«Non smettete mai di cercare il vostro orizzonte»

Claudio Pelizzeni a 32 anni aveva un lavoro in banca come vicedirettore. Nel 2014 decide di mollare tutto e di cominciare a credere nel suo sogno: fare il giro del mondo. E tutto è iniziato su un treno. Oggi Claudio è convintissimo: «Non smettete mai di cercare il vostro orizzonte».9666-10441

Tornando a casa una sera dall’ufficio, Claudio rimane colpito da un tramonto che, d’improvviso, lo pone davanti a mille domande: il senso di una vita passata a realizzare i sogni degli altri e a soddisfare aspettative che non sono mai state le sue. Così decide di partire per un viaggio lungo 1000 giorni senza mai prendere un aereo. In pullman, a piedi, in nave per recuperare la lentezza del viaggio, quella necessaria a percepire e conoscere i luoghi e le persone che si incontrano ma anche a guardarsi dentro. La storia di Claudio, affetto da diabete, è anche un messaggio a chi pensa di non poter neppure osare di superare le proprie paure e le proprie fragilità. Nel 2017 esce il suo libro, L’orizzonte, ogni giorno, un po’ più in là, edito da Sperling & Kupfer, a metà tra il romanzo e il diario di viaggio.

Ne parliamo con l’autore.

Qual è stata la molla che ti ha fatto decidere di intraprendere questo viaggio?

E’ stato un tramonto. Ero in treno mentre tornavo a casa. Lavoravo in banca da oltre dieci anni ed ero vicedirettore di filiale. Un giorno tornando da Milano in treno, guardando il tramonto al di là del finestrino, ho capito che non ne potevo più di fare quella vita. Ho capito che stavo vivendo le aspettative degli altri: della famiglia, della società, ma non stavo di certo vivendo i miei sogni e le mie passioni. Mi sono reso conto di essere falso verso me stesso e ho deciso così di prendere in mano la mia vita. Ho tirato fuori il mio sogno nel cassetto: fare il giro del mondo. In quel momento ero completamente indipendente, non avevo una relazione né un animale domestico e così ho deciso di partire.

Come sei arrivato a scegliere di lavorare in banca?

Da ragazzo non sapevo cosa fare della mia vita e mi sono iscritto a Economia, mi sono laureato e poi sono partito per l’Australia per 10 mesi. Sono partito con lo zaino in spalla e senza sapere davvero cosa avrei voluto fare. Mi piaceva questo modello di viaggio e ho viaggiato così anche durante la mia attività lavorativa. Passavo le mie ferie viaggiando, specialmente in Asia. Avevo quindi già questo sogno. Tutti mi dicevano che avrei dovuto fare dei viaggi il mio lavoro ma, in realtà, non volevo lavorare in un’agenzia o fare il Tour Operator. Io volevo viaggiare. Ho provato a realizzarlo e ce l’ho fatta.

Come hanno preso la tua decisione in ufficio?

Non avevo detto niente a nessuno e l’avevo accennato solo alla mia famiglia e ai miei amici. Anche perché potevano esserci ritorsioni e ho preferito non dire niente. Sono andato a parlare col mio capo  e gli ho detto che avrei rassegnato le mie dimissioni. Non ho preso aspettative o altro. Qualcuno ha provato a convincermi a rimanere ma sostanzialmente pensavano che lasciassi quella banca per un’offerta più vantaggiosa di un altro istituto bancario. Quando hanno capito che lasciavo tutto per fare il giro del mondo non hanno potuto dirmi niente.

E la famiglia?

All’inizio non hanno capito ma poi quando hanno visto che ciò che facevo mi rendeva felice, mi hanno appoggiato.

Qual era inizialmente il tuo programma di viaggio?

Sapevo che volevo iniziare dall’Australia e dal Sud asiatico. Avevo studiato la fattibilità di determinate frontiere più che l’itinerario. Tutto l’itinerario preparato è saltato dopo sei mesi per un problema che ho avuto con i trasporti e ho dovuto quindi riprogrammarlo strada facendo.

Hai viaggiato da solo?

Sono partito da solo ma ho condiviso il mio viaggio con molte persone.

Come ti sei sostenuto durante il viaggio?

Avevo programmato di fare un viaggio di 1000 giorni con 15 euro al giorno e quindi 15000 euro totali. Non ero affatto pieno di soldi come molti pensano. Ho fatto molti lavori durante il viaggio: dal receptionist al bracciante agricolo.

L’idea del libro come ti è venuta?

