5 consigli per risparmiare e rendere la casa ecologica

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Rendere la propria casa ecologica è un dovere che ognuno di noi dovrebbe rispettare: una casa eco-friendly, infatti, non solo fa risparmiare sugli sprechi energetici, ma fa anche un favore al pianeta, limitando di molto lo spreco delle sue preziosissime risorse. Inoltre, è assolutamente il caso di approfittare della Legge di Stabilità per apportare le giuste modifiche alla propria casa, usufruendo delle convenienti detrazioni fiscali. Ecco 5 consigli per rendere la vostra casa ecologica.

Scegliere il piano energetico

Il primo passo per limitare i consumi superflui di energia è optare per un piano energetico pensato appositamente per voi.  Questo significa scegliere i fornitori di energia più convenienti per la vostra situazione e per i vostri consumi. Consultate indirizzi web come questo www.facile.it/energia-luce-gas/compagnie.html  che raccolgono tutti i prezzi e le offerte di diversi fornitori di energia e rendono più facile la scelta della tariffa migliore. La caduta del monopolio Enel ha  abbassato i costi energetici, creando un mercato concorrenziale attraverso il quale è possibile risparmiare molto sulla bolletta.
Installare i pannelli fotovoltaici

Una delle soluzioni migliori per risparmiare le risorse del pianeta, utilizzando energia pulita, è senza dubbio l’installazione dei pannelli fotovoltaici: questi strumenti consentono di immagazzinare l’energia del sole e di sfruttarla per la luce elettrica e per il riscaldamento dell’acqua. Utilizzando i pannelli solari, non solo coprirete i vostri consumi, ma potrete anche vendere l’energia in esubero e metterla a disposizione degli altri. Gli impianti fotovoltaici costano, ma sarà una spesa che si ripagherà molto velocemente.

 

Sfruttare il calore geotermico

I raggi solari diretti non sono l’unica fonte di energia pulita che potete sfruttare per risparmiare sugli sprechi energetici. Anche il sottosuolo, infatti, fornisce un grande quantitativo di calore: ancora una volta merito dei raggi solari, il cui calore viene immagazzinato dal terreno. Il segreto sta nel saperlo sfruttare: in commercio è possibile trovare numerosi impianti in grado di sfruttare la geotermia per riscaldare gli ambienti della casa, e per risparmiare tanti soldi.

Utilizzare i doppi vetri

Una delle cause maggiori degli sprechi energetici è rappresentata dalla dispersione del calore dell’abitazione verso l’esterno: colpa dei vetri e degli infissi, normalmente non in grado di mantenere costante il calore all’interno dell’abitazione. Per questo motivo, il consiglio è di procedere all’acquisto e all’installazione dei doppi vetri, in grado di proteggere la vostra casa dalle fughe di calore. Utilizzare i doppi vetri può portare anche al risparmio di svariate centinaia di euro ogni anno, sempre che li utilizziate nel modo corretto: lasciare aperte le finestre, infatti, vanificherebbe tutto.

Proteggere le mura esterne dell’abitazione

Un altro metodo per risparmiare sui consumi è dotare la propria abitazione di una struttura in grado di mantenere il calore all’interno della casa: la logica è la stessa alla base dei doppi vetri, ma i vantaggi sono decisamente maggiori. Si può proteggere la propria casa ricoprendola con un cappotto, una sorta di fodera esterna montata al di fuori dell’abitazione, oppure procedere alla coibentazione interna delle pareti con la tecnica dell’insufflaggio.

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L.P.

Yurta, un modo ecologico di abitare la casa. Ma non in Italia

Nata in Mongolia e concepita per essere un’abitazione nomade, quindi facilmente smontabile e trasportabile, è ecologica ed economica. Si sta diffondendo negli Stati Uniti e nell’Europa del Nord, ma non in Italia. Il parere tecnico dell’architetta Michela Tascioni e la storia di Barbara Bertinetti.yurta

