FoodReLOVution: ciò che mangiamo può cambiare il mondo

“Food ReLOVution” è l’ultimo documentario di Thomas Torelli – lo stesso registra di “Un altro mondo” – nel quale vengono analizzate le conseguenze che hanno le nostre scelte alimentari sulla salute pubblica, sull’ambiente e gli ecosistemi, sulla fame nel mondo e sul benessere degli animali.

 “Food Relovution: tutto ciò che mangi ha una conseguenza” è l’ultimo documentario di Thomas Torelli – lo stesso regista di “Un altro mondo” – nel quale vengono analizzate le conseguenze che hanno le scelte alimentari quotidiane sulla nostra salute e sulla salute pubblica, sull’ambiente e gli ecosistemi naturali, sulla fame nel mondo e sulla distribuzione delle risorse, sul benessere degli animali. Il film-documentario ci mostra, attraverso dati scientifici, statistiche e interviste ad esperti di fama mondiale, come tutte le scelte che ci sembrano innocue, in realtà influiscano pesantemente su tutte queste tematiche globali. Un atto così personale e “banale” come fare la spesa sotto casa non solo è correlato con il resto del mondo, ma lo è anche molto di più di quanto immaginiamo.

Tutto ciò che mangiamo, dicevamo, ha conseguenze ben precise e conoscere i dati scientifici, sapere da dove viene e come è stato trasformato il cibo che mettiamo nel piatto, ci permette di valutare in modo critico i “dogmi” alimentari che ci vengono raccomandati e di fare scelte non condizionate da pubblicità e mass media. Gli esperti intervistati in “Food ReLOVution” – tra cui scienziati e ricercatori (il biochimico T. Colin Campbell e il figlio Thomas. M. Campbell, il fisico Noam Mohr, il medico ed epidemiologo italiano Franco Berrino, Vandana Shiva) filosofi e attivisti (Peter Singer, Frances Moore Lappé, James Wildman e Carlo Petrini) – sono concordi nell’affermare che scegliere il cibo con consapevolezza è un atto rivoluzionario che può davvero cambiare il mondo. Il film-documentario di Torelli parte dagli studi di T. Colin Campbell relativi alla correlazione fra cibo e malattie per arrivare ai danni che il consumo eccessivo di proteine animali produce sulla salute pubblica e sull’ambiente. Per produrre 1 kg di carne da allevamento intensivo si consumano migliaia di litri d’acqua e gli animali mangiano i cereali che potrebbero sfamare direttamente migliaia e migliaia di persone malnutrite (allo stesso costo di una singola bistecca, si potrebbero riempire 50 scodelle di cereali cotti e sfamare 50 persone). Gli animali allevati per produrre bistecche, inoltre, vivono in modo del tutto innaturale, spesso condizioni di crudeltà indescrivibile.Food_ReLOVution_1

L’industria alimentare – in particolare l’industria della carne – è diventata un processo finalizzato solo al guadagno e il suo fine non è nutrire, sfamare, ma generare il massimo profitto. Oggi assistiamo al paradosso per cui, da un lato, gli abitanti dei paesi ad alto reddito hanno accesso al cibo prodotto dall’industria che, nella maggior parte dei casi, è dannoso per la salute e, dall’altro gli abitanti dei paesi a medio-basso reddito non hanno accesso alle risorse alimentari prodotte nei loro paesi perché queste sono destinate all’esportazione versi i paesi ad alto reddito. Ogni cosa che mettiamo nel piatto ha un impatto sul Pianeta e avere informazioni corrette e oggettive sulle conseguenze delle nostre azioni ci permette di fare scelte alimentari consapevoli e finalizzate a salvaguardare la nostra salute, l’ambiente, gli animali e le popolazioni più povere del Pianeta. “Food ReLOVution”, ha spiegato il regista Thomas Torelli ad una recente proiezione del film sul Lago di Garda, “vuole fornire gli strumenti necessari a chi è abituato a mangiare carne senza preoccuparsi delle conseguenze, ma mi preme sottolineare che il film non vuole trasformare tutti in vegani o demonizzare in alcun modo chi mangia carne. Da parte nostra non c’è alcun giudizio di fondo o pregiudizio, ma solo ed esclusivamente il desiderio di stimolare una riflessione, una ricerca personale, una presa di coscienza del volto nascosto dell’industria alimentare – in particolare dell’industria della carne” – e del consumo esasperato di proteine animali che fa ammalare l’uomo e l’ambiente e fa soffrire inutilmente gli animali.”locandina-Food_A3_web

“Man mano che giravamo il film”, ha raccontato Torelli, “il mio rapporto con il cibo, in senso lato, è molto cambiato. Qualche anno fa, in quanto vegano, avevo un atteggiamento di giudizio e pre-giudizio nei confronti dei ‘carnivori’, ma ho lentamente compreso che in questo modo non sarei arrivato da nessuna parte. Il primo titolo che avevo dato al film era “Food killers” perché, in buona fede, ero convinto che chiunque si cibasse di carne e prodotti animali (uova, latte, ecc.) fosse un triplice killer: di se stesso, del pianeta e degli animali. Durante la lavorazione del film, però, mi sono reso conto che spesso le persone mangiano in un certo modo solo perché hanno informazioni incomplete sulla produzione di cibo industriale e sulle conseguenze delle loro scelte alimentari. E col tempo ho constatato che quando le persone acquisiscono queste informazioni, tendono a fare scelte molto più salutari e consapevoli e a fare proprio il motto di Ippocrate, il medico greco che già nel IV secolo a.C. affermava “fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”.

“Mi sono accorto, inoltre – ha continuato – che essere costantemente nel giudizio non fa altro che generare divisioni e fazioni opposte – carnivori contro vegetariani, vegetariani contro vegani, vegani contro tutti, ecc. – che non portano da nessuna parte. Se dividiamo il mondo in ‘buoni’ e ‘cattivi’ non riusciremo mai a raggiungere l’obiettivo di parlare a tutti, di comunicare come alcune scelte siano oggettivamente deleterie per salute, ambiente e animali. Il modo migliore per affrontare l’argomento alimentazione e per arrivare a più gente possibile è evitare le ‘etichette’ e rispettare tutte le scelte alimentari. Se ci dividiamo in fazioni sul fronte alimentare, allora manca l’arma vincente per tutti, cioè l’unione che fa la forza. Ognuno di noi ha il suo percorso, i suoi tempi, e l’idea di fondo del film è questa: mangia ciò che vuoi, ma sappi cosa succede ogni volta che mangi e interrogati su quello che c’è ne tuo piatto. L’obiettivo è rendere consapevoli più persone possibile, perché solo quando si sa e si conosce, le abitudini e gli sili di vita cambiano”.