Durante un viaggio in nave ho iniziato a scrivere una sorta di diario che poi si è trasformato in un romanzo.

Come ti sei spostato?

Non ho usato l’aereo. Mi sono mosso con navi private e mercantili (ho fatto in questo modo tre tratte: la prima per andare in Australia, poi dall’Australia per il Canada e, infine, dal Brasile al Senegal), in treno, in autobus e a piedi.

Perché la scelta di non viaggiare in aereo?

Sono stato ispirato da Un indovino mi disse, un libro di Tiziano Terzani. Volevo un viaggio diverso e introspettivo e avevo bisogno di lentezza. Volevo scoprire luoghi che normalmente non vengono toccati dai tragitti tradizionali.

Convivi con il diabete da molti anni. Come ti sei organizzato durante il viaggio?

Mi sono portato delle scorte di insulina ma non mi sono bastate. Molti amici mi hanno raggiunto durante il viaggio per venirmi a trovare e trascorrere un po’ di tempo insieme. Gli chiedevo di portarmi dell’insulina. Mi è capitato di rimanere senza in Argentina e ho contattato un gruppo di diabetici su Facebook. Mi hanno invitato a parlare della mia esperienza e mi hanno regalato in cambio delle fiale di insulina. Nulla è precluso, basta informarsi.

Ci sono stati momenti in cui hai avuto paura?

Sì, certo. La paura è fondamentale. La paura ci aiuta a prendere le decisioni più giuste. Chi non ha paura è un incosciente e prima o poi la paga. Ho convissuto con le mie paure e le ho affrontate e poi gestite. La mia paura più grande era che succedesse qualcosa a casa mentre ero lontano. E’ morto mio padre mentre ero in viaggio. Sono tornato a casa. Avevo appena attraversato la frontiera con la Birmania, una delle più difficili. Ho ricevuto un messaggio della mia famiglia e sono tornato a casa. Pochi giorni dopo il funerale sono ritornato e ho continuato il mio viaggio.

Qual è la cosa più interessante che hai visto?

Sicuramente i tramonti, le dune, i ghiacciai della Patagonia e tantissime altre cose mi hanno impressionato. In Nepal ho fatto un’esperienza in un orfanotrofio che mi ha colpito moltissimo.

Di cosa parla il libro?

E’ un libro in cui tutti si possono ritrovare. Non cito mai il nome del protagonista proprio perché potrebbe essere chiunque. E’ un viaggio all’interno del genere umano e di se stessi in cui il mondo fa da sfondo. E’ un libro scritto interamente in viaggio.

Adesso cosa fai?

Adesso ho fatto dei viaggi il mio lavoro e ho realizzato il mio sogno. Organizzo viaggi di tipo esperenziale. Ho chiamato il mio progetto Backpackers Academy. Ad esempio ho portato recentemente un gruppo di ragazzi a seguire in Marocco le migrazioni di una famiglia berbera. Riesco a fare queste cose perché nel mio viaggio ho preso contatti con le persone locali. Sto cercando di portare un gruppo in Nepal dove i ragazzi dell’orfanotrofio in cui ho lavorato ci faranno da guide. Ho la possibilità di viaggiare e accumulare materiale per documentari. Sto scrivendo, inoltre, un secondo libro. Sto facendo il lavoro più bello del mondo ed era quello che volevo fare.

Vuoi dire qualcosa a chi non ha ancora trovato il modo di seguire i propri sogni?

Credo sia importante fermarsi un momento a riflettere, ad essere sinceri verso se stessi e porsi le domande importanti. La mia più importante fu se ero felice e come avrei potuto essere felice nella vita. La conseguenza è stata, poi, il giro del mondo ma non vuol dire assolutamente che sia questo per tutti. Il mio messaggio è: interrogatevi, siate sinceri verso voi stessi e seguite soprattutto il vostro cuore e le vostre passioni.

 

Fonte: ilcambiamento.it

Marc e Nathanael ci accompagnano… alla ricerca di un senso!

Quali sono i limiti dell’idea del “progresso” e della “modernità”? Lo sviluppo di una società si misura attraverso l’accrescimento del suo PIL o dobbiamo piuttosto ridefinire la nozione di prosperità? Come possiamo inventare dei nuovi modi di vivere che preservino le eredità della tradizione e che accolgano le esperienze della modernità? Sono le domande che ritroviamo nel docu-film “Alla ricerca di un senso”.9514-10271

Difficile mettere “Alla ricerca di un senso” in una specifica categoria cinematografica. Non un film ambientale né di viaggio, non una finzione né totalmente un documentario, incarnato ma non intimista, assomiglia a un road-movie di una generazione disillusa alla ricerca della saggezza e del buon senso. I due registi Marc de la Ménardière e Nathanaël Coste ci invitano a condividere il loro rimettersi in discussione interrogando le nostre visioni del mondo.

