L’oncologa Patrizia Gentilini: «5G, troppi rischi. Occorre una moratoria»

L’oncologa Patrizia Gentilini, membro dell’associazione Isde-Medici per l’Ambiente, riafferma la necessità di una maggiore precauzione sul 5G, la tecnologia che si sta diffondendo con una esposizione ai campi elettromagnetici ancora maggiore per la popolazione: «Troppi rischi per la salute, occorre una moratoria».

L'oncologa Patrizia Gentilini: «5G, troppi rischi. Occorre una moratoria»

L’oncologa Patrizia Gentilini, membro dell’associazione Isde-Medici per l’Ambiente, riafferma da tempo, supportata da una nutrita schiera di scienziati, ricercatori e movimenti di cittadini, la necessità di una maggiore precauzione sul 5G, la tecnologia che si sta diffondendo con una esposizione ai campi elettromagnetici ancora maggiore per la popolazione. L’abbiamo intervistata.

Dottoressa Gentilini, il 5G, la nuova tecnologia che esporrà la popolazione a radiofrequenze ubiquitarie che connetteranno tutto ciò che ci sta intorno, pare essere ormai una scelta ineluttabile. Quali sono i potenziali rischi documentati e quali quelli non ancora completamente valutati e conosciuti?

La nuova tecnologia 5G (“5th Generation”) sarà una ulteriore fonte di esposizione a campi elettromagnetici (CEM) che andrà ad aggiungersi  a tutte le altre sorgenti di CEM ad alta frequenza cui già oggi siamo tutti esposti: antenne radio e TV, Wi-Fi, smartphone, tablet, telefoni cordless, cellulari,  dispositivi Bluetooth, ma anche ai CEM a bassa frequenza emessi da elettrodomestici, cavi elettrici, lampade etc. Con il 5 G ci sarà un cambiamento tecnologico enorme su scala globale che ci porterà ad avere case, imprese, autostrade, città sempre “collegate in rete” e auto a guida autonoma. L’obiettivo dichiarato è di arrivare, entro il 2022, a fare in modo che nelle case di almeno l’80% della popolazione nazionale (il 99,4% entro giugno 2023) ci sia la copertura 5G. Secondo l’AGCOM, per raggiungere questi obiettivi l’infrastruttura di rete del 5G sarà pienamente operativa con una densità di circa un milione di dispositivi connessi per Km2. Tutto ciò farà aumentare ulteriormente l’esposizione dell’intera popolazione ai CEM che dall’avvento delle telecomunicazioni nel secolo scorso sono aumentati a dismisura. Bisogna ricordare che le frequenze  delle onde radio non esistono in natura e quindi né la  nostra specie, né le altre specie viventi mai erano state esposte. Fino al 1940 il fondo naturale pulsato era di 0,0002 V/m ( Volt/metro),  mentre attualmente il tetto legalizzato in Italia è di 6 V/m; si tratta di una media su 24 ore  e non più  del valore soglia da non superare.  Questa apparentemente piccola modifica  (media e non più soglia) è stato un “regalo” del governo Monti  alle compagnie telefoniche nel 2012; con il 5G il limite potrebbe crescere ulteriormente fino a 61 V/m e va ricordato che a tutt’oggi, come è stato di recente ribadito da ARPA Piemonte nel corso di un Convegno svoltosi all’Ordine dei Medici di Torino, che a tutt’oggi non esistono dispositivi in grado di misurare i CEM generati dalle antenne del 5G!

Come si potrà chiedere il rispetto dei limiti se non si è al momento in grado di effettuare le misurazioni?

Il 5G inizialmente userà le bande 700 MHz, 3.4-3.8 GHz, 26 GHz (onde centimetriche) e, successivamente, le bande comprese nella gamma tra 24.25 e 86 GHz ( onde millimetriche). Questo tipo di  onde penetra nella cute fino a 10mm e  per i fautori del 5G questa limitata penetrazione viene considerata scevra da rischi per la salute, ma non è affatto così, perché la penetrazione anche di un solo centimetro nella cute  può generare effetti sulle cellule cutanee,  in particolare danni alle membrane cellulari dei cheratinociti , ma anche alterazioni delle terminazioni nervose, delle ghiandole sudopripare e del microcircolo con liberazione di citochine infiammatorie e  potenziali effetti sia locali che sistemici. C’è da dire che le onde centimetriche erano conosciute in Unione Sovietica già negli anni ’50 ed uno studio del 1955 riporta che anche una singola esposizione a onde centimetriche in conigli aveva indotto seri danni agli occhi con sviluppo di cataratta. Attualmente  disponiamo di altre numerose conoscenze derivanti da indagini sperimentali condotte sia su colture cellulari che su animali, mentre ovviamente mancano conoscenze adeguate sul piano epidemiologico. I dati sperimentali  attestano che le onde centimetriche/millimetriche possono indurre l’alterazione dell’espressione genica e delle membrane citoplasmatiche, modificare la funzionalità dei sistemi neuro-muscolari,  aumentare della temperatura della cute, stimolare la proliferazione cellulare, modulare la sintesi di proteine coinvolte in processi infiammatori/immunologici. Inoltre l’esposizione di fibroblasti umani adulti e fetali a 25 GHz per 20’ ha comportato effetti sui cromosomi (aneuploidia) noti come predisponenti al cancro. Per quanto riguarda altri tipi di frequenze, quali quelle dei cellulari o delle antenne radio –base, disponiamo viceversa di moltissimi studi sia epidemiologici (ovvero sulle popolazioni esposte) che sperimentali che attestano i numerosi effetti biologici che vanno ben oltre l’effetto termico, ossia l’azione di riscaldamento dei tessuti, l’unica di cui si tiene conto per stabilire i limiti di legge.

