Il sentiero della gioia: un viaggio di trasformazione verso una vita piena

La gioia non può essere il fine, ma deve essere il mezzo per raggiungere una vita piena, sana e serena. Questo il messaggio al centro de “Il sentiero della gioia”, ultimo lavoro del regista romano Thomas Torelli che con i suoi documentari mostra al pubblico la bellezza di un altro mondo e la rivoluzione in atto all’insegna dell’amore. Il regista romano Thomas Torelli, dopo aver aperto al suo pubblico uno spiraglio verso un modo diverso di intendere e di interpretare la realtà con il film documentario «Un altro mondo» (2014), dopo aver approfondito il tema dell’alimentazione con «Food ReLOVution» (2017) e dopo l’invito di «Choose Love» (2018) a scegliere, appunto, l’amore, si prepara a mostrarci «Il sentiero della gioia»: l’ultimo frutto del suo lavoro.

Il tema, questa volta, è la gioia, intesa non come obiettivo o come fine da raggiungere, ma come percorso e come mezzo per fare esperienza di una vita piena. Proseguendo e portando avanti l’avventura avviatasi a partire da «Un altro mondo», film documentario che ha smosso gli animi degli spettatori, «Il sentiero della gioia» aspira a guidarci in un viaggio di trasformazione verso una vita più serena e più sana e verso un modello di società basato sull’empatia e sull’amore.
«C’è una bellissima frase di Ghandi che dice: “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”. Con questo documentario vorrei raccontare com’è che si balla sotto la pioggia, perché fa bene a noi, ci sintonizza su frequenze più alte, fa bene alle persone che ci circondano e ha il potenziale per cambiare il mondo», ci ha spiegato Torelli.

Il regista Thomas Torelli

«Per farlo ho scelto di raccontare tre storie vere di persone che hanno vissute delle situazioni difficili, e che nonostante tutto sono riuscite a intraprendere il sentiero della gioia. Si tratta di Nicoletta Tinti, ex olimpionica di ginnastica artistica e ballerina, che dopo essersi ritrovata nel 2008 in una sedia a rotelle, è tornata a ballare, prima seduta e poi in piedi grazie ad un carrello di ferro che le consente di muoversi stando sulle sue gambe. Andrea Caschetto, ragazzo che a seguito di un tumore al cervello si è dedicato a prendersi cura e a far ridere bambini provenienti da tutto il mondo. Simona Aztori, nata priva degli arti superiori: il suo sogno era fare la ballerina e la pittrice, che è esattamente ciò che oggi fa nella vita». A queste tre storie, dense di significato, Torelli ha intrecciato i contenuti scientifici e filosofici di vari esperti: Erica Francesca Poli, Salvatore Brizzi, Italo Pentimalli, Richard Romagnoli, Pier Mario Biava, Silvano Agosti, Virginio De Maio, Alberto Simone e Joe Vitale. Dei nomi, questi, prevalentemente italiani, scelti da Torelli anche nell’intenzione di valorizzare il movimento presente nel nostro paese.

La produzione e la distribuzione del documentario, anche questa volta, saranno indipendenti e già da oggi è possibile contribuire al crowdfunding, che resterà aperto per una cinquantina di giorni. L’uscita de Il sentiero della gioia è prevista a inizio dicembre, in occasione della grande festa dei sostenitori. «Covid permettendo ci piacerebbe organizzare, come anche per i precedenti documentari, un evento per festeggiare coloro che ci hanno sostenuti e mostrare loro in anteprima quello che siamo riusciti a realizzare grazie a loro», ci ha riportato Torelli. E, sempre “Covid permettendo”, dopo la prima c’è tutta l’intenzione di portare in tour per l’Italia Il sentiero della gioia».
«Ogni volta sono molto curioso di vedere come reagisce il pubblico ai miei nuovi lavori», ci ha raccontato Torelli. «Per me il giudizio più importante è il loro e spero di non deluderli mai. Per questo cerco sempre di dare il massimo, e anche perché per me far convivere una forma d’arte bella come il documentario e offrire alle persone un punto di vista diverso, capace di aiutarle a vivere meglio, è diventata quasi una missione di vita». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/sentiero-della-gioia-viaggio-trasformazione-vita-piena/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Tre giovani, delle tavole da surf decorative e un progetto per cambiare il mondo.