“Sono convinto che il primo passo per cambiare il mondo, per renderlo migliore – ha concluso Torelli – sta nelle azioni quotidiane e, tra queste, la prima è la consapevolezza di ciò che mangiamo. La produzione di cibo ha tre macro-conseguenze impattanti a livello globale: sull’essere umano (cioè sulla sua salute), sull’ambiente e sugli animali, ma il punto di partenza di tutto è l’informazione.Food_ReLOVution_3

Lo scopo del film FoodReLOVution non è raggiungere i ‘carnivori’ per ‘convertirli’, anzi è l’esatto contrario: è dare informazioni corrette e scientificamente documentate al maggior numero di persone affinché comprendano cosa succede quando scelgono la carne. Se poi, chi guarda il film decide di passare da un hamburger al giorno a due hamburger a settimana, per me è già una vittoria a livello globale. Fare scelte consapevoli anche solo in una delle tre grandi categorie trattate nel film corrisponde già ad un miglioramento globale. Bisogna sfatare una volta per tutte il mito che il comportamento individuale non influisce sul tutto: come il mare è fatto da singole gocce e ogni goccia che si muove, muove tutto il mare, così ogni singola azione ha conseguenze su tutto il pianeta. Oggi sapere esattamente cosa mangiamo, è davvero il primo passo verso un mondo migliore”.

Ricordiamoci, quindi, che ogni cosa che mangiamo e acquistiamo ha un impatto preciso sul Pianeta, che siamo perfettamente in grado di cercare e discernere in modo autonomo i dati e le informazioni che ci servono e che possiamo cambiare le cose partendo da noi stessi. Il cambiamento che attendiamo non arriva dall’esterno, ma parte dall’interno, da noi stessi. L’arma più potente per migliorare il mondo è la scelta basata sulla conoscenza, una scelta che ci permette di agire con coerenza, consapevolezza, amore e rispetto per la Vita in tutte sue forme.

Fonte:

http://www.italiachecambia.org/2017/10/foodrelovution-cio-che-mangiamo-puo-cambiare-mondo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

La ministra Lorenzin “benedice” le mucche della super-stalla

Cucù! Il ministro della salute alla presentazione di un allevamento intensivo di bovini. E ai cittadini, attraverso i media mainstream, lascia intendere che questi sono modelli di sostenibilità! Ma come siamo messi?lorenzin

Nei giorni scorsi, a Iolanda, in provincia di Ferrara, il ministro della salute Beatrice Lorenzin è intervenuta al convegno “Zootecnia 4.0”, promosso da Bonifiche Ferraresi con Assocarni e Coldiretti, per presentare un nuovo centro zootecnico che, come qualche media riporta, “spicca in sostenibilità e integrazione e si guadagna l’appellativo di scommessa nazionale come innovativo modello italiano di allevamento bovino. Una vera e propria rivoluzione per quella che vuole essere la stalla del futuro”.

Si tratta di un allevamento con capacità di 5000 animali,  dieci enormi stalle  e 33 mila mq di superficie.

E’ necessario, quindi, che il Ministro della Salute si rechi personalmente ad appoggiare, avallare ed esaltare quello che, più che essere la stalla del futuro, non è altro che l’ennesimo allevamento intensivo? Ricordiamo che allevamento intensivo significa: animali allevati e uccisi alla catena di montaggio senza alcun rispetto per le loro necessità specie-specifiche, emissioni inquinanti per l’ambiente, liquami da smaltire, uso di antibiotici a iosa (che poi passeranno a chi quegli animali li mangia).

La ministra Lorenzin, che evidentemente tiene alla nostra salute (!), si esprime così: “Purtroppo ci districhiamo costantemente in mezzo alle mode, grandi ondate che bisognerebbe combattere insegnando ai cittadini la consapevolezza, la capacità di scelta di fronte a notizie fuorvianti. Come ministro sono molto preoccupata per mode alimentari basate sulla disinformazione, come nel caso delle battaglie sui vaccini ad esempio, in cui si è arrivati a livelli tali da far sì che una grandissima parte dei cittadini rinunciasse a un elemento primario di profilassi mettendo a rischio la salute di intere comunità”.

Tra malnutrizione, povertà alimentare, diete scarse in proteine o in carboidrati secondo la moda del momento, Lorenzin indica la via da seguire: “In mezzo ai radicalismi c’è l’equilibrio: la nostra dieta mediterranea, patrimonio dell’Unesco, con la sua piramide alimentare che vede in cima proprio la carne”.

Vorrei far notare alla ministra che se nella piramide alimentare della dieta mediterranea un  alimento si trova in cima, significa che è proprio quello che va mangiato di meno (in quantità) e raramente. Non quello considerato, quindi, il più importante. Alla base, infatti, ci sono pane, pasta, riso e cereali integrali, la frutta, la verdura, i legumi, l’olio d’oliva tra gli alimenti essenziali e che non dovrebbero mai mancare sulla nostra tavola. Ogni giorno.

Ma qui non si tratta solo di saper interpretare correttamente una piramide alimentare ma di spacciare per mode alimentari modelli diversi da quelli in cui crede lei e che avrebbero, unici, l’avallo medico-scientifico e l’etichetta di equilibrio, buon senso e salute.

Possiamo decidere di mangiare la carne, che ci fa bene, possiamo esserne convinti quanto si vuole. Trovo tuttavia scorretto tacciare di radicalismo chi non crede affatto nelle stesse teorie. Non si tratta più di qualche pazzo isolato e stravagante, dal cuore troppo tenero o dalle reazioni scomposte e violente che va in giro a sbracciarsi contro chi alleva, macella o mangia la carne. Sono ormai moltissimi i medici e gli scienziati che raccomandano di evitarla o di ridurla moltissimo. E non si tratta di persone sconosciute di cui non si conoscono curricula, esperienze, pubblicazioni o provenienza. Sono numerosissimi gli studi che accertano i danni causati da un consumo eccessivo di carne (ne mangiamo, ormai, ogni giorno). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente definito la carne rossa come probabilmente cancerogena mentre molti studiosi lo dicono da anni. La ministra, dunque, come mai parla ancora di disinformazione? Di mode strampalate e pericolose?

