Depositi chimici vicino alle case: Genova si mobilita contro un altro stupro del territorio

Una serata rovente in una sala gremita con un unico obiettivo: dire NO ai depositi chimici a pochi metri dalle case dei genovesi. La situazione è stata analizzata da comitati, associazioni, insegnanti, avvocati, portuali, privati cittadini e sindacati. Ecco cosa è accaduto e come ha risposto il sindaco Bucci.

Genova – I depositi costieri di materiali chimici genovesi potrebbero essere spostati da Multedo, dove si trovano attualmente, a uno dei quartieri più popolosi di Genova, per di più a pochi metri dalle abitazioni. Secondo il progetto del Comune, a Ponte Somalia verrebbero collocati 77.000 metri quadrati di nuovi depositi chimici: un nuovo maxi-polo nel Municipio Centro Ovest, poco distante dal simbolo di Genova, la Lanterna. Da giorni a Sampierdarena si respira un’aria tesa: buona parte della popolazione si dichiara molto preoccupata dall’ufficializzazione del primo atto del trasferimento dei depositi, notizia appresa dai giornali locali anziché da un incontro pubblico sul territorio.

Nei mesi scorsi Uniti per Genova ha lanciato una petizione che portava alla luce la questione: “I depositi chimici creano gravi pericoli per la salute delle persone – riporta il testo –, impattando sull’ecosistema della nostra città. Negli ultimi quarant’anni a Multedo si sono verificati gravissimi incidenti con morti e feriti, oltre a enormi danni ambientali causati da incendi, esplosioni e sversamenti, come accaduto negli anni 1977, 1987, 2014 e 2016″.

“Una eventuale esplosione dei depositi – continua l’appello lanciato dal comitato–, oltre alle emissioni nocive, avrebbe effetti devastanti sulla città in un ampio raggio dalla Lanternacon il rischio di reazioni a catena. Per questo spostarli vicino alle case non è una soluzione praticabile”.

Perché allora spostare il problema, anziché risolverlo? Proprio a partire da questa sensazione di impotenza comitati di cittadini, associazioni e tanti residenti hanno fatto sentire la propria voce ieri sera nell’assemblea pubblica convocata dal Muncipio II Centro Ovest.

LA QUESTIONE

Tra i principali ostacoli che al momento impedirebbero lo spostamento dei depositi chimici a ponte Somalia c’è ancora l’ordinanza 32 del 2001 della Capitaneria di porto. Secondo l’atto impeditivo, in porto “non è consentito l’ormeggio di navi cisterne per la movimentazione di prodotti petroliferi e petrolchimici”.

Oltre alla pericolosità dei materiali che verrebbero stoccati al porto, i residenti temono soprattutto che il sindaco di Genova, Marco Bucci, stia nutrendo convinzioni non aderenti alla realtà. Sui giornali si leggono alcune dichiarazioni atte a rassicurare i cittadini: “Tutto verrà fatto nella massima sicurezza, non deve esserci la minima preoccupazione”.

Il sindaco aggiunge: “Facciamo una cosa importante per la città, non ci sono rischi: dobbiamo far progredire la città e tutti i genovesi dovrebbero essere contenti di ciò che facciamo. Non ci saranno, poi, né problemi per la vista perché i depositi non si vedrebbero dalle case, né per la salute”, ha dichiarato su varie testate locali”.

Dalle abitazioni di chi vive in Lungomare Canepa per, questa è la vista (vedi foto sotto): la grande gru blu individua l’inizio del molo, mentre i pilastri del capannone poco più indietro si collocano a metà dello stesso molo. La prossimità di balconi e parapetti domestici rispetto all’area portuale quindi è evidente.

Vista da un balcone in Lungomare Canepa

LE SENSAZIONI E LE TESTIMONIANZE

Proprio per questo all’assemblea pubblica di ieri sera al Centro Civico Buranello hanno partecipato tantissimi genovesi arrabbiati – oltre duecentoventi e parecchi sono rimasti fuori – provenienti da tutti i quartieri, non solo residenti nel centro ovest, desiderosi di dire la propria: «Non è questo che voglio per i miei figli e nipoti. Il sindaco un giorno ha detto: “Io sono felice se i miei cittadini sono felici”. Lo chiedo a voi adesso allora: dopo questa notizia siete felici?», ha riferito qualcuno.

«Il litorale di ponente è già saturo: non vogliamo altri stupri sul nostro territorio», ha affermato una cittadina. «I genovesi si rendono conto del pericolo per tutta la città e di quanto sia veramente deleteria questa delocalizzazione? Una vera bomba a orologeria, che qualora avvenisse un’esplosione – cosa non improbabile e non augurabile – farebbe saltare in aria mezza città», ha ribadito una residente.

«L’unica soluzione è quella di spostarli da Multedo a sedi lontane dagli agglomerati urbani, per evitare danni alle persone e alla città!». E ancora: «Quando si parla di futuro sostenibile, mi chiedo: “Questo futuro quando arriverà?”». «Siamo tutti stufi, ma non siamo pochi: la prossima volta saremo cinque volte di più e scenderemo per le strade per farci sentire».

Proprio il presidente del Municipio II Centro Ovest, Michele Colnaghi, ha convocato l’assemblea pubblica, sottolineando: «Siamo una comunità molto mite, ma siamo tutti ormai esasperati da queste servitù. I materiali chimici passeranno sotto l’ospedale, a pochi metri dalle scuole dei nostri figli, accanto alle case. Il nostro maggiore timore è la sicurezza: i carichi attraverseranno le vie e l’interno del centro abitato e stiamo parlando di tonnellate di materiali pericolosi che sfioreranno le abitazioni».

«Nel 2020 a Beirut c’è stato un incidente molto grave – ricorda Colnaghi – a seguito di un’esplosione di sostanze chimiche in porto. L’onda d’urto ha raso al suolo la città sino dieci chilometri di distanza, con almeno trenta morti e migliaia di feriti. Noi non vogliamo che tutto questo accada a Sampierdarena».

Uno scatto dell’assemblea pubblica

In prima linea sulla questione il Comitato Lungomare Canepa: «Il problema ci riguarda tuttiVia Sampierdarena e il municipio si trovano a neanche 300 metri di distanza dal sito individuato. Questa sarebbe la “giusta soluzione”?! Ottant’anni fa Sampierdarena ha subito uno schiaffo, abbiamo ancora persone che si ricordano la spiaggia che avevamo e questo quartiere non sarà ancora una volta una vittima. Bucci ci dia un segnale di essere il sindaco anche di Sampierdarena, non solo del resto della città».