A 10 anni dal loro ultimo incontro, Nathanaël ritrova Marc a New York. Il film inizia così. Le loro vite li avevano allontanati: Nathanaël ha appena finito un film sulla problematica dell’accesso all’acqua in India e Marc esporta dell’acqua in bottiglia per una multinazionale a New York. Un incidente interrompe il “sogno americano” di Marc che, immobilizzato a letto, finisce per guardare tutta una serie di documentari che Nathanaël, prima di partire, gli ha lasciato sulla “mercificazione del mondo”. Da quel momento, la sua coscienza non lo lascerà più in pace. Marc dimentica così i suoi piani di carriera e raggiunge Nathanaël in India, dove ha inizio un’epopea improvvisata. Equipaggiati di una piccola telecamera e di un microfono, Marc e Nathanaël, cercano di capire cosa abbia portato allo stato di crisi attuale e da dove possa arrivare il cambiamento. Dall’India al Guatemala, passando per San Francisco e l’Ardèche, le loro convinzioni iniziano a vacillare. Costruito intorno a testimonianze autentiche, dubbi e gioie, il loro viaggio iniziatico è un invito a riconsiderare il nostro rapporto con la natura, con la felicità e con il senso della vita: 87 minuti per riprendere fiducia nella nostra capacità di portare il cambiamento in noi stessi e nella società.allaricercadiunsenso

I TEMI SOLLEVATI DAL FILM

Il progresso e la modernità

Quali sono i limiti dell’idea del “progresso” e della “modernità”? Lo sviluppo di una società si misura attraverso l’accrescimento del suo PIL o dobbiamo piuttosto ridefinire la nozione di prosperità? Come possiamo inventare dei nuovi modi di vivere che preservino le eredità della tradizione e che accolgano le esperienze della modernità?

L’evoluzione delle nostre convinzioni

La società industriale si è costruita sulla visione di un mondo meccanicista retto sulla competizione: l’uomo egoista e materialista cercava di liberarsi da una natura ostile. Oggi viviamo in un mondo che deriva da questa rappresentazione. Date le scoperte scientifiche e antropologiche recenti, quali potrebbero essere le basi per una nuova storia?

La conoscenza di sé

I filosofi greci dicevano che prima di voler cambiare il mondo, bisognava prima conoscere e cambiare se stessi. Per favorire una trasformazione della società, sono dunque dei passi utili prendere il tempo di mettere in discussione le proprie convinzioni personali, esaminare le proprie zone d’ombra, le proprie paure, dubbi e frustrazioni?

Le crisi ecologiche

Le crisi ecologiche trovano le loro origini nella nostra visione del mondo e nel nostro rapporto con la natura. La terra è la nostra casa? Una fonte di risorse da utilizzare? Un luogo ostile? Una fonte di vita e di meraviglia? Noi siamo davvero separati da essa?

La forza della società civile

Il potere viene dall’alto o dal basso? Le strutture politiche attuali sono in grado di rispondere alle crisi ambientali e sociali? Può la società civile dare una nuova direzione, una visione differente?

I registi

Marc de la Ménardière

Finita la scuola di economia, Marc si ritrova a 26 anni, business developer a Manhattan. “Grazie” a un incidente, accadutogli giusto prima della crisi del 2008, rimette in questione il suo modo di vivere e il sistema economico del quale fa parte. Incomincia dunque una “ricerca di senso” che cambierà radicalmente la sua percezione di sé e del mondo.

Nathanaël Coste

Geografo, Nathanaël realizza dei documentari indipendenti nei quali si interessa alla relazione tra l’uomo e la natura, e ai fenomeni sociali e culturali generati dalla mondializzazione. Nel 2008, decide di andare a trovare Marc che non vedeva da anni. Il rincontro con Marc, sarà per lui il punto d’inizio di un’avventura umana e cinematografica tanto ricca che imprevedibile.

Perché avete voluto fare questo film?