E non mi metterò a parlare di etica. Non voglio farlo per onestà intellettuale e perché non ritengo, da vegana, di fare una vita più etica di chi sceglie di nutrirsi di prodotti animali. Non è sufficiente essere vegan finché non si comincia a porsi profondamente il problema di una vita più etica a 360 gradi. Non voglio quindi usare questa parola ma mi chiedo come mai il problema delle condizioni di vita degli animali non venga neppure posto. Se si continua a promuovere un sistema basato sul modello intensivo di allevamento, invece di andare avanti si torna indietro. Possiamo anche far finta che non esistano le torture perpetrate ad esseri senzienti e del tutto innocenti: maltrattamenti indegni dell’essere umano che si ripetono ogni giorno su milioni di animali da sacrificare al nostro gusto e sull’altare della tradizione culinaria italiana. Possiamo anche conoscere la verità e pensare che sia giusto e sacrosanto il diritto dell’uomo di rendere schiavi altri esseri viventi ma si recuperi almeno quel senso di dignità e di rispetto verso l’uomo stesso che porti ad evitar loro sofferenze atroci, inutili e perfettamente evitabili. Esistono ormai allevamenti che si ispirano a modelli completamente diversi per chi crede fermamente che mangiare animali morti sia indispensabile alla propria salute.

Dove sta allora, davvero, cara ministra Lorenzin, la disinformazione, il pericolo, il rischio per la salute e l’ambiente, la mancanza di rispetto per altri esseri viventi? Dove sta il radicalismo di cui lei parla se non dove, invece di ascoltare, si va diritti per la propria strada convinti di possedere la verità assoluta anche contro innumerevoli voci discordi?

Fonte: ilcambiamento.it

Clima e emissioni CO2: la carne per cani e gatti inquina come 13 milioni di auto

Secondo uno studio pubblicato su PlosOne, nei soli Stati Uniti, per sfamare cani e gatti si emettono 64 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno.http _media.ecoblog.it_c_c81_clima-e-emissioni-co2-la-carne-per-cani-e-gatti-inquina-come-13-milioni-di-auto

In un periodo di cambiamenti climatici e riscaldamento globale, in una delle estati più torride degli ultimi decenni con ondate di caldo che stanno creando danni economici enormi, arriva come un fulmine a ciel sereno uno studio scientifico che ci costringe a riesaminare il nostro modo di guardare alle emissioni di CO2. Da anni puntiamo il dito soprattutto su tre grandi fonti di emissioni di gas climalteranti: il settore energetico (in particolare le centrali elettriche alimentate da fonti fossili come petrolio, gas e carbone), quello dei trasporti (in particolare il trasporto privato, basato su auto di proprietà con motore a benzina o diesel a gasolio) e quello dell’alimentazione (con un occhio e un dito puntati sull’eccessivo consumo di carne). Tutto vero, ma se ci soffermiamo sull’ultimo settore, quello delle emissioni di CO2 derivanti dall’alimentazione carnivora, spunta adesso uno studio pubblicato su PlosOne che fa riflettere da cui si evince che, negli Stati Uniti, tra il 25% e il 30% delle emissioni di CO2 dipendenti dalla produzione di carne provengono dalla carne destinata al pet food. Il cibo per cani e gatti, insomma, da solo causa oltre un quarto delle emissioni del “comparto carne” americano. In questi calcoli sono incluse anche le emissioni derivanti dalle feci degli animali. Negli USA, spiega l’autore dello studio Gregory Okin, ci sono 77,8 milioni di cani e 85,6 milioni di gatti (dati 2015). Se questi 163 milioni di animali domestici fossero considerati uno Stato sovrano, esso sarebbe il quinto al mondo per consumo di carne, dopo Russia, Brasile, USA e Cina. Venendo al “lato sporco” dello studio, Okin ha stimato in 5,1 milioni le tonnellate di feci prodotte da cani e gatti in un anno negli Stati Uniti. Più o meno quante ne producono 90 milioni di americani. In totale le emissioni equivalenti di CO2 attribuibili a cani e gatti sono pari a circa 64 milioni di tonnellate. Che, più o meno, è quanto emettono 13,6 milioni di auto negli Stati Uniti ogni anno.

Okin fa notare che “Comparata a una dieta a base di piante, quella carnivora richiede più energia, territorio e acqua e ha un impatto ambientale superiore in fatto di erosione, pesticidi e rifiuti prodotti“. E di cani gatti vegani, aggiungiamo noi, ce ne sono ben pochi. Tuttavia, è lo stesso Okin che precisa che molto spesso i mangimi per cani e gatti sono prodotti partendo dagli scarti della filiera della carne e quindi non si tratterebbe, o almeno non del tutto, di tonnellate di CO2 aggiuntive rispetto a quelle emesse dall’americano medio con la sua dieta altamente carnivora. Ma lo stesso Okin, analizzando il pet food per ottenere i dati su cui iniziare il suo studio, ha notato che i “mangimi premium” contengono percentuali di carne superiore a quelli più economici. Per non parlare del fatto che l’umanizzazione degli animali domestici porta sempre più spesso i loro padroni a cucinare per loro, utilizzando alimenti utili per il consumo umano.

Questo, secondo Okin (che tra l’altro specifica e ribadisce di amare cani e gatti), può essere realmente dannoso per l’ambiente: “Un cane non ha bisogno di mangiare bistecche, un cane può mangiare cose che un umano sinceramente non può mangiare“.