Daniele Benigno, dell’associazione La Strada dell’Arte, dichiara: «Tutti vogliono la bellezza, per questo noi pretendiamo alle istituzioni più verde e il restauro dei palazzi storici. Qui ci vuole un grande progetto di risanamento, per far riemergere la bellezza straordinaria di questo quartiere. Si può anche solo pensare di mettere una bomba davanti alle case? Sampierdarena è il cuore di Genova, che ospita, tra i tanti tesori, anche il simbolo della città, la Lanterna. Dobbiamo essere uniti, perché i popoli divisi subiscono soprusi indicibili».

Un cittadino infine ha ribadito: «Di solito il degrado regna dove le istituzioni latitano. Quello che emerge chiaramente da questa serata è che qui dovreste investire come state facendo in altri quartieri con un intervento continuativo ed efficace su questo territorio».

LA RISPOSTA DEL SINDACO

Dopo i numerosi interventi, in cui sono emersi chiaramente la delusione, lo sconcerto e la sensazione di angoscia sul futuro, il primo cittadino Marco Bucci, è intervenuto cercando di rassicurare i presenti in sala: «La salute e la sicurezza sono le più protette in questa nuova dislocazione. Ci sono ben tre enti che garantiranno che i lavori verranno fatti a modo, quindi non c’è alcun rischio per la popolazione. In merito ai transiti invece faccio presente che tutte le merci pericolose transiteranno per via sommergibile, mentre la parte di carichi prevista su gomma, passerà all’interno della nuova sopraelevata portuale».

«Dentro il porto c’è una nuova costruzione che porterà direttamente all’attacco dello svincolo di Genova-aeroporto», ha aggiunto il sindaco. «Infine, anche la valutazione dell’impatto ambientale sul territorio è risultata negativa. Sono d’accordo con voi: Sampierdarena merita di ritornare a essere quella di prima».

«La città è fatta di tante persone – ha concluso – e io devo occuparmi di tutti. Ci sono delle evidenze secondo cui collocare qui i depositi chimici non darà problemi alla salute dei cittadini, come emerso chiaramente dai documenti redatti dai tecnici. Non ci saranno pericoli, né di trasporto, né di salute, né di sicurezza. Per questo, come sindaco mi sono sentito in dovere di prendere questa decisione. Chi non li vuole qui può suggerire qualche altro posto?».

LE PROSSIME MOSSE

«Pare chiaro che il Comune abbia già deciso, ora sta a noi ora impedire questa follia», ha dichiarato infine il presidente del Municipio, che ha cercato, nonostante l’atmosfera tesa e i toni molto accesi, di riportare la discussione su modi civili e più pacifici possibili.

A partire da oggi verranno quindi intraprese due strategie parallele: la prima dal punto di vista legale, analizzando documenti e redigendo una approfondita documentazione da presentare al TAR, e la seconda dal punto di vista comunitario, organizzando una grande manifestazione civica che coinvolgerà la cittadinanza e andrà a condizionare la città per far sì che tutti possano rendersi conto di ciò che sta per succedere su questo territorio.

A fine assemblea, conclusasi informalmente, Mariano Passeri, consigliere LeU del Municipio, ha affermato: «L’incontro di stasera è stata una vittoria sia per il numero dei presenti che per la sentita partecipazione, ci sono stati interventi di spessore. In merito alla questione depositi, se stiamo andando verso il tanto acclamato futuro, prendendo ispirazione dall’agenda 2030 e dal PNRR, non si può ancora parlare di depositi chimici nelle città. Se le aziende non si adeguano al cambiamento, non dev’essere Genova a perire sotto questa situazione anacronistica: è il momento di cambiare».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/depositi-chimici-genova/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Case a 1 euro: l’iniziativa di Borgomezzavalle contro lo spopolamento

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Case antiche e abbandonate vendute a un euro per far rivivere i nostri paesi e contrastare lo spopolamento dei borghi. Con quest’obiettivo nasce l’iniziativa di Alberto Preioni, sindaco di Borgomezzavalle, comune della Valle Antrona sorto un anno fa dalla fusione di Viganella e Seppiana. Il comune, abitato da 320 abitanti, ha decine di case abbandonate divise tra diversi proprietari che abitano lontano.

“Dobbiamo convincere la nostra gente che non si svende nulla ma si valorizza quello che altrimenti è destinato a crollare”, ha dichiarato il sindaco. “Vogliamo verificare se si può avviare un percorso di vendite e acquisizioni a prezzo simbolico soprattutto a turisti, a chi cerca un’oasi di tranquillità nella natura. La finalità è far rivivere i nostri paesi” aggiunge il sindaco, che conclude: “Se uno sta in America, non ha interesse per l’immobile che cade a pezzi, allora lo regali a chi è pronto a ristrutturare”.

“All’iniziativa abbiamo dato il nome ‘Ali di pietra‘ perché il sasso è il materiale predominante in questo nostro patrimonio immobiliare alpino. L’intenzione è trasformarla in un’associazione impegnata nello studio di opportunità per strappare baite e case dall’incuria e restituirle a destinazioni abitative, artigianali, alberghiere”, ha spiegato Vittoria Albertini, architetto.

“Il recupero di immobili storici in un contesto di pregio ambientale e a favore del ripopolamento della montagna si inserisce in linee politiche nazionali ed europee: il nodo è capire come affrontare tutti i passaggi burocratici e far incontrare domanda e offerta”, continua Albertini.

Borgomezzavalle segue così i passi di Gangi, cittadina di settemila abitanti a un’ora a mezza da Palermo e mille metri di altitudine, dove le case vengono offerte a prezzi irrisori, e persino gratis, ad acquirenti che si impegnino a restaurarle o ad avviare attività commerciali e imprenditoriali nell’antico paesino tra i monti delle Madonie. L’amministrazione comunale funge da ‘tramite’ tra venditori e compratori, li mette in contatto, ma a decidere se vendere o dar via l’immobile sono i proprietari delle abitazione. La prima “casa a 1 euro” nel paese siciliano è stata inaugurata nel 2014. Il boom di acquisti venuto dopo testimonia il successo di questa iniziativa volta al ripopolamento e alla riqualificazione degli antichi borghi italiani. Lo spopolamento si combatte anche rendendo attraente l’acquisizione di case e baite disabitate. A proporre anche per l’Ossola l’idea della cessione «a costo zero» di stabili abbandonati è Borgomezzavalle. Il Comune della valle Antrona – nato un anno fa dalla fusione di Viganella e Seppiana – che a fine giugno ha lavorato su questi temi con un tavolo tecnico a cui sono stati chiamati diversi professionisti.

