Cittadini per l’Aria: “Per ridurre inquinamento urbano il Governo deve smettere di proteggere a Bruxelles settore agricolo e industria”

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato a firma di Anna Gerometta, Presidente della Onlus Cittdini per l’Aria: “Il Governo preme in questi giorni a Bruxelles per l’indebolimento degli impegni del nostro paese sui limiti delle emissioni”agricoltura

Come accade spesso l’aria lombarda in questi giorni raggiunge concentrazioni di inquinanti atmosferici molto superiori a quelli che l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica per la tutela della salute umana e anche di quelli, ben superiori, stabiliti dalle leggi dell’Unione europea. Ancora nel XXI secolo, l’inquinamento atmosferico rimane una crisi sanitaria di cui ormai nessun esperto mette in dubbio la gravità. Classificato cancerogeno dall’OMS, l’inquinamento dell’aria in Italia causa la morte prematura di oltre 35.000 persone ogni anno ed è responsabile di allergie, malattie respiratorie e cardiovascolari. E costa alla collettività. Una recente commissione d’inchiesta del Senato francese ha calcolato il costo sanitario dell’inquinamento dell’aria per la Francia in 101,3 miliardi di euro all’anno, pari a due volte il costo sanitario legato al fumo.  Mentre il danno si riversa nelle nostre città e i funzionari dei nostri Ministeri si occupano di ben due procedure di infrazione europee in corso contro l’Italia (PM10 e NO2) per violazione dei limiti degli inquinanti atmosferici, il nostro Governo preme in questi giorni a Bruxelles per l’indebolimento degli impegni del nostro paese su questo fronte. Mentre, è ovvio, per migliorare la qualità dell’aria in maniera duratura è necessario che il governo si impegni ad alzare casomai il livello di ambizione, e ridurre le emissioni che provengono dal settore automobilistico, da quello del riscaldamento, e dall’agricoltura. In particolare non molti sanno, per esempio, che una porzione rilevante del particolato delle nostre città si produce per l’interazione fra l’ammoniaca derivante dallo spargimento dei liquami e dei fertilizzanti in agricoltura e gli inquinanti che hanno origine localmente dal traffico, dai riscaldamenti o dalle industrie. E che l’ammoniaca viene trasportata per grandi distanze dal vento. E che il nostro Governo ha, nella riunione dei Ministri dell’Ambiente Europei tenutasi lo scorso Dicembre, indebolito di ben 8 punti percentuali l’obiettivo di riduzione al 2030 proposto dalla Commissione europea e dal Parlamento di Strasburgo per questo inquinante. E di altri 14 punti percentuali quello del particolato sottile (PM 2.5). E in questo gioco delle quattro tavolette ci sta anche la decisione presa anche per merito della pressione del nostro Governo ad ottobre e poi adottata dal Parlamento di raddoppiare i livelli degli inquinanti delle auto diesel euro 6. Secondo i calcoli dell’European Environment Bureau, l’indebolimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni proposto dall’Italia causerà, se tradotto in legge, 15000 morti premature in più nel nostro paese da qui al 2030. Mentre procede la trattativa per definire la nuova Direttiva sui Limiti alle Emissioni Nazionali – il cui prossimo appuntamento sarà il 25 aprile e che si concluderà a giugno – è ora che l’Italia si impegni in maniera trasparente nella lotta all’inquinamento atmosferico. Smettendo di difendere gli interessi dei costruttori di automobili e del settore dell’agricoltura intensiva ed iniziando a proteggere, innanzitutto, la salute dei suoi cittadini.

(foto rinnovabili.it)

Fonte: ecodallecitta.it

Da Bruxelles anche buone notizie

Direttamente da Bruxelles, la testimonianza del nostro amico Alessandro Cagnolati che ci racconta come, anche nella città che in questi giorni è più di ogni altra teatro di paure e violenze, possano germogliare i semi di un’iniziativa che apre di fatto una nuova prospettiva con cui guardare al futuro.