Credit foto: Flickr

Fonte: ecoblog.it

Allevamenti lager? Colpa della nostra voracità

Gli allevamenti lager? Esistono perché noi vogliamo carne, uova, latte e formaggi ogni giorno, a bassissimo prezzo e in quantità industriali per soddisfare la nostra voracità spaventosa mascherata da cultura, tradizione e gusto da gourmet.9524-10281

Non esiste persona che di fronte alle immagini sconcertanti di violenza e incuria nei confronti degli animali da allevamento, dica che sia giusto o rimanga indifferente  alle denunce che ormai iniziano a diffondersi con sempre maggiore frequenza sui social, sui giornali, su internet e in tv. Le reazioni di chi sostiene la tesi di una sana alimentazione onnivora sono di seria e onesta distanza dai quei produttori così brutti e cattivi che non si fanno scrupoli di tenere esseri viventi (esattamente come noi) in strutture che hanno tutte le caratteristiche e le dinamiche di veri e propri  campi di sterminio organizzati. Nessuno è d’accordo. Ma, si sa, quelli sono casi particolari. Non è davvero così che avviene la produzione di carne. Non è così che si produce il latte o la nostra tradizionale e irrinunciabile mozzarella di bufala. Non è perpetrando ogni giorno e ogni notte della loro tristissima e breve vita maltrattamenti e torture ad esseri senzienti, pensanti e sofferenti (esattamente come noi) che si producono stragi di cuccioli per procurare piacere, diletto, divertimento sottoforma di “gusto”, “tradizione”, “cucina mediterranea” e altre espressioni che coprono come pesantissimi sipari le verità scomode, distanti e vergognose che non vogliamo vedere, che neghiamo, che allontaniamo il più delle volte consapevoli. Non c’è video di approfondimento, non c’è intervista o articolo che salvi questi modelli di produzione di esseri viventi destinati alla nostra tavola. Certo che sono condannabili, chi vuole essere così cattivo da dirsi favorevole, chi vuole apparire così poco sensibile, empatico o indifferente? Persino gli chef stellati, perfino i nutrizionisti  carnivori di tradizione e scelta “scientifica” si dissociano da codesto sistema che per un pugno di dollari è capace di costruire un’intera filosofia del mangiare sano su una tradizione fatta di violenza sempre meno sostenibile. Non c’è azienda che non si veda pronta a correre la gara del naturale e del rispettoso del benessere animale quand’anche la sua tradizione dice ben altro. Fioriscono pubblicità presentate al pubblico incipriate e confezionate a dovere col nastro brillante della mucca munta a mano o il filtro romantico quanto disonesto dei vitellini con la loro mamma. Ci vuole così poco a comprarci, così poco a farci convincere non perché quelle aziende e il sistema tutto abbiano chissà quali mezzi o siano geni criminali con l’unico obiettivo del guadagno. Ci vuole poco e ci vorrebbe ancora meno perché noi non vogliamo rinunciare al piacere. E’ il piacere quello che ci muove. E’ in nome del piacere che possiamo chiudere gli occhi davanti a ogni efferatezza che sappiamo molto bene esistere e compiersi nei confronti di milioni di animali ogni anno, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E’ il piacere che ci spinge a liquidare sotto forma di “estremismo” le opinioni diverse dalle nostre. E’ il piacere che, ancora, ci muove a prendere le distanze da queste realtà, sapendo bene che gli allevamenti intensivi non sono realtà isolate ma la vera e tristissima norma quotidiana. E allora gli allevamenti lager esistono perché noi, noi e nessun altro, vogliamo carne, uova, latte e formaggi ogni giorno, a bassissimo prezzo e in quantità industriali per soddisfare la nostra voracità spaventosa mascherata da cultura, tradizione e gusto da gourmet. Noi siamo i responsabili di tutto questo ogni giorno quando facciamo la spesa, quando redigiamo i nostri menu, quando chiudiamo gli occhi pensando che tutto sia giusto perché così è sempre stato. Ogni smorfia di disgusto, ogni parola di distanza in proposito deve essere rivolta a noi e solo ed esclusivamente a noi. Siamo i mandanti, i primi respnsabili, i primi che possono cambiare direzione. Dissociarsi non è più sufficiente. Diventare consapevoli e fermarci a riflettere su ciò che acquistiamo e scegliamo è l’unica, vera e indispensabile strada. Per noi e per gli altri animali (esattamente come noi), se vogliamo continuare a dirci umani.

Fonte: ilcambiamento.it

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Franco Berrino, cibo e tumori: “la prevenzione è la decrescita”

Dal biologico al veganesimo, passando per la meditazione e la decrescita. Una meravigliosa testimonianza di chi ha cambiato l’approccio allo studio sui tumori, concentrandosi sulla loro prevenzione. Vi proponiamo la nostra intervista al dottor Franco Berrino.

Alberto, nuovo agente di cambiamento, ha realizzato il suo sogno: incontrare il dottor Franco Berrino. Di certo molti di voi lo conosceranno già, magari grazie all’intervista fattagli qualche anno fa dalle Iene. Lo abbiamo intervistato, sorseggiando un tè presso una nota pasticceria di Torino.

“La cosa principale che ho fatto nella mia vita è stata lavorare all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, per ben quarant’anni”. Berrino si è concentrato, in particolare, sul capire come “cambiare l’alimentazione al fine di cambiare il nostro ambiente interno, in modo che le eventuali cellule tumorali non si riproducano”. Dopo vari anni di studio è giunto alla conclusione che modificando lo stile di vita è possibile ridurre l’incidenza delle patologie.

Il Codice europeo contro il cancro: pesce, latticini, carni rosse

Il Codice Europeo ha confermato le raccomandazioni del Fondo Mondiale per la ricerca sul cancro e, così come per il pesce, non si trovano al suo interno indicazioni sui latticini. “Io avrei voluto ci fossero”, in quanto negli studi da lui portati avanti negli anni, “si trova una protezione da pesce”. Vi sono delle ottime ricerche che dimostrano che “chi muore di meno è chi ha una dieta prevalentemente vegetale, ma con un po’ di pesce”.

Il pesce è diventato l’unica fonte di omega3 nella nostra alimentazione. “Gli omega3 sono molto importanti, sono grassi molto liquidi. L’olio di pesce è ancora più liquido degli oli vegetali”. Sono anche anti-infiammatori. Altri studi, tuttavia, non hanno trovato nessuna protezione da pesce e quindi non si è data nessuna raccomandazione. “Anche perché il pesce è molto inquinato, abbiamo avvelenato il mare”.

Passiamo così a parlare del ruolo assunto nelle diete occidentali da parte delle carni rosse. Gli chiedo se secondo lui il danno causato dalla loro assunzione sia dovuto anche al modo in cui, solitamente, alleviamo gli animali oggigiorno.