La yurta è un’abitazione mobile adottata da molti popoli nomadi dell’Asia tra cui mongoli, kazaki e uzbeki. Loro la chiamano “gher”, ovvero casa ricoperta di feltro. Si può erigere e smontare in poche ore ed è facilmente trasportabile. Nonostante la Mongolia abbia subìto un processo di urbanizzazione, la yurta continua ad essere utilizzata dalla maggior parte della popolazione. E sta pian piano diffondendosi negli Stati Uniti e in Europa, soprattutto quella del nord, e in piccolissima percentuale anche in Italia. Non come abitazione ma come struttura ricettiva turistica. Ma il nostro, si sa, è un Paese strano e difficile. Talmente particolare che ci sono delle difficoltà burocratiche per l’installazione di una semplice yurta. Prima di addentrarci nel discorso, vediamo però com’è fatta. Dal sito www.yurta-silentbreeze.com, uno dei produttori italiani, leggiamo: “Sopra la struttura della yurta vengono sistemati successivi strati, il primo è formato da un tessuto bianco in cotone che diventerà il rivestimento interno, a vista. Su questo viene posato lo strato di feltro, prima i due pezzi del tetto poi le pareti. Questo strato è fondamentale, e senza di esso la struttura per quanto bella non potrebbe essere chiamata “Yurta”. Il feltro, oltre a isolare dal freddo e dal calore, ha la funzione di tenere compatta e integra la struttura e di ancorarla al terreno. Sopra il feltro viene posto lo strato impermeabile, fondamentale per i nostri climi umidi. Al quale se ne può aggiungere un altro di cotone o poliestere. Tutti questi strati sono poi fissati con delle corde resistenti alla circonferenza, lungo i muri della gher”. Sono dunque delle abitazioni particolari, ecosostenibili, e di un’utilità importante: con una spesa contenuta di poche migliaia di euro, si va in generale dai 3.000 euro per quelle di dimensioni più piccole, attorno ai 20 mq, ai 20.000 euro per quelle di dimensioni più grandi, circa 100 mq, ci si può dotare di un’abitazione dove vivere. Una grande alternativa per chi vuole farsi una casa senza ricorrere alla richiesta di mutui bancari e senza cementificare l’ambiente circostante. Ma, come scritto sopra, il nostro è un Paese strano e difficile. Tale da non contemplare l’argomento in questione a causa di un vuoto normativo. «Consideriamo che la parola “auto-costruzione” – afferma l’architetta Michela Tascioni – atto primigenio dell’uomo, legato al soddisfacimento del bisogno di trovare riparo, è un concetto totalmente assente nel quadro normativo italiano, nel quale manca un sistema che ne definisca regole, modalità e strumenti dell’edificazione in autocostruzione. Ci sono in realtà il D.P.R. 380/2011 e il D.Lgs 81/2008 che, però, disciplinano i lavori fatti in autonomia, ma non la possibilità di costruirsi una casa». Non solo. Ma più cerchiamo i decreti, più rimaniamo senza parole. «Pensando alla yurta come sistema costruttivo reversibile, quindi temporaneo – continua l’architetta – mi viene in mente un’altra mancanza nel quadro normativo; infatti oltre al “buco” sull’autocostruzione ve n’è un altro importante legato alle “costruzioni temporanee”». Le quali sono definite come “strutture assimilabili, per dimensioni e caratteristiche funzionali, a dei manufatti edilizi ma destinate ad un uso circoscritto nel tempo ed a soddisfare esigenze che non abbiano il carattere della continuità. Le loro caratteristiche (materiali utilizzati, sistemi di ancoraggio al suolo etc.) devono essere tali da garantirne una facile rimozione”. «Capirai bene che la questione dell’uso circoscritto nel tempo – conclude Tascioni – mal si coniuga con l’utilizzo di un sistema temporaneo (nel nostro caso la yurta) ad uso abitativo». E a testimonianza di quanto detto, riprendiamo la storia di Barbara Bertinettigià trattata dal nostro giornale nel marzo del 2013. In sintesi, la sua famiglia acquista un terreno edificabile a Brosso, in provincia di Torino, con l’intenzione di costruirvi una casa ecologica in legno. Il progetto ben presto si blocca e, per mancanza di mutuo, Barbara decide di installare una yurta sopra il seminterrato dell’abitazione, che nel frattempo era stato già ultimato. Ma i permessi non vengono concessi. Com’è andata a finire questa storia? «Nella primavera 2014 – afferma Barbara – abbiamo avuto un nuovo incontro col Comune. Il sindaco si è detto dispiaciuto ma, scartabellando e ricercando, non erano riusciti a rendere fattibile il progetto della yurta, né come abitazione né come bed and breakfast. La nostra risposta è stata molto decisa: avremmo comunque messo la yurta nel nostro giardino, in barba a tutte le leggi comunali, anche perché avevamo ricevuto la lettera di sfratto dall’abitazione dove eravamo in affitto». A quel punto qualcosa si muove. Pochi giorni dopo Barbara riceve la telefonata dal geometra che seguiva i lavori, il quale le propone di rendere agibile il garage o seminterrato, in accordo con in Comune. «Io non ero assolutamente d’accordo, ma alla fine, su consiglio di mio marito, abbiamo accettato, sia perché avevamo paura delle conseguenze legali sia perché non avevamo nessuna voglia di creare disagio ai nostri bambini». Nel giro di pochi mesi il progetto viene approvato. Il garage viene rivestito internamente in legno e materiali naturali ma «sta di fatto che l’involucro è di cemento, siamo per metà sottoterra, ci stiamo da 11 mesi e abbiamo già – era ovvio e prevedibile – problemi di umidità. E’ tutto assurdo: il Comune ha dato l’abitabilità dentro ad un garage, in cemento e per metà sotto terra, a noi che siamo una famiglia con 2 bambini, piuttosto che darci la possibilità di posizionare una struttura assolutamente ecologica come la yurta, solamente perché non hanno trovato una legge o una deroga che facesse al caso. Io ci avrei visto solo ripercussioni positive, per noi come famiglia, innanzitutto perché ora starei a spendere i miei pochi soldi rimasti come parrebbe a me e non in deumidificatori e interventi di esperti per toglierci l’umidità da casa, e poi per il Comune, per aver avuto il coraggio di dire di sì ad una occupazione assolutamente naturale del suolo, di nostra proprietà peraltro. Per non dire di quante persone mi hanno scritto dicendomi che sarebbero volentieri venute a dormire nella yurta che volevo adibire come B&B, integrando il nostro reddito e creando anche un piccolo circolo di affari per le attività morenti del paese…Che dire. Triste, povera, vecchia Italia. Il cambiamento fa paura».