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Quante volte ci è capitato di buttare via un elettrodomestico perché pensavamo che fosse irrimediabilmente rotto e, anche consultando il servizio di assistenza, ci hanno comunicato che era preferibile comprarlo nuovo piuttosto che aggiustarlo? Troppe volte! Ormai è diventata prassi comune quella di buttare via invece di riparare. Buttare però ha troppe valenze negative: si inquina, si è costretti a spendere soldi per ricomprare l’oggetto, si utilizzano ulteriori risorse energetiche e materie prime per produrne di nuovi, si perdono occasioni d’oro per dare ad un oggetto ancora una possibilità di tornare a essere utile! Anche se un oggetto è di un materiale che può essere riciclato si deve tenere conto che riciclare non è “indolore”. Riciclare significa utilizzare mezzi di trasporto molto inquinanti (Camion e TIR che consumano gasolio), significa usare energia per tutte le fasi di lavorazione (trasporto, separazione dei componenti, recupero delle materie prime, produzione dei nuovi componenti, etc.). Riciclare è quindi una “buona prassi” se non ve ne sono di migliori. Aggiustare in questo caso risulta essere una pratica migliore del riciclare. Una pratica “più sostenibile”.

Per quel che mi riguarda, è da quando sono bambino che il mio “istinto” mi porta ad aggiustare tutto ciò che si rompe. Confesso che, in alcuni casi, ero io stesso, per la curiosità di capire il funzionamento di un apparecchio, che arrivavo involontariamente a romperlo. Questo mi dava, ovviamente, la possibilità di “riparare” al danno provocato, aggiustandolo. Mi è anche capitato di non riuscire nell’intento, con mio grande rammarico e quello dei miei genitori che dovevano ricomprare l’oggetto in questione. Aggiustare un oggetto, spesso, può essere molto più facile di quanto si pensi (o ci facciano credere quelli dell’assistenza)! Con pochi piccoli passi si arriva a rendere l’oggetto funzionante come prima.

A volte, se si tratta di un apparecchio elettrico, (una radio, una lampada, un lettore DVD etc.) potrebbe trattarsi “semplicemente” della rottura di un fusibile, il cui costo non supera i 10 Centesimi, che si trova, più o meno nascosto, all’interno dell’apparecchio. In questi casi è sufficiente aprirlo, sostituire il fusibile, e tutto torna a funzionare come prima! In molti altri casi, come negli aspirapolvere, è il cavo di alimentazione il principale “imputato” del guasto. Basta sostituire, o più semplicemente, rimuovere la parte interrotta del cavo, per aggiustare l’apparecchio. Se quello che si è rotto è un oggetto meccanico il guasto sarà più facile da individuare (un perno spezzato, un ingranaggio rovinato, una leva piegata, un supporto piegato…) ma, a volte, più difficile da aggiustare. Si può aggiustare il componente, oppure sostituirlo o ricostruirlo. Oggi infatti, con l’avvento delle stampanti 3D è possibile riprodurre la parte guasta e rimpiazzarla. A volte si può eliminare la parte difettosa e rendere il nostro apparecchio funzionante ma con meno funzioni (ad esempio, un frullatore con due velocità di lavoro potrebbe essere riparato ed avere, dopo la riparazione, solo una delle due velocità).

Comunque sia, di fronte ad un oggetto rotto, ormai fuori garanzia e dichiarato “non riparabile” dall’assistenza, un tentativo di riparazione lo si può sempre tentare. Anzi direi che si deve! Anche perché non c’è nessun rischio che si peggiori la situazione. Prima di produrre ulteriori rifiuti un tentativo va sempre fatto. A tal proposito, ritengo che ogni persona dovrebbe impegnarsi a “custodire” gli oggetti irreparabili, invece di gettarli in discarica. Sarebbe un gesto di cortesia verso l’ambiente. Un gesto che ridurrebbe di molto i rifiuti che si producono annualmente. Se proprio non si riesce a riparare l’oggetto, si può sempre metterlo a disposizione di altre persone, inserendolo in uno dei tanti siti di annunci di vendita, di oggetti usati. Se una persona ne possiede uno uguale per marca e modello, può contattare il “donatore” e andare a prendere l’oggetto, che gli verrà regalato, per aggiustare il suo. Si creerebbe così un magazzino “virtuale” di oggetti rotti, ma utilizzabili per ripararne altri.