In sintesi  gli effetti dei CEM suddetti sono sia  cancerogeni  che  non cancerogeni .

Fra questi ultimi ricordo:

-effetti genotossici : mutazioni geniche, aberrazioni   cromosomiche, scambi tra cromatidi, micronuclei, danni al DANN

-effetti epigenetici: attivazione di oncogeni, sintesi riparativa del DNA, alterazione di proteine funzionali

-riduzione della sintesi di melatonina

 -aumento della concentrazione di perossidi e radicali liberi

 -alterazione della concentrazione del Calcio

-inbizione della apoptosi (morte cellulare programmata)

-induzione di “proteine da shock termico“

-alterazione della funzionalità del sistema immunitario.

 -i CEM/ELF possono interagire sinergicamente con altri cancerogeni genotossici (radiazioni ionizzanti, idrocarburi aromatici policiclici, derivati del benzene, formaldeide).

Per quanto riguarda l’azione cancerogena ricordo che nel 2017 sono state pubblicate almeno 3 metanalisi che hanno preso in esame decine di studi epidemiologici caso-controllo. Si tratta di decine di migliaia di casi ( ovvero di soggetti affetti da tumori cerebrali) e ancor più controlli sani in cui è stata indagato l’utilizzo del cellulare. Da questa grande mole di dati è emerso che l’utilizzo del cellulare per oltre 10 anni , specie se ipsilaterale,  comporta un incremento del rischio di tumori cerebrali di oltre il 30% nel loro complesso e del 44%  per i gliomi, la forma più aggressiva di questo gruppo di tumori. Infine nel 2018 sono stati pubblicati anche i risultati di due ampi studi sperimentali, uno condotto negli USA  a cura del National Toxicology Program che ha valutato l’esposizione di 7mila topi da laboratorio (sacrificati a 106 settimane) a radiazioni corrispondenti all’intensità solo del 2G e 3G; l’altro condotto in Italia dall’ Istituto Ramazzini di Bologna che ha usato frequenze più basse (quelle tipiche delle stazioni radio-base) e si è protratto fino alla morte naturale degli animali. Entrambi gli studi – pur utilizzando frequenze diverse-  hanno trovato gli stessi risultati: aumento ‘statisticamente rilevante’ del numero dei tumori,  in particolare rarissimi tumori delle guaine nervose  al cervello e al cuore. Vi sono quindi tutti i presupposti per ipotizzare che anche sull’uomo e sugli altri organismi viventi ill 5 G, che si aggiungerà a quanto già in essere, non potrà che fare aumentare i rischi per la salute umana e si tratta di rischi niente affatto trascurabili e a cui nessuno potrà sottrarsi. Infatti, per la diffusione capillare del 5 G su tutta la superficie terrestre, che a sua volta sarà connesso con satelliti nello spazio, nessun essere vivente potrà sottrarsi agli effetti di questa tecnologia. Non sarà quindi come col cellulare o con altri dispositivi elettronici che possiamo decidere o meno di usare o comunque di avere precauzioni, col 5 G saremo tutti  ed inevitabilmente irraggiati. Ritengo  paradossale che una tecnologia che non è stata adeguatamente studiata, ma per cui esistono già numerosi indizi circa la sua pericolosità,  venga imposta per ora a 4 milioni di italiani e nel giro di pochi anni all’intera popolazione. Non per nulla si chiama “sperimentazione 5G”: credo che a nessuno di noi piaccia fare da cavia, oltretutto in assenza di qualunque adeguata informazione  e senza un  consenso scritto, cosa quest’ultima che ci viene richiesta anche per il più banale intervento medico!  E  possiamo affermare con certezza che se il 5G fosse un farmaco non avrebbe superato neppure la fase pre-clinica di sperimentazione. 

È nata una grande mobilitazione critica nei confronti dell’introduzione di questa tecnologia. Del fronte fanno parte scienziati autorevoli. Chi sono, oltre a te, coloro che si impegnano in questo appello alla precauzione?

L’allarme sui rischi derivanti dai CEM da parte di scienziati indipendenti è in atto già da anni: nel 2015 191 scienziati di 41 paesi hanno lanciato un allarme alle Nazioni Unite (ONU) e all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) affermando che:  “numerose recenti pubblicazioni scientifiche hanno dimostrato che i campi elettromagnetici colpiscono organismi viventi a livelli molto al di sotto della maggior parte delle linee guida internazionali e nazionali. Più di 10.000 studi scientifici sottoposti a peer review dimostrano danni alla salute umana derivanti dalle radiazioni RF”. Sul 5G poi la mobilitazione sia a livello internazionale che nazionale è davvero poderosa anche se – come è facile aspettarsi – il parere di chi avanza dubbi e perplessità trova ben poco spazio. A livello internazionale ricordo il prof Martin Pall , prof emerito di Biochimica e di Scienze Mediche della Washington State University, che ha inviato alle istituzioni europee e statunitensi una revisione di studi che dimostrano la pericolosità della tecnologia 5G, ma anche i 29 autori (di cui 10 in possesso di titoli medici)  provenienti da 10 diversi paesi che hanno stilato e costantemente aggiornano il rapporto BioInitiative. In Italia ricordo  la Dott.ssa Fiorella Belpoggi direttrice dell’Istituto Ramazzini, il Dott Agostino di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico Internazionale di ISDE che ha pubblicato nel 2018 un importante lavoro di revisione sul 5G, ma anche ricordo il Dott Massimiliano Pietro Bianco di European Consumers, cui va il principale merito del recente “Rapporto Indipendente sui campi elettromagnetici e sulla diffusione del 5 G”,  un lavoro di 140 pagine. Ricordo infine che al 5G Isde ha dedicato una intera pagina del proprio sito, aggiornata con le varie iniziative e in cui sono riportati i comunicati con richiesta di moratoria stilati già anni fa. 