“Con questo progetto, che abbiamo chiamato “Ali di pietra”, puntiamo a definire una procedura standard, valida per tutto il territorio, da applicare nei paesi che hanno la stessa finalità di Borgomezzavalle» ha detto l’architetto Vittoria Albertini, coordinatrice dell’incontro di giugno. Preioni guarda all’esempio di Gangi. È il comune siciliano in provincia di Palermo che in dieci anni di amministrazione del sindaco Giuseppe Ferrarello è rinato.

“Provengo dall’impresa privata e l’approccio amministrativo che ho utilizzato è quello di un’azienda, osservando le regole del pubblico – ha spiegato l’ex sindaco Ferrarello, presente a Borgomezzavalle -. Il nostro è un centro medievale che la gente ha lasciato emigrando. Non si arriva sotto casa in auto e uno dei primi documenti che da sindaco mi era capitato in mano era una vecchia petizione in cui 50 cittadini chiedevano di abbattere le pagliarole, tipiche costruzioni un tempo stalle sotto e abitazione sopra, per farci un posteggio. Ho deciso di fare l’opposto e nel 2014 Gangi è stato votato come borgo più bello d’Italia. Abbiamo sprigionato nuove energie e sono arrivati, lavorando in rete con altri Comuni, fondi europei e la possibilità di gestire direttamente i bandi”. Il risultato ottenuto da Gangi – 200 atti conclusi in dieci anni, tremila le richieste di acquisizione – l’ha spiegato con la maggiore efficienza acquisita dal suo ufficio tecnico per il disbrigo di tutte le pratiche e le responsabilità assunte in prima persona, mettendo d’accordo eredi sovente litigiosi tra loro. Perché il problema sta anche lì: nei tanti diversi proprietari che bisogna contattare per farsi cedere l’immobile in disuso e sul quale comunque – anche se nessuno ci mette più piede – le tasse vanno pagate.

Ad agosto il Comune di Borgomezzavalle ha pubblicato un avviso pubblico per acquisire la disponibilità alla cessione di immobili.

Sono una decina ad oggi le case rese disponibili e altrettante le richieste -ci ha aggiornato il sindaco Alberto Preioni – presto vorremmo creare uno spazio dedicato sul nostro sito ed implementare così le offerte di disponibilità. Parallelamente stiamo procedendo all’analisi delle procedure per metterci al sicuro da contestazioni di natura fiscale, legale e burocratica”.

Foto copertina

Didascalia: Il paese di Viganella

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/case-un-ero-contro-spopolamento-borgomezzavalle/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Energie rinnovabili in Australia: 70% case alimentato da fotovoltaico, eolico e idroelettrico

Secondo Green Energy Markets le energie rinnovabili in Australia hanno coperto i consumi elettrici di 7 case su 10. Volano gli investimenti nel fotovoltaico.http _media.ecoblog.it_c_c3d_energie-rinnovabili-australia-fotovoltaico-eolico-idroelettrico

Negli ultimi dodici mesi, in media, le energie rinnovabili hanno totalizzato il 17,1% della produzione complessiva di energia elettrica in Australia, quanto basta per alimentare il 70% delle case private. Escludendo, quindi, le attività commerciali e industriali. Sono i dati forniti da Green Energy Markets nel suo ultimo Australian Renewable Energy Index. La fonte rinnovabile più produttiva in Australia, al momento, è l’idroelettrico con quasi 16 GWh prodotti su poco meno di 40 totali. Segue l’eolico con 12,3 GWh e il solare fotovoltaico con 7,2 GWh. Si aggiunga una piccola quota, pari a quasi 2,7 GWh, proveniente dalle bioenergie.
http _media.ecoblog.it_0_07e_energie-rinnovabili-australia-per-fonte

Da notare che la gran parte dell’energia elettrica prodotta dai pannelli fotovoltaici deriva da tetti fotovoltaici e non da grandi impianti di fotovoltaico a terra. Ed è proprio il solare elettrico la tecnologia che più sta avanzando in Australia, con 150.000 nuovi tetti fotovoltaici installati negli scorsi 12 mesi. Il grande fotovoltaico a terra avrà un boom, invece, l’anno prossimo: al momento in Australia si stanno costruendo circa 2,6 GW di nuova potenza fotovoltaica installata a terra, dando lavoro a oltre 8.800 persone. L’Australia è impegnata in una vera e propria transizione energetica, dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Il Governo australiano è impegnato a portare avanti un complesso progetto di decarbonizzazione del sistema energetico e, per farlo, ha intenzione di puntare sulle rinnovabili con batteria. A questo scopo, infatti, sono già iniziati i contatti con Tesla e altre aziende del settore degli accumuli di energia.

Fonte: ecoblog.it

Lo stoccaggio energetico ha raggiunto la massa critica

La rivoluzione dell’energia pulita è pronta a decollare in California, non riguarda solo le auto ma anche le case.

Milioni di batterie ubicate in punti diversi che, messe assieme, contribuiscono ad immagazzinare e produrre energia e abbattere l’uso di combustibili fossili: è il principio seguito dai grandi centri di stoccaggio energetico costruiti da aziende come Tesla, AES e Altagas, che hanno eletto la California del sud come luogo ideale per lo stoccaggio energetico. Tesla ha realizzato l’impianto più grande del mondo, a Reno, e messi insieme gli impianti di tutte e tre le aziende rappresentano ben il 15% del totale dell’energia immagazzinata nel pianeta: qualcosa che Bloomberg ha definito “una rivoluzione appena iniziata”: tutti e tre i centri di stoccaggio saranno aperti questa settimana e, tutti, sono stati ideati, sviluppati e creati nel giro di 10-12 mesi. Un vero record. Una rivoluzione che ha visto un’accelerata notevole negli ultimi anni: grazie anche alla facilità con cui possiamo leggere notizie da tutto il mondo, gli ultimi anni si sono caratterizzati da una serie numerosa di incidenti legati all’estrazione ed allo stoccaggio di combustibili fossili (incidenti, ad esempio, a diverse centrali di stoccaggio gas in California, ma se pensiamo a casa nostra viene in mente la famosa “torcia” del centro oli di Viggiano e in generale le perdite di petrolio dalle condotte in Basilicata, come anche nel delta del Niger) e da una nuova spinta a trovare un rimedio sostenibile a questi incidenti. Southern California Edison (SCE), ad esempio, è stata la prima azienda a distribuire batterie per accumulo di energia per assottigliare il rischio di trovarsi impreparati in un black-out invernale. Fino a pochi anni fa creare un centro di stoccaggio energetico con batterie agli ioni di litio sarebbe stata una follia antieconomica: molto meglio investire nel gas, mercato che invece oggi vede una notevole flessione proprio relativamente ai costi. Dalla metà del 2014 i prezzi delle batterie agli ioni di litio, il meglio del meglio ad oggi in commercio – ma ci sono già test per altri sistemi, come i polimeri di litio, sono crollati ed oggi si attestano su circa il 50% del valore di allora. Ed entro il 2020, lo abbiamo scritto qualche giorno fa, la Gigafactory di Tesla sarà la regina dello stoccaggio energetico. L’obiettivo dello stato della California è immagazzinare 1,32 Gigawatt al giorno entro il 2020. Gli scettici ci sono anche in questo caso: secondo gli analisti di Bloomberg per esempio la tecnologia e la società si stanno sviluppando più velocemente delle gigafactory e dei grandi magazzini di stoccaggio energetico ma c’è anche da dire che, fino ad ora, aziende come Tesla ne hanno sbagliate davvero poche, con una crescita lenta ma inesorabile verso la vetta dell’automobilismo (e non solo) mondiale. Secondo il BNEF invece l’abbattimento costante dei costi delle materie prime e delle batterie sarà una vera manna dal cielo per il settore, già in rapida ascesa: se in futuro ogni chilowattora costerà 275 dollari (prodotto e stoccato in batterie) lo stesso chilowattora costerà 500 dollari se da fonti fossili. Se a questo si aggiunge il fatto che le fonti fossili sono finite mentre le rinnovabili sono, appunto, rinnovabili le conclusioni si traggono da sole. Sicuramente è interessante notare come in alcune zone del mondo stiano cercando di porre rimedio al problema energetico guardando all’elettricità prodotta da fonti rinnovabili e ai centri di stoccaggio di energia come del futuro della sostenibilità: sarà possibile alimentare automobili e intere case, quartieri e città. Tutto elettrico a impatto zero, o quasi.