E allora prima di gettare via l’oggetto armiamoci di attrezzi e andiamo alla scoperta del guasto! Sono tre i punti fondamentali dell’arte della riparazione:

  1. Definire il sintomo (non si accende; si accende ma non risponde ai comandi; si accende e risponde ai comandi in modo casuale; si accende ma si spegne da solo; etc.). E’ importante che il sintomo si presenti sempre allo stesso modo.
  2. Localizzare il componente (meccanico o elettronico) che lo fa funzionare male, o per niente.
  3. Decidere la “strategia” di intervento (sostituire un componente rotto; aggiustare il componente; modificare l’oggetto; utilizzare l’oggetto modificato per altri scopi; etc.).

Eccovi ora un esempio dal mio repertorio di “aggiustamenti”

Per il fine settimana ero andato a trovare un amico sui colli bolognesi. Dopo un po’ che chiacchieravo con lui, vedo una lampada da tavolo, di quelle alogene da 12 Volts, buttata a terra in un angolo. Gli chiedo il perché si trovi lì e lui mi risponde che si è rotta e che la deve buttare. “Buttare???” No, non lo permetterò (almeno finché non avrò capito qual’è la vera entità del danno). Cacciaviti e tester alla mano, smonto la lampada e trovo subito il guasto. Si era bruciata una resistenza del circuito elettronico. Di sabato pomeriggio trovare una resistenza di quel tipo non è facile. Ci sarebbe servito un negozio di componenti elettronici. “E dove lo troviamo un negozio di elettronica, aperto di sabato pomeriggio, sui colli bolognesi?” mi chiede lui. Faccio fare “un paio di giri” ai miei neuroni e la soluzione salta fuori subito: “Cos’è che si trova spessissimo vicino ai cassonetti della spazzatura? I televisori a tubo catodico!”. Usciti in macchina cominciamo la nostra “caccia” e al terzo cassonetto, come immaginavo, troviamo un televisore a tubo catodico. Aprirlo e tirare via le scheda elettronica, con centinaia di resistenze di ogni tipo, è stato un gioco da ragazzi. Avevamo tutte le resistenze che ci servivano, e per giunta gratis! Tornati a casa ho sostituito la resistenza rotta con una del televisore e la lampada è tornata a funzionare!

E ora vi spiego come ho incontrato e che cosa sono i Repair Café

Capitato a Bruxelles quasi per caso, per un soggiorno previsto di due mesi, un giorno mi sono deciso e ho mandato una mail ad uno dei Repair Café che si tengono nella capitale belga. Avevo già letto un articolo sul giornale della COOP sull’iniziativa dei Repair Café nati in Olanda qualche anno fa. Nella mail chiedevo se potessi partecipare come volontario riparatore ad una sessione per aiutare e vedere “dal vivo” come funzionava l’iniziativa. Confesso che l’accoglienza con cui mi hanno ricevuto nella loro squadra mi ha davvero spiazzato! Già mi prefiguravo una cortese risposta che mi invitasse a rivolgermi altrove, o che non fosse possibile accettare altre persone… Invece, eccomi lì: attrezzi alla mano, pronto ad accogliere e riparare ogni sorta di oggetto. Dalla lampada da tavolo alla macchina distributrice di birra fredda.

Per chi non sa cosa sia un Repair Café (RC) dirò brevemente che è un’idea geniale, avuta da una donna olandese, tale Martine Postma, che – stanca di sentirsi dire che l’oggetto che aveva portato a riparare era meglio buttarlo e comprarlo nuovo – ha creato una rete di “momenti d’incontro” tra persone come lei e “angeli riparatori” che fossero disposti a mettere a disposizione le
loro conoscenze, i loro attrezzi ed il loro tempo per evitare che tali oggetti finissero in discarica.