Che scenario si va configurando secondo lei?

Lo scenario è sicuramente inquietante: sia chiaro nessuno di noi è contro le innovazioni e il progresso tecnologico, ma tutto questo dovrebbe essere governato con molta maggiore saggezza e lungimiranza e le questioni che entrano in gioco sono molteplici. A parte i rischi biologici di queste tecnologie, che ho prima ricordato, vorrei che non si trascurassero gli effetti psicologici che dispositivi  quali cellulari, tablet etc hanno sui bambini, anche di pochi mesi, cui troppo spesso vengono dati,  magari per distrarli e  tenerli tranquilli. Quale è la percezione della realtà che si sviluppa in questi soggetti e che confini potranno esistere fra mondo reale e mondo virtuale se facciamo di tutto per “sfumare” questi confini? Altro aspetto inquietante: questo mondo iper connesso e sempre più veloce davvero ci farà essere più felici, più attenti e più responsabili verso gli altri? Il fatto che già ci siano ad esempio in commercio pannolini “intelligenti” che avvisano quando il bambino è da cambiare o che sono obbligatori i seggiolini che avvisano se il piccolo viene dimenticato in auto non ci renderà sempre meno attenti e responsabili, facendoci “delegare” a strumenti tecnologici anche quanto di più innato dovrebbe esserci, ovvero la cura della prole? Sistemi di protezione sono certamente auspicabili, ma si potrebbero cercare altre soluzioni.  Altra cosa e non certo meno importante è il controllo capillare e costante di ogni nostra azione, contatto, spostamento, acquisto etc. alla faccia della tutela  della privacy : chi avrà accesso a questa enorme mole di dati e che uso ne verrà fatto? Ed infine in un mondo in cui le auto saranno senza guidatore e tanti altri lavori faranno a meno dell’uomo, come la mettiamo con la necessità di occupazione? Chi controllerà il mercato del lavoro?  Certamente in una fabbrica in cui lavorano robot non ci saranno scioperi e proteste, e questo per chi comanda  è  certamente quanto di più desiderabile possibile- ma questo non potrà che portare ad una concentrazione ulteriore delle ricchezze e del potere con una accentuazione delle disparità già oggi impressionanti.  Temo che questo modello tecnologico sia solo funzionale ad una ulteriore concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e sempre più potenti attori che già oggi  vede nel solo 1 per cento della popolazione mondiale il monopolio delle risorse globali. Quando anche tutte le informazioni, compreso quelle più intime e personali saranno in enormi banche dati, cosa ci rimarrà ? Sarà davvero una società più equa, più democratica quella che ci aspetta, o sarà esattamente il contrario? Come ci insegna Vandana Shiva, “Devono risorgere la vera conoscenza, la vera intelligenza, la vera ricchezza, il vero lavoro, il vero benessere”, in modo che le persone possano riacquisire il loro diritto a vivere liberamente, pensare liberamente, respirare liberamente e mangiare liberamente.

Fonte: ilcambiamento.it

Elettrosmog: come combatterlo per salvaguardare la nostra salute

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Che cos’è l’ elettrosmog e come si può ridurre il suo impatto nocivo. Varie volte ci siamo trovati a parlare dei rischi dell’inquinamento elettromagnetico. Conosciuto anche come elettrosmog,è l’inquinamento ambientale causato da onde elettromagnetiche. In un contesto in cui i dispositivi elettronici sono diventati parte integrante della quotidianità umana, non è più possibile non comprendere l’importanza di difendere il nostro organismo dai danni causati dall’elettrosmog. Ecco alcune risposte e la descrizione più avanti di un dispositivo veramente efficace, il Transmission, che è bene utilizzare per proteggersi.

Inquinamento elettromagnetico: cos’è e perché è importante difendersi

L’inquinamento elettromagnetico, o elettrosmog, è una realtà che ci ha sempre accompagnati. Nell’ambiente, infatti, esistono delle fonti naturali che causano elettrosmog: parliamo dell’irraggiamento cosmico e solare, delle reti magnetotelluriche, dei fulmini. A queste fonti naturali, però, vanno aggiunti anche i campi elettromagnetici generati dalle tecnologie usate dall’uomo. Ogni passaggio di energia, infatti, determina nello spazio circostante un campo elettromagnetico. Mai come adesso, dunque, l’organismo umano è stato esposto ed alterato dalle onde elettromagnetiche, a causa dell’uso smodato di apparecchi di telefonia mobile, di ripetitori, computer, forni a microonde, e dalla presenza di ripetitori,elettrodotti, radar, reti wireless,satelliti e così via.