Si, letta così è una affermazione molto ambiziosa.

In realtà è proprio il motivo che spinge Filippo, Stefano e Matteo ogni giorno a crescere e ad ampliare il loro progetto.

Ma facciamo un passo indietro, e vi raccontiamo la loro storia in breve:

Siamo a febbraio 2020, nord Italia, e Filippo, appassionato di surf, si reca dall’amico Stefano, falegname, per realizzare una tavola da surf decorativa che avrebbe posizionato nel salotto di casa, così si sarebbe sentito vicino al mare anche quando durante l’anno per motivi lavorativi non ci sarebbe potuto andare.

La tavola viene prodotta e diversi amici la notano e chiedono di averne una anche per loro.

Stefano e Filippo raccolgono vari ordini e preparano una piccola collezione di prodotti.

In un pomeriggio di giugno, Matteo, amico di entrambi, è in falegnameria da Stefano per esigenze lavorative e nota le colorate tavole da surf decorative.

 I tre si ritrovano qualche settimana dopo per una birra e Matteo presenta loro l’idea di espandersi oltre il concetto di semplice complemento di arredo, ma di legare al progetto un discorso più ampio, che comprendesse una raccolta fondi a sostegno della pulizia del mare e delle spiagge, finanziata dalla vendita delle tavole decorative appunto.

Inoltre ci si voleva focalizzare su una produzione ad impatto zero, utilizzando esclusivamente materiali riciclati o riciclabili, sia per la produzione che per l’imballaggio.

A luglio 2020 prende vita il progetto Mana come lo conosciamo oggi.

Filippo è sempre in contatto con le principali organizzazioni di Clean Up in Italia, per presentare il progetto che viene sempre accolto con grande entusiasmo, e per capire insieme a loro quali sono le reali esigenze di chi combatte ogni giorno il problema rifiuti sulle coste e nei mari, così da poter organizzare al meglio gli aiuti che Mana mette a loro disposizione.

Tramite le pagine Instagram e Facebook, e tramite il sito manadecorboards.com si condividono informazioni importanti ed aggiornate relative alla situazione in cui versano i nostri mari e le nostre coste, al fine di sensibilizzare tutti al reale problema che stiamo vivendo, si segnalano le iniziative di Clean Up, in incredibile crescita grazie ai volontari che le supportano.

In cantiere per il team Mana tanti progetti “satellite”, ma sempre finalizzati a voler lasciare un’impronta concreta a sostegno del nostro pianeta.

Contatti:

Sito ed e-commerce: http://www.manadecorboards.com

Facebook: Mana Decor Boards

Instagram: mana_decor_boards

Fonte: manadecorboards.com

In memoria del ligustro: riflessioni sull’infanzia che c’è stata e su quella che verrà

Mentre lavoro nei campi il pensiero corre ai bambini e ai ragazzi di oggi. Chiusi in città maleodoranti, insensibili a quel po’ di natura che li circonda, attratti dall’artificiale. E le regole “anti-Covid” hanno fatto il resto. Quale società costruiranno le attuali nuove generazioni se non saranno nemmeno più in grado di toccarsi, abbracciarsi, correre e giocare insieme?

In questi giorni di primavera mi capita spesso di passare lunghe ore all’aperto impegnato nei lavori dell’orto e dell’oliveto mentre le rondini sfrecciano sfiorando l’erba e in sottofondo si  ode costantemente il richiamo insistente dei codirossi.

Non presto molta attenzione a ciò che mi circonda. L’angoscia della situazione attuale è troppa, così come la rabbia, e mi pesa l’impotenza nel vedere il mondo che si sgretola di fronte allo strapotere di multinazionali e al movimento pulsante e irrazionale di una società ormai  priva di ogni punto di riferimento, valore e consapevolezza.  Annaffio, rastrello, tasto i baccelli, raccolgo le potature degli ulivi, apro e chiudo il recinto delle vecchie cavalle pony. Il tempo passa veloce. Tuttavia c’è qualcosa che mi distrae, un essere vivente che mi  fa distendere le rughe della fronte e riporta la mia attenzione sul mondo circostante. È il Ligustro  (Ligustrum vulgare ), un arbusto mediterraneo che forma intrichi e siepi ai bordi dei boschi, nelle radure o dove la luce è abbastanza forte da potergli giovare. Siamo a Giugno e il ligustro è lì, con le piccole foglie coriacee, incurante di telegiornali, pandemie vere o presunte, disastri economici e sociali. Lui è lì e da fine Maggio ci regala dei fiori bianchi a grappoli, dall’aspetto insignificante ma il cui odore, dolce come zucchero, ubriaca anche il più sobrio degli insetti ed è inebriante anche per  gli esseri umani.  Aspiro il profumo e mi sento confortato.  

