Camerun, l’habitat degli scimpanzé minacciato dalla diffusione dell’olio di palma

Greenpeace denuncia i progetti dell’americana Herakles Farm che vorrebbe deforestare in Camerun per piantare olio di palma, mettendo a rischio l’habitat di scimpanzé, babbuini e altre specie di scimmie rareScimpanzè-Camerun-586x318

La fame occidentale per l’olio di palma sembra non conoscere limiti: dopo aver devastato Malesia e Indonesia, ora ci si rivolge all’Africa. L’azienda americana Herakles farm vorrebbe distruggere lotti di foresta in Camerun per produrre il contestato olio pieno di grassi saturi (1). Lo denuncia Greenpeace, che contesta le affermazioni della Herakles secondo cui i terreni di coltura della concessione Nguti sarebbero già deforestati e di scarso valore naturalistico. Le rilevazioni aeree e le visite sul campo effettuate dall’associazione ambientalista mostrano invece che il territorio interessato (2) è ricchissimo di specie animali e vegetali, tra cui numerosi primati, in particolare lo scimpanzé, il mandrillo e il colobo rosso di Preuss. Il fatto è confermato anche da uno studio congiunto di un’università camerunense e tedesca. Negli ultimi 20 anni la domanda europea di olio di palma è cresciuta di circa 5 volte; è davvero una pia illusione pensare che tutto questo olio  possa esse prodotto nelle regioni equatoriali in modo “sostenibile” senza danneggiare l’ambiente.  (1) L’olio di palma contiene il 50% di grassi saturi, più o meno come il lardo suino. Lo si può vedere nel database nutrizionale USDA o semplicemente leggendo le etichette dei prodotti alimentari (biscotti, grissini, fette biscottate ecc), in cui i grassi saturi sono sempre la metà del totale. (2) L’area si trova nell’interstizio tra quattro parchi nazionali, di cui il più importante (”A” sulla mappa) è il parco di Korup, che si unisce al Cross River park nigeriano oltre confine.

Fonte: ecoblog

Massacro di elefanti: 86 esemplari uccisi dai bracconieri in Ciad

Ottantasei elefanti di cui trentatré femmine in gravidanza sono stati uccisi dai bracconieri, in meno di una settimana, nel sud-ovest del Ciad. Si tratta di un vero e proprio massacro che potrebbe avere effetti devastanti su una delle ultime popolazioni sopravvissute nell’Africa Centrale.

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Nella stagione secca, gli elefanti si muovono, seguendo le rotte migratorie, dalla Repubblica Centrafricana verso Ciad e Camerun. Secondo le stime di scienziati e ricercatori, trent’anni fa gli animali erano 150mila in tutta la regione, ma ora potrebbero essere circa duemila. Secondo l’International Fund for Animal Welfare, gli elefanti sono stati uccisi nei pressi di Fianga, in una zona di confine fra Ciad e Camerun, molto vicina ai due parchi nazionali di Sene Oura (Ciad) e Bouba N’Djida (Cameroon), nei quali gli elefanti trascorrono la stagione secca prima delle piogge di aprile. I bracconieri ciadiani e sudanesi si muovono a cavallo, armati di fucili automatici Kalashnikov (AK 47) e attrezzati con seghetti per rimuovere le preziose zanne di avorio. “I bracconieri hanno ucciso le femmine in gravidanza e i cuccioli. Anche se le condizioni fossero favorevoli – e oggi non lo sono – occorrerebbero più di 20 anni per recuperare la popolazione uccisa recentemente” ha detto Celine Sissler-Bienvenu dell’IFAW.

Secondo quanto riportato dall’Ong Sos Elephants, lo scorso anno centinaia di elefanti si erano mossi all’interno del Ciad per sfuggire alla caccia di frodo nel parco di Bouba N’Djida, dove nel solo mese di febbraio 2012 erano stati uccisi 650 elefanti. Anche le iniziative prese di recente dal presidente del Ciad, Idriss Deby Itno, hanno dato scarsi risultati. Le squadre governative anti-bracconaggio sono spesso poco attrezzate e ben dieci guardie sono state uccise fra il 2006 e il 2009 nel tentativo di proteggere gli elefanti da azioni di bracconaggio. In quel triennio, nel pieno del conflitto del Darfur, i predoni a cavallo hanno ucciso circa tremila elefanti in tre anni, a una media di tre al giorno. Nonostante le recenti proibizioni – per esempio in Thailandia – il contrabbando dell’avorio continua a essere un mercato appetibile per i cacciatori di frodo. L’avorio cacciato nel centro dell’Africa arriva ai porti di Sudan e Nigeria e prende la rotta della Cina e qualche tempo fa alcuni cittadini cinesi sono stati trovati con avorio nelle valigie all’aeroporto di N’Djamena. Nessun procedimento giudiziario è stato avviato dalle autorità del Ciad.

Fonte: The Guardian