A riprova nella figura sotto le alterazioni termiche della zona encefalica causate dal cellulare

(Fig. a sinistra prima della telefonata e fig. a destra dopo 15 soli minuti di uso del cellulare)

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Questa sentenza del tribunale di Ivrea è stata la prima al mondo a riconoscere i danni da cellulare http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/04/20/news/ivrea_tumore_al_cervello_per_uso_eccessivo_del_telefonino_inail_condannata_a_pagare_e_la_prima_volta-163447227/

I rischi legati all’ elettrosmog

I rischi legati all’esposizione all’inquinamento elettromagnetico dipendono dall’intensità dei campi e dalla distanza dalla sorgente. Basti pensare che nel luglio 2001 lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha inserito i campi elettromagnetici nella classe 2B dei “possibili cancerogeni”, affermando che sussiste una “consistente associazione statistica” tra l’esposizione a campi elettromagnetici al di sopra di 0,4 microtesla ed un aumento del rischio di leucemie infantili.

Per questo motivo è importantissimo proteggere il nostro organismo dagli effetti causati da un’esposizione prolungata all’inquinamento elettromagnetico, soprattutto per quanto riguarda i più piccoli, dal momento che la loro struttura ossea ha uno spessore ridotto rispetto a quella di un adulto e per questo motivo nel loro corpo penetrano con più facilità le onde elettromagnetiche. Al giorno d’oggi e’possibile proteggersi utilizzando alcuni dispositivi presenti in commercio, come ad esempio i Biomagneti al Silicio L.A.M.® antielettrosmog che, oltre a proteggere l’essere umano e il suo habitat, fanno anche risparmiare in maniera notevole. Lo staff di Geolam, composto da esperti nei settori della microelettronica e dell’informatica ha messo a punto, iniziando le proprie ricerche nel Maggio del 1994,una serie di Biomagneti al Silicio L.A.M.® anti elettrosmog, che sono tutti conformi alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2001/95/CE del 3 Dicembre 2001 recepita con D.Lgs. 172 e successivi, vengono prodotti con tecnologia totalmente italiana e sono registrati alla Farmadati e per questo motivo venduti anche in farmacia. Lo staff di coloro che testano i dispositivi della Geolam è composto da un nutrito team di professionisti ed esperti, che da oltre 20 anni si occupano di sperimentazione sui dispositivi prodotti. Accanto a medici con varie specializzazioni sono presenti docenti di varie discipline olistiche, oltre ad esperti di medicina bioelettronica. Per quanto riguarda la validità soggettiva ed oggettiva, dei Biomagneti al Silicio L.A.M.®, la Geolam riceve continuamente da siti campione sparsi sul territorio relazione scritta sul loro funzionamento. A tale proposito facciamo notare che sono stati bonificati da Geolam interi paesi e acquedotti comunali.

Parliamo ora in particolare del Biomagnete al Silicio L.A.M.® antielettrosmog mod. “TRANSMISSION”ad uso personale

Il biomagnete ideato da Geolam può essere la soluzione personale ideale per difendere l’organismo dagli effetti dell’inquinamento elettromagnetico.

E’ conforme alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2001/95/CE del 3 Dicembre 2001 recepita con D.Lgs. 172 e successivi, viene prodotto con tecnologia italiana,è registrato come parafarmaco con il codice 923417101 ed è classificabile come DPI (Dispositivo di Protezione Individuale) di 1° categoria come da D.Lgs. 475/92. Alla vista, si presenta come un comune bracciale (vedi foto sotto). Al suo interno è in realtà presente una struttura in silicio opportunamente programmata per migliorare la resistenza dell’organismo all’inquinamento elettromagnetico.elettrosmog-trasmission-ambientebio

I benefici del dispositivo

L’obiettivo dello strumento è quello di ridurre le problematiche più frequenti causate dall’elettrosmog, quali ad esempio:stress, affaticamento, emicranie, disturbi del sonno e dell’apparato digerente. È un prodotto pensato per chi ha uno stile di vita dinamico e per chi, più di tutti, subisce gli effetti dell’elettrosmog, come bambini e anziani.

Ma i suoi benefici non si limitano solo a questo. Il bracciale, infatti, migliora organoletticamente tutto ciò che si assume per via orale e si è notato,da test eseguiti in laboratorio,che le intolleranze alimentari diminuiscono in maniera notevole e che negli sportivi le prestazioni agonistiche migliorano. Test di laboratorio effettuati sul sangue di volontari, che indossavano Transmission, hanno mostrato una fortissima riattivazione del sistema immunitario grazie alla declusterizzazione degli eritrociti. Questi effetti positivi si riscontrano non solo indossando il braccialetto, ma anche semplicemente stazionando all’interno del raggio d’azione dei vari prodotti ambientali della Geolam:Combiplus,Geos,Travel e Purity. Il bracciale è in silicone (facilmente adattabile alla misura del proprio polso) e Transmission è disponibile anche sotto forma di ciondolo per animali. Ha un periodo di funzionamento di minimo 10 anni garantiti. Sul suo sito ufficiale http://www.geolam.org il responsabile della Geolam, Luciano A. Mion,  che ha creato i Biomagneti al Silicio L.A.M.®anti elettrosmog,fornisce inoltre alcune consigli e informazioni utili gratuite su come proteggersi dall’inquinamento elettromagnetico, come nel caso si voglia schermare il proprio cellulare, quando si riposa, a costo zero.