“È possibile, però il rischio di cancro da carni rosse è legato intrinsecamente alla loro natura”.
Il motivo è dato dalla ricchezza di ferro da un lato e la ricchezza di grassi saturi dall’altro. “Possiamo ribellarci al modo in cui vengono allevati gli animali per questioni etiche ma non tanto perché sia il modo di allevarli che li fa divenire nocivi”.valentis-Butcher-s-Counter

“Io non ho niente contro la carne, ogni tanto la mangio anch’io magari un paio di volte all’anno – prosegue il dottore dal tipico variopinto papillon – il problema è proprio la frequenza con cui noi mangiamo proteine animali; c’è questo mito delle proteine”.

Oggi i nostri bambini sono esageratamente nutriti, mangiano tre/quattro volte le proteine di cui hanno bisogno. A scuola gli si da proteine animali tutti i giorni: carni rosse, carni bianche, il formaggio, l’uovo, il pesce. “L’eccesso di proteine nelle diete è una delle principali cause dell’epidemia di obesità che c’è nella nostra popolazione”. Più proteine si mangiano, più è facile diventare obesi. Diversa è la situazione per la produzione del latte. “Il latte di oggi è molto diverso da quello di una volta”. Una volta le mucche facevano 10 litri di latte quando mangiavano l’erba. “Adesso non si può più dare l’erba alle mucche, farebbero soltanto 10 litri di latte. Bisogna darle molte più proteine affinché riescano a produrre 40/50 litri di latte al giorno. Addirittura negli Stati Uniti ci sono degli allevamenti dove producono 100 litri di latte al giorno”.

Il biologico e il veganesimo

“Fidiamoci del biologico ma non fidiamoci dei supermercati del biologico, perché nei supermercati del biologico si vendono delle porcherie”. Si vende per esempio lo zucchero bianco e a velo biologico. “Che cos’è? Lo zucchero è una sostanza chimica pura. Fa male anche se è biologico”.

Gli chiedo cosa pensa di chi decide di intraprendere la strada del veganesimo. “È un bene da un lato, però bisogna stare attenti; bisogna essere colti per diventare vegani. Vi sono dei vegani che mangiano malissimo: bevande zuccherate, whisky, farine raffinate e così via. Vegano sì, ma con attenzione”.storia1

Franco Berrino

 

L’importanza della salute psichica

“Vi sono sempre più dati che dimostrano quanto la nostra vita mentale e spirituale influenzi il rischio di ammalarsi”. Oggi con le nuove tecniche della biologia molecolare, si è stati in grado di dimostrare che “chi ha una pratica di meditazione modifica l’attività di certi geni”. Si può così spegnere l’attività dei geni che aumenta l’infiammazione.

“E allora dobbiamo tenere bassa l’infiammazione e possiamo farlo con il cibo, ma possiamo farlo anche con la nostra mente”. La meditazione o la preghiera, ad esempio, sono efficaci. Tipicamente molte pratiche di meditazione si basano sul concentrarsi e fare attenzione, mantenendo una consapevolezza del proprio respiro. Rallentando la respirazione, si attiva il nervo vago, così si modica il nostro sistema nervoso autonomo e si abbassa il livello di infiammazione. “Queste pratiche influenzano l’attivazione di quel che c’è scritto nei nostri geni, nel nostro DNA”.

La prevenzione è la decrescita

Le parole del professor Berrino sono chiare, semplici, efficaci ed anche spietate a riguardo. “Più ci ammaliamo, più aumenta il PIL, più aumenta il lavoro dei medici e delle case farmaceutiche”. Stiamo parlando di spese non produttive, considerate non utili per l’umanità. Così “oggi il successo della medicina è legato al fatto che è bene ammalarsi sempre di più”.

“Ammalarsi e non morire, perché questa è la cosa fantastica. La medicina ha avuto dei successi meravigliosi negli ultimi quaranta-cinquant’anni con delle evoluzioni tecnologiche fantastiche, diagnostiche, farmacologiche e terapeutiche. Però si è arrivati al punto che grossomodo il 90% della popolazione anziana, oltre i 65 anni, prende quotidianamente medicine”.

Nel caso del cancro, vi sono dei nuovi farmaci che sono molto efficaci e non riescono a guarire la malattia: la trasformano, la cronicizzano e tengono più a lungo in vita il paziente. “E questa è la gallina dalle uova d’oro! Un qualcosa che costi molto cara e che sia moderatamente efficace. Efficace per mantenere in vita ma non per guarire. Questo è il principio del business dell’industria farmaceutica oggigiorno”.

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Oggi circa il 90% della popolazione anziana, oltre i 65 anni, prende quotidianamente medicine

 

Continua così nel suo discorso, in un crescendo rossiniano in termini di efficacia e spunti di riflessione generati: “Dobbiamo invece renderci conto che possiamo benissimo decrescere; è sufficiente vivere in un modo diverso, mangiare in un modo diverso, fare più esercizio fisico, dare un po’ più spazio alla nostra vita mentale per non sviluppare la pressione alta, per non sviluppare il colesterolo alto, i trigliceridi alti, la glicemia alta”.

Passa così a rispondermi alla domanda sulla decrescita. Sono effettivamente impaziente di sapere qual è la sua opinione a riguardo. “La decrescita nel campo della sanità è la prevenzione. Eccome se possiamo decrescere! Siccome le istituzioni non hanno interesse per promuovere questa decrescita, dobbiamo farlo noi. E’ il piano B, dobbiamo occuparci noi della nostra prevenzione. Tutti noi possiamo fare qualcosa, occorre diffondere la consapevolezza. La consapevolezza che c’è una via alternativa a morire per malattia, possiamo benissimo diventare vecchi e morire sani. Nessuno ci da la garanzia di non ammalarci, però si può ridurre moltissimo il rischio di ammalarsi”.

Ancora una volta trovo dimostrazione che il cambiamento, nelle sue eterogenee sfaccettature, porta con sé una radice comune. Da chi si occupa di alimentazione a chi si occupa di economia, da chi si occupa di agricoltura a chi lavora nella cultura: alla base v’è sempre una stessa linea, una stessa visione comune. Oggi il dottor Franco Berrino è in pensione, e si occupa di diffondere le conoscenze che ha sviluppato nel corso degli anni. Per questo ha fondato l’associazione La grande Via, intesa come l’unione di tre percorsi: la via del cibo, la via del movimento come esercizio fisico e cambiamento delle nostre abitudini, e la via spirituale della meditazione. “Sono tre strade con cui possiamo scrivere sui nostri geni, accendendoli o spegnendoli. Possiamo così scrivere il nostro destino di salute o di malattia”.

