Come diminuire gli sprechi di energia e di calore in casa

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Diminuire le dispersioni di calore nelle nostre case permette di godere del giusto comfort, ma anche di ridurre maggiormente consumi e sprechi, incidendo positivamente sulle nostre tasche. Intervenire adesso ci consente di farci trovare preparati, quando tornerà la stagione fredda in autunno. Vediamo adesso insieme un piccolo vademecum per ridurre i consumi energetici in bolletta, tagliando le dispersioni termiche.

Isolare le pareti

La prima cosa da fare è isolare le pareti di casa. Si può procedere utilizzando dei pannelli che fungano da buon isolanti termici. Il materiale tra i più utilizzati è il polistirene, perché ha una buona resa, una lunga durata e un basso costo. In alternativa, potete utilizzare dei pannelli isolanti in sughero, incollandoli direttamente con un collante traspirante. Successivamente, la superficie sarà rivestita da un intonaco anch’esso traspirante. Infine, potete spostare i mobili dalle pareti esterne, a quelle che danno all’interno.

Sostituire gli infissi

Gli infissi dovranno essere sostituiti con altri a doppio o triplo vetro, a bassa conducibilità termica. Potete optare anche per degli infissi a taglio termico, in grado di evitare la trasmissione per conduzione di calore dalla faccia interna a quella esterna, attraverso delle guarnizioni in materiale isolante.Utilizzare salvaspifferi

Salvaspifferi, realizzati con il materiale che volete, anche con il riciclo creativo, per impedire all’aria fredda di passare. Esistono anche dei salvaspifferi intelligenti composti da due rulli che si infilano sotto le porte e rimangono posizionati uno all’interno e uno all’esterno, bloccando completamente gli spifferi. I rulli si muovono assieme alla porta, senza bisogno di essere spostati continuamente.

Applicare pannelli isolanti e riflettenti dietro i radiatori

Negli appartamenti dove è presente un impianto di riscaldamento a radiatori, inserite dei pannelli riflettenti dietro il radiatore, in modo tale da rinviare verso l’interno, aumentando il calore a disposizione dell’ambiente.

Realizzare una controsoffittatura

Nelle case dove sono presenti dei soffitti molto alti, potrebbe essere necessario realizzare una controsoffittatura: ridurre il volume dell’ambiente da riscaldare consente di ridurre le dispersioni di calore. In alternativa, potete utilizzare dei ventilatori a soffitto che spingano l’aria rimasta intrappolata in alto, verso il basso lungo le pareti. La circolazione dell’aria consentirà di mantenere calda la stanza.

Isolare i cassetti delle tapparelle

Effettuare la coibentazione del cassonetto, applicando uno strato di materiale isolante, consente di risolvere il problema delle dispersioni termiche localizzate nella parte alta delle finestre e spesso sottovalutate. La coibentazione va applicata su tutta la superficie del cassonetto, assicurandosi la perfetta adesione del materiale isolante, mediante uno strato di adesivo alla parete di fondo.

Manutenzione degli impianti di riscaldamento

Ricordate di sfiatare a cadenza regolare le valvole dei termosifoni per ottimizzarne la resa. Ricordate anche che prese d’aria, radiatori e altri strumenti di riscaldamento non sono complementi di arredo e quindi sono progettati per essere funzionali, non belli. Cercate quindi di non coprire le prese d’aria e non sistemare i mobili in modo da bloccare il flusso d’aria della stanza. Piuttosto, mimetizzate le prese d’aria o i radiatori dipingendoli con lo stesso colore delle pareti.

(Foto:  Jeremy Levine Design)

Fonte: ambientebio.it

I cambiamenti climatici sono già una realtà: basta chiederlo agli agricoltori del mondo

Milioni di contadini, soprattutto nei paesi poveri stanno già subendo sulla loro pelle gli effetti dei cambiamenti climatici: siccità, ondate di calore, inondazioni, incertezza sulle stagioni di crescita. E’ un motivo in più per intervenire drasticamente per ridurre le emissioni..Siccità

Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, le temperature globali sono cresciute, la precipitazioni sono sempre meno prevedibili e gli eventi estremi (inondazioni, incendi siccità) sono sempre più frequenti e andrà sempre peggio se non si tagliano drasticamente le emissioni. I contadini in vari luoghi del pianeta non potrebbero essere più d’accordo. Varrebbe la pena, una volta tanto ascoltarne la voce.

Bolivia. «Qui i cambiamenti climatici sono già una realtà. Ci sono nuovi parassiti sui raccolti a causa delle temperature più elevate. Abbiamo anche sofferto molto per la mancanza di acqua, dice Alivio Aruqipa, contadino che lavora con l’ONG Agua Sustentable. Bangladesh: Secondo Saleemul Huq, esponente dell’IIED «l’IPCC conferma  ciò che milioni di contadini nei paesi in via di sviluppo sanno già, cioè che l’andamento climatico è già peggiorato. Chi inquina deve riconoscere la sua responsabilità verso le vittime dei cambiamenti climatici»

Pakistan: Essendo un paese in gran parte agricolo, sta soffrendo moltissimo per gli alluvioni devastanti (è il quarto anno di fila) e per le terribili ondate di calore (fino a 50 °C).

Malawi: secondo il Center for environmental pololicy and advocacy la pioggia è sempre più instabile e meno prevedibile, con periodi di siccità e forti precipitazioni che allagano ed erodono il terreno rovinando i raccolti.