Poi però il lavoro nel campo mi richiama e mentre accatasto i rami di olivo il pensiero corre ai bambini e ai ragazzi di oggi. Chiusi in città maleodoranti, insensibili a quel po’ di natura che li circonda ma attratti dall’ artificiale, automi costretti in mille progetti; progetti che loro stessi credono interessanti, utili o divertenti ma in realtà non hanno alcun senso se non gettarli nella competizione. Hanno già una maschera e non sanno più riconoscere il bello e il giusto, non sanno quasi più toccarsi, abbracciarsi, ridere come scemi per una battuta banale, rimanere a bocca aperta per un arcobaleno o le onde del mare. Quasi, appunto; alcuni istinti permangono ancora, alcune ripulse sono dure da scacciare: come la disperazione per la sofferenza degli animali o la voglia di correre o più semplicemente le necessità di stare con degli altri simili e coetanei . Ma questo è un problema per una società di consumatori senza freni e per coloro che vendono prodotti e creano economie.  Ecco dunque, durante “l’emergenza covid”, che molte regole che io ritengo assurde e inique si sono accanite proprio su bambini e ragazzi. La scuola a distanza, il distanziamento sociale, le distanze di sicurezza, la paura dell’altro: sono una delle peggiori realizzazioni che questa società pazza ha imposto negli ultimi mesi ai bambini e ai ragazzi. Tutto ciò comporta solitudine, disorientamento, insicurezza; l’atomizzazione della società arriva così alla sua apoteosi; solo singoli si è sicuri. Ma al contrario, quali disagi mentali, quali conseguenze sociali hanno prodotto e produrranno queste imposizioni largamente accettate dagli adulti?  Quale società costruiranno le attuali nuove generazioni se non saranno nemmeno più in grado di toccarsi, abbracciarsi, correre e giocare insieme?

Cinquant’anni  fa la stragrande maggioranza dei bambini riconosceva l’odore del Ligustro, ne gioiva inconsciamente, le ragazze se lo mettevano tra i capelli o nei vasi dei fiori per la Madonna. Oggi il 99% dei bambini non ha mai respirato il profumo del Ligustro, non ne ha mai visto le foglie o i fiori, non sa nemmeno che esista. Se vogliamo cambiare davvero, dobbiamo recuperare il puro contatto con la natura e con noi stessi  e tornare ad assaporare nell’aria l’odore zuccherino della Primavera.

QUALCHE DATO: circa il 60% dei ragazzi controlla lo smartphone come prima cosa appena svegli e come ultima cosa prima di addormentarsi.  Il 63% tra i 14 e i 19 anni usa lo smartphone durante l’orario scolastico. Il 50% dichiara di trascorrere dalle 3 alle 6 ore al giorno con lo smartphone in mano quando fuori da scuola. 120.000 adolescenti in Italia trascorrono su internet oltre 12 ore al giorno mostrando patologie psichiatriche.

Fonte: ilcambiamento.it

Comunitazione: nelle relazioni la chiave per cambiare il mondo

Comunicazione, comunità, azione. Sono queste le tre parole racchiuse nel progetto Comunitazione che incoraggia la partecipazione dal basso, la progettazione condivisa a vari livelli e l’innovazione nelle dinamiche sociali attraverso l’attivazione di cittadinanza attiva. L’obiettivo? Innovare le tecniche di comunicazione odierne per facilitare le persone ad agire come comunità. Comunitazione è una delle storie più rappresentative di “chi ha fatto così”. Già, il plurale è d’obbligo: è una realtà nata dal desiderio di Ilaria Magagna, Giulio Ferretto e Melania Bigi di trovare nuove forme di comunicazione dove poter far esprimere al massimo il valore e il potenziale d’azione della relazione.