Fonte: ecoblog.it

L’energia della metro sarà utilizzata per scaldare le case soprastanti

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L’energia prodotta dalla metro potrà essere utilizzata per scaldare o raffreddare le case soprastanti. È questa la grande innovazione, ideata dal team di Marco Barla, che ha intenzione di sperimentare questo sistema con il tratto di terreno che separa la superficie dall’ambiente sottostante. Proprio il terreno può rappresentare un ottimo serbatoio di energia, con il transito di calore che sarà percettibile sia in inverno che in estate. La temperatura fissa che si misura nei 10 metri sotterranei della metro è di 14.5 gradi: nella stagione invernale, lo scambio di energia porterà maggior calore nelle case. Energia che farà il percorso inverso in estate, quando la temperatura in superficie sarà più alta rispetto a quella della metro. Il calore sarà conservato e trasmesso tramite un nuovo tipo di conci, che saranno già utilizzati nel tratto scavato dalla talpa “Masha“. Sarà dunque piazza Bengasi la prima area a sperimentare questa nuova invenzione in campo ingegneristico, con le prime trasmissioni che saranno effettuate già a partire da marzo. Saranno posizionati due anelli, con cui si potrà capire la reale portata dell’iniziativa. Il progetto non darà vita a nuove start up: l’obiettivo è infatti quello di dare in licenza il brevetto, con alcune richieste provenienti da alcuni Paesi europei. Uno di questi è la Polonia, che sta pensando di emulare Torino con la metro di Varsavia.

Fonte: http://www.mole24.it/2017/01/03/l-energia-della-metro-sara-utilizzata-per-scaldare-le-case-soprastanti/

 

WASP, la stampante 3d che crea case economiche e sostenibili

Dall’osservazione di un’ape vasaia l’idea del maker Massimo Moretti di costruire con una stampante 3d una casa con terra e acqua è divenuta realtà. Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato come è stato possibile realizzare questo sogno e in cosa consiste il progetto WASP, tecnologie avanzate per salvare il mondo.

Il Centro Sviluppo Progetti (CSP) nasce 15 anni fa in un momento di crisi per Massimo Moretti. I suoi progetti precedenti erano crollati per l’ennesima volta. “Così mi sono chiesto che cosa sapevo fare e la risposta è stata: so sviluppare progetti, quindi ho creato il CSP”. Ci tiene a porre l’accento sulla parola centro, “in quanto significa riscoprire il proprio centro”.

Scoperto quel che voleva fare, inizia a sviluppare progetti per conto terzi o seguendo le proprie idee. “Quando servivano soldi seguivo progetti per altri, quando avevo soldi sviluppavo i miei progetti. Il CSP ha sviluppato progetti tecnici per circa tre anni con alterni successi e insuccessi”.

Con uno sguardo onesto e sicuro, ci dice che è stato un grande esperto di crisi aziendali. “È la mia vera formazione, ho passato la vita in crisi”. Ad un certo punto della sua vita incontra il movimento FabLab e ci entra a capofitto. “Sapevo bene cosa vuol dire vivere di autoproduzione e delle proprie idee, trasformandole in prodotto”. Così ha unito questo sapere ad un gruppo di giovani. Queste due energie insieme hanno dato vita a WASP (World Advanced Saving Project), cioè tecnologie avanzate per salvare il mondo. “Deriva dalle mie esperienze pregresse, ho visto che tutto si può fare, quindi tanto vale fare qualcosa di importante”.

Alla base del loro agire vi sono importanti aspetti filosofici. “La motivazione per cui fai le cose è il valore delle cose che fai, indipendentemente dal risultato. Per noi l’unire e lavorare in questo gruppo è già il risultato del nostro agire. Vogliamo fare cose utili al mondo.”wasp2

Con il sorriso sulla labbra Massimo ci racconta come è nata la collaborazione con giovani neolaureati del mondo del design. “Io vi aiuto a costruire la stampante 3d se voi mi aiutate a salvare il mondo”. Poi il suo tono di voce torna serio e sicuro, dicendo che “non siamo così pazzi da poter pensare di salvare il mondo, ma siamo così pazzi da lavorare per questo”.

Il progetto Wasp è nato in un momento di crisi ulteriore. I vecchi clienti di CSP cominciavano a non pagare più. C’è stato così un investimento minimo in WASP, data l’esperienza maturata nei decenni, in particolare nella comunicazione. “Ho utilizzato il progetto della stampa 3D di una casa come mezzo per comunicare. Stampare una casa tre anni fa era una cosa da pazzi!” Ed inoltre, aggiunge che “sapevo che si poteva fare, ma ancora non sapevo come!”. Pensare che il progetto era partito con un investimento minimo di 7000 € e che ora ci lavorano 30 persone, ci fa intuire che il modo è stato trovato. Massimo ci spiega così come si è arrivati all’idea di stampare una casa, e l’intuizione non è banale.
“15 anni fa avevo investito tutti i miei risparmi in una stampante 3d. L’ho comprata perché volevo smontarla e replicarla. La mia intenzione era produrla. Il mio problema era: che cosa stampo?”