Nathanaël: «Prima di interrompere la sua carriera di venditore d’acqua, Marc mi ha raggiunto in India mentre presentavo un documentario in un festival. Entrambi eravamo in un momento di cambiamento: quando senti che c’è bisogno di riallineare le tue azioni con le tue convinzioni profonde. Sentivamo entrambi questa chiamata al mettersi in viaggio e la convinzione che insieme c’era qualcosa da fare. Cominciando a filmare, non avevo mai immaginato che avremmo fatto un lungometraggio per il cinema. È stato quando siamo rientrati dall’India, e abbiamo guardato il girato delle interviste di Vandana Shiva e di Satish Kumar, che ci siamo resi conto che avevamo nelle nostre mani dei messaggi talmente profondi che era necessario continuare a scavare e andare fino in fondo all’avventura. Abbiamo così comprato una videocamera migliore e ricominciato il viaggio in America e poi in Europa, continuando a raccogliere testimonianze e messaggi grazie a diversi incontri, a volte fortuiti a volte organizzati».

Questi messaggi vi hanno nutrito al di là del viaggio?

Marc: «Ovviamente. È così che abbiamo potuto tenere duro e consacrare molto tempo per fare il film. Può essere che, effettivamente, sono state la luminosità e la forza emanata dalle persone incontrate che ci hanno permesso di non abbandonare il progetto. Ogni messaggio è come un albero che nasconde una foresta. Dietro ogni concetto, ci sono dei campi di investigazione molto vasti: sul senso della vita, il posto dell’uomo nell’universo, l’ecologia o la condizione umana. I nostri interlocutori esplorano temi diversi (la scienza, la biologia, l’ecologia, l’attivismo, la filosofia)… ma insieme sono pezzi di un unico puzzle, che apre prospettive diverse sulle cose».

Da dove può venire il cambiamento?

Marc: «Come dice Bruce Lipton citando Einstein: “non possiamo risolvere un problema con lo stesso livello di coscienza che l’ha creato”. La prima tappa del cambiamento consiste dunque nel prendere coscienza che le crisi attuali derivano dal nostro modo di vedere il mondo. Per i nostri intervistai, da 200 anni la nostra civilizzazione occidentale si è costruita su una visione materialista e meccanicista del mondo. Questa visione ha separato l’uomo dalla natura, il corpo dallo spirito e nega la dimensione interiore e il mistero dalla vita. Questa visione ha eretto la competizione a una legge naturale, l’avidità a una qualità benefica per l’economia, l’accumulazione di beni materiali come finalità dell’esistenza. Ed è mettendo in questione questi dogmi, la loro veridicità e le loro conseguenze, che una metamorfosi individuale e della società può divenire possibile!».

Nathanaël: «La rivelazione del nostro viaggio è la comprensione che l’uomo e la biosfera formano un tutt’uno interconnesso e  ìterdipendente. Secondo le saggezze antiche, noi siamo le cellule di un grande organismo vivente. Oggi, la nostra incapacità di vederlo ci porta all’autodistruzione. Che in tutto il mondo, professori di meditazione, scientifici o custodi di culture antiche, condividono questa visione è stata per noi una scoperta. Da questa consapevolezza, essi condividono altresì un’indignazione, molto ben espressa da Vandana Shiva: “ la reale urgenza è di proteggere le condizioni per vivere sulla Terra!”. Per la nostra generazione, la grande questione è di capire come trasformare questa collera giusta in qualche cosa di positivo che faccia avanzare le cose».

Che cosa avete voglia di dire a chi, guardando il mondo, si domanda che fare?

Nathanaël: «Quando ci si mette in cammino con convinzione e abnegazione, per forza si arriva da qualche parte. Ognuno può a suo modo andare alla ricerca delle proprie aspirazioni e domandarsi cosa lo fa “vibrare”. Molte delle nostre scelte sono oggi dettate dalla paura e dal conformismo. La scuola ci prepara a occupare dei ruoli, ma non si interessa molto a chi noi siamo veramente. La “ricerca di senso” è sicuramente qualcosa di personale, di intimo, ma noi abbiamo voluto aprire il dibattito e dire: “non è grave”, tutti quanti vivono con queste domande. Io credo che sia piuttosto sano parlarne insieme».

Come avete finanziato il film?

Nathanaël: «Il viaggio l’abbiamo finanziato con le nostre economie. Per il montaggio e la post-produzione, abbiamo inizialmente cercato produttori che hanno sollecitato dei canali televisivi. Questa fase è durata circa un anno, per poi sentirsi dire che “non riuscivano a trovare un posto per il film”. Allora, per arrivare alla fine del lavoro, abbiamo deciso di lanciare una sottoscrizione su internet per fare appello ai privati cittadini. E abbiamo ricevuto tre volte la cifra che avevamo chiesto! Abbiamo così avuto i mezzi per finire il film in delle condizioni insperate, di pagare i tecnici, e soprattutto di restare indipendenti lungo tutto il processo. Quello che ci ha veramente sostenuto, è stato anche vedere in quanti stiamo lavorando affinché nuovi modelli, basati su una visione più “sensibile” delle cose, possano emergere».