Ilaria ha studiato al Dams a Bologna e si è trasferita a Ceglie Messapica, in Puglia, per il teatro. A Ostuni, presso il Centro Culturale “la Luna nel Pozzo” conosce Giulio, anche lui amante del teatro. I due, oltre a condividere questo percorso, diventano marito e moglie, formano una famiglia e, tramite la lettura di un articolo sulla Democrazia Profonda, conoscono poi Melania Bigi, che attratta dal progetto nascente si trasferisce a Ceglie Messapica.
I tre hanno una forte passione in comune che nasce da un’esigenza: come innovare le tecniche di comunicazione odierne, per avvicinare il mondo della formazione al miglioramento delle relazioni interpersonali, in maniera tale da spingere le persone ad agire come Comunità nel superamento del conflitto. La forte spinta nell’andare ad indagare “l’essenza della relazione” stessa. Dopo la scrittura del progetto, i ragazzi vincono un bando legato all’innovativo programma di politiche giovanili “Bollenti Spiriti” della Regione Puglia e la loro avventura è partita e arrivata fino ad oggi con una domanda: in un mondo che sta apparentemente andando in una direzione negativa, chi cerca di comunicare che questa direzione può essere pericolosa riesce a trovare il modo per comunicarlo alle persone?

ComuniTazione: Comunicazione, Comunità e Azione

Comunitazione si occupa principalmente di processi di comunità sotto due differenti aspetti. Uno è quello della comunità di gruppi che lavorano insieme, il prendersi cura dei gruppi di lavoro sotto vari punti di vista e le cui modalità di gestione si rifanno alla Facilitazione, cioè  accompagnare i gruppi in una serie di processi che vanno dalla progettazione, alla visione fino alla governance del gruppo stesso. Comunitazione gestisce i gruppi di lavoro sia attraverso delle facilitazioni vere e proprie, disegnate e progettate ad hoc per la realtà interessata e per le sue esigenze, sia attraverso dei corsi sulla facilitazione più generici e allargati a gruppi più ampi. L’altro aspetto riguarda le comunità territoriali più ampie come i quartieri, i paesi, le città e le esigenze di ognuna di queste, disegnate e gestite attraverso i Processi Partecipativi: una serie di tecniche e di metodologie che Melania, Giulio e Ilaria studiano e continuano a studiare per mettere insieme le persone, farle aggregare e progettare insieme rispetto ad un sogno, un’esigenza o un bisogno, e dopo di questo attuare una serie di azioni che hanno deciso direttamente le persone stesse per rispondere a questi sogni e bisogni. Tratto caratteristico della Facilitazione e dei Processi Partecipativi è proprio la relazione che si fa azione, essenza del lavoro di Comunitazione.

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La Facilitazione: il conflitto si trasforma in oro, la sostenibilità della relazione

Per Facilitazione “intendiamo una serie di tecniche, molto variegate, che ci permettono di lavorare sulle difficoltà, sui conflitti, spesso rappresentate dal come fare una riunione e da come gestire i tempi di questa” ci racconta Giulio Ferretto “ per far emergere il vero messaggio che sta dietro al conflitto, il possibile valore aggiunto che si viene a creare se riusciamo a gestirlo. Per anni Giulio e Ilaria, da genitori, si sono domandati cosa significasse davvero per loro il termine sostenibilità. Per anni tutti e due hanno lavorato con il teatro, e qui tornano le relazioni: perché non sviluppare la comunicazione come sostenibilità nelle relazioni? E perché non farla uscire dal palcoscenico del teatro per portarla nelle sale della vita quotidiana? L’idea della sostenibilità nella comunicazione è così divenuta l’essenza di Comunitazione.