Fonte: ilcambiamento.it

Ecco 6 piante per purificare l’aria

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Le nostre case pullulano di sostanze nocive alla salute. Sostanze chimiche provenienti da mobili e strutture, muffe, batteri e germi corrono insospettati nelle nostre dimore e vengono spostati qua e là dagli indumenti che indossiamo o dai fedeli amici a quattro zampe. Il modo più ovvio per risolvere questo problema sarebbe quello di usare detersivi o disinfettanti, ma non è detto che sia la soluzione migliore, anzi, qualcuno preferisce optare per tattiche più naturali.

Ma quali sarebbero questi “metodi alternativi” per combattere le impurità domestiche? Sicuramente la soluzione è più vicina, concreta e, anche, esteticamente piacevole di quello che si possa pensare. Sono le piante. Ancora loro infatti potrebbero essere l’arma decisiva contro le sostanze dannose che si annidano in casa e con le quali noi, più o meno inconsciamente, entriamo in contatto ogni giorno. Ecco la “top six” delle piante mangia-impurità più comuni:

  1. Palma di Bambu: serve ad assorbire sostanze come la formaldeide ed è un ottimo deumidificatore naturale.
  2. Pianta del serpente: dalle foglie sinuose come rettili, la pianta è in grado di assorbire sostanze come ossidi di nitrogeni e formaldeide.
  3. Palma Areca: maestosa e decorativa, la palma è anche una delle piante più adatte alla pulizia generale dell’aria di ambienti interni.
  4. Pianta Ragno: proprio come un ragno, la pianta da interno cattura particelle di monossido di carbonio e altre tossine nell’aria.
  5. Giglio della pace: non solo bello ma anche utile da collocare in locali particolarmente umidi come bagni e lavanderie, perché in grado di intercettare sostanze come muffe, spore, formaldeide e tricoetilene.
  6. Gerbera Daisy: un’esplosione di colore con doti di sonnifero naturale. Questa bella pianta fiorita concilierebbe il sonno perché in grado di rilasciare maggiori quantità di ossigeno durante la notte.piante-purifica-interni

Fonte: tuttogreen.it