Perché la scelta dell’autodistribuzione?

Marc: «Abbiamo esitato. Avevamo trovato un distributore, ma quando avremmo dovuto formalizzare il contratto, abbiamo sentito che avremmo perso della coerenza con le nostre intenzioni… Abbiamo preferito quindi che fosse il pubblico ad appropriarsi del film, di creare degli eventi attorno ad esso e organizzare le proprie proiezioni. Ognuno diventa attore. In più il nostro film non è da “consumare” soli al buio. Deve servire a connettere le persone tra di loro, creare delle sinergie grazie al dibattito alla fine del film e, perché no, a permettere e incoraggiare delle azioni vere e proprie».

QUI per organizzare una proiezione

Nathanaël: «Abbiamo avuto fiducia che il progetto sarebbe arrivato fino alla fine. Ci abbiamo messo 5 anni! Oggi, noi speriamo che le persone si impossessino del film e lo diffondano. A quel punto il film vivrà la sua vita e noi potremmo tornare progressivamente alla nostra, anche nulla sarà mai più come prima».

Per questo film, girato coi “mezzi a di disposizione”, i realizzatori hanno potuto mantenere un processo di produzione e di distribuzione totalmente indipendente grazie al sostegno degli internauti. Girate le immagini, i film è stato coprodotto su internet da 963 sottoscrittori che hanno dato fiducia al progetto e pazientato un anno prima di poter vedere il film. L’aiuto spontaneo di non pochi musicisti, traduttori, tecnici, grafici e altri benefattori, ha permesso di andare fino in fondo all’avventura con degli standard di qualità professionale. L’uscita nelle sale (che non era prevista all’inizio!), ha seguito lo stesso processo “collaborativo” grazie al sostegno della comunità degli spettatori che hanno diffuso il film, e alle associazioni che si sono aggiunte all’avventura. Il movimento Colibri diffonde attivamente il film nel contesto della sua nuova campagna civica: “une (R)évolution intérieure”.

Con le testimonianze di:

Vandana Shiva

“Pensarsi come consumatori fa parte del problema. Ritrovare la nostra identità di creatori e produttori fa parte della soluzione”. Fisica e epistemologa, con un dottorato in Filosofia e Teoria Quantistica, Vandana Shiva è una delle grandi figure de l’altermondialismo. Con Satish Kumar ha creato “Navdanya”: un’associazione che opera per la conservazione delle semenze contadine.

Satish Kumar

“Non si può avere una crescita infinita in un mondo finito, bisogna inspirarsi alla natura e creare un’economia ciclica”. Nel 1961 Satish, monaco, incomincia una marcia per la pace di più di 12000 km senza denaro. Oggi è redattore della rivista “Résurgence” e direttore dei programmi dello Schumacker College in Inghilterra.

Pierre Rabhi

“Bisogna innovare rinunciando all’ideologia fondamentale che ha determinato il vecchio mondo”. Originario dell’Algeria, Pierre Rabhi è uno dei precursori dell’agro-ecologia. La sua esperienza di vita atipica, l’ha portato a scrivere e a testimoniare del suo rapporto con la modernità e la felicità. In Francia, ha creato diversi movimenti come Terre & Humanisme e Colibris.

Trinh Xuan Thuan

“Noi siamo interdipendenti dalle stelle e dal Cosmo”. Astrofisico americano, conosciuto a livello mondiale, Trinh Xuan Thuan è famoso per una serie di libri tra cui “The Cosmos and the Lotus”. Nel 2009, è stato premiato con l’Unesco Kalinga Prize e fa opera di divulgazione scientifica sull’Universo e le questioni filosofiche a esso connesse.

Frédéric Lenoir

“Descartes considera il mondo come una macchina inerte che può utilizzare. Questo pensiero rappresenta la totale dominazione dello spirito sulla natura”. Filosofo, sociologo e storico delle religioni, ha diretto per numerosi anni la rivista specializzata “Le Monde des religions”. Autore di una quarantina di opere tradotte in una ventina di lingue, scrive anche per il teatro, il cinema e fumetti.