I processi partecipativi: la forma più forte di mettere in relazione le persone

“Cercavamo qualcosa che ci desse la possibilità di andare a conoscere le persone e fare qualcosa insieme” racconta Ilaria Magagna “perché nel fare insieme si costruiscono relazioni che poi durano nel tempo.” Nello sviluppo dei processi partecipativi in Comunitazione Melania Bigi ha avuto un ruolo centrale: dopo un’esperienza personale in Brasile, Melania ha trasmesso a Giulio e Ilaria la metodologia dell’Oasis Game, sviluppata da Elos tra le favelas del paese allo scopo di costruire un sogno collettivo coinvolgendo le comunità ad agire per realizzarlo. L’Oasis Game si basa su sette passi (che sono tecniche sociali per creare spazi aperti di collaborazione) e su due principi fondamentali: il primo, fondamentale è la bellezza, che in questo caso sta a significare la spinta che ognuno ha dentro di se verso ciò che nutre, “è trovare la bellezza dove tendenzialmente noi non la vediamo, ma esiste. E farla uscire, si tratta di mettere in luce ciò che all’interno di uno spazio, di un quartiere, di una periferia già c’è.” spiega Ilaria “ed il secondo è il divertimento. Uno dei principi dell’Oasis Game è che se una cosa non è divertente non è sostenibile.

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Da molti anni in Italia si fanno processi partecipativi, quello che cercavamo noi era il poter trasmettere alle persone dei concetti e delle azioni non solo attraverso il canale razionale delle semplici riunioni, ma avvicinarsi a quello tramite tutta una serie di azioni che vengono dall’animazione sociale, dal gioco, che vengono molto anche dal teatro, affinché le persone possano essere protagoniste di un cambiamento delle loro vite attraverso il divertimento e lo stare insieme in maniera spontanea e creativa.” E questo processo mette in condizione le persone di vivere in un’abbondanza incredibile “che è dentro di noi e che è nostro compito riuscire a farla emergere, perché abbiamo perso la capacità di vederla ma esiste” sostiene Giulio “ci sono molteplici verità nella vita e non una assoluta ed ognuno di noi è portatore di una tessera del puzzle. Viviamo in un periodo che definiamo complesso, dobbiamo iniziare ad imparare a viverci e a gestirla questa complessità e queste tecniche ci aiutano a far emergere tutti i punti di vista e la potenzialità di ognuno di questi nella costruzione di un racconto comune. Sono tecniche stimolanti per il formarsi dell’intelligenza collettiva, che permette di trovare soluzioni creative e straordinarie alle problematiche che dobbiamo affrontare.” A Ceglie Messapica queste tecniche hanno stimolato la riqualificazione partecipata del Paese, come illustrato in questo video.

La cittadinanza attiva e la leadership condivisa

I processi e le attività di Comunitazione, per loro caratteristica, non si fermano ad un solo gruppo chiuso. Trattando di Processi Partecipativi, lo sguardo va ben oltre ad un aspetto che può essere solamente aziendale o di piccolo gruppo e si allarga al mondo della cittadinanza, dei quartieri, delle dinamiche di trasformazione e cambiamento di un Paese, ed è li che si innesca un processo di ‘economia circolare della relazione’. Spiega Ilaria che “bisogna capire che il concetto di cittadinanza attiva, di cui tanto si parla in questi anni, è un percorso da costruire e difficilmente si costruisce solo improvvisando. Stiamo osservando in questi anni che c’è bisogno di professionisti e di persone formate per gestire la partecipazione, l’inclusione, i processi relazionali e tutti i conflitti che ne derivano, affinché questi non diventino deleteri e si trasformino in ricchezza per tutti.”img_1219

Comunitazione inoltre sta cercando sin dalla sua nascita di diffondere un nuovo concetto di leadership affinché la cittadinanza attiva possa farsi realtà concreta e coerente con quello che vuole esprimere: secondo Giulio “nella nostra cultura i tempi sono maturi per poter passare da leadership piramidali a leadership condivise. Perché è nella leadership condivisa che un singolo che lavora per un progetto riesce poi a tirare fuori tutto il potenziale che porta dentro, perché questa leadership nutre il progetto stesso ed è fondamentale che questo concetto si attivi anche nei processi aziendali e associazionistici. Noi sentiamo fortemente che questo sia uno dei concetti che serve di più in questo momento.”