Oggi i RC si stanno diffondendo a macchia d’olio. Solo in Olanda ce ne sono più di 200! Più di 150 in Belgio! In Germania, almeno 250! Ogni mese la squadra dei RC si organizza per accogliere decine di persone che hanno necessità di far riparare i loro oggetti. Le categorie principali degli oggetti riparabili nei RC sono cinque: elettrodomestici, informatica, sartoria, biciclette e falegnameria (piccoli oggetti). Ma ogni RC può scegliere di inserire altre categorie, in base ai volontari riparatori
disponibili: per esempio, in uno dei tanti RC che frequento in Belgio c’è un giovane liutaio che aggiusta strumenti musicali! Gli oggetti che più frequentemente capitano fra le mani sono certamente i piccoli elettrodomestici, sempre molto numerosi nelle nostre case. Ma non mancano macchinari “strani” e sconosciuti, come la macchina per far oscillare le gambe di persone costrette a letto e impossibilitate a muoversi. La parola Café, dopo Repair, significa che per le persone che aspettano il loro turno di riparazione c’è la possibilità di prendere un caffè, una tazza di te, una birra o mangiare una fetta di torta o di kisch, preparate dalle volenterose mani dello staff dei RC. C’è pertanto una sala d’aspetto dove le persone hanno la possibilità di incontrare e parlare con altre persone che hanno avuto lo stessa idea. Quasi tutte le persone che vanno ai RC hanno una sensibilità piuttosto sviluppata verso le problematiche legate alla sostenibilità ambientale, che vanno dalla produzione di rifiuti in costante aumento, al contrasto dell’obsolescenza programmata strategicamente utilizzata da molte industrie per vendere più prodotti. Si ha così l’occasione per scambiare le proprie idee, per raccontare le proprie esperienze, per ascoltare i buoni consigli di chi ha trovato già delle soluzioni. Una sostanziale differenza tra i RC e i laboratori di riparazione tradizionali sta nel fatto che gli oggetti che le persone portano con sé, vengono riparati insieme. La persona si siede accanto al riparatore e spiega cosa c’è che non va. Racconta qualcosa che riguarda il “paziente”. Una sorta di “anamnesi” condita spesso di aneddoti del tipo: “Questo tostapane io lo uso da 35 anni, tutti i giorni, me lo ha regalato mia nonna che lo ha usato a sua volta per 20 anni. Da qualche tempo non va più, ma credo sia il cavo (originale) che non fa più passare la corrente”! Allora il riparatore comincia a smontare l’oggetto raccontando cosa fa e perché. Spiega come cercare la causa del malfunzionamento o illustra le difficoltà nello smontare l’oggetto (in base alla mia esperienza, i più ostici sono gli aspirapolvere e le macchine fotografiche compatte). Se gli serve aiuto, per tenere fermo l’oggetto, chiede direttamente alla persona di aiutarlo. In certi casi, le persone arrivano con oggetti già metà smontati e dicono (quasi scusandosi come se avessero commesso un misfatto): “Sa, ho cercato di fare io la riparazione… ma a un certo punto mi sono dovuto fermare perché…” E qui ci sono varie cause per cui la riparazione non ha potuto essere effettuata. Spesso non hanno avuto il “coraggio” di continuare per timore di arrecare un danno maggiore. Oppure non avevano gli attrezzi giusti. O non sapevano come aprire l’oggetto perché, in effetti, ci sono varie viti “sapientemente” nascoste che lo hanno impedito.

Per la riparazione, a prescindere dall’esito, non viene richiesto nessun compenso, la persona che ha portato l’oggetto è libera di fare un’offerta in denaro. C’è chi lascia un Euro, chi venti e chi ringrazia gentilmente e torna a casa. Questi soldi, insieme ai soldi, delle vendite di caffè, tè e leccornìe varie, servono a sostenere le piccole spese di cui necessità un RC. In primis, c’è da pagare un’assicurazione che protegga i volontari da eventuali incidenti. Quasi sempre si lavora con oggetti che per funzionare utilizzano la corrente elettrica a 230Volts. Si opera con attrezzi a volte “pericolosi”, come i taglierini o il ferro per le saldature a stagno, che raggiunge temperature di oltre 200° C. C’è poi l’acquisto di attrezzature particolari, che i volontari non posseggono, e che vengono messe a disposizione di tutti. Concludo dicendo che oggi i RC sono assolutamente in linea con l’avvento dell’economia “circolare” che si sta sviluppando, in Europa e negli altri paesi sviluppati, per il necessario cammino verso la sostenibilità! In più, i RC hanno una valenza positiva, molto positiva, come ruolo di ritorno ad una socialità ancora più forte. Il loro valore aggiunto nel ruolo sociale si manifesta offrendo una ulteriore occasione di incontro col “vicino di casa”.

La Vita è bellissima!

