I 10 Paesi più esposti ai cambiamenti climatici

Vanuatu, devastato da un ciclone nello scorso fine settimana è il paese maggiormente esposto ai cambiamenti climatici secondo il World Riks Index. Devastato da un ciclone con un’ampiezza eccezionale nella notte fra venerdì 13 e sabato 14 marzo, l’arcipelago di Vanuatu è il Paese maggiormente esposto alle conseguenze dei cambiamenti climatici secondo il World Risk Index realizzato dalle Università delle Nazioni Unite per l’ambiente e la sicurezza umana (UNU-EHS) e l’Alliance Development Works. L’indice è calcolato sulla base di quattro fattori:
1. L’esposizione ai fenomeni naturali come cicloni, inondazioni, siccità e aumento del livello del mare.
2. La predisposizione vale a dire la probabilità che una società o un un ecosistema sia danneggiato in caso di catastrofi naturali.
3. La capacità di reazione ovvero l’abilità del governo e degli apparati che si occupano di protezione civile di attivare i sistemi di allerta e quelli medico-sanitari, insomma di garantire la sicurezza sociale e materiale.
4. Strategie di adattamento, le strategie messe in atto dalle comunità per far fronte alle conseguenze delle catastrofi e dei cambiamenti climatici.

Cambiamenti climatici: i 10 Paesi più vulnerabili

Sette dei dieci Paesi più esposti si trovano nella zona di Asia-Pacifico, mentre tre sono in Centro-America. Come il ciclone Pam ha tristemente confermato, Vanuatu con i suoi 260mila abitanti è lo Stato sovrano più esposto. Al secondo posto vi sono le Filippine, sconvolte nel 2013 dal ciclone Haiyan, poi c’è Tonga, lo stato-arcipelago del Pacifico con appena 105mila abitanti distribuiti nelle sue 173 isole. Ecco la top ten nella quale non sono attualmente presenti Paesi di Europa e Africa.

  1. Vanuatu
  2. Filippine
  3. Tonga
  4. Guatemala
  5. Bangladesh
  6. Isole Salomone
  7. Costa Rica
  8. Salvador
  9. Cambogia
  10. Papua Nuova GuineaVANUATU-WEATHER-CYCLONE-PAM

Fonte:  World Risk Report

© Foto Getty Images

Cambogia: l’esercito sopprime nel sangue la manifestazione dei 500 mila operai del tessile

Phnom Penh capitale della Cambogia è stata teatro oggi di una cruda repressione su 500 mila manifestanti, tutti operai del settore tessile che chiedono un salario più elevato, ma l’esercito ha soppresso la manifestazione nel sangue sparando sulla folla dei lavoratorimanifestazioni-in-cambogia-3

 

Oggi a Phnom Penh è stata una giornata di sangue: l’esercito ha soppresso la manifestazione dei 500 mila operai del tessile sparando sulla folla. Il settore tessile è la fonte principale di reddito per questo paese che offre la sua manodopera a un costo più basso di quella cinese alle multinazionali dell’abbigliamento e anche alle grandi firme. I lavoratori tessili protestano affinché gli sia riconosciuto il raddoppio del salario minimo, ossia ottenere almeno 160 dollari usa mensili contro gli attuali 80 dollari mensili Usa, ma il governo cambogiano ha offerto un aumento di circa 100 dollari Usa mensili. Il portavoce della polizia militare Kheng Tito ha detto alla AFP che la polizia ha posto un giro di vite sui manifestanti dopo che nove poliziotti sono rimasti feriti negli scontri:

Avevamo paura per la sicurezza e quindi abbiamo dovuto reprimere la manifestazione … Se gli permettiamo loro di continuare lo sciopero diventerà l’anarchia.

Gli scontri segnano una svolta violenta dopo due settimane di scioperi relativamente pacifici con marce e dimostrazioni a cui hanno preso parte un gran numero di lavoratori e senza precedenti in Cambogia con le forze di sicurezza, che hanno una reputazione di tolleranza pari zero, che fino a stamane si erano mantenute moderate. I lavoratori tessili, la cui industria fornisce un contributo del valore di 5 miliardi di dollari all’anno per l’economia, si sono uniti nelle proteste coordinati dal partito dell’opposizione il CNRP, ovvero il Cambogia Rescue National Party (CNRP , che sostiene di essere stato vittima di brogli elettorali e di essere stato privato di oltre 2 milioni di voti alle elezioni dello scorso luglio. Gap, Adidas, Nike e Puma sono tra i grandi marchi che hanno delocalizzato la produzione di calzature e abbigliamento alle fabbriche cambogiane, in parte per la maggiore convenienza rispetto alla Cina. Per cui quando acquisteremo un prodotto straniero controlliamo l’etichetta e se c’è scritto Made in Cambodia, mettiamoci una mano sulla Coscienza.

Fonte:  BBC, Reuters