Le attività e la collaborazione con Italia che Cambia

Comunitazione nel corso degli anni ha collaborato (e collabora tutt’oggi) con Labsus, il laboratorio per la sussidiarietà, nella creazione del Regolamento per l’amministrazione condivisa a Mesagne, facilitando l’approvazione di alcuni patti tra l’amministrazione e i cittadini. Ha organizzato dei World Café (una tecnica che permette di raccontarsi tramite conversazioni informali)  con un’associazione che si occupa dei migranti a Grottaglie, che ha permesso a dei rifugiati politici di incontrare dei ragazzi delle scuole elementari e medie e di potersi presentare e raccontare. È impegnata nella collaborazione con un percorso di formazione per il terzo settore nel Sud Italia chiamato “Formazione Quadri del Terzo Settore”, nel quale è responsabile per la formazione in Puglia. Inoltre sta portando in Italia un progetto europeo che si chiama “Go deep” che mette insieme la versione pratica dell’idea della democrazia profonda con l’Oasis Game.

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L’incontro degli Agenti del Cambiamento di Milano

Oltre a tutto ciò, Comunitazione è parte integrante del progetto di Italia che Cambia: hanno portato la Facilitazione all’interno del team organizzatore, introducendo una serie di tecniche per gestire le relazioni tra i membri che lavorano al progetto, e seguono tutto il processo di relazione tra Italia che Cambia e i territori, facilitando gli incontri sia regionali che nazionali degli Agenti del Cambiamento. Le tecniche e l’apporto di Comunitazione è stato fondamentale per l’ottima riuscita dei documenti alla base della Visione 2040 di Italia che Cambia, nello specifico per gestire al meglio i processi comunicativi che hanno caratterizzato tutti i tavoli tematici.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/io-faccio-cosi-144-comunitazione-nelle-relazioni-la-chiave-per-cambiare-il-mondo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Agricoltura su piccola scala: in preparazione un libro per la difesa della sovranità alimentare e il ritorno alla terra

Lanciata una raccolta di fondi per finanziare dal basso il progetto di un libro autoprodotto sull’agricoltura contadina, quell’agricoltura che costituisce ancora oggi gran parte della struttura produttiva alimentare anche nel nostro paese e in molti altri del mondo. Un libro per affermare con vigore la necessità di politiche agro-igienico-alimentari che permettano anche al piccolo produttore, e a chi sceglie di ritornare a vivere nella natura, di prodursi e vendere i suoi prodotti trasformati senza vincoli legali e fiscali che impedirebbero a chiunque di sopravvivere. Un libro importante per scardinare false certezze e impostare nuove soluzioni al fine di favorire una decrescita di scala cosciente e una deurbanizzazione ormai necessariacabras_agricoltura