Ringraziamo così il dottore per tanti motivi: per averci messo a disposizione il suo tempo e le sue conoscenze, per la voglia che mette nel diffondere e donare al mondo quel che negli anni ha scoperto grazie alla sua determinazione e capacità. Gli siamo grati soprattutto per averci fatto capire quanto e in che modo sia possibile scrivere un’altra storia nei nostri geni, e così nella nostra vita. Cambiare si può, basta solo volerlo.

 

Riprese: Fabio Dipinto di QQ.WeDo 

Agente di Cambiamento: Alberto Paolillo

 

Si ringrazia la pasticceria Dezzuto per lo spazio donatoci al fine di registrare l’intervista 

 

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/04/io-faccio-cosi-115-franco-berrino-cibo-tumori-prevenzione-decrescita/

 

L’unico futuro possibile è quello senza carne

“Il report dell’OMS conferma quanto già era noto dal 2007, il consumo di carne favorisce il cancro. Già otto anni fa le indicazioni di eliminare la carne rossa e quella trasformata erano chiare. Come sono chiare oggi molte altre raccomandazioni alimentari che, purtroppo, però, vengono ignorate”. Intervista alla dottoressa Michela De Petris, specializzata nell’alimentazione terapeutica in oncologia.carne_rossa_iarc

Dopo che lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha inserito le carni lavorate nel gruppo 1 delle sostanze che causano il tumore, mettendole di fatto allo stesso livello del fumo, alcol, arsenico e benzene e le carni rosse non lavorate nel gruppo 2A, quello delle sostanze “probabilmente cancerogene“, allo stesso livello del glifosato, ingrediente attivo in molti diserbanti, il dibattito nei media, nei social e a tavola, non sembra placarsi. Da un lato c’è chi denuncia l’eccessivo allarmismo creato attorno alla questione, dall’altro chi invece invece appoggia ed enfatizza gli studi condotti dall’Organizzazione.
Per cercare di fare chiarezza e di avere un ulteriore punto di vista sulla faccenda, il Cambiamento dopo l’intervista alla Dottoressa Simona Mezzera, ha contattato anche Michela De Petris, specializzata nell’alimentazione terapeutica in oncologia. membro della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana (SSNV) e dell’Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale (ICEA). Già ricercatrice in studi di intervento alimentare presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e docente di nutrizione clinica in diversi corsi indetti dalla Provincia di Milano e dalla Regione Lombardia.

Dottoressa De Petris, cosa significano i dati emanati dall’OMS in merito alla correlazione tra il consumo di carne rossa e lavorata e il rischio di tumori? 

Il report dell’OMS conferma quanto già era noto dal 2007, e cioè che il consumo di carne favorisce il cancro. Già otto anni fa, infatti, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF) affermava che l’aumento del rischio del cancro al colon-retto era riconducibile al consumo di carni rosse e trasformate. E le indicazioni di abolire, eliminare, limitare erano già chiare da allora.

Evitare totalmente o ridurre come sostengono alcuni?

Le indicazioni parlano chiaro: “Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni trasformate”. Certo è che ogni medico, specialista, nutrizionista può sostenere quello che vuole, ma queste raccomandazioni sono molto chiare e lo erano da tempo. Per esempio: fumare una sigaretta fa bene o male? C’è chi sosterrà che dieci sigarette fanno più male che una ma non per questo una sigaretta non fa male. Lo stesso vale per le carni trasformate, quelle non trasformate e per molti altri cibi.

A quali altri cibi bisogna stare attenti? 

A tutti i cibi di origine animale: al latte, i formaggi, soprattutto se stagionati, alle uova, correlate al rischio di tumore al seno, alle ovaie e alla prostata, al pesce, che comunque è carne e che è uno degli alimenti più inquinati di metalli pesanti come mercurio e piombo, sul mercato, ricchissimo di grassi saturi e colesterolo e, nel caso di pesce di allevamento, ricco di antibiotici promotori della crescita. E poi grande attenzione alla carne tutta in generale e, soprattutto, ai salumi. I cibi di origine animale fanno male e ormai di evidenze scientifiche a confermarlo ce ne sono in abbondanza. Poi che ci siano in ballo altri interessi è fuori discussione…

Di che genere di interessi parla?

Purtroppo, come si può vedere anche in questi giorni, di interessi in gioco ce ne sono molti. Quelli dell’industria della carne, ovviamente, che si è affrettata fin da subito a negare persino l’evidenza proveniente dall’OMS. Ma anche quelli dell’economia italiana, del mercato, delle case farmaceutiche… Non si può lasciare che queste informazioni spaventino la popolazione, perché l’unico rischio che sta a cuore a certi settori è quello che calino i consumi, non certo quello per la salute umana. Per questo sia io che la Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana che molti colleghi esortiamo tutti i consumatori a informarsi per non assistere impotenti a questa nuova mistificazione, che vede ancora la salute sottomessa al profitto, esattamente come già accaduto per il fumo di sigaretta. Ci dicevano che bastava fumarla con il filtro, proprio come ci dicono che basta consumare carne italiana, e stare tranquilli… come se potesse fare differenza il dove la carne è prodotta. E’ imperativo non fidarsi delle rassicurazioni dei produttori, visto il loro palese conflitto di interessi, e occuparsi invece in prima persona della propria salute.

In molti sostengono che il problema non sia la carne in sé ma il metodo di lavorazione e il luogo in cui questa viene prodotta. Cosa ne pensa?

La cosa vera è che l’Europa e l’Italia sulla carne hanno controlli più stretti, più precisi e più efficaci. Per questo siamo maggiormente tutelati. Ma ciò non significa che, in Italia come altrove, la carne non sviluppi sostanze cancerogene dannose e, soprattutto, non significa che la frequenza di consumo, più che la provenienza, non siano incisive. E poi sfido qualsiasi consumatore di carne a vedere con certezza da dove la carne è arrivata, dove è stata prodotta o lavorata… C’è tantissima ignoranza, disinteresse e disinformazione in merito.