Niger: secondo l’ONG Care, i cambiamenti climatici stanno aumentando la siccità nel sud del paese, il che unito alla povertà, alla deforestazione e alla crescita demografica sta creando una vera e propria miscela esplosiva (il Niger è anche un importante fornitore di Uranio)

Africa Subsahariana. Secondo l’ONG Oxfam, i cambiamenti climatici ridurranno la disponibilità di cibo e il problema colpirà soprattutto l’Africa dove nel 2050 ci potrebbero essere  meno di 2000 kcal pro capite al giorno.

L’elenco potrebbe continuare. La sofferenza dei contadini e delle popolazioni più povere è un motivo in più per ridurre le emissioni e rivendicare la sovranità alimentare.

 

Fonte: ecoblog

Chi spiega all’avvocato che la CO2 intrappola il calore anche se invisibile?

Secondo il leader dell’opposizione della destra australiana, la CO2 è irrilevante in economia perchè è invisibile. Qualcuno potrebbe spiegare all’avvocato la chimica e la fisica elementari?Abbott-586x440

Farebbe ridere, se non fosse tragica, l’ultima alzata di ingegno del capo dell’opposizione di destra australiana: recentemente ha criticato l’emission trading (1) della CO2, in quanto mercato di una “sostanza invisibile, inodore, insapore e senza peso”. Probabilmente l’avvocato è rimasto fermo ai testi di Aristotele. Qualcuno dovrebbe forse spiegargli che dalla metà del ‘600 Torricelli e Pascal hanno dimostrato che i gas hanno un peso. Inoltre, nel 21° secolo non solo gli scienziati, ma anche tutti i cittadini, sanno bene che ci sono cose invisibili all’occhio che hanno un grande impatto, come i raggi X, la radioattività, i virus ed anche la gravità. John Cook fa inoltre giustamente notare su Skeptical Science che è proprio l’invisibilità della CO2 la causa del global warming. Il biossido di carbonio è infatti “invisibile” all’occhio umano perchè non assorbe nello spettro della luce visibile (la nebbia e le nuvole sono invece “visibili” perchè assorbono parte della luce). Se la CO2 fosse visibile, assorbirebbe energia e quindi il suo accumulo in atmosfera raffredderebbe il pianeta. La CO2 assorbe invece  nell’infrarosso, cioè la regione dello spettro di onde più lunghe di un micron (vedi grafico), quella dove la terra e gli oceani emettono verso lo spazio per mantenere l’equilibrio termico del pianeta. L’infrarosso emesso dal terreno è invisibile, ma è ben percepibile come energia radiante dai nostri recettori termici (2). Una parte del calore che normalmente verrebbe irraggiato nello spazio viene intrappolato e a sua volta re-irraggiato verso terra, con un effetto simile a quello di un lenzuolo o di una coperta. Purtroppo il fatto che la CO2 sia invisibile e gassosa non ci fa percepire il livello di inquinamento dell’atmosfera. Come ben dice Luca Mercalli, se invece fosse marrone e solida…Spettro-di-assorbimento-della-CO2

(1) E’ da notare che l’emission trading non è una tassa sulle emissioni di CO2, ma un modesto approccio liberista al problema: si comprano e si vendono permessi di emissione, così che chi è più virtuoso può guadagnare dalle riduzioni.

(2) Se si avvicina la mano a 10 cm da un ferro da stiro acceso appoggiato in posizione verticale si sente il calore radiante emesso nell’infrarosso anche se il nostro occhio non lo vede. La posizione verticale è necessaria per escludere il flusso di calore convettivo dell’aria calda.

Fonte. ecoblog

Sorgenti irpine minacciate dal raddoppio della galleria

Principale risorsa idrica del meridione, le sorgenti irpine dei monti Picentini sono oggi minacciate anche dal raddoppio della Galleria Pavoncelli. Al fine di fermare la realizzazione di quest’opera che metterebbe ulteriormente a rischio l’ecosistema fluviale irpino è stata lanciata una petizione online.sorgenti_monti_piacentini

Acquedotti con perdite mediamente superiori al 50%, depuratori mal funzionanti, deflusso minimo vitale dei fiumi non rispettato, crisi idriche, sovrasfruttamento delle sorgenti, ecosistema fluviale a rischio, mancato ristoro ambientale, miriadi di microdiscariche e sversamenti abusivi in montagna, bonifiche inesistenti, minaccia di trivellazioni petrolifere e una grande opera dalla storia tormentata, il raddoppio della Galleria Pavoncelli, a complicare ancora di più il quadro generale. Stiamo parlando delle sorgenti irpine dei monti Picentini, la principale, e sconosciuta, risorsa idrica del meridione peninsulare. È un’informazione poco nota, infatti, che il massiccio carbonatico del Terminio Cervialto, grazie alla sua particolare conformazione calcarea, è un vero e proprio gigantesco serbatoio, una naturale “fabbrica dell’acqua” che, con il suo immenso reticolo di gallerie sotterranee, alimenta le sorgenti di queste montagne con benefici straordinari, soprattutto per i territori circostanti. A Caposele l’acqua dei Picentini orientali dà vita alla sorgente Sanità, 4000 litri al secondo mentre a Cassano Irpino un importante gruppo sorgivo produce tra i 2500 e i 4000 litri al secondo. Tranne che per una quota minima e insufficiente destinata all’acquedotto Alto Calore, che rifornisce Sannio e Irpinia, queste sorgenti approvvigionano, tramite la SPA Acquedotto Pugliese, le popolazioni lucane e soprattutto pugliesi, mentre le rinomate acque di Serino vanno a Napoli e le sorgenti di Calabritto e Senerchia nel Cilento. Milioni di cittadini italiani dipendono dalle sorgenti irpine per la loro acqua potabile e la Puglia riesce a sostenere la sua agricoltura grazie agli importanti apporti della diga di Conza – 60 milioni di metri cubi grazie alle sorgenti dell’Ofanto – e, in misura minore, della diga di San Pietro, tra Aquilonia e Monteverde, che raccoglie l’acqua dell’Osento. Eppure la questione della salvaguardia e tutela ambientale di questo territorio, di importanza strategica a livello nazionale, non riesce a varcare i confini dell’Irpinia, né a conquistare e ad appassionare i suoi abitanti.sorgenti_irpine