Fonte: ambientebio.it

Antenne: task force per dire no all’aumento dei limiti

Vogliono alzare i limiti per i campi elettromagnetici e dunque peggiorare il livello di elettrosmog: è l’allarme lanciato dal dottor Giorgio Cinciripini, membro fondatore della Rete esmog free Italia. Il 21 febbraio a Ostia uno workshop per costituire a livello nazionale una Task Force “che contrasti questi progetti”antenne

Si riunirà sabato 21 febbraio ad Ostia il primo Workshop operativo per organizzare le strategie dirette ad arginare le iniziative governative di modificare, innalzandoli, i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, attualmente in vigore nel nostro Paese. L’appuntamento è dalle ore 10 alle ore 18, presso la Sala Congressi dell’hotel Sirenetta (Lungomare Toscanelli, Ostia, Roma). “L’allarme si è diffuso con la presentazione alla Commissione Europea di due documenti delineanti, rispettivamente, la “strategia per la banda ultralarga” e per la “crescita digitale” – spiega la Rete No Elettrosmog Italia –  in cui sono contenuti i propositi di adeguare il nostro Paese ai limiti elettromagnetici europei nonché di diffondere nei luoghi indoor, in particolare scuole, ospedali ed uffici pubblici, la tecnologia wi-fi. Si tratta di propositi che vanno nella direzione opposta ai valori che hanno ispirato il nostro Paese al tentativo di applicare il Principio di Precauzione e che, se adottati, rischiano di condannare l’Italia tra i paesi a più alto tasso di elettrosmog nel contesto europeo. Ciò in quanto tali provvedimenti avrebbero il duplice effetto di liberalizzare l’installazione di migliaia e migliaia di tralicci, torri ed antenne radio base per la diffusione del servizio radiomobile nonché di sanare il parco antenne più numeroso d’Europa, che il territorio nazionale sopporta da anni per gran parte in regime di abusivismo urbanistico ed ambientale. Ma con questo tentativo si rischia, inoltre, di vanificare tutto il lavoro del legislatore, culminato proprio 14 anni fa con la legge quadro 21 febbraio 2001, che ancora attende in larga parte di essere completata con una serie di decreti attuativi. Già i governi precedenti si sono distinti per aver varato provvedimenti diretti a semplificare le procedure autorizzative per gli impianti di telefonia mobile (Decreto Sviluppo, Crescita bis, Sblocca Italia); questa ulteriore iniziativa, senza dubbio la più sciagurata, porrebbe la pietra tombale ai propositi di rendere il nostro Paese tra i più cautelativi e, insieme, sensibili ai richiami della evoluzione tecnologica”. L’incontro di sabato 21 febbraio ad Ostia avrà tra gli obiettivi quello di creare una “Task Force sull’Elettrosmog”, in grado di contrastare questi incauti progetti e di intervenire per conservare e semmai migliorare in senso cautelativo gli attuali limiti. Hanno già confermato la partecipazione scienziati e ricercatori di ambito internazionale, rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali, di associazioni e movimenti per la tutela della salute e dell’ambiente

Fonte: ilcambiamento.it

Elettrosmog, dna e tumori: il libro shock

Un libro shock uscito negli Stati Uniti analizza ed espone gli studi che correlano i cellulari e le alterazioni biologiche negli esseri viventi. E l’autore afferma: “E’ il più grande esperimento biologico mai autorizzato finora”.torre_faro