Chaty Secaria

“Esistono talmente tanti cammini spirituali: qual è il migliore? Quello che farà di te una persona migliore. È tutto!”. Chaty Secaria è la fondatrice di un centro di meditazione, aperto a viaggiatori di tutto il mondo, che hanno voglia di scoprire i testi dimenticati delle grandi tradizioni spirituali. In Guatemala, Chaty anima da diversi anni un’emissione televisiva quotidiana sulla felicità.

Bruce Lipton

“Quello che è meraviglioso, è che tutte le convinzioni alla base della nostra civilizzazione, sono ormai da riconsiderare”. Dottore in biologia, le sue ricerche sulla membrana cellulare hanno avuto un ruolo precursore nello sviluppo dell’epigenetica: una delle nuove scienze che studiano l’influenza dell’ambiente esterno sull’impronta genetica. È conosciuto per la sua opera “La biologia delle credenze” che tratta dell’impatto della psiche sul corpo.

Jules Dervaes

“Noi siamo i guardiani della terra, non i suoi proprietari”. Con la sua famiglia, dal 1994, Jules coltiva una parcella di 400m2 dietro la loro casa. Da questa produzione biologica e intensiva, Jules e la sua famiglia ricavano 3 tonnellate di frutta e verdura all’anno, con un’autonomia del 90% in estate.

Marianne Sébastien

“Non c’è sviluppo esteriore se non c’è sviluppo interiore”. Con una triplice formazione sul sociale, la pedagogia e la letteratura, Marienne Sébastien ha un percorso esemplare come capo d’impresa (Femme Entrepreneur 2007), e di cantante e terapeuta tramite la voce. Ha fondato Voix Libre, un ONG a taglia umana che lavora in Bolivia con i bambini nelle miniere le popolazioni disagiate.

Hervé Kempf

“Siamo in un momento di transizione storica. Stiamo cambiando d’epoca e passando ad un altro stato”. Giornalista e scrittore, Hervé Kempf ha scritto per molto tempo per la sezione Ambiente di Monde, e si interessa alla causa ecologista attraverso una lettura lucida dei rapporti di forza. Nelle sue opere, tra cui la famosa “Come i ricchi stanno distruggendo il pianeta”, ci invita a ripensare il nostro rapporto alla ricchezza e alla democrazia.

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Fonte: ilcambiamento.it

Concretezza e condivisione: anche così si può cambiare il mondo

Prendere decisioni condivise ed efficaci, agire in maniera concreta mantenendo saldi i princìpi su cui le azioni si ispirano, superare le divisioni nel rispetto della diversità: ce lo insegna Beatrice Briggs, fondatrice dell’IIFAC (International Institute for Facilitation and Consensus).facilitazione_consenso

Beatrice Briggs ha la capacità di farsi capire subito, arriva con chiarezza ed efficacia al cuore e alla ragione, propone nuovi paradigmi e un agire che si ispira proprio al cambiamento di prospettiva. A ottobre sarà in Italia, al Parco delle Energie Rinnovabili in Umbria, dove terrà un corso dal 13 al 19 ottobre proprio sulla facilitazione, il metodo del consenso e la risoluzione dei conflitti. Terrà poi un corso anche all’ecovillaggio Torri Superiore dal 22 al 26 ottobre.

Proponi insieme metodiche di facilitazione, risoluzione dei conflitti e ricerca del consenso; quale nesso c’è?

La correlazione tra questi tre aspetti sta nel fatto che si manifestano nei gruppi. La mia passione è proprio questa, lavorare con i gruppi affinchè divengano più “efficaci”, soprattutto quelli che si prefiggono cambiamenti sociali positivi. Il ruolo del facilitatore è quello di aiutare le persone a fare un uso migliore del tempo e dell’energia progettando incontri che siano concentrati su questioni precise, che siano efficaci e partecipativi. Il facilitatore aiuta anche il gruppo a identificare e risolvere i conflitti e a prendere buone decisioni che portino ad azioni costruttive. Troppo spesso gruppi bene intenzionati falliscono perché non sanno come finalizzare le sfide.

In che modo con la metodologia che proponi tutti possono esprimersi e quindi avere maggiore libertà di espressione e di crescita all’interno dei vari progetti?

Le abilità nel comunicare sono cruciali per lavorare come facilitatore nei gruppi. Inoltre credo che il facilitatore debba anche sapere ascoltare, debba saper cogliere l’essenza di ciò che i partecipanti dicono ed evocare la cosiddetta intelligenza collettiva del gruppo. Abbiamo bisogno di creare spazi dove possa trovare ascolto anche chi solitamente viene escluso dalla conversazione e dove chi ha idee differenti possa essere ascoltato e ascoltare, in modo che ognuno impari dall’altro. Diventare un bravo facilitatore fa parte di una trasformazione personale che aiuta la trasformazione sociale.