Lo sa bene il Comitato Tutela fiume Calore che nei giorni scorsi – sull’onda dell’interesse suscitato dall’azione parlamentare dei rappresentanti irpini Carlo Sibilia ma anche Giuseppe De Mita, Valentina Paris e Rocco Palese – ha lanciato on line una petizione per fermare la Galleria Pavoncelli bis e sollevare nuovamente la questione delle acque irpine. “Il problema – afferma il Comitato nella petizione – non è la sottrazione delle acque irpine ma l’insostenibilità delle captazioni. Le curve di deflusso delle sorgenti indicano chiaramente che le riserve di alimentazione stanno diminuendo. Bisogna rivisitare le concessioni di derivazione delle acque e adeguare le aliquote di distribuzione per garantire la vita negli ecosistemi dei fiumi e scongiurare le cicliche crisi idriche”.

La galleria Pavoncelli bis

Le acque di Caposele e di Cassano Irpino arrivano in Puglia attraverso l’Acquedotto Pugliese che tra Caposele e Conza della Campania, agli inizi del ‘900, costruì la Galleria Pavoncelli captando prima le acque di Caposele e poi, dagli anni ’60, anche le sorgenti del Calore. La galleria di valico “Pavoncelli Bis” è un by-pass progettato per venire incontro alle difficoltà degli interventi di manutenzione e ai danni alla vecchia galleria seguiti al sisma del 1980. Ed è su questa galleria che si sollevano i punti critici nella petizione prendendo spunto anche dalle molteplici osservazioni alla realizzazione dell’opera presentate nel corso degli anni in primis da Sabino Aquino, idrogeologo dell’Alto Calore, ex Presidente del Parco regionale dei Picentini, punto di riferimento per chi si è opposto negli anni alla costruzione dell’opera. Dopo che nel 1992 il primo cantiere della galleria fu sospeso per il rinvenimento di una falda acquifera di 700 l/s le vicende giudiziarie tra imprese aggiudicatarie e Aqp contribuirono a rimandare i lavori fino ad arrivare al 2007, quando l’ordinanza del Commissario Straordinario validò il nuovo progetto esecutivo. Ordinanza che fu annullata dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, a seguito dei ricorsi presentati dal Parco dei Monti Picentini e dall’Alto Calore Irpino.piana_dragone

La battaglia continuò, anche in sede europea, fino alla sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione che confermò le ragioni degli enti irpini. Nel 2009 il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza per la vulnerabilità sismica della galleria Pavoncelli aggirando le sentenze citate. Nella nuova Conferenza dei Servizi convocata tutti gli enti competenti, tra i quali Parco Regionale dei Monti Picentini, Provincia di Avellino, A.T.O 1 Calore Irpino, hanno espresso parere sfavorevole per la realizzazione dell’opera, dinieghi superati dal parere favorevole di compatibilità ambientale, emesso da una Commissione del Ministero dell’Ambiente la quale si limita ad affermare che “al termine della fase realizzativa dell’intervento, prima dell’entrata in esercizio, […] saranno effettuati gli studi afferenti il rilascio minimo vitale e la redazione del bilancio idrico”. Sarà quindi prima realizzata l’opera, finanziata per 150 milioni di euro, e poi verificata, a lavori compiuti, la compatibilità ambientale effettuando il bilancio idrico a posteriori. Gli enti hanno quindi nuovamente presentato ricorso presso il Tribunale Superiore delle Acque sostenendo che il Commissario Straordinario non può derogare dalla normativa ambientale che interessa un’area protetta all’interno del Parco regionale dei Monti Picentini. Attualmente si è di nuovo in attesa del parere del Tribunale mentre i lavori nel cantiere sono nella fase iniziale. I dubbi sollevati sono molteplici a partire dalla maggiorazione della portata della nuova galleria che metterebbe ulteriormente a rischio l’ecosistema fluviale irpino. L’intervento avviene in un’area fortemente sismica e il Comitato ricorda che potrebbe anche alterare, in modo serio, l’attuale equilibrio idrogeologico dell’acquifero come è già avvenuto negli anni ’90. Perché, si chiede il Comitato, non intervenire riparando la galleria esistente? È una posizione già espressa da Sabino Aquino il quale, al termine delle osservazioni che ha rilasciato per Il Cambiamento ricorda che “come già evidenziato nel corso della conferenza dei servizi del 15 Luglio 2010, si ritiene che invece di procedere alla costruzione di una nuova galleria si potrebbe sicuramente riparare quella esistente”. “Nel periodo occorrente per la riparazione della predetta galleria, – continua Aquino – l’approvvigionamento idropotabile di parte del territorio pugliese potrebbe essere garantito con il ricorso a fondi idriche alternative in primis l’invaso di Conza della Campania (capacità idrica invasata 58.000.000 di mc.) attraverso la costruzione di una condotta ed un potabilizzatore che, tra l’altro, è già stato previsto per la derivazione dal citato bacino idrico artificiale di una portata idrica pari a 1000 l/sec. da destinare sempre per l’approvvigionamento idropotabile di parte della Regione Puglia”.diga_conza