Nel 2013 l’Onu ha lanciato un allarme nel documento Millenium Developer Goals Report: nel giro di sei mesi si stimava che il numero di cellulari avrebbe potuto raggiungere quello degli abitanti sulla Terra. Questo non significa ovviamente che tutte le persone del mondo posseggono ad oggi un cellulare: ci sono infatti più di 91 Paesi che detengono una media di più di due cellulari a persona, altri meno. Ma il dato fa riflettere sull’uso spropositato di questo strumento da parte dell’uomo. Molti sono stati gli allarmi lanciati da studiosi e dalle istituzioni sugli effetti dannosi dei campi elettromagnetici, cellulari compresi, sulla salute dell’uomo. L’inquinamento elettromagnetico è, nell’opinione comune, uno dei temi maggiormente sentiti e avvertiti, uno dei temi su cui si ha poca informazione ma che crea, al tempo stesso, ansia e preoccupazione. La sua “intangibilità” e la sua “invisibilità” lo rendono ancor più preoccupante. Un libro, pubblicato negli Stati Uniti, ma non ancora in Italia, aiuta a fare maggiore chiarezza sull’argomento. Scritto da Martin Blank, docente universitario, ha un titolo eloquente, “Overpowered: What science tells us about the dangers of cell phones and other wifi-age devices”. L’autore spiega il problema dei campi elettromagnetici in modo diverso rispetto a quanto fatto finora. Egli afferma che tutti noi stiamo partecipando ad un esperimento non autorizzato, il “più grande esperimento biologico mai autorizzato finora, che si basa sul contatto giornaliero tra le nostre teste e i trasmettitori di onde ad alta frequenza, i cellulari appunto”. I conseguenti effetti negativi sulla salute umana possono richiedere decenni per svilupparsi. “Quindi dovremmo attendere molti anni per conoscere i risultati di questo esperimento globale – afferma l’autore – Ma ciò potrebbe essere troppo tardi per miliardi di persone”. Cosa fare allora? Da decenni oramai infuria un dibattito sulla questione. Un vero e proprio scontro a due facce. Da un lato ci sono coloro che sollecitano l’adozione di un approccio precauzionale al rischio(ed è questa la posizione di Blank), mentre si continuano a studiare gli effetti sulla salute umana all’esposizione dei campi elettromagnetici. Dall’altro lato ci sono coloro che insistono nell’aspettare una risposta definitiva e certa dei risultati prima di intraprendere qualsiasi azione. In questo gruppo ci sono ovviamente le industrie. Per il momento sta vincendo la seconda parte: è appunto sotto gli occhi di tutti il mercato tecnologico dei cellulari, con l’immissione nello stesso di nuovi e più sofisticati prodotti, sempre più appetitosi per l’uomo. L’industria infatti dà segnali tesi a tranquillizzare, mentre scienziati indipendenti e comitati di cittadini avvertono dei rischi. Gli Stati, che cedono all’asta le licenze, oscillano tra queste due posizioni.
Ma i cellulari non sono i soli generatori di campi elettromagnetici. Ci sono i forni a microonde, televisori e computer, l’intera rete elettrica, impianti di allarme di sicurezza, trasmettitori radiotelevisivi, e trasmettitori per la telefonia mobile. “Oggi, all’inizio del 21 secolo, siamo immersi pienamente in un calderone di radiazione elettromagnetica su base continua” – si legge nel libro. E, nonostante la scienza non abbia ancora risposto a tutte le domande poste sugli effetti dannosi o meno dell’elettromagnetismo sulla nostra salute, essa ha dimostrato però una vasta gamma di effetti biologici legati all’esposizione continua ai campi elettromagnetici. L’autore espone sedici studi scientifici che hanno ravvisato mutazioni del dna a cui fa seguito lo sviluppo dei tumori, in particolare quelli cerebrali: si calcola che il rischio è superiore del 240% tra coloro che fanno un uso quotidiano e prolungato del cellulare per 10 anni. Non solo, ma uno studio israeliano ha scoperto che le persone che utilizzano i telefoni cellulari per almeno 22 ore al mese hanno una probabilità del 50% in più di sviluppare tumori alla ghiandola salivare. E gli individui che vivevano per più di 10 anni nel raggio di 400 metri da una torre di trasmissione di telefonia mobile avevano un tasso di cancro tre volte superiore a quelli che vivevano ad una distanza maggiore. Gli studi ci sono. E tanti. A tal punto da spingere l’Organizzazione Mondiale della Sanità a dichiarare ufficialmente che le microonde generate dall’uso dei cellulari,wi-fi, cordless o tablet sono “potenzialmente cancerogene”. E in Italia qual è la situazione? Anche nel Bel Paese il problema è sentito, nonostante la presenza di leggi, non sempre rispettate. A regolare la materia è il Decreto Ministeriale n.381 del 10 settembre 1998, relativo al “Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”. Esso fissa, tra le altre cose, il valore limite di 6 volt/metro dei campi elettromagnetici riguardanti la telefonia cellulare in corrispondenza di zone abitate. E demanda alle regioni e alle province la disciplina dell’installazione degli impianti al fine di garantire i limiti espressi dalla legge. Limiti che purtroppo nella maggior parte dei casi non sempre vengono rispettati. Ed è per questo che assume un’importanza elevata la vigilanza dei cittadini. Secondo il dott. Francesco Imbesi, del Centro Consumatori di Bolzano, sensibile alla materia, i cittadini attivi possono impegnarsi in molti modi per rendere migliori le nostre condizioni di vita, consigliando di porsi alcuni obiettivi: informare i consumatori, soprattutto giovani e bambini, sui rischi legati all’uso del cellulare; vigilare sulla pianificazione dei ripetitori da parte delle amministrazioni pubbliche; vietare l’utilizzo di cellulari nei mezzi pubblici; ridurre i valori di soglia, con l’obiettivo di sostituire i valori definiti unicamente in base agli effetti termici con valori stabiliti in base all’introduzione di principi medici di prevenzione. In conclusione, analizzando con spirito critico gli studi scientifici pubblicati finora e considerando la sistematica sottostima del rischio che caratterizza il protocollo utilizzato, emerge con sufficiente chiarezza l’incremento del rischio di tumori alla testa osservabile dopo lunga latenza o uso prolungato dei telefoni cellulari.

Fonte: il cambiamento.it

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Una ricerca ha stabilito che utilizzandole a una distanza inferiore  ai 30 centimetri possono provocare infiammazioni a nervi e muscoli.

