significa intervenire sulla manutenzione e riqualificazione dei corsi d’acqua, sui sistemi di drenaggio delle acque meteoriche, aumentando la capacità di esondazione dei corsi d’acqua e di permeabilità dei suoli urbani o delocalizzare quelle strutture che oggi causano le condizioni di rischio mettendo risorse su questo. I Comuni però stanno subendo una crisi finanziaria senza precedenti e la Regione ha a disposizione pochi fondi. Così a Genova, ancora una volta l’acqua riprende gli spazi che le sono stati sottratti dell’asfalto e dal cemento».

Fonte: ilcambiamento.it

 

Gli allagamenti a Milano? Sono la diretta conseguenza della cementificazione

I fenomeni piovosi degli ultimi giorni mettono a nudo le responsabilità politiche di chi svende il territorio al migliore offerente

Dodici ore di pioggia e il Seveso è esondato allagando la zona nord di Milano: scantinati colmi d’acqua, viabilità difficoltosa, il sindaco che convoca a Palazzo Marino l’unità di crisi. In cinque ore sono piovuti 60 millimetri d’acqua. Tutta colpa dei fenomeni temporaleschi sempre più violenti?

Questa è la versione che fa comodo a molti. Dare la colpa ai cambiamenti climatici – evidenti e certificabili da numeri e statistiche, senza dubbio – sposta l’attenzione da quella che, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, è la causa prima degli allagamenti nelle grandi città: la cementificazione. Milano, Genova, Roma e Torino, nelle grandi città italiane, negli ultimi dieci-quindici anni, fenomeni di questo genere si sono moltiplicati, per frequenza ed estensione, in maniera quasi proporzionale allo sviluppo edilizio. Il cemento impermeabilizza il territorio e l’acqua è costretta a correre in superficie. Se le quattro città prima citate sono state interessate da fenomeni alluvionali questo lo si deve a un consumo di territorio libero (e dunque permeabile) che viaggia alla velocità di 8 mq al secondo, 252 kmq all’anno. Secondo l’edizione 2014 del rapporto Ispra sul consumo del suoloMilano è la seconda città più cementificata d’Italia con il 61,7% di suolo occupato, superata solamente da Napoli, con il 62,1%. Dopo Torino – terza con il 54,8% – c’è Pescara con il 53,4% della superficie comunale cementificata. Non è un caso che nel capoluogo abruzzese siano sempre più frequenti allagamenti e problemi connessi al deflusso delle acque dopo i temporali. Ancora una volta la questione è politica: invece di riconvertire, ristrutturare e riutilizzare il pregresso si preferisce andare “alla conquista” del suolo libero, proprio come sta succedendo a Milano e nel milanese dove un centro fieristico c’era già ma si è preferito speculare su una “grande opera” che non tarderà a rivelarsi un boomerang socio-economico, dopo avere già dimostrato di essere un problema politico-giudiziario.ITALY-WEATHER-FLOODS-ROME

Foto © Getty Images

Fonte: ecoblog.it

Consumo di suolo: in tre anni persi 720 kmq di terreno libero

Il rapporto “Basta case di carta” mette a nudo le incongruenze di un’economia fondata sul cemento

di ripresa? Dopo aver incontrato Domenico Finiguerra negli scorsi giorni, noi di Ecoblog torniamo sul tema della cementificazione selvaggia nella giornata in cui Legambiente ha presentato i dati sul consumo del suolo del rapporto Basta case di carta e ha lanciato il portale stopalconsumodisuolo.crowdmap.com per mappare “dal basso” l’Italia minacciata da progetti edilizi, lottizzazioni e autostrade. Il dato più contradittorio riguarda l’incongruenza fra l’“epidemia cementificatoria” che in tre anni ha sottratto ai campi 720 kmq di suolo (una superficie doppia rispetto alla provincia di Prato) e l’emergenza casa che riguarda ormai 650mila famiglie. Il tasso di consumo di suolo era del 2,9% negli anni Cinquanta, del 7,3% oggi. Dei 22mila chilometri quadrati urbanizzati del nostro paese il 30% è occupato da edifici e capannoni, il 28% da strade asfaltate e ferrovie.

Basta case vuote, fragili, dispendiose e insicure come castelli di carta che ha portato avanti alcuni blitz a Milano, Agrigento, Codevigo, Umbertide. Servono subito provvedimenti per fermare il consumo di suolo e la rigenerazione urbana. Passa da qui la risposta per uscire dalla crisi,

ha spiegato il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza durante la presentazione del rapporto.