Rischi e minacce: dalle esplorazioni petrolifere alla mancata bonifica montana

Ma la questione dell’acqua in Irpinia si arricchisce continuamente di nuove problematiche. A partire dal Progetto Nusco, la concessione per le esplorazioni petrolifere concessa dallo Stato italiano in un’area che si sovrappone parzialmente agli acquiferi dei Picentini e interessa i territori limitrofi. I comitati No Petrolio in Alta irpinia eNo Trivellazioni petrolifere in Irpinia, che hanno avuto il merito di sollevare la questione e di portarla all’attenzione delle istituzioni, stanno ancora aspettando il parere sulla Valutazione di impatto ambientale dalla Regione Campania sull’inizio delle trivellazioni nel pozzo Gesualdo 1, a pochi chilometri dalle Mefiti della Valle d’Ansanto e dal complesso termale di Villamaina, in un’area notoriamente ad altissimo rischio sismico. Come ha dichiarato Massimo Civita, idrogeologo di fama internazionale, i rischi del Progetto Nusco sono sia di tipo primario, ma anche di tipo secondario visto che un incidente nell’attraversamento dei Picentini per raggiungere i punti di trattamento sul Tirreno potrebbe mettere a rischio gli acquiferi. Le semplici implicazioni di eventi simili – non improbabili come dimostrano le casistiche delle rotture di pipeline e i ribaltamenti di camion in Basilicata – dovrebbero bastare a sconsigliare il coinvolgimento anche solo delle aree limitrofe. Ma la questione è ancora aperta e c’è chi parla di affidare le decisioni ad un referendum sull’oro nero come occasione economica dimenticando le valenze ambientali, enogastronomiche di un territorio rurale e ricco di biodiversità e quello che, dati alla mano, è stato dimostrato in Basilicata da Rita D’Ottavio del WWF Basilicata sull’impatto economico del petrolio . C’è poi la spinosa questione del mancato ristoro ambientale e il ritardo nell’istituzione del Distretto idrografico dell’Appennino meridionale che pesa sulla compensazione ambientale tra Puglia e Irpinia grazie all’assenza di un comune orientamento tra i comuni di montagna nei quali sono presenti le aree di ricarica delle sorgenti e alla storica assenza della Regione Campania. Regione che, affetta da atavico napolicentrismo, si ritrova tra Napoli e Caserta debitrici di acqua da Lazio e Molise e la creditrice Irpinia per la quale non sono previste nemmeno le azioni di bonifica montana necessarie a preservare il territorio.diga_san_pietro

Al danno, poi, si unisce la beffa. Attualmente oltre la metà della portata idrica dell’acquedotto Alto Calore, che rifornisce l’Irpinia e parte del Sannio, proviene dal sollevamento di falde idriche con considerevoli oneri energetici che si ripercuotono sulla tariffa idrica degli Irpini. Quindi le acque delle sorgenti, di qualità migliore, visto che il potere filtrante delle rocce le rende più pure, vanno fuori provincia mentre buona parte dei residenti beve acqua di pozzo ad un costo maggiore di chi si approvvigiona dalle sorgenti in territorio irpino. Inoltre gli innumerevoli pozzi privati, la modifica nelle precipitazioni meteoriche, il continuo prelievo da parte degli acquedotti che hanno preferito aumentare la portata dell’acqua costruendo sempre nuovi pozzi e aumentando la profondità degli scavi invece che intervenire nel rifacimento delle reti idriche, stanno causando, progressivamente, il depauperamento delle risorse idriche e le sorgenti sono a rischio. Senza dimenticare il mancato rispetto del deflusso minimo vitale dei fiumi irpini nei quali la salmonella si presenta ciclicamente e le morie di pesci sono una triste realtà. Infine l’inquinamento ambientale, che meriterebbe un approfondimento a parte, con la complessa situazione dei depuratori, l’inquinamento dei fiumi e la presenza sempre più consistente di sversamenti abusivi in montagna, spesso ignorata. È necessario avviare un dibattito condiviso, al di là delle appartenenze, a livello locale, ma ottenere anche l’attenzione a livello nazionale ed europeo sulle problematiche accennate, senza alcuna pretesa di esaustività. Questo per individuare fondi europei e nazionali per la messa in sicurezza del territorio, avviare la bonifica montana delle aree di ricarica delle sorgenti – la cui salvaguardia è prioritaria secondo lo stesso Codice ambientale – e definire interventi prioritari come il ripristino del delicato equilibrio nel bacino endoreico della Piana del Dragone. Inoltre bisogna rafforzare le iniziative già intraprese dagli enti competenti per il rifacimento delle reti idriche e avviare, finalmente, il Distretto Idrografico dell’Appennino meridionale che porrebbe le basi per la responsabilizzazione delle regioni coinvolte nelle azioni da intraprendere determinando il tipo di ristoro ambientale necessario. Compensazione che non si può risolvere in un semplice indennizzo economico a singoli comuni, ma in azioni di ripristino, bonifica e salvaguardia dell’intero territorio montano coinvolto. Diversamente il diritto di accesso all’acqua di milioni di meridionali, quasi il 10% della popolazione italiana, sarà seriamente compromesso.