“Uno spettro si aggira per l’Europa” diceva qualcuno molto tempo fa annunciando così l’avvìo di una lunga stagione di lotte e di speranze, anche di immani tragedie, ma certamente di entusiasmo e della fiducia di poter cambiare il mondo. Oggi sta forse ripartendo, più silenziosa, una diversa spinta radicale al cambiamento che prende le distanze dal modello di vita imperante e ne costruisce uno diverso. Più che uno spettro è uno spirito, di vita e non di morte, anche se la falce in mano potrebbe averla. E, come per uno spettro, si tratta di qualcosa che risorge, riappare, dopo esser venuta meno, essere stata data per estinta: è l’agricoltura contadina, familiare, su piccola scala, di sussistenza o come vogliamo chiamarla, ma un modello sostenibile di quell’interazione produttiva, quel dialogo infinito tra umani e Natura che è (o dovrebbe essere) l’agricoltura. Sono sempre di più le persone che, di fronte alla crisi profonda (e forse al collasso imminente) della “civiltà” consumista cercano altre basi sulle quali vivere, senza consumarsi in militanze, combattimenti e progetti da “sol dell’avvenire”, senza aspettare che il mondo cambi per cambiare la propria vita, e così contribuendo qui ed ora a una riconversione più generale. Restando sulla terra, per chi ci è nato, tornandoci o, meglio, facendone il proprio futuro per chi viene dalla città. Quando l’ho fatto io, alla fine degli anni ’70, andare in campagna era additata da molti, impegnati nelle lotte politiche, come niente più che una fuga dalla realtà. Non lo era, e oggi queste scelte sono all’ordine del giorno come alternativa radicale e credibile, mentre il concetto di rivoluzione sociale in cui si credeva allora lo è molto meno. Ma fuga non poteva essere anche perché la realtà del Sistema in cui viviamo non trascura di venirci incontro a ogni passo, anche in campagna, a presentarci il conto a ogni buona occasione. Da Roma mi ero trasferito sul Monte Peglia, in Umbria, dove c’era (e tuttora resiste) una comunità di persone (allora un centinaio) sparse in una ventina di casolari e terreni demaniali abbandonati cui era stata ridata vita, occupandoli: molto lavoro di ricostruzione dei casali e bonifica dei pascoli, allevamento, lavoro dei campi… Ma ciò che più ci rendeva e rende tuttora difficile la vita è il rapporto con le istituzioni (Comunità Montana, Regione) che fra tentativi di sgombero e poi affitti precari, non hanno mai concesso un contratto di lungo periodo che consentisse di poter fare progetti con tranquillità. Mentre nella stessa zona ci sono decine di migliaia di ettari abbandonati ed oltre cento casolari disabitati già crollati. Le politiche sul demanio (che sarebbe un bene comune) volte a favore di disegni speculativi anziché per un’ottica di ripopolamento rurale, si son sempre presentate ai nostri occhi come dei pericoli più che come delle opportunità. Anni dopo, avevo cominciato a coltivare un oliveto e ho avuto un’idea: avrei potuto imbottigliare a casa il mio olio e venderlo al mercato in paese: vivere producendo cibo sano e, vendendone una parte, guadagnare quanto mi serviva di denaro liquido. Niente di nuovo, del resto, ciò che si è sempre fatto per generazioni. Non era una buona idea? E un’attività onesta? No: è un’atto criminale, si incaricarono di informarmene dopo non più di due ore i carabinieri che vennero a sequestrarmi l’olio e a farmi una bella multa. Anche solo per imbottigliare l’olio serve una procedura HACCP (1) e un laboratorio con l’approvazione della ASL e, per ottenere le attrezzature e i requisiti necessari, bisogna spendere decine di migliaia di euro che, per un piccolo produttore, sono impossibili da recuperare. Eppure il frantoio dove eran state spremute le olive era in regola e nella mia cucina io posso preparare cibo sia per me che per degli ospiti, anche per dei bambini, e (lasciatemelo dire) la qualità del mio olio (che è bio per davvero) sarà mica inferiore a quello del supermercato? Niente da fare: la legge è la legge. Certo, ma c’è anche un’altra cosa da sapere: che la legge è politica, non sta scritta nelle stelle, siamo noi umani che la facciamo, e possiamo cambiarla. E allora, durante trent’anni di vita in campagna, mi son sempre chiesto perché ancora in pochi vedono una scelta di vita contadina oggi come un’alternativa possibile. Che è importante, perché una cosa è anacronistica, isolata e marginale quando è praticata da poche persone, altrimenti diventa un’opzione normale. Ho pensato che non a tutti piace vivere sempre sul filo dell’illegalità, senza poter lavorare alla luce del sole e vendere tranquillamente i propri prodotti, indefinibili professionalmente, ignorati dalle normative che concepiscono solo la figura dell’“Imprenditore Agricolo Professionale”. Ho pensato che, tra le varie cose che riesco ad autoprodurmi, ci mancava un libro. Un libro in cui dar voce a chi lavora da anni per far valere le ragioni dei contadini tradizionali nel mondo e di quelli nuovi, che hanno scelto di esserlo. Un libro per dire, ad esempio, che l’agricoltura su piccola e piccolissima scala è ben lungi dall’essere estinta o residuale: il cibo che sfama l’umanità in tutto il pianeta, infatti, è tuttora prodotto al 75% da piccoli agricoltori e in Italia l’85% delle aziende sono a conduzione familiare, nella stragrande maggioranza piccole e senza dipendenti. L’estensione media per azienda è vicina ai 7 ettari, per l’85% è inferiore a 10 e nel 47% di questa quota è inferiore a 2; solo nel 2,2% dei casi l’estensione è superiore ai 50 ettari. Più che “marginale” si tratta forse solo di una realtà che non ha l’“onore” dell’attenzione dei media, dunque. Che per la PAC (2) 2014-2020, appena varata in via definitiva, dopo tanto parlare di sostegno ai piccoli agricoltori si è finito per destinargli solo qualche spicciolo (circa 500 € l’anno) senza invece mettere un tetto ai contributi diretti ai grandi latifondisti (3); che solo quest’anno son stati tolti dalle categorie beneficiarie degli aiuti in denaro i proprietari di terreni usati come aeroporti, campi da golf e simili, ma accatastati come agricoli, che hanno ottenuto (legalmente) per decenni soldi destinati all’agricoltura, ma si è lasciato alla discrezione dei vari stati nazionali come definire chi va considerato “agricoltore attivo” e quindi avente diritto agli aiuti o meno e che tra i soggetti meritevoli di sostegno allo sviluppo rurale son state inserite anche le compagnie di assicurazioni (4). Un libro per dire che la biodiversità agricola (e alimentare) è in serio pericolo se è vero che il mercato globale delle sementi è controllato all’80% dalle prime 10 aziende multinazionali del settore e al 53% dalle prime 3 (Monsanto ha da sola il 27%), che sono anche le corporations leader dell’agrochimica e dell’ingegneria genetica applicata in campo agricolo; che nel mondo si è passati in pochi decenni da migliaia di varietà di piante ad uso alimentare a pochissime e sempre più artificiali e iperselezionate; ma anche per raccontare della risposta di tante organizzazioni contadine, de La Via Campesina, del miglioramento genetico partecipativo dello scienziato italiano Salvatore Ceccarelli; per parlare della rapina della terra nel mondo attraverso il land-grabbing, ma anche delle “dismissioni” del demanio in Italia per far quadrare i conti con l’Europa e con le banche d’affari mentre è in corso un evidente processo di concentrazione della proprietà fondiaria (5). Un libro per analizzare le leggi vigenti, soprattutto in materia igienico-sanitaria e sulla vendita diretta, e dimostrare tutta la questione di volontà politica e di interessi che sta dietro al modello unico della produzione agroalimentare industriale e della Grande Distribuzione. Una ricerca atta a segnalare che esistono diverse proposte di legge che vanno nella direzione di un’apertura di spazi di agibilità legale per le produzioni contadine (come quella di agricoltura contadina a livello nazionale e altre presentate in diverse Regioni italiane) e che vi sono inoltre già alcune leggi esistenti (come nella Provincia di Bolzano e nella Regione Abruzzo). Inoltre, con questo lavoro avanzo io stesso personalmente alcune idee inedite di soluzione della questione, il cui scopo è soprattutto quello di dare un contributo a una discussione su temi che ci riguardano tutti e che credo sia molto importante e urgente affrontare.

