Tonno radioattivo da zona di pesca FAO 71: è una bufala

E’ una clamorosa bufala l’alert lanciato in rete sul tonno proveniente dalla zona di pesca FAO 71fao71-620x350

Incuriosita da un messaggio lasciato in risposta a un post di Chicco Testa su Facebook (ebbene sì lo seguo!) scritto da Ferri Roberto e che lanciava il seguente alert:

Attenti al tonno coop, pescato in area FAO71 nell’ area di oceano sotto il giappone e quindi fukushima, fate girare!

ho deciso di approfondire. Ebbene ho subito scoperto che era una clamorosa bufala, ossia notizia ingannevole e falsa, come d’altronde rilevato già dall’ottimo Io leggo l’etichetta. Dunque, non c’è nessun allarme per il tonno proveniente dalla zona di pesca FAO 71, non è radioattivo e non proviene da Fukushima. Quel che invece sta accadendo è che da alcuni giorni impazzano segnalazioni preoccupate che avvertono di non consumare tonno inscatolato pinna gialla di alcuni marchi (tra cui Coop e Asdomar) con provenienza zone di pesca FAO 71 e FAO 61.

Come pure fa notare Io leggo l’etichetta, questo allarme è ingiustificato:

L’allarme è fuorviante e ingannevole perché vengono messe in relazione due zone diverse: la 61 che riguarda Oceano Pacifico del Nord Ovest, zona che comprende l’area del Giappone, dove non viene pescato il tonno qualità pinne gialle commercializzato e venduto in scatola in Italia, con la zona 71 antistante Filippine, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Australia del Nord, questa si zona di pesca del tonno pinne gialle, ma distante migliaia di km di distanza dalla zona del disastro nucleare. Inoltre i tonni pinne gialle della zona 71 non sono più economici dei tonni pinne gialle pescati nelle zone ad esempio 51 e 57 dell’Oceano Indiano. La zona di Pesca FAO 71 copre il Pacifico Occidentale Centrale di fronte le Filippine, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Australia del nord. Le altre zone di pesca sono appunto la zona FAO 51 e Zona FAO 57 ossia nell’Oceano indiano dunque davvero molto distanti dal mare di Fukushima e più vicine all’Australia. Peraltro questa bufala sta colpendo ingiustamente quelle aziende che in totale rapporto di trasparenza con i clienti hanno deciso di rendere nota la filiera di approvvigionamento delle loro materie prime. In merito al tonno Coop (che vedete in alto nella foto) ho chiesto spiegazioni a Claudio Mazzini responsabile di Sostenibilità, Innovazione e Valori di Coop, che in tempo reale mi ha risposto:

«Come Coop non acquistiamo né abbiamo mai acquistato tonno proveniente dalla zona FAO 61 – Oceano Pacifico del Nord Ovest, zona che comprende l’area del Giappone, l’unica dichiarata eventualmente a rischio, secondo quanto indicato dalla Unione Europea. Inoltre per i nostri prodotti a marchio Coop si utilizza il tonno a pinne gialle che non vive in quelle acque per via delle temperature troppo basse. Tale specie viene infatti pescato nelle calde acque tropicali degli oceani Indiano e Pacifico Occidentale Centrale, quindi in questo ultimo caso, lontano migliaia di kilometri dalle acque antistanti il Giappone. Sulla confezione dei prodotti Coop è indicata sempre sia la specie sia la zona di pesca». zonefao-650x300-620x300

Per capirci meglio la zona di pesca FAO 71 dista 4000 Km da Fukushima e nella zona di pesca FAO 61 si pesca il tonno rosso che è una specie diversa dal tonno a pinna gialla, e viene usato sopratutto dai giapponesi per la preparazione del Sashimi. L’Europa ha chiesto attenzione e controlli per il tonno rosso proveniente dalla zona di pesca FAO 61 per rilevare la presenza di Cesio 134 e Cesio 137. Da tener presente che noi il tonno rosso lo peschiamo nel Mar Mediterraneo. Infine, vorrei ricordare che il tonno di qualunque specie sia rischia l’estinzione per sovra sfruttamento della pesca, il che sta portando a tentativi di ripopolamento in itticoltura, impresa piuttosto complessa data l’enorme mole dei tonni mediterranei.

Fonte: ecoblog

Ue e piccoli ortaggi fuorilegge, la notizia è una bufala

Impariamo a leggere e a comprendere le leggi europee: non ci sarà nessun limite alla coltivazione e giardinaggio casalingo.orto-594x350

Riprendo l’ottimo post della collega Maria Ferdinanda Piva di Blogeko che riassume efficacemente la situazione attuale delle sementi in Italia e Europa: si può coltivare per il proprio consumo senza sottostare a alcun vincolo. Insomma gli orti privati non sono illegali né in Italia e né in Europa e la registrazione delle sementi serve semplicemente e mantenere elevati gli standard di qualità delle sementi destinati a chi coltiva in maniera professionale. Scrive infatti Maria Ferdinanda:

La proposta offre la scelta ai contadini tra usare semi certificati o non certificati (standard). La scelta dipende dalle necessità e dalle preferenze di ogni coltivatore. I semi certificati offrono migliori garanzie di qualità mentre quelli standard di solito hanno prezzo più bassi. Lo scambio di semi o altro materiale per la riproduzione delle piante tra non professionisti resta al di fuori degli scopi della legge. Ciò che viene venduto da non professionisti o da micro imprese per mercati di nicchia è esente dall’obbligo di registrazione. Le imprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro possono vendere le loro varietà di piante di nicchia senza obbligo di registrazione.

D’altronde la FAO è sempre stata molto chiara in merito esprimendosi proprio contro il monopolio delle sementi. Come ebbe modo di spiegarci in una intervista esclusiva Mario Catania, ex ministro all’Agricoltura l’istituzione di un Catalogo ufficiale europeo delle sementi per cui alcuni mesi fa la Corte europea di Giustizia si espresse il 12 luglio 2012 in merito e che ha :

ha semplicemente confermato l’obbligo di iscrizione al registro ufficiale comunitario che, assicurando le caratteristiche delle varietà iscritte, rappresenta una garanzia per i produttori agricoli come per i consumatori. Inoltre è il caso di ricordare che una volta ammesse nei registri nazionali, le sementi vengono automaticamente inserite nel catalogo ufficiale europeo. Si tratta di una procedura che non è particolarmente complessa ed è anche gratuita perché la registrazione delle sementi tradizionali non prevede alcun costo e le domande di iscrizione al registro nazionale possono essere presentate anche dai singoli cittadini e dalle aziende.

Misure esagerate? Probabilmente, ma ciò non giustifica le bufale in merito che non fanno altro che confondere leggi e situazioni. non facendo capire da che parte effettivamente conviene protestare.

Fonte: ecoblog