Per firmare la petizione clicca qui

Fonte: il cambiamento

Fracking per il gas in una installazione artistica a Liverpool

Al FACT di Liverpool è in funzione una trivella per il fracking in miniatura, comprensiva di rumori, luci, odori, fiamme di flaring e piscina per gli esausti, per fare conoscere in anticipo agli inglesi come verrà ridotta la loro campagna se questi progetti fossili dovessero realizzarsiFracking-futures-586x379

Per la prima volta il fracking entra in una galleria d’arte. E’ successo al FACT di Liverpool, dove il duo francese di “ingegneri artisti”  HeHe ha riprodotto in scala un sito di trivellazione. Non si tratta solo di un modello didattico, perchè lo scopo dell’opera è fornire l’esperienza di cos’è l’attività di fracking (1), dal rumore, alle vibrazioni, alle luci, agli odori, alla sensazione di terribile calore della fiamma del flaring (2). L’installazione è comprensiva anche di una piscina per i fanghi di trivellazione. Il video sotto dà un’idea dell’opera. E’ una profonda visione distopica, anche se il duo artistico afferma di non prendere posizione pro o contro il fracking, ma semplicemente di farlo conoscere nel proprio giardino di casa. Non a caso l’esibizione è a Liverpool, perchè il nord dell’Inghilterra sta per essere interamente bucherellato alla ricerca di “trilioni di piedi cubi di gas”, come amano dire gli industriali. Sono state già investite oltre 160 milioni di sterline, mentre il ministro conservatore Hosborne ha annunciato riduzioni di tasse per il fracking, facendo infuriare gli ambientalisti.

E’ significativo l’ironico commento di un lettore sul sito del FACT:

«Quanto è realistica l’esperienza? Avete consultato le comunità locali prima di procedere? Avete corrotto le autorità locali per avere i permessi? Avete nascosto, con la scusa del segreto commerciale, l’esatta composizione chimica dei fanghi? Avete pagato scienziati addomesticati e messo su falsi gruppi di pressione? Avete fatto false affermazioni sulla sicurezza del flaring?»

Vedere e toccare con mano che cos’è il flaring prima che inizi a devastare le campagne inglesi come ha fatto in Pennsylvania potrebbe essere un buon antidoto per la popolazione.

(1) Rispetto alle normali trivellazioni il fraking o fratturazione idraulica, inietta sotto terra una mistura di acqua, sabbia e composti chimici ad alta pressione per fratturare le rocce compatte e permettere al gas di fuoriuscire.

(2) Il flaring è la combustione del metano in sovrapressione per ragioni di sicurezza. In alcuni stati è proibita per legge, ma  in North Dakota, negli USA ne stanno facendo un uso spropositato, a causa dell’impetuosa crescita del gas da fracking

Fonte: ecoblog

 

COOL ROOF, tetto fresco.

Il “cool roof” ( tetto fresco) è un sistema di coperture in grado di riflettere la radiazione solare mantenendo fresche le superfici esposte, aumentando il comfort e diminuendo i costi. Per ridurre l’effetto “isola di calore” delle aree urbane, accanto alla possibilità di investire sui giardini pensili orizzontali e verticali o sulle coperture ventilate, si è ormai consolidata la scelta di soluzioni a “cool roof”, letteralmente “tetto fresco”. Il “cool roof” è un sistema di coperture in grado di riflettere la radiazione solare mantenendo fresche le superfici esposte ai raggi. Essendo un sistema di raffrescamento passivo, il “cool roof” si basa sull’uso di tecniche per il controllo del calore principalmente utilizzando materiali ad alta riflettanza solare e ad alta emittanza termica, ovvero la capacità di emettere calore sotto forma di radiazione infrarossa mantenendo il tetto fresco anche sotto il sole.Immagine

Vantaggi dei cool roof

Rimanendo fresche le coperture, anche la quantità di calore trasmesso alle abitazioni diminuisce, aumentando il comfort interno e diminuendo i costi per la climatizzazione, con evidenti guadagni sia in termini economici che energetici. I cool roof si mantengono solitamente ad una temperatura tra i 28°C ed i 33°C, decisamente inferiore alle coperture convenzionali, garantendo un risparmio energetico giornaliero per quanto riguarda il condizionamento dell’aria ed una riduzione del picco di carico dal 10 al 30%. L’applicazione di membrane riflettenti inoltre aumenta la produttività dei pannelli fotovoltaici, mantenendo la temperatura della superficie del tetto decisamente inferiore rispetto al normale, arrivando addirittura ad una riduzione vicina ai 40°C.20130729_2

Le principali soluzioni per i “tetti freddi”

Per trasformare una normale copertura in un “cool roof” esistono vari approcci diversificati in base al materiale utilizzati, la caratteristica comune rimane la colorazione bianca. Oltre alle tradizionali membrane bituminose ed alle vernici di colore bianco, prodotte ovviamente a partire da derivati del petrolio, si stanno iniziando a diffondere sul mercato soluzioni per cool roof ecologiche o comunque riciclabili. Non ultimo una delle società specializzate in questa particolare tipologia di prodotto, ha presentato un manto di copertura per cool roof a base di oli vegetali e resine vegetali. La membrana è realizzata grazie al riutilizzo degli scarti di altri settori industriali, riducendo i rifiuti e gli scarti di materie prime e venendo riconosciuto anche dalla bioedilizia. Diversi casi studio hanno verificato che l’applicazione di soluzioni cool roof su coperture orizzontali o verticali ha generato un aumento dell’efficienza energetica delle abitazioni anche superiore al 40%, andandosi anche a sommare alle prestazioni già elevate degli edifici progettati secondo i criteri bioclimatici. Nell’edificio recentemente inaugurato a Toronto per l’Earth Rangers Centre for Sustainable Technology ad esempio, l’impiego del cool roof (tetto bianco) associato al green roof (tetto verde), ha permesso all’edificio di raggiungere livelli di sostenibilità elevatissimi, riducendo i propri consumi del 90%.