Un’estate, entrando in macchina, vede un’ape vasaia che stava facendo la sua casa in terra. Non a caso il logo di WASP ha con sé disegnata una vespa vasaia. “Quando l’ho vista fare la sua casa, sono rimasto davvero fulminato. Ho pensato: questa è una stampante 3D perfetta”. Per un paio di notti i pensieri continuavano, per capire come l’ape fosse in grado di costruirsi la propria abitazione.wasp1

Come spesso accade alcune elucubrazioni, anche folgoranti, hanno necessità di tempo per sedimentarsi. O semplicemente necessitano di un altro avvenimento per trasformarsi in qualcos’altro. Così tale idea rimase ferma nella testa di Massimo fino a otto anni dopo, quando venne invitato ad un incontro di architetti. La discussione verteva su uno dei problemi più importanti del mondo, e cioè come poter costruire case a basso costo.

“Quando ho sentito questo input, ho pensato a come avrei potuto rispondere io, era un esercizio mentale”. Così gli tornò in mente l’ape che faceva la casa nella sua macchina.  “Questo è il modello perfetto: prendo il materiale che c’è sul posto – terra bagnata – gli do la forma e il sole l’asciuga. Così devo costruire una stampante 3D che faccia proprio questo, con terra e paglia”.

Era necessario costruire una stampante gigantesca, alta 12 metri. Bene, il sogno è diventato realtà. “Adesso la stampante ce l’abbiamo, abbiamo fatte varie prove, ma non abbiamo ancora costruito la casa, anche per una questione climatica. La stampante è pronta dallo scorso settembre”.

Circa la forma migliore per una struttura abitativa, per Massimo è quella delle conchiglie. “Non credo sia un caso che le conchiglie non sono quadrate”.

Tramite questo metodo si può ridurre del 50% l’uso del cemento. Massimo spera che altre persone con altre competenze lo contattino per sviluppare e migliorare il progetto. “Bisogna avere il coraggio di rompere gli stereotipi.”wasp4

Una grande difficoltà in tutto questo meraviglioso progetto è dato, ancora una volta, dalla burocrazia. “Come si fa ad essere in regola? La burocrazia ci sta portando via il sogno. Persone da tutto il mondo vorrebbe venire a lavorare con noi ma non sappiamo come farle venire senza intoppi legali”.

Gli chiediamo qual è il suo materiale preferito. Non ha dubbi, “è il materiale a km 0, quindi terra e paglia inerte. Il cemento è insostenibile”. V’è la necessita di un nuovo approccio all’economia. “Se diamo a tutti la possibilità di autoprodurre qualcosa stiamo seguendo l’economia della autoproduzione, la maker economy”.

Passiamo al difficile rapporto tra tecnologia e natura. “La tecnologia è la ricaduta della mente sulla materia, sulla natura. Se la mente è malata, la tecnologia è malata, se è sana la tecnologia è sana”.
Massimo è un imprenditore che cerca di dare forma ad un sogno reale, di tutti.  E ci dice che “paradossalmente da quando abbiamo smesso di seguire il profitto, abbiamo più profitto. Perché la visione del profitto – continua – è limitata al domani, invece la visione lontana ti dà degli slanci che generano profitto. Quindi funziona fare cose utili al mondo, economicamente. Non sono solo sogni”.

E allora continuiamo a inseguire i nostri sogni, facendo il massimo per realizzarli.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/io-faccio-cosi-141-wasp-stampante-3d-case-economiche-sostenibili/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

Ricicla rifiuti per creare case per senzatetto

Un artista californiano realizza piccole abitazioni trasportabili e destinate a chi non ha una dimora fissa. Geniale, vero? Ecco perché Gregory Kloehn ha lanciato questo progetto di solidarietà. “Homeless Home Project“: questo il nome dell’iniziativa sorta a favore dei senza fissa dimora che vivono al sud della West Coast. Il progetto porta la firma dell’artista californiano Gregory Kloehn che ricicla rifiuti e scarti di vario tipo per costruire vere e proprie casette per senzatetto.  L’uomo, in giro tra discariche abusive e sversato i vari distribuiti sul territorio, riesce sempre a trovare tutti i materiali possibili da assemblare per confezionare poi dei rifugi per chi non possiede quattro mura in cui dormire. Alla struttura portante fatta con vecchi pallet, Kloehn aggiunge infatti tutto ciò che la creatività e l’immaginazione gli propongono. Dall’oblò di una lavatrice che può diventare un infisso allo sportello anteriore di un frigorifero che assume le sembianze di una porta d’ingresso.

Si tratta di case trasportabili e create con materiale riutilizzato: le “little homeless homes”.1-_CASE_PER_SENZATETTO

(Fonte foto: Sito web Gregory Kloehn)

Un’idea sostenibile e green, ma allo stesso tempo di natura solidale.

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(Fonte foto: Sito web Gregory Kloehn)

Grandi quanto un sofà, queste case presentano tutte un tetto spiovente per far defluire l’acqua piovana e delle rotelle per spostarle da un posto all’altro. L’idea è partita quando un giorno, affacciandosi dal suo studio, un senzatetto chiese a Gregory una coperta per ripararsi dal freddo.

Oggi l’artista ha avviato una vera e propria campagna di sensibilizzazione a cui è possibile contribuire cliccando su questa pagina. 

Il progetto “Homeless Home Project” aiuta molti clochard ad imparare le tecniche per costruirsi un rifugio autonomamente e allo stesso tempo innesca un ciclo virtuoso per lo smaltimento dei rifiuti abbandonati. Due piccioni con una fava.
fonte: strabiliami.it

Smog, nelle case dove si fuma il Pm2.5 è 10 volte più alto | Lo studio Tobacco Control

Le concentrazioni medie di Pm2.5 nelle case abitate da fumatori sarebbero circa 10 volte superiori di quelle misurate nelle case dove nessuno fuma. Secondo lo studio, anche solo vivere con un fumatore significa essere esposti a una quantità di particelle inquinanti pari a 3 volte la quantità annua imposta dall’OMS come limite di sicurezza per la salute380736