Per arrivare alla pubblicazione di questo libro è attualmente in corso una raccolta fondi di produzione dal basso/crowd funding sul sito:

www.limoney.it

ed è anche attiva una pagina Facebook: Terra e futuro, l’agricoltura contadina ci salverà

1. Un sistema creato dalla NASA per assicurare l’igienicità del cibo nelle navicelle spaziali e ora richiesto dai regolamenti europei sulle produzioni alimentari che non distinguono tra le piccole produzioni contadine e l’agroindustria.

2. Politica Agricola Comune europea; le è destinato quasi il 50% dei fondi pubblici europei.

3. I dati relativi ai contributi PAC del 2011 ci dicono che in Italia il 93,7% delle aziende agricole (1.170.000 aziende) ha ricevuto il 39,5% dei fondi a disposizione, per una media di 1000 € (mille euro) ad azienda, il 18% è andato allo 0,29% delle aziende e il 6% è stato diviso tra lo 0,0001% che sono 150 aziende alle quali è toccata una media di 1.589.000 € ognuna.

4. Per polizze contro i disastri provocati dai cambiamenti climatici e dalla volatilità dei prezzi sui mercati globali/speculazioni finanziarie sul cibo – problemi a cui si dovrebbero trovare ben altri tipi di soluzione che non le coperture assicurative.

5. Tra il 2000 e il 2010 le aziende con una superficie agricola tra i 2 e i 10 ettari sono diminuite del 20% circa. Questa tipologia di aziende ha perso in questo decennio un totale di circa 550.000 ettari e nello stesso periodo le aziende di oltre 100 ha hanno registrato un incremento di 270.000 ha e quelle tra i 50 ed i 100 ha di altri 360.000. Oggi l’1% delle aziende ha il 30% dei terreni agricoli e la tendenza è in aumento.

Fonte: il cambiamento