Fonte: rinnovabili.it

Farmaci, venti consigli per l’estate

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L’estate è arrivata, e per l’occasione l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha diramato una serie di semplici regole da osservare per conservare, trasportare e assumere in tutta sicurezza i farmaci durante la stagione calda. Eccoli riassunti nel “ventalogo” diffuso dall’Agenzia (mentre per gli approfondimenti è possibile consultare il dossier su Farmaci & Estate sul sito dell’Aifa).

1. Qualora l’aspetto del medicinale che si utilizza abitualmente appaia diverso dal solito o presenti dei difetti (presenza di particelle solide in sospensione o sul fondo, cambio di colore o odore, modifica di consistenza), consulta il medico o il farmacista prima di assumerlo. Tieni presente che non sempre l’aspetto, l’odore o il colore del medicinale rivelano se si è verificata un’alterazione. Pertanto non assumerlo se hai dubbi sull’integrità del prodotto. Segnala al medico qualsiasi malessere, anche lieve, in concomitanza con una terapia farmacologica, perché non tutti i farmaci possono avere effetti facilmente correlabili al caldo.

2. Nel caso di un farmaco presente in diverse forme farmaceutiche e in assenza di specifiche controindicazioni (ad esempio la difficoltà di deglutizione), sono preferibili le formulazioni solide rispetto a quelle liquide che, contenendo acqua, sono in genere maggiormente sensibili alle alte temperature (termolabili).

3. Per essere certo di conservare il medicinale nel modo corretto, leggi attentamente le modalità di conservazione indicate nelle informazioni del prodotto. Qualora queste non siano specificate, conserva il medicinale in luogo fresco e asciutto a una temperatura inferiore ai 25°.

4. Nel caso non sia possibile conservarlo in frigo e, in caso di viaggi o soggiorni fuori casa, trasportalo in un contenitore termico. Agenti atmosferici come eccessiva luce e/o sbalzi di temperatura possono infatti deteriorare i medicinali. Evita sempre, comunque, di esporli a fonti di calore e a irradiazione solare diretta.

5. Se esponi i medicinali per un tempo esiguo (una o due giornate) a temperature superiori a 25° non ne pregiudichi la qualità, ma, per un tempo più lungo, ne riduci considerevolmente la data di scadenza. Se invece la temperatura di conservazione è specificatamente indicata, non rispettarla potrebbe addirittura renderli dannosi per la salute.

6. Evita l’uso di contenitori (portapillole) non esplicitamente destinati al trasporto di farmaci, in quanto potrebbero facilmente surriscaldarsi o rilasciare sostanze nocive ed alterare così le caratteristiche del medicinale. Estrai dal contenitore originale (flacone, blister, etc) solo la dose destinata alla somministrazione quotidiana

7. Se acquisti farmaci, non tenerli per ore in auto al caldo e portali a casa appena puoi. Se hai bisogno di conservare i medicinali di emergenza in auto, chiedi al tuo farmacista di consigliarti un contenitore sicuro che ti consentirà di mantenere il farmaco alla corretta temperatura. Anche farmaci comuni possono produrre effetti potenzialmente dannosi se esposti a temperature troppo elevate.

8. Se soffri di una patologia cronica come il diabete o di una malattia cardiaca, un’alterazione di una dose di un farmaco fondamentale, come l’insulina o la nitroglicerina, può essere rischiosa. Ricorda che i farmaci a base di insulina vanno conservati in frigorifero. In caso di lunghi viaggi o se hai necessità di tenerli in auto per emergenza, conservali in un contenitore sicuro che li mantenga alla giusta temperatura. Presta particolare attenzione anche con gli antiepilettici e gli anticoagulanti. Piccole modificazioni in farmaci come questi possono fare una grande differenza per la tua salute. Alcune alterazioni che potrebbero verificarsi in antibiotici e/o aspirina potrebbero causare danni ai reni o allo stomaco. Ma non è tutto: una crema a base di idrocortisone, ad esempio, per effetto del calore potrebbe separarsi nei suoi componenti e perdere di efficacia.

9. Se utilizzi farmaci in forma pressurizzata (spray), evitane l’esposizione al sole o a temperature elevate e utilizza contenitori termici per il trasporto.

10. Qualsiasi tipo di striscia per test diagnostici, come ad esempio quelle utilizzate per verificare i livelli di zucchero nel sangue, la gravidanza o l’ovulazione, è estremamente sensibile all’umidità, che potrebbe causarne l’alterazione e dare una lettura non corretta. Evita di conservarle in luoghi umidi o eccessivamente caldi.

11. I farmaci per la tiroide, i contraccettivi e altri medicinali che contengono ormoni sono particolarmente sensibili alle variazioni termiche. Questi sono a volte a base di proteine, che per effetto del calore cambiano proprietà. Anche in questo caso conservali in ambienti freschi e a temperatura costante.

12. Sebbene sia difficile immaginare temperature di congelamento in piena estate, tieni presente che anche il freddo eccessivo può causare alterazioni dei farmaci. L’insulina, ad esempio così come i farmaci in sospensione, possono perdere la loro efficacia se congelati. Non conservali a temperature inferiori ai 2° C.

13. Non inserire farmaci diversi in una sola confezione e non mescolarli in uno stesso contenitore per risparmiare spazio in valigia: potresti avere poi delle difficoltà a riconoscere la data di scadenza, la tipologia del medicinale e il dosaggio.

14. Se devi affrontare un lungo viaggio in auto, trasporta i farmaci nell’abitacolo condizionato e/o in un contenitore termico. Evita invece il bagagliaio che potrebbe surriscaldarsi eccessivamente.

15. Durante il viaggio in aereo, colloca i farmaci nel bagaglio a mano. In caso di flaconi liquidi di medicinali già aperti, mantienili in posizione verticale. Se sei in terapia con farmaci salvavita porta in cabina tali medicinali con le relative ricette di prescrizione, poiché potrebbe essere necessario esibirle nelle fasi di controllo.