Che l’aria dentro casa possa essere nociva e inquinata tanto quanto quella fuori non è una novità: l’allarme inquinamento indoor è costantemente acceso da anni nella comunità scientifica, perché le sostanze tossiche o nocive presenti nelle abitazioni sono molteplici e a volte difficili da individuare (vernici, formaldeide, detersivi…). Tra queste fonti di inquinamento domestiche la sigaretta resta il problema più grande per la salute, e non solo per chi la fuma. Vivere in casa con un fumatore è come vivere nelle città più inquinate del mondo, a causa dei livelli di esposizione alle particelle inquinanti che penetrano in profondità nei polmoni, il cosiddetto particolato fine (Pm2.5). Lo rivela uno studio suTobacco Control della University of Aberdeen (Gb). I non fumatori conviventi con fumatori sono esposti a una quantità di particelle inquinanti pari a 3 volte la quantità annua imposta dall’OMS come limite di sicurezza per la salute. Il particolato fine infatti, formato da particelle di diametro inferiore ai 2,5 millesimi di millimetro indicate come un pericolo per la salute, è usato sia per misurare i livelli di inquinamento atmosferico delle città sia per il fumo passivo cui si è esposti in un ambiente dove si può fumare.  Molto si è fatto in vari Paesi per limitare il fumo nei luoghi pubblici, ma le abitazioni private rimangono intoccabili e quindi tutti i non fumatori che convivono con un fumatore in casa si trovano esposti al fumo passivo, con livelli di inquinamento pericolosi per la salute alla luce di questo studio. Gli esperti hanno confrontato i livelli di particolato fine di93 abitazioni in cui vive un fumatore con quelli di 17 abitazioni in cui non vive alcun fumatore. E’ emerso che le concentrazioni medie di particolato fine PM2.5 nelle 93 case erano di circa 10 volte maggiori di quelle nelle 17 case non abitate da fumatori.

Scarica lo studio:

Fine particulate matter concentrations in smoking households: just how much secondhand smoke do you breathe in if you live with a smoker who smokes indoors?

Fonte: ecodallecitta.it

Soldi sprecati, rubati e inutilizzati, dov’è la crisi?

In Italia tanti lamentano una povertà a livelli da terzo mondo eppure sono vari i segnali che indicano che la morte per fame di milioni di italiani non è prossima.denaro

In Italia tanti lamentano una povertà a livelli da terzo mondo eppure sono vari i segnali che indicano che la morte per fame di milioni di italiani non è prossima. Il lamento maggiore è che non ci sono più soldi, la qual cosa potrebbe anche essere un bene visto come normalmente vengono utilizzati. Ma ammettendo che i soldi adesso non ci siano più o comunque ne girino di meno, facciamoci una domanda: quando i soldi c’erano come sono stati utilizzati?

È illuminante da questo punto di vista citare un recente film del regista Daniele Ciprì intitolato È stato il figlio che fornisce un panorama eloquente di come gli italiani, da nord a sud, abbiano utilizzato i propri soldi negli ultimi decenni.

Il film descrive una storia realmente accaduta negli anni ’70 a una famiglia “povera” del Sud Italia, una famiglia cioè che tira a campare e alla quale improvvisamente in seguito all’uccisione incidentale di una figlia per mano della mafia, arriva un risarcimento di vari milioni delle allora lire. Come decide di utilizzare i soldi il capofamiglia? Comprando una Mercedes fiammante per dimostrare a tutti finalmente che loro ce l’hanno fatta. Quante montagne di soldi hanno buttato gli italiani inseguendo il mito dell’automobile nuova da mostrare ad amici e parenti? Tanti piccoli Fantozzi che hanno raggiunto il grande risultato di fare diventare il nostro paese un immenso garage e fargli raggiungere l’invidiabile posizione numero due al mondo per numero di automobili ogni mille abitanti.

E poi è entrato in scena l’altro grande protagonista del nostro tempo: il mutuo per la casa. Scusa valida a se stessi e al mondo per incatenarsi a una vita fatta di sacrifici, routine, lavori mediocri, miti pretese. Argomento perenne che assieme al “tengo famiglia” è l’architrave della sofferenza autoimpostasi di milioni di persone. Grazie anche ai mutui abbiamo cementificato ogni angolo del paese per soddisfare un singolare bisogno di sicurezza laddove la percentuale di case di proprietà è fra le più alte in Europa con oltre il 70%.

E chi ha arricchito a dismisura Berlusconi e i vari magnati d’Italia guardando le sue televisioni e comprando i loro prodotti superflui e/o inutili?

Veniamo ai commercianti. Qualcuno ha mai sentito dire a un commerciante che gli affari vanno a gonfie vele? Io mai. Eppure in tempi di vacche grasse hanno guadagnato assai, sperperato in ogni modo, comprando e spendendo a più non posso: case, Suv e macchine di ogni tipo, vacanze in giro per il mondo, vestiti di marca, acquisti folli, investimenti sballati ecc.

Questi soldi non si potevano utilizzare meglio o risparmiare anche in previsione dei cosiddetti periodi di vacche magre?

E adesso si ha pure il coraggio di dire che non ci sono più soldi? Dopo tutto quello che si è sperperato?

Ma in fondo è lo stesso sistema della pazzia economica che induce a spendere, altrimenti l’economia non cresce; peccato che poi quando il sistema va inevitabilmente in crisi non si sa come fare per continuare a spendere come e più di prima. Si pensava forse che fosse Natale tutto l’anno per sempre? Chi aveva i soldi in passato, tanti o pochi che fossero, e li ha utilizzati in maniera direi alquanto discutibile, ritengo che oggi non possa lamentarsi, quindi in teoria ben pochi sarebbero autorizzati a farlo. Quando non si vedranno più esempi come l’acquisto di insalata lavata in busta di plastica a 15 euro al chilo o quando la moda diminuirà le vendite del 90% e centinaia di altri esempi simili, inizierò a credere che forse siamo in crisi. Fino al momento in cui gli acquisti fatti senza alcuna razionalità e senso avranno il sopravvento, parlare di crisi mi sembra decisamente fuori luogo. In questa sagra del lamento si distinguono le istituzioni pubbliche, campioni assoluti del pianto e che dicono ovviamente che soldi in cassa non ce ne sono. Lo dicevano comunque anche prima ma adesso hanno una scusa pronta all’uso: c’è la crisi. Soldi non ce ne sono nello Stato, in qualsiasi istituzione, nelle Regioni, nelle Provincie e nei Comuni di ogni grandezza e latitudine. Peccato però che non passi giorno dove in queste stesse istituzioni altre montagne di soldi vengano rubati, sprecati o non utilizzati. Scandali, corruzioni e ruberie a non finire, cantieri, cattedrali nel deserto ovunque con costi che lievitano ogni giorno di più, archistar pagate a peso d’oro per opere vergognose da ogni punto di vista estetico ed economico, affitti stratosferici pagati ai privati quando ci sono strutture pubbliche inutilizzate, sprechi di qualsiasi materiale, energia, lavoro, da nord a sud senza grosse differenze e con qualche macroscopica problematica come gli eserciti di dipendenti pubblici pagati per non fare letteralmente nulla o per misurare i metri di neve in Sicilia o mille alte diavolerie inventate solo per spillare soldi alla collettività e quindi anche a se stessi.