Perché secondo lei?

Interessi economici, gola e abitudini alimentari scorrette delle persone credo che siano i fattori maggiori. Sicuramente la non voglia di prendere coscienza, di cambiare per sé stessi, per la propria salute ma anche per la tutela degli animali e del pianeta. L’industria della carne e dei derivati è uno dei maggiori inquinanti in ambito ambientale.

In tanti sostengono che è normale, invece, che sia così. Che l’uomo è da sempre onnivoro e che i nostri nonni sono arrivati a novant’anni grazie a questa alimentazione. Cosa risponde?

Rispondo che non è assolutamente così. L’uomo nasce frugivoro non onnivoro. Nasce raccoglitore di frutta, bacche, radici, ortaggi… La carne la mangiava quando riusciva a raggiungere, catturare e uccidere un animale. Quindi sicuramente non spesso e comunque con un grande dispendio calorico. Anche i nostri nonni mangiavano carne molto raramente e quella che mangiavano non era di certo prodotta come al giorno d’oggi. Un tempo l’animale era libero, si cibava di alimenti sani, non era costretto a vivere in allevamenti intensivi, a cibarsi artificialmente e ad essere imbottito di sostanze chimiche.

Dopo la notizia dell’Oms, secondo lei, cambierà qualcosa?

Di certo questi dati hanno dato una bella scoccata all’industria della carne. Sempre più persone oggi, vuoi per paura o per maggiore consapevolezza, stanno iniziando a informarsi. Sempre più gente decide ogni giorno di intraprendere una dieta a base vegetale perché più sana, meno costosa, più etica o perché meno dannosa per l’ambiente. I motivi sono tanti… ma sta di fatto che, ormai, per fortuna, i prodotti vegani sono ovunque e anche la ristorazione tradizionale si sta adeguando a questo. Stiamo facendo passi da gigante.

Lei è ottimista?

Certo che sì! Quello di portare le persone verso un’alimentazione consapevole e sana è il mio lavoro. E sono totalmente convinta che l’alimentazione del futuro sia quella a base vegetale. L’unica alimentazione in grado di migliorare lo stato di salute delle persone, del pianeta e degli animali è quella vegana.

Fonte: ilcambiamento.it

L’ossessione degli Americani per la carne di pollo

Uno studio della University of Alberta Meat Control evidenzia i cambiamenti preoccupanti nelle dimensioni e nel peso dei polli negli ultimi 60 anni. Mentre in tutto il mondo aumenta il consumo della carne bianca a scapito di quella di manzo e di maiale.IlCambiamento_polli01

Il pollame è destinato a diventare la carne più consumata al mondo nel corso dei prossimi 5 anni, secondo un rapporto pubblicato dall’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD). Questo vale principalmente per gli Stati Uniti d’America, dove il consumo della carne di pollo supera di gran lunga quello di manzo e maiale. E, a causa delle continue raccomandazioni dietetiche nel mangiare meno carne rossa, l’ossessione degli Americani nei confronti della carne bianca di pollo non conosce sosta da 30 anni a questa parte. Le conseguenze di questi comportamenti alimentari però stanno raggiungendo limiti biologici e umani incredibili. Per avere un’idea di quanti polli finiscono sulle tavole degli Americani, basta comparare i dati del grafico sottostante: l’americano medio mangia pollo quattro volte in più rispetto a quanto faceva in passato, esattamente ai primi anni del 1900, secondo i dati dello United States Department of Agriculture (USDA). Al momento, si stimano circa 80 punti, pari a 9 galline l’anno pro capite.IlCambiamento_polli02

Oltre al danno, la beffa. Più gli americani mangiano pollo, più cresce la domanda, in un circolo vizioso senza freni dalle conseguenze allucinanti: il codice genetico delle galline viene forzato per soddisfare la fame degli Americani. «Se la gente continuerà a mangiare pollo in abbondanza – afferma Michael Lilburnprofessore presso l’Ohio State University’s Poultry Research Center – i polli dovranno diventare ancora più grandi. Probabilmente dovremo aumentare la quantità di carne nel petto delle galline». Delle dichiarazioni e delle stime che non lasciano dubbi: gonfiare le galline per soddisfare la fame degli Americani. L’industria del pollame ha dovuto adeguarsi e tenere così il passo di questa ossessione. Le nuove tecnologie degli anni ’40 del 1900 hanno permesso una migliore nutrizione dei volatili e un più efficace controllo delle malattie, oltre ad una proficua gestione della produzione. Più tardi, i progressi nell’imballaggio e nel trasporto hanno facilitato la crescita delle aziende avicole commerciali. Ma i passi da gigante l’industria li ha fatti selezionando i tratti genetici delle galline maggiormente commerciali, in particolare quelli dei volatili più grandi. Uno studio della University of Alberta Meat Control, pubblicato lo scorso autunno, evidenzia i cambiamenti preoccupanti nelle dimensioni e nel peso dei polli negli ultimi 60 anni. Gli uccelli, che un tempo pesavano poco più di 900 grammi in piena crescita, ora pesano più di 4 chilogrammi. Il grafico sottostante mostra il peso relativo a tre razze in tre diversi periodi: 1950, 1970 e 2005. E le galline “oversize” sono ora diventate uno standard industriale. Tutto è a base di carne bianca. E questo ha costretto l’industria a trattare uccelli di più grandi dimensioni.IlCambiamento_polli03

Ma come si è arrivati a tutto ciò? La carne bianca è quella più economica e accessibile. I bovini e i suini costano di più rispetto ai polli e questo facilita il consumo di essa anche tra le classi meno abbienti. Il pollo dunque è a buon mercato, ed è la fonte principale di proteine tra le carni. Per questo motivo, la Tyson Foods, il più grande produttore di carne, ha previsto una crescita costante della domanda di pollo. Se tutto va secondo i piani della multinazionale, le dimensioni del pollame cresceranno. «Ancora non si è raggiunto il limite massimo di peso – chiude Michael Lilburn – Probabilmente si raggiungerà il limite solo quando ci sarà una perdita di qualità del prodotto, quando gli effetti collaterali saranno troppo onerosi. Ma ancora siamo lontani da quel punto».