Misurazioni eseguite dimostrano che le lampade a basso consumo generano potenti campi elettromagnetici a poca distanza dalla sorgente, fino ad un metro. Il centro indipendente di ricerche francese CRIIREM (Centre de recherche et d´information sur les rayonnements electromagnetiques) sconsiglia pertanto di utilizzare lampadine a basso consumo energetico a brevi distanze, come ad esempio per illuminare i comodini delle camere da letto o le scrivanie. La messa al bando delle lampadine ad incandescenza porterà quindi ad un aumento delle persone sottoposte ad alti livelli di radiazioni elettromagnetiche. Una lampada a basso consumo contiene da 3 a 5 mg di mercurio, una sostanza estremamente tossica per il cervello, il sistema nervoso, i reni ed il fegato. Sebbene si dica che queste lampade hanno un basso contenuto di mercurio, questo quantitativo è più che sufficiente a causare seri danni alla salute. In modo particolare sono a rischio le donne in stato di gravidanza ed i bambini piccoli, poiche’ il mercurio influisce sullo sviluppo del cervello e del sistema nervoso del feto e del neonato. In una rivista del “Gruppo Italiano LES”, “Icaro”, vi è un articolo dove le lampadine fluorescenti compatte -LFC-(note come lampadine a basso consumo energetico), considerate un toccasana per l’ambiente, provocano invece ulteriori gravi danni alle persone affette dal LES o da altre malattie (o disturbi) quali, per esempio, l’autismo, l’epilessia e l’emicrania. Non avvicinatevi a meno di trenta centimetri dalle lampade a risparmio energetico. È il suggerimento diffuso dall’Ufficio federale della sanità pubblica svizzera in seguito ad un’indagine condotta dalla «It’Is Foundation» (Fondazione di ricerca sulle tecnologie dell’informazione nella società) di Zurigo diretta dal professor Niels Kuster del locale Politecnico. La ricerca voleva determinare con precisione, grazie ad un nuovo metodo di misura, i campi elettromagnetici generati dalle nuove lampade a risparmio ora utilizzate in seguito alla decisione dell’Unione Europea di mettere al bando le tradizionali lampade ad incandescenza entro il 2012. In particolare interessava stabilire gli effetti generati sul corpo umano e a tal proposito si precisa che i valori di intensità rilevati a 30 centimetri dalle lampade considerate sono inferiori (10 per cento) alla soglia raccomandata dalla International Commission for Nonionizing Radiation Protection. Se però ci si avvicina al di sotto dei tre decimetri i valori misurati crescono rapidamente fino a superare in alcuni casi i limiti stabiliti. Per questo «a titolo prudenziale» l’ufficio della sanità pubblica di Berna invita a mantenere l’opportuna distanza soprattutto se le lampade restano a lungo accese come nel caso di quelle poste sulla scrivania. La ricerca è stata condotta utilizzando quattro manichini che rappresentavano un uomo, una donna, un bambino di 6 anni e una bambina di 11 scandagliati in posizioni diverse e a varie distanze. Le lampade a risparmio energetico sono dotate di un trasformatore ed emettono campi elettrici e magnetici a bassa e media frequenza che possono generare nell’organismo correnti elettriche le quali, a partire da una certa intensità, sono in grado di provocare infiammazioni dei nervi e dei muscoli. In passato era stato sollevato anche il problema dell’inquinamento perché al loro interno contengono pure una quantità esigua di mercurio (inferiore ai 5 milligrammi) che in caso di rottura del bulbo può disperdersi nell’aria. Inoltre le lampade a basso consumo con tubo fluorescente, in certe condizioni, lasciano filtrare una piccola parte dei raggi ultravioletti per cui ad una distanza inferiore a 20 centimetri dopo una lunga esposizione non si possono escludere eritemi cutanei. «La decisione svizzera è un buon provvedimento che dovremmo seguire — precisa Settimio Grimaldi, biofisico dell’Istituto di neurobiologia e medicina molecolare del Cnr —. E non solo per le lampade ma anche per frigoriferi e lavatrici. Anch’essi emettono campi elettromagnetici e l’unico modo di difendere la nostra saluta eliminando gli effetti negativi è quello di mantenere le distanze suggerite dall’indagine di Zurigo».

Giovanni Caprara

Fonte “https://www.facebook.com/pages/EcoResistenza/203737476337348?fref=ts”

Tratto: ambientebio.it

Cancro, i rischi ambientali sono sottostimati in Francia: e in Italia?

Jean-Paul Vernant professore di ematologia all’università ha consegnato al ministro per la Salute francese il terzo Plan cancer, ossia lo studio, ricerche e raccomandazioni per prevenire il cancro dal 2014 al 2018159978713-594x350

Si legge nel rapporto Plan cancer 3:

I dati epidemiologici recenti e le stime di rischio attribuiscono alle esposizioni ambientali un numero importante di decessi per cancro. In effetti le esposizioni sono multiple e soggette a numerosi fattori che causano confusione. Solo il radon è divenuto oggetto di una legge per la tutela per la salute pubblica nel 2004, deplora il documento. Se la diagnostica è stata organizzata non lo sono state le misure di protezione, mai recensite. Il secondo Plan cancer ha esteso il controllo circa la salubrità dell’habitat e fornito informazione alle persone ma è ancora insufficiente.

Il documento ricorda che i campi elettromagnetici possono essere cancerogeni come anche il particolato emesso dai motori diesel e dunque gli autori raccomandano di diminuire le soglie tollerabili per l’esposizione e di limitare le fonti di inquinamento industriale e urbano inclusa anche una limitazione della contaminazione delle acque per elementi tossici come i pesticidi. Altro punto in discussione è la richiesta di aumento del numero di gruppi di ricerca che lavorino sui legami cancro/ambiente:

Il numero riconosciuto di cancro di origine professionale è ancora incerto, particolarmente per il cancro non legato all’amianto. Sui 1773 casi di cancro riconosciuti nel 2010 (-3,1% rispetto al 2009), 1473 risultano per esposizione all’amianto ma solamente 74 risultano causati da esposizione a polvere di legno, 63 a oli e catrame e 41 al benzene. Ciò è dovuto evidentemente a una documentazione insufficiente per cui viene proposta la dichiarazione dell’esistenza del cancro come malattia professionale.

Purtroppo nota il professore Vernant:

La messa in atto di una politica di trattamento dei siti inquinati da cancerogeni riconosciuti, ossia le bonifiche, è ancora minima.

Lo studio inoltre sottolinea i rischi più estesi di contrarre cancro come malattia professionale per i lavoratori delle classi svantaggiate, ossia più povere.

Fonte:  Actu-Environment

La percezione del rischio campi elettromagnetici: una problematica ancora attuale

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In ambito di prevenzione e sicurezza, i campi elettromagnetici costituiscono una tipologia di rischio che suscita ancora perplessità nella popolazione, non sono in Italia ed in Europa, ma in tutto il mondo

I risultati delle ricerche portate avanti nel corso degli ultimi 10 anni non hanno fornito purtroppo risposte conclusive ed omogenee per quanto riguarda gli effetti della esposizione ai campi elettromagnetici sulla nostra salute.