E le amministrazioni pubbliche oggi si svendono tutto (e spesso li beccano con le mani nella marmellata subito dopo che hanno parlato di tagli e sacrifici) con la scusa della crisi ma poi ben poche di queste amministrazioni approntano programmi di lotta senza quartiere allo spreco e quindi risultano del tutto non credibili in quello che dicono, per quanto falsamente possano piangere miseria.

Che dire poi dei soldi dell’Unione Europea che non vengono utilizzati e ritornano indietro, spesso per colpa della stessa burocrazia che avendo appunto eserciti di servitori, rende gli interventi difficili da realizzare.

Alla luce di questi fatti sotto gli occhi di tutti quotidianamente, il ragionamento è assai semplice, direi matematico: come si fa ad affermare che non ci sono soldi quando questi vengono sistematicamente sprecati, rubati o inutilizzati?

Soldi ce ne sono, e pure tanti, ma gli italiani, sia nel loro privato che nelle loro istituzioni, hanno deliberatamente deciso, senza che nessuno gli puntasse una pistola alla tempia, che i soldi dovevano e devono essere utilizzati sempre nel peggiori dei modi. Prima di dire che siamo alla fame si facciano i conti in tasca davvero agli italiani e si chieda loro quanto hanno speso per farci diventare il paese/garage di cui sopra, quanto cibo commestibile buttano, quanti soldi vanno nelle slot machine e in giochi d’azzardo, quante decine di cellulari hanno collezionato in questi anni e quante comunicazioni inutili che costano si fanno attraverso gli stessi, quanti quintali di vestiti “alla moda” giacciono inutilizzati nei loro armadi, quanta energia è quotidianamente sprecata e pagata per non avere voluto mai pensare a come risparmiare una delle spese più alte nell’abitazione e così via in un elenco assai lungo. Tutta questa lamentela, questo modo di agire distorto e insensato non cambierà di un millimetro la situazione perché qualora la crisi finisse, e speriamo invece che si aggravi così forse per davvero saremo costretti a non sprecare, si riprenderebbe tutto come prima e paesi che in teoria non sono in crisi come la Germania sono lì a dimostrarlo dove la corsa all’acquisto e quindi allo spreco è più sfrenata che mai, basta farci un giretto proprio in questi giorni di orgia natalizia.

Altro che crisi economica: spreco, opportunismo, ladrocinio, ipocrisia, tutto ciò deve essere messo in discussione e rifiutato alla radice, solo allora inizierà l’uscita dalla vera crisi che è quella ben più grave dei valori e della perdita di senso.

Fonte: il cambiamento

Prepariamoci…a vivere meglio con meno

Luca Mercalli ci spiega come ridurre la nostra impronta ecologica sul Pianeta. Risparmiando…Immagine

Luca Mercalli ci spiega quale futuro ci attende a livello di cambiamenti globali del clima e della gestione delle risorse e come possiamo ridurre, attraverso semplici e impor­tanti gesti, la nostra impronta ecolo­gica sulla terra. Con la certezza che l’impegno di ognuno è importante e significativo, dal momento che i pro­blemi del pianeta altro non sono che la somma dei comportamenti di sette miliardi di persone, chi più chi meno.

Il titolo del suo ultimo libro “Prepariamoci” è un invito a impe­gnarci tutti, in prima persona, per far fronte al mondo che verrà, un mondo che si prospetta ben diver­so da quello in cui siamo abituati a vivere. Quali sono secondo lei le sfide più difficili e i cambiamenti più drastici a cui dobbiamo essere preparati? La preoccupazione maggiore deriva dalla combinazione di tanti cambia­menti, che presi uno per uno sarebbe­ro più facili da affrontare ma che ten­dono ormai a combinarsi in un unico stato di crisi: i cambiamenti climatici si sommano all’esaurimento delle fonti di energia a basso costo, alla crisi della produzione di cibo, all’au­mento della popolazione terrestre, ai problemi ambientali legati per esem­pio all’inquinamento chimico dell’ac­qua, dell’aria e dei suoli, alla cemen­tificazione e conseguente riduzione di terreno fertile per l’agricoltura, al costo maggiore delle materie prime e dei minerali. Mettendo insieme tutti questi fattori, abbiamo a livello glo­bale, ma ancor più a livello nazionale, una elevata fragilità. Se però comin­ciamo a ragionare su questi fatti con un certo anticipo ecco che è possibile attrezzarsi per non avere poi delle sor­prese sgradite. Perché abituandoci a vivere con meno possiamo essere più felici? Se guardiamo alla nostra società occi­dentale ci accorgiamo prima di tutto che è affetta da un’enorme quantità di sprechi, almeno il 30% di tutto ciò che facciamo e utilizziamo è spreco. Ci siamo abituati ad avere una bassa efficienza: quando le cose costavano di meno era più facile sprecare che occu­parsi di usare al meglio le risorse. Oggi, in un momento di contrazione economica, tagliare lo spreco non significa ridurre la propria qualità di vita, significa soltanto avere un po’ di attenzioni e non rinunciare a nulla. Anzi, si comincia a guadagnare perché lo spreco si traduce in spreco di denaro. Ne guadagniamo noi e ne guadagna l’ambiente in termini di meno rifiuti, meno emissioni di gas a effetto serra. Dopo l’abbattimento dello spreco viene una visione del mondo un po’

La maggior parte delle case, in Italia, è un colabrodo energeticoImmagine

diversa: si vede chiaro che nei Paesi occidentali oltre un certo limite di crescita economica e di consumi, la felicità non cresce di conseguenza – filosofi e sociologi stanno studiando questo fenomeno da tempo. C’è in tutti noi una sorta di effetto satura­zione e al di là della soddisfazione dei nostri bisogni fondamentali – che sono sacrosanti e inviolabili – quando si entra nel campo dei desideri si sco­pre che gran parte di essi sono indotti dalla pubblicità. I messaggi pubbli­citari sono ingannevoli e ci dicono che saremo persone adeguate e che valgono nella società solo se acquiste­remo il determinato profumo, vestito, automobile. Dobbiamo imparare a fermarci un attimo e a pensare che di tante cose non abbiamo davvero alcun bisogno.