Le città maggiormente cementificate sono Napoli e Milano che superano il 60% della superficie totale, seguite da Pescara e Torino, quindi da MonzaBergamoBrescia e Bariche vanno oltre il 40% di superficie urbana impermeabilizzata. Ma il dato più importante è quello che riguarda i 2,5 milioni di edifici residenziali sui quali sarebbe urgente intervenire per una riqualificazione che darebbe lavoro senza consumare altro suolo e contribuendo al risparmio energetico. A tutt’oggi sono 865mila gli edifici residenziali in aree ad alto rischio sismico, per un totale di circa 1,6 milioni di abitazioni, mentre il totale degli edifici residenziali a rischio medio e alto raggiungono i 4,7 milioni con punte di 1,2 milioni in Sicilia e di 800mila in Campania. Gli edifici a rischio frane e alluvioni – in gran parte proprio a causa della cementificazione – sono 1,1 milioni (2,8 milioni di abitazioni e 5,8 milioni di persone che ci abitano), in particolar modo in Campania ed Emilia-Romagna.Partial view of "Cretto di Burri" a big

Fonte:  Legambiente

Foto © Getty Images

Consumo del suolo: una legge contro l’edificazione selvaggia

Legambiente preme per una legge sul contenimento del consumo del suolo e per la rigenerazione urbana1585088461-586x390

Mai come in questi giorni di forti piogge e di drammi causati, in maniera indiretta, dall’impermeabilizzazione di interi territori, il dibattito sul consumo del suolo diventa di strettissima attualità. Le problematiche connesse alla lenta erosione dei territori agricoli sono molteplici e non limitate, esclusivamente, alla riduzione degli spazi riservati a coltivazioni e allevamento. Il problema del consumo del suolo è anche problema di “manutenzione” del territorio e di sicurezza del medesimo e dei suoi abitanti. Legambiente porta avanti da tempo la battaglia dello stop al consumo del suolo e oggi lancia un nuovo appello al presidente del Consiglio Enrico Letta per chiedere a Parlamento e Governo una corsia preferenziale affinché venga al più presto approvata una legge che fermi il consumo di suolo e premi (attraverso incentivi e un fisco più “morbido”) la riqualificazione edilizia, energetica e antisismica del patrimonio edilizio esistente. Il punto di partenza è il Disegno di Legge approvato dal Governo il 15 giugno di quest’anno in materia di “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”. A questo disegno di legge Legambiente vorrebbe affiancare alcune integrazioni e modifiche normative che rafforzino l’efficacia dei controlli e accentuino l’attenzione verso la rigenerazione urbana.

Le nostre idee e proposte vogliono tenere insieme gli obiettivi di tutela e di riqualificazione del territorio ed incrociare alcune questioni come la grave crisi che sta vivendo il settore delle costruzioni. E’ indispensabile lanciare un segnale chiaro al mondo dell’edilizia attraverso una Legge che sposti l’attenzione sulla rigenerazione urbana,

spiega Edoardo Zanchini, vice-presidente di Legambiente. Come conciliare lo stop al consumo del suolo con la crisi dell’edilizia? Semplice: rigenerando le tante aree urbane abbandonate o sotto utilizzate. Invece di allargare le aree cementificate, valorizzare e ristrutturare gli edifici preesistenti. Una trasformazione che non si potrà realizzare senza un cambiamento di prospettiva delle imprese edili. Perché come ricorda Damiano Di Simine di Legambiente

Il suolo è un bene comune e una risorsa limitata e non rinnovabile.

Lo Stato può intervenire sulle cause che determinano il consumo del suolo favorendo la rigenerazione urbana e sfavorendo invece una nuova ondata espansiva della cementificazione. Quello che Legambiente chiede è

un nuovo equilibrio tra fiscalità e incentivi che renda attraente, efficace e più semplice l’investimento nella città, impedendo che i capitali in fuga dalla città producono anonime urbanizzazioni e piastre commerciali ai danni di campagne, coste e spazi aperti.

Fondamentali, in questo iter, sono le indicazioni fornite in sede comunitaria. Nella comunicazione della Commissione Europea “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011)571] uno specifico capitolo è riservato alla terra (Land) e ai suoli (Soils). Per queste risorse viene fissato un obiettivo molto ambizioso e di vasta portata per quanto comporta a livello urbanistico e territoriale: entro il 2020, le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero (no net and take) nel 2050. Una formula che non significa che non si potranno più occupare territori e spazi liberi, ma lo si potrà fare a saldo zero, cioè liberando e disigillando una superficie equivalente di terreno da restituire all’utilizzo agricolo o semi-naturale.

Fonte: Legambiente

 

Alluvioni in aumento in Europa a causa di global warming e cementificazione

L’EEA ritiene che l’aumento delle alluvioni in Europa sia in parte riconducibile ai cambiamenti climatici ed in parte al grave fenomeno del consumo e impermeabilizzazione del suolo fertile, che aumenta il deflusso idrico superficiale.Danubio-e-Inn-a-Passau-586x336