Visto che i conflitti all’interno di gruppi e organizzazioni sono spesso il motivo principale per cui molti progetti falliscono, pensi che con il metodo che proponi si possono superare conflitti anche gravi? Ci puoi fare degli esempi di situazioni che hai affrontato e risolto?

Concordo sul fatto che l’incapacità di finalizzare i conflitti in maniera costruttiva sia la causa del fallimento di tanti gruppi e organizzazioni. E’ incredibile vedere quanto velocemente tanti di noi cadano nella trappola, si convincono di avere ragione e spingono la propria visione per “vincere” a tutti i costi.  Peraltro la pratica diffusa di votare a maggioranza su questioni controverse non fa che contribuire a questo comportamento “disfunzionale”. E’ questa una delle ragioni per cui insegno il processo di creazione del consenso che offre un modello alternativo di risoluzione non violenta dei conflitti e di adozione delle decisioni che tutti andranno poi a sostenere. Negli ultimi 25 anni di facilitazione e partecipazione ai gruppi che applicano con consapevolezza il metodo del consenso, ho visto tantissimi esempi di situazioni in cui l’insieme dei singoli trascende i conflitti manifesti per raggiungere un sentire comune. Mi torna alla mente un gruppo di discussione in cui facevo da facilitatore e nel quale due società stavano trattando la pianificazione di una fusione. Alla fine di un lungo confronto emerse che si temeva che uno dei due avrebbe prevalso sull’altro e quando fu chiaro questo aspetto fu altrettanto chiaro a tutti che la fusione non era la cosa migliore da fare. Secondo me si è trattato di un esito positivo che probabilmente ha evitato anni di difficoltà. A volte dire no è la decisione giusta.

Dato che giri parecchio il mondo con i tuoi interventi e corsi, secondo te è in atto un cambiamento in positivo della situazione generale?

Sono fortunata perchè lavoro soprattutto con gruppi che puntano a cambiamenti positivi del loro contesto; vedere il loro impegno mi dà speranza.

Tu sei americana ma vivi in un ecovillaggio in Messico, ci puoi dire i perché di questa scelta e che differenze ci sono affrontando le tue tematiche nella mentalità anglosassone e in quella latina?

Vivo in un ecovillaggio in Messico perchè mi sono innamorata di quel luogo e di quella gente. Essere un migrante mi affascina perché mi obbliga a mantenere l’attenzione sulle differenze culturali e a rispettare i costumi del posto. Quando ci ritroviamo per discutere dei nostri problemi a nessuno piace perdere tempo in discussioni infinite che non portano a nulla né vogliamo che siano pochi a decidere per tutti. E’ così che ho scoperto che la gente che cerca di cambiare positivamente nel mondo accetta di buon grado l’opportunità di imparare i metodi più efficaci per lavorare insieme agli altri.

A ottobre sarai in Italia per un corso al Parco Energia Rinnovabili e uno all’ecovillaggio di Torri Superiore, pensi che in Italia si possa sviluppare un forte movimento attorno alle tematiche che proponi e che la facilitazione possa diffondersi  come metodo di successo nella risoluzione dei conflitti?

Spero che i corsi che terrò in Italia a ottobre possano portare alla creazione di  una squadra forte e determinata di persone che possano imparare le tecniche della facilitazione e della risoluzione dei conflitti. Il ruolo dei facilitatori non è quello di fungere da panacea, ma se le capacità vengono messe a servizio di gruppi orientati al cambiamento, allora si può fare veramente una grande differenza.

Per tutte le informazioni sul corso che si terrà al Per cliccate qui

Fonte: ilcambiamento.it

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Ufficio di scollocamento: cambiare vita e lavoro, istruzioni per l’uso

«Decrescita non è parola da associarsi a privazione, così come non è privazione lo scollocamento, bensì sfida e opportunità»: Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, ha incontrato a Torino una vasta platea di persone che vuole cambiare vita e paradigma. Non è affatto impossibile.cambiare_vita_scollocamento