16. Se devi necessariamente spedire dei medicinali scegli sempre le compresse o comunque forme solide.

17. Alcuni farmaci possono causare reazioni da fotosensibilizzazione (reazioni fototossiche o fotoallergiche che solitamente sono costituite da manifestazioni cutanee come dermatiti, eczemi, ecc.) a seguito dell’esposizione al sole. Controlla attentamente le istruzioni in caso di assunzione di: antibiotici (tetracicline, chinolonici), sulfamidici, contraccettivi orali (pillola), antinfiammatori non steroidei (Fans), prometazina(antistaminico).

18. Evita l’esposizione al sole dopo l’applicazione di gel/cerotti a base di ketoprofene (fino a due settimane dopo il trattamento) o creme a base di prometazina, queste ultime spesso utilizzate per le punture di insetti o allergie cutanee; in caso lava accuratamente la zona interessata, in modo da evitare la comparsa di macchie o, peggio, vere e proprie ustioni. Per tutti gli altri medicinali in forma di gel/crema verificane la compatibilità con l’esposizione al sole.

19. Il caldo può provocare l’abbassamento della pressione anche in soggetti ipertesi, pertanto la terapia dell’ipertensione arteriosa(ACE inibitori in associazione o meno con diuretici, sartani, calcio antagonisti, diuretici, beta bloccanti, bloccanti dei recettori alfa adrenergici) e di altre malattie cardiovascolari potrebbe richiedere un riadattamento da parte del medico/specialista nel periodo estivo. Tieni presente che le terapie in corso non vanno mai sospese autonomamente; una sospensione anche temporanea della terapia senza il controllo del medico può aggravare severamente uno stato patologico. È opportuno, inoltre, effettuare un controllo più assiduo della pressione arteriosa.

20. Intorno agli occhi, nel periodo estivo, non utilizzare prodotti che con il calore potrebbero entrare a contatto con la superficie oculare (creme o pomate non idonee all’uso oftalmico).

Fonte:  Aifa

 

In Norvegia i rifiuti si trasformano in business

Dal Regno Unito e da altri Paesi d’Europa arrivano in Norvegia rifiuti pronti a essere bruciati nei termovalorizzatori e a fornire energia e soldi in cambio dello smaltimento157076659-586x389

Nonostante disponga di abbondanti riserve petrolifere, la Norvegia sta importando parecchia spazzatura con una strategia che gli consente di generare energia nei propri termovalorizzatori, facendosi persino pagare da Paesi come il Regno Unito che arrivano nei fiordi con i loro carichi di rifiuti. In sei mesi – fra l’ottobre 2012 e l’aprile di quest’anno – il Regno Unito ha spedito dai porti di Bristol e Leeds ben 45mila tonnellate di rifiuti domestici.

I rifiuti sono diventati una merce. C’è un grande mercato europeo legato allo smaltimento dei rifiuti, così grande da aver spinto i norvegesi ad accettare l’immondizia proveniente da altri Paesi,

spiega Pål Spillum, capo del recupero rifiuti presso l’Agenzia per il Clima e l’Inquinamento della Norvegia. I proventi di queste attività sono un perfetto fifty-fifty: il 50% del reddito arriva dal pagamento dei rifiuti, l’altro 50% dalla vendita di energia. Secondo le ultime stime, sarebbero oltre 400 i termovalorizzatori attivi in Europa, impianti in grado di fornire calore ed elettricità a 20 milioni di persone. Fra le maggiori importatrici vi sono Germania, Svezia, Belgio, Paesi Bassi e Norvegia, ma è quest’ultima a vantare la maggiore produzione di energia per il teleriscaldamento derivante dai rifiuti. In termini economici un successone, ma in termini ecologici?

I norvegesi dividono meticolosamente in tre sacchetti la loro immondizia: blu per la plastica, verde per l’umido e nero per tutto ciò che va nel termovalorizzatore. Tutto perfettamente diviso, ma qualcuno inizia a essere preoccupato per i rifiuti che arrivano dal Regno Unito. Greenpeace, per esempio, oppure Friends of the Earth secondo il quale gli inceneritori hanno un potere dissuasore nei confronti delle buone pratiche del riciclo. Secondo Julian Kirby

utilizzare i rifiuti per produrre energia non è così “green” come sembra. Questo perché, secondo le stime, l’80% di ciò che viene incenerito è facilmente riciclabile. Se si pensa che il rifiuto possa essere bruciato si è più inclini a buttare le cose piuttosto che a pensare a come riciclarle.

Anche dal punto di vista paesaggistico gli inceneritori non sono affatto graditi, ma la percentuale dei sostenitori è più alta di quella dei detrattori: un 71% che sa di plebiscito.

Fonte:  The Guardian

 

Adattamento al cambiamento climatico, Musco: «Nelle amministrazioni italiane mancano le competenze necessarie»

Il 23 e 24 maggio, a Venezia, una conferenza sul tema delle misure urbane di adattamento al cambiamento climatico. Intervista di Eco dalle Città a Francesco Musco, ricercatore del Dipartimento di Progettazione e pianificazione in ambienti complessi dell’Università Iuav

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Mettere a confronto l’Italia con l’Unione europea e gli Stati Uniti sul ruolo che hanno le reti di città e di urbanisti sui temi dell’adattamento al cambiamento climatico. È il principale obiettivo della conferenza “Il clima cambia le città”, in programma a Venezia, a Palazz Badoer, il 23 e 24 maggio prossimi. L’iniziativa, promossa da Legambiente e Università Iuav di Venezia in collaborazione con il Coordinamento Agende 21 locali e l’Istituto nazionale di urbanistica, vedrà la partecipazione di rappresentanti dell’Ordine degli urbanisti americano e dell’Istituto britannico di urbanistica. Ma qual è la situazione delle città italiane sul versante dell’adattamento al cambiamento climatico? Eco dalle Città ne ha parlato con Francesco Musco, ricercatore del Dipartimento di Progettazione e pianificazione in ambienti complessi dell’Università Iuav.