Le alluvioni che hanno colpito l’Europa Centrale nei giorni scorsi (nella foto l’esondazione del Danubio e dell’Inn a Passau in Germania, al confine austriaco) non sono casuali, ma sono dovute principalmente a due fattori: i cambiamenti climatici e la cementificazione del suolo. Secondo un recente rapporto della European Environment Agency, esiste una chiara evidenza del legame tra inondazioni e global warming per quanto riguarda il Regno Unito, la regione delle Alpi e la Scandinavia. Per quanto riguarda la regione Danubiana non sono ancora state trovate delle prove decisive, ma gli indizi ci sono tutti: in due giorni è caduta la pioggia di due mesi, e la piena del Danubio è la più alta degli ultimi 500 anni. Secondo l’EEA dal 1980 ad oggi sono avvenute 325 maggiori inondazioni, di cui 200 dopo il 2000. L’aumento è anche dovuto ad un migliore sistema di monitoraggio, oltre che alla impermeabilizzazione del suolo. Ogni giorno in Europa 265 ettari di terreno fertile vengono distrutti per diventare case, capannoni, strade e parcheggi. Nei suoli naturali il deflusso superficiale della pioggia è pari solo al 10%,mentre sale al 55%  nei suoli fortemente antropizzati e impermeabilizzati per più del 75% del territorio. In pratica la cementificazione moltiplica per cinque i danni delle alluvioni. Un ultimo fattore che incide sui danni e sulle vittime delle alluvioni è la tendenza a costruire case ovunque, anche in luoghi in cui le inondazioni sono più probabili. Cosa fare per mitigare l’impatto delle alluvioni? Oltre a fermare il consumo di suolo (più facile a dirsi che a farsi), è fondamentale ripiantare gli alberi e ripristinare alcune zone umide lungo il corso dei fiumi che possano assorbire in parte l’eccesso di flusso idrico. Questo tipo di difese morbide sono assai più efficaci delle difese rigide come dighe o barriere, che conducono a catastrofi quando vengono distrutte o sorpassate. Gli inglesi stanno investendo molto per proteggersi dalle maree in aumento nel Tamigi, pensando non ai prossimi anni, ma ai prossimi decenni. Cosa si vuole fare nel Bel Paese? Continuare a regalare soldi alle banche o investire in opere di prevenzione ad alto tasso di occupazione?a1-deflusso-superficiale-e-impermeabilizzazione

Fonte: ecoblog

Giornata della Terra 2013: la difesa dell’agricoltura e la scommessa delle agro-energie in Italia

L’Earth Day 2013 è l’occasione per riflettere sulla salvaguardia del suolo agricolo e sullo sviluppo dell’energia da biomasse 1584987361-594x350

La Giornata mondiale della Terra 2013 è stata l’occasione per ricordare a tutti il rispetto che si deve alla medesima, specialmente a noi occidentali e sedicenti Paesi sviluppati che abbiamo ribaltato il concetto di appartenenza delle (sagge) religioni primitive, per le quali è l’uomo ad appartenere alla Terra e non il contrario. L’agricoltura è un settore strategico, Carlin Petrini, anima di Slow Food, lo ha ribadito per l’ennesima volta in un suo intervento su Repubblica di qualche giorno fa:

Ovunque si vada, la terra oggi è un problema. Risorsa di cui c’è gran fame. Su cui ci si scontra per come usarla: spremerla come un limone o farla fruttare in maniera rispettosa. Anche in Italia è elemento critico: gli affitti sono sempre più cari per la grande domanda da parte dell’agro-industria, un giovane che voglia tornare alla terra fa una fatica immane a permetterselo, tra prezzi insostenibili, poca disponibilità di terreni liberi, trafile burocratiche al limite del kafkiano.

La cementificazione, in Italia, nonostante la crisi, viaggia a 8 mq al secondo, con scelte che sono irreversibili: dove viene posato il cemento il terreno sarà infertile per mille anni. La fame crescente di terra si scontra con l’aumento degli affitti e i labirinti della burocrazia che ostacolano l’iniziativa di chi vuole coltivarla. Secondo Petrini:

La Terra produce, per questo fa gola. Ma non produce soltanto cibo. Per restare in Italia, o se volete in Europa, produce bellezza, esistenze felici, paesaggi con un immenso potenziale turistico e produttivo. Diamo fiducia a chi vuole tornare a coltivarla, curarla, amarla in virtù di un rapporto più stretto e simbiotico di quello che ha la media di ognuno di noi. Sì, perché è inaudito che si continui a fare finta di nulla di fronte allo scempio che sta subendo il nostro Paese. Accade a un ritmo esponenziale, folle, si consuma suolo fertile, si cementifica, si deturpa il paesaggio e si pregiudicano tutti i valori, materiali e immateriali di cui la terra, bene comune, è portatrice.

I frutti della terra e le attrattive turistiche non sono l’unica ricchezza della Terra. Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori(CIA) se verranno rispettati gli obiettivi europei, entro il 2020 il 45% delle rinnovabili verrà dalla rivalutazione energetica degli scarti di campi e stalle. Le biomasse e i biogas sono un’opportunità per riconvertire i rifiuti in energia. Il vantaggio sarebbe doppio: 20 miliardi di euro annui in meno di costi e 240 milioni di tonnellate in meno di Co2 nell’aria. Utopia? Pare proprio di no: materiali che andrebbero smaltiti con pesanti oneri economici e non pochi problemi logistici diventano una risorsa. Dal 2008 a oggi la produzione di energia da biomasse agroforestali è cresciuta del 60% all’anno. Un esempio? La potatura degli uliveti pugliesi è in grado di fornire 700mila tonnellate all’anno di biomassa da trasformare in cippato e pellet, fonti di energia termica con una resa altissima. È bene rifletterci su: tutto l’anno e non soltanto il 22 aprile.

Fonte:  Slow Food | CIA