Fonte: ilcambiamento.it

Dimezzare i consumi di carne e latte per salvare il pianeta

Poichè mangiamo molte più proteine del necessario, sarebbe anche una buona scelta per la salute. Le sole emissioni di N2O della carne bovina sono pari a 25 volte quelle del grano, per cui si tratta di un impatto davvero pesante.

Il clima del pianeta sa cambiando non solo per le emissioni industriali, ma anche per le nostre abitudini alimentari. Secondo uno studio sostenuto dalla Commissione Europea, diventare demitariani, cioè dimezzare il consumo di carne e latticini (1)ridurrebbe del 40% le emissioni di N2O, un gas serra 300 volte più dannoso della CO2, oltre a giovare notevolmente alla nostra salute. I motivi? Sono semplici.

1. L’assunzione di proteine nell’Unione Europea è del 70% più alta rispetto ai valori raccomandati dall’OMS, quindi una buona parte delle proteine che mangiamo è superflua e dannosa.

2. L’inquinamento da azoto per kg di cibo consumato è 25 volte più alto per la carne di manzo che per il grano; per maiale, pollame, uova e latticini è da 3,5 a 8 volte più alto.

3. La terra non più usata per coltivare mangime potrebbe essere riforestata o riallocata per produzione locale di grano, mais, riso e legumi.

4. Le corrispondenti emissioni di N2O calerebbero tra il 25% (riallocazione) e il 40%(riforestazione). Le emissioni legate all’importazione della soia calerebbero del 75%.

Diventare demitariani è soprattutto una sfida culturale per chi consuma; dal punto di vista dei produttori, significherebbe puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità, ovvero, detto in forte sintesi, dimezzare la produzione raddoppiando i prezzi. Se volete conoscere la vostra impronta di azoto, potete provare a calcolarla qui.N-footprint

(1) La media italiana di consumo apparente (che include quindi anche lo spreco) è pari a 1,7 kg di carne  e 4,8 kg di latticini a settimana, ovvero rispettivamente circa 250 e 700 grammi al giorno.  Dimezzare i consumi non è probabilmente sufficiente per vivere in modo sostenibile, ma è comunque un buon modo per incominciare.

Fonte: ecoblog.it

Cosa puoi fare per aiutare il pianeta (almeno una volta alla settimana)

Smettere di mangiare carne una volta alla settimana non è naturalmente sufficiente per diventare sostenibili, ma almeno è un buon inizio per tutti i consumatori incalliti di proteine animali

Dopo la proposta radicale dell’ abolizione della carne, torna l’idea assai più moderata dei lunedì senza carne (meatless monday), diffusa a suo tempo da Paul McCartney e ripresa in Italia anche dalla LAV con i mercoledì senza carne. Il video qui sopra mostra i benefici effetti in termini di riduzione delle emissioni di CO2 che possono derivare dal ridurre di un settimo i nostri consumi di prodotti animali. Non si tratta però solo della CO2, perchè la produzione mondiale di carne ha un elevato impatto anche sulla deforestazione, i consumi di acqua e di energia. Il consumo mondiale di carne è cresciuto esponenzialmente con un tempo di raddoppio di 25 anni, il che significa che negli ultimi 50 anni esso è quadruplicato (dati FAO). Quanto a lungo possiamo pensare che il pianeta possa sopportare questa crescita?

Tanto per dirla tutta, non mangiare carne per un giorno alla settimana è di gran lunga insufficiente dal punto di vista ambientale. Per essere realmente sostenibili,  i giorni senza carne dovrebbero avvicinarsi più ai cinque-sei alla settimana (1), ma iniziare a smettere per  almeno un giorno è un buon inizio.Lunedì-senza-carne

(1) Come ho dettagliato nel libro Un pianeta a tavola, possiamo considerare sostenibile un allevamento che faccia uso solo di prati e pascoli non adatti alla coltivazione per uso umano diretto, il che ridurrebbe il consumo a circa il 25-30% dell’attuale. Si tratta quindi di circa 3-4 pasti alla settimana.

Fonte: ecoblog

Tassare la carne per ridurre le emissioni di metano

La proposta non viene da gruppi ambientalisti, ma da ricercatori di sette università. Una tassa sui consumi di carne ridurrebbe il numero di ruminanti sul pianeta contribuendo a mitigare in modo significativo i cambiamenti climaticiSorgenti-metano-e-ruminanti-small

La proposta di una tassa sui consumi di carne non viene da gruppi ambientalisti o vegetariani, ma da una ricerca ampia e articolata a cui hanno contribuito climatologi, esperti di scienze forestali, geografia ed ecologia sociale di sette diverse università. Le emissioni di metano dei ruminanti (bovini, ovini e caprini) assommano a 2,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno (1), più delle perdite dell’industria petrolifera e di tutte le discariche del pianeta. Il numero degli animali da allevamento è in crescita costante edè aumentato del 50% negli ultimi 50 anni da 2,4 a 3,6 miliardi di capi. Le emissioni dell’allevamento rappresentano il 14,5% delle emissioni totali dell’umanità. E’ evidente che tutto ciò è altamente insostenibile e che la consistenza degli allevamenti non può cresere ulteriormente, ma deve bensì diminuire. Osservano gli scienziati:

«Influenzare il comportamento umano è una delle maggiori sfide di ogni politica su larga scala ed è improbabile  che un cambiamento di dieta a livello globale possa avvenire in modo volontario e senza incentivi.

Introdurre una tassa o uno schema di emission trading sulle emissioni di gas serra del bestiame potrebbe essere una politica efficace che modificherebbe i prezzi al dettaglio e le abitudini dei consumatori.»

La riduzione degli stock di bestiame avrebbe anche l’effetto benefico di ridurre la deforestazione, soprattutto in Amazzonia, che causa ulteriori emissioni di CO2. Questo processo non sarà semplice, perchè si scontrerà con l’opposizione scontata degli allevatori. D’altra parte tutti coloro che sono coinvolti in un business insostenibile devono avere l’onestà intellettuale di fare un passo indietro.

(1) Per poter essere confrontate con quelle di CO2, le emissioni di metano devono essere moltiplicate per 34, pari al global warming potential su un arco di 100 anni. 34 è il nuovo valore dell’ultimo rapporto IPCC, superiore ai potenziali precedentemente pubblicati di 23 o 25.

Fonte: ecoblog