Secondo lei è veramente possibile che ognuno, nel proprio piccolo, attraverso costanti azioni quotidia­ne di risparmio delle risorse possa contribuire significativamente alla salvaguardia del Pianeta? Di fronte ai piccoli sacrifici che nuovi stili di vita comportano molti si demotiva­no pensando di essere una piccolis­sima goccia nell’oceano… I problemi del Pianeta altro non sono che la somma dei comportamenti di sette miliardi di persone, chi più chi meno. E anche le grandi lobby eco­nomiche che controllano in parte le nostre scelte, alla fine terminano nel mercato dei consumatori. Quindi, in fondo, il piccolo può anche controllare il grande attraverso i propri consumi, attraverso la gestione oculata del pro­prio portafoglio e quindi delle scelte di ogni giorno: se compro un certo ogget­to faccio una scelta ben precisa, do un voto. Anche il cambiamento delle abi­tudini può influire sulle grandi scelte economiche, certo non su tutte, penso ad esempio alla difficoltà d’influire sulle spese militari.

Quali sono le principali azioni che una famiglia che vive in città può adottare per ridurre il proprio impatto ambientale? Prima di tutto penso si debba fare un bilancio non solo economico ma anche e soprattutto energetico della propria vita. Una delle voci di spesa più impor­tanti di una famiglia è proprio quella dell’energia: riscaldamento, gas, elet­tricità, combustibile per la macchina. Avendo chiaro qual è il proprio bilancio energetico possiamo agire sull’efficien­zaImmagine1Immagine2

e diminuire i nostri consumi. Ad esempio, la maggior parte delle case, in Italia, è un colabrodo energeti­co: attraverso opere di ristrutturazione, sulle quali ci sono anche sgravi fiscali e incentivi, possiamo cominciare a taglia­re del 50-70% i consumi della nostra abitazione, a parità di confort. Anche per l’automobile vale lo stesso discorso: è molto diverso muoversi in suv piuttosto che con una piccola utilitaria. Conosco molte persone che hanno fatto bene i loro conti e hanno deciso di vendere la macchina, riuscendo a spostarsi age­volmente con i mezzi pubblici e noleg­giandola o utilizzandola in car sharing quelle poche volte all’anno in cui non è proprio possibile farne a meno. La voce “energie” è sicuramente la più importante in un discorso di descrescita felice; poi viene quella delle mode: abiti, cosmetici, profumi e tanti altri beni di consu­mo costano davvero cari solo perché “firmati”. Eliminando molti di questi orpelli la vita diventa più semplice, non si deve rispondere a nessuno del proprio comportamento e si rispar­miano un bel po’ di soldi.

Ci racconta brevemente come vive con la sua famiglia? Quali scelte ha intrapreso verso la resilienza? Oltre a quella del risparmio energe­tico della casa (isolamento termico e installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione dell’energia elettri­ca) sono riuscito a fare scelte ancora più ampie trasformando un improdut­tivo giardino che assorbiva risorse in un fecondissimo orto che mi dà delle ottime verdure e mi evita di andare a fare attività fisica a pagamento in palestra: la mia palestra è diventata l’orto e in più produce i pomodori. Inoltre ho modificato radicalmente le mie scelte di acquisto – cosa che tutti possono fare. La classica spesa settimanale al supermercato si è tra­sformata per me in una spesa ormai più che bimestrale andando ad acqui­stare solo quello di cui ho veramente bisogno e facendo una scelta molto ragionata sui prodotti che metto nel carrello. Ho ridotto sempre più il prodotto alimentare confezionato, precotto, a favore di cibi freschi o che possono essere cucinati in mille modi e hanno un basso costo iniziale, come i fantastici legumi.

In un mondo in cui tutto si compra, si rompe e si butta e in cui nelle nostre case siamo sempre al caldo e l’acqua esce abbondante dai nostri rubinetti, come possiamo insegnare ai nostri figli il valore del risparmio delle risorse? Penso ad esempio alla scuola materna di mia figlia in cui usano i bicchieri di plastica usa e getta ad ogni merenda o pasto: fanno tre pasti al giorno e sono sessanta bambini, il conto è presto fatto… Prima di tutto è un fatto culturale: dobbiamo far capire anche ai bambini da un lato la preziosità delle risorse, quindi riflettere sul fatto che quel bicchiere di plastica è del petrolio che magari ha creato una guerra in un Paese lontano e che è arrivato con un lungo viaggio da noi: lo usiamo cinque minuti e poi si trasforma in un rifiuto. Dobbiamo far capire loro che il rifiuto fa male alla salute, che poi lo ritroviamo nell’acqua che beviamo, nell’aria, nei cibi. Dopo questo passo viene il momento del comitato dei cittadini, dei genitori che chiedono alla scuola, al comune di cambiare metodo: so che questa battaglia è già stata fatta in diversi comuni italiani e ho nella mente il chiaro esempio degli studenti dell’U­niversità di Padova, che hanno dato vita a un comitato per l’abolizione dei bicchieri in plastica alla mensa universitaria, presentando uno studio realizzato da loro, relativo all’impatto ambientale di questa prassi. A questo punto la grande politica dovrebbe intervenire: riconosciuta l’evidenza dell’impatto ambientale nocivo delle stoviglie usa e getta, una legge nazionale dovrebbe proibirne l’uso in tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Pensa che in Italia ci sia una mag­giore difficoltà a far passare un certo tipo di concetti di risparmio, tutela, bene comune e senso civico rispetto ad altri Paesi? Questo è sicuramente vero anche per un fatto di pessima educazione ambientale: queste tematiche non si studiano a scuola, si studiano male o non sono collegate in una visione complessiva. Non ci sono spesso le basi per spie­gare a gran parte dei nostri concit­tadini cosa s’intende per risparmio delle risorse, tutela del territorio e del paesaggio ecc. Mentre queste tema­tiche sono molto meglio comprese e convertite in pratica dalla politica nei Paesi del Nord Europa, che sono cer­tamente da prendere come modello: non bisogna neanche sforzarsi molto, basterebbe imparare a copiare da chi le cose le ha già fatte bene.

Abbiamo intervistato Luca Mercalli

Nato a Torino nel 1966, ha iniziato giovanissimo a interessarsi di atmosfera.

Ha studiato scienze agrarie all’Università di Torino, con indirizzo uso e difesa dei suoli e agrometeorologia, ma ha approfondito la preparazione in climatologia e glaciologia in Francia, tra Grenoble e Chambéry, dove si è laureato in geografia e scienze della montagna. È autore di centinaia di articoli scientifici, di saggi di divulgazione sui temi ambientali e di ricerca sul clima e non solo. Ha tenuto un migliaio di conferenze, in Italia e all’estero. Svolge incarichi di docenza per università, corsi di specializzazione e formazione professionale in scuole di ogni ordine e grado. Divulga le tematiche che gli sono care anche in numerosi programmi televisivi tra cui Che Tempo Che Fa condotto da Fabio Fazio. Abita in Val di Susa, si scalda con legna e pannelli solari, fa una differenziazione minuziosa dei rifiuti, coltiva l’orto e ama le biblioteche.

Fonte: viviconsapevole.it

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