Una vasta platea di persone intenzionata a cambiare non solo prospettiva, ma anche stile di vita e ritmo di lavoro, ha ascoltato a Torino Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, che ha tenuto una conferenza sulle opportunità offerte dai cosiddetti “uffici di scollocamento”. L’iniziativa era organizzata dall’Associazione RIP, Riprendiamoci Il Pianeta. «Generalmente siamo portati ad interpretare il concetto di decrescita come qualcosa di negativo perché lo associamo alla perdita, alla preoccupazione, alla paura e di contro interpretiamo la parola crescita come qualcosa di positivo – ha spiegato Ermani – Forse questo stesso pregiudizio lo applichiamo al mondo del lavoro, infatti il collocamento viene visto come un’opportunità, come qualcosa di desiderabile, di positivo e lo scollocamento come perdita, come qualcosa di negativo. Invece il concetto di scollocamento ha un’accezione positiva di sfida e opportunità. Infatti l’essere umano ha grandi potenzialità e capacità immense con cui deve ritornare in contatto riscoprendo la propria creatività tornando anche ai lavori manuali».

Secondo Ermani, il sistema economico vigente:

•    Ha generato una crescita infinita in un mondo finito;

•    Ha generato violenza nei confronti dell’ambiente che è stato derubato delle sue risorse, sono state distrutte le biodiversità ed è aumentato l’inquinamento e la quantità di rifiuti;

•    Ha generato ingiustizie sociali specie nei paesi più a sud del mondo non tenendo conto dei diritti umani di base;

•    Ha generato una perdita di senso generale che si manifesta in termini di cronica mancanza di tempo, di insoddisfazione, di degenerazione dei rapporti.

«Il sistema ha potuto tutto ciò perché ha trovato in noi dei complici – ha proseguito il presidente di Paea – Ed è da questo sistema che dobbiamo scollocarci! Si deve rimettere al centro: la persona (relazioni, spiritualità e lavoro); l’ambiente; la finanza e l’imprenditoria etica. L’uomo deve smettere di delegare, deve iniziare ad assumersi le proprie responsabilità, deve riappropriarsi del potere insito nella sua stessa natura e tutto questo deve essere orientato alla realizzazione di un modello alternativo di vita». E questo modello alternativo ha precise caratteristiche:
•    Si riduce il tempo di lavoro, il consumo di energia, gli sprechi e i rifiuti;

•    Si rivaluta il proprio modo di vita a favore di un ritmo più lento e umano;

•    Si ripristina un’agricoltura sostenibile;

•    Si ricostruisce e riaggiusta ciò che già c’è;

•    Si riutilizza;

•    Si ricicla;

•    Si rinuncia al superfluo;

•    Si riconquistano il tempo e lo spazio per stare con se stessi e con gli altri;

•    Si reinveste su se stessi.

«Da questa riorganizzazione della società scaturiscono nuove opportunità lavorative in diversi ambiti – è ancora Ermani – come per esempio energie rinnovabili, bioedilizia, risparmio energetico,  risparmio idrico, settore artigianale (riparazioni), agricoltura biologica, informazione ambientale, medicina e alimentazione naturale. In realtà le attività utilizzabili ai fini del sostentamento e dell’espressione della creatività umana, secondo Ermani, sono tante quanti sono gli individui e forse addirittura quante sono le doti che ciascuna persona ha nel suo bagaglio culturale e psicofisico. L’uomo dovrebbe aprirsi alla sperimentazione lavorativa e scoprire i suoi talenti seguendo le proprie aspirazioni più vere e non indotte. Quando il lavoro diventa la materializzazione della propria aspirazione ecco che automaticamente viene meno il senso di fatica, di travaglio, di sforzo e alienazione. E questo accade ancor più se il lavoro è svolto in un gruppo o in una comunità dove si sta costruendo un presente e un futuro migliori per se e per gli altri».
Per un approfondimento sull’argomento utile la lettura del libro“Ufficio di scollocamento” scritto da Paolo Ermani e Simone Perotti e del libro “Pensare come le montagne” di Paolo Ermani e Valerio Pignatta.
Lunedì 31 marzo 2014, sempre presso il polo culturale Lombroso 16, in via Cesare Lombroso 16 a Torino alle ore 21 ci sarà la prossima conferenza dal titolo “Crescere in umanità:risveglio interiore e cambiamento sociale”. Il relatore sarà Roberto Mancini. Nel pensare di cambiare il mondo ciascuno di noi dovrebbe sviluppare una dose sufficiente di innocuità e dovrebbe essere disposto ad assumersi le proprie responsabilità e maturare la visione del bene comune.
Consulta il sito di Paea per conoscere i prossimi appuntamenti sull’Ufficio di scollocamento e i corsi al Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria.

fonte: il cambiamento.it

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