Quali sono le principali misure di adattamento al cambiamento climatico che possono essere attuate in ambito urbano?
Molto dipende da dove si trova una certa città: servono interventi diversi con impatti diversi a seconda che si tratti, ad esempio, di una località costiera o di una città dell’interno, di una grande area metropolitana o di un piccolo centro vicino all’arco alpino. In ciascuno dei diversi ambiti bisogna identificare le maggiori criticità e capire dove si può intervenire. La cosa importante è che se finora gli interventi venivano concepiti solo in un’ottica ingegneristica, adesso questo approccio non basta più. Occorre intervenire anche attraverso la progettazione urbanistica, l’intero sistema di gestione delle città deve diventare più resiliente.

Può fare qualche esempio concreto?

Una delle conseguenze più evidenti dei cambiamenti climatici è l’acutizzazione dei fenomeni atmosferici. In Italia, ad esempio, non è cambiata la quantità di precipitazioni su scala annuale, ma la loro distribuzione: di conseguenza, in alcune città l’intero sistema di raccolta delle acque dovrebbe essere cambiato. Nelle aree costiere, invece, bisogna attrezzarsi a gestire il rischio di mareggiate diversamente rispetto a quanto si è fatto finora, mentre le città dell’entroterra devono fare i conti con il surriscaldamento estivo, il cosiddetto fenomeno dell’isola di calore urbana.
In che modo le città possono adattarsi alle ondate di calore?

È necessario rivedere l’intera progettazione urbana. Il verde pubblico, ad esempio, non deve essere più considerato solo per il suo valore estetico, ma per il suo effetto di calmierazione sulle ondate di calore. Più in generale, quello dell’isola di calore non rappresenta solo un problema di natura tecnologica, da affrontare semplicemente con la scelta di materiali riflettenti, colori chiari e pavimentazioni che non si surriscaldano, ma anche una questione di tecnica urbanistica. È l’intera organizzazione delle città che deve essere rivista in modo da renderle più resilienti, ad esempio con una ottimale distribuzione degli spazi, con la scelta di alberature opportune e posizionate in un certo modo, etc. Proprio queste nuove misure di tecnica urbanistica sono oggetto di una sperimentazione in alcuni quartieri di Padova e Modena, che insieme ad altre città europee partecipano a un progetto Ue dedicato proprio al tema dell’adattamento.
Al di là di questi esempi virtuosi, qual è la situazione italiana sul fronte dell’adattamento al cambiamento climatico?
Nel nostro Paese la situazione è molto frammentaria: siamo indietro, rispetto ad altri Paesi europei, per quanto riguarda la Strategia nazionale di adattamento, ma siamo in difficoltà anche nel cosiddetto downscaling, il passaggio dalla strategia generale all’applicazione pratica su scala locale. Uno dei problemi principali che devono affrontare le città italiane è la necessità di inserire nella pubblica amministrazione competenze specifiche che adesso mancano. Oltre alla formazione, inoltre, occorre promuovere un lavoro congiunto tra diverse discipline (come da oltre dieci anni cerca di fare il Coordinamento delle Agende 21 locali), un’abitudine non tanto radicata in Italia. Tra l’altro, a differenza di quanto accade in altri Paesi, da noi non sono gli organismi istituzionali, come l’Ordine degli architetti, ad occuparsi di questi temi, che invece restano appannaggio di altri soggetti non governativi, come le università, l’Istituto nazionale di urbanistica o Legambiente. Il ministero dell’Ambiente se ne occupa sul piano istituzionale, ma solo, ovviamente, a livello nazionale, senza poter intervenire sulle singole città. Tra le note positive, invece, si segnalano alcune città aderenti al Patto dei Sindaci che, come Padova, hanno cominciato a inserire nei loro Seap (Piani d’azione per l’energia sostenibile) anche delle misure di adattamento accanto agli interventi di mitigazione.

Qualche modello straniero da seguire?

I Paesi Bassi, tanto per fare un esempio, si sono dotati di un grande Piano di adattamento ai cambiamenti climatici che mette insieme diverse discipline che prima non si parlavano. In particolare, gli olandesi hanno saputo coniugare la competenza che hanno sempre avuto nella gestione idraulica con nuove soluzioni di pianificazione: gestione integrata delle acque, reti sempre funzionanti, localizzazione dei nuovi insediamenti nelle aree più sicure. Da questo punto di vista, ha fatto un ottimo lavoro anche la città di New York: il recente Piano del clima cozzava con la previsione di nuovi insediamenti nell’isola di Manhattan, per cui è stata modificata la destinazione d’uso prevista per alcune aree cittadine dal piano urbanistico, una situazione molto diversa da quello che accade spesso in Italia, dove non si esita a costruire in zone ad alto rischio idrogeologico o vulcanico. In generale, tante altre città, molte delle quali europee, si stanno dotando di piani tarati sulle loro specifiche esigenze. Madrid, ad esempio, sta lavorando sulla carenza idrica, mentre a Stoccarda si stanno concentrando molto sul surriscaldamento estivo. Nonostante in Germania il problema sia molto meno grave che da noi.

Fonte: eco dalle città