E’ pertanto possibile affermare che ci si trova di fronte ad un fenomeno complesso caratterizzato da una rilevante incertezza dal punto di vista scientifico che richiede, oltre ad una continua integrazione delle conoscenze disponibili, anche una accurata e trasparente diffusione delle stesse, allo scopo di permettere una corretta valutazione e gestione del rischio.

Il problema pertanto non deve essere trattato unicamente da un punto di vista scientifico, soffermandosi esclusivamente sulle potenziali conseguenze sanitarie e biologiche della esposizione, ma anche da un punto di vista sociale, attraverso analisi approfondite che permettano di comprendere gli atteggiamenti e le percezioni delle persone nei confronti di tali effetti.

A tal proposito, nel 2003 l’agenzia australiana ARPANSA (Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency) ha istituito un Registro in cui vengono riportati vari problemi alla salute lamentati da cittadini australiani e la cui comparsa potrebbe essere messa in relazione all’esposizione a campi elettromagnetici.

In tale Registro vengono considerate le esposizioni a campi con frequenze comprese tra 0 e 300 GHz. I cittadini che ritengono di soffrire o di aver sofferto di patologie correlabili all’esposizione ai campi elettromagnetici possono quindi compilare un questionario standard nel quale hanno la possibilità di descrivere in dettaglio le modalità della loro esposizione, sia residenziale che professionale, e gli eventuali sintomi o patologie da loro ritenuti associabili alla esposizione ai campi elettrici, magnetici o elettromagnetici.

Il Registro ancora non è molto utilizzato dai cittadini, infatti da quando è stato istituito, ha ricevuto in totale 55 report di cui 24 nel periodo Luglio 2003-Giugno 2004, 5 tra Luglio 2004-Giugno 2005, 1 tra Luglio 2005-Giugno 2006, 7 tra Luglio 2006-Giugno 2007, 3 tra Luglio 2007-Giugno 2008, 9 tra Luglio 2008-Giugno 2010 e 6 tra Luglio 2010-Giugno 2012.

Considerando nello specifico le segnalazioni giunte e le fonti di esposizione dichiarate per il periodo 2010-2012, si osserva che i campi elettromagnetici prodotti dai terminali mobili non vengono mai indicati come fonte associabile ad insorgenza di fastidi o patologie, mentre nel periodo 2003-2010 si trovavano al secondo posto.

L’analisi dei dati segnalati dai cittadini hanno permesso di costruire un quadro abbastanza dettagliato dei disturbi percepiti come legati alla esposizione a campi elettromagnetici.

Il quadro emerso varia a seconda degli anni: nel periodo 2010-2012 le patologie maggiormente segnalate consistono in dolori vari al corpo, vertigini, aritmia, insonnia, nausea, sensazione di tintinnio alle orecchie; non sono stati invece riportati emicranie, sensazione di bruciore diffuso, problemi a livello di concentrazione che nei periodi precedenti (2003-2010) avevano avuto un’incidenza elevata.

Si tratta in ogni caso di disturbi di lieve entità che possono essere ricondotti a sindrome idiopatica di ipersensibilità, fenomeno afferente al campo della psichiatria e non della medicina generale, per il quale non ci sono evidenze sperimentali di una possibile associazione tra esposizione ai campi elettromagnetici e sviluppo delle reazioni fisiche lamentate, ma con molta probabilità un effetto di tipo nocebo.

Oltre a queste statistiche, sono stati condotti numerosi altri studi sulla percezione del rischio, non solo in materia di campi elettromagnetici ma anche prendendo in considerazione tutte le tecnologie che fanno uso di radiazioni sia ionizzanti che non. Dall’analisi di tali studi si può affermare che le percezioni e le valutazioni della popolazione sono spesso eterogenee e possono subire influenze esterne ad esempio dai media.

Tra i vari risultati, infatti, è emersa una bassa percezione del rischio associato ai campi emessi dagli elettrodomestici, strumenti di uso comune e considerati innocui e, di contro, un’altissima percezione del rischio associato ai cavi di alta tensione delle linee elettriche; analogamente nel campo delle radiofrequenze, la percezione del danno alla salute derivante dall’utilizzo del terminale mobile è minore rispetto a quella associata alla presenza di stazioni radiobase negli ambienti di vita.

Si può perciò affermare che la percezione del rischio non dipende sempre dal valore reale del rischio stesso ma piuttosto dal modo in cui il pubblico lo percepisce e spesso anche dalla familiarità con una determinata situazione. Nel caso specifico dei campi elettromagnetici, l’impossibilità di percepirli a livello sensitivo e visivo e la mancanza di una risposta scientifica chiara ed esaustiva sui loro potenziali effetti biologici e sanitari, rendono questo agente fisico poco conosciuto e, di conseguenza, maggiormente temuto.

Da questa analisi emerge che la percezione del rischio può portare ad inutili allarmismi e arrivare a bloccare o rallentare il progresso o l’applicazione di determinate tecnologie, va pertanto affrontata in modo chiaro, trasparente e concertato, mettendo sempre in primo piano i risultati di una ricerca scientifica che deve venire aggiornata con continuità e rivolgersi alla popolazione in modo comprensibile e, ove possibile, univoco.

Fonte: Elettra2000