Fonte: ilcambiamento.it

Bruxelles, zebre in fuga e la polizia insegue

Tre zebre sono fuggite da un recinto e hanno iniziato a percorrere le strade della capitale belga. Nessun ferito fra i passanti che, grazie ai loro smartphone, hanno fatto diventare virale lo #zebragate. Zebre in fuga. Stavolta la Juventus e la classifica di Serie A non c’entrano. Sono zebre vere quelle che quest’oggi hanno trottato in libertà nelle strade di Bruxelles creando un vero e proprio caso sui social network, con condivisioni di foto e video da parte degli abitanti della capitale belga. Gli animali sono stati inseguiti attraverso la città dopo essere fuggiti da un recinto. Ben cinque auto della polizia sono state impegnate per tentare di bloccare gli animali e garantire l’incolumità di pedoni e automobilisti. Le zebre hanno utilizzato il tunnel Van Praet e si sono dirette trottando verso il centro di Bruxelles, dove hanno passeggiato lungo il canale. I passanti, stupiti e divertiti, hanno scattato foto e ripreso gli animali con i loro telefonini. Le informazioni su questo particolare fuori programma sono rimbalzate su Twitter con tanto di hashtag #zebragate e gli organi di informazione locale, in primo luogo le emittenti radiofoniche, hanno raccomandato prudenza ai conducenti. La polizia ha dichiarato che nessuno è stato ferito dagli animali.

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Le immagini e i video dello #zebragate sono diventati virali e nel giro di poche ore sul web si sono diffusi anche numerosi meme. Inevitabile l’accostamento fra le zebre e le strisce pedonali…

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Fonte:  Guardian

Foto | Youtube

Europa, passa al 27 per cento la quota delle fonti rinnovabili entro il 2030

All’October European Council meeting che si è concluso ieri a Bruxelles sono state definiti gli obiettivi del Pacchetto clima dai 28 paesi europei. La decisione è stata sofferta e anche al di sotto delle reali possibilità europee secondo gli ambientalistiBELGIUM-EU-SUMMIT

Sono tre gli obiettivi fissati dai 28 Paesi europei per intervenire in maniera concreta sui cambiamenti climatici durante l’October European Council Meeting che si è tenuto dal 23 al 24 ottobre a Bruxelles. I punti fissati sono: riduzione delle emissioni di CO2 almeno del 40 per cento (tenendo come punto di riferimento le emissioni del 1990); produzione di energie rinnovabili nella quota del 27 per cento entro il 2030 e aumento del 27 per cento della quota dell’efficienza energetica. E’ questo il pacchetto clima messo a punto dall’Europa e che sarà presentato a Parigi durante la Cop 21 del dicembre 2015. Nel comunicato stampa si legge:

I cambiamenti climatici stanno accelerando. Ora è il momento di agire e ci auguriamo che con l’accordo raggiunto l’Europa possa dare un nuovo impulso ai negoziati internazionali, sulla base del grande successo ottenuto al summit di New York dello scorso settembre. L’Europa deve continuare a fare la sua parte e a dare l’esempio. Tutti i paesi, tra cui tutte le principali economie, dovrebbero ora seguire altrettanti impegni ambiziosi e tempestivi. Noi continueremo a sostenere questi sforzi attraverso l’ UNFCCC, per raggiungere un accordo globale e durevole sul clima alla conferenza di Parigi. Per il bene del nostro pianeta. Per il bene delle generazioni future.

Ma Florent Compain, Presidente degli Amici della Terra ritiene che questi obiettivi siano del tutto insufficienti sopratutto in riferimento alla quota delle fonti rinnovabili almeno pari al 27 per cento:

Con questo obiettivo, è come se dicessimo ai governi europei di non cercare di fare meglio rispetto a quello che viene già fatto. E’un’aberrazione: l’Europa potrebbe fare molto di più nelle energie rinnovabili, se incoraggiata e valorizzata la produzione locale di energia, il controllo decentralizzato e i posti di lavoro e non mettendosi al soldo delle lobby delle imprese del settore energetico,come avviene oggi. Se questo accordo è positivo lo è solo per le lobby industriali e va a scapito dell’accesso all’energia di tutti i cittadini europei per una vita dignitosa e sostenibile. Il processo di negoziazione del pacchetto su clima e energia ha subito una forte pressione dalle principali società energetiche europee, tra cui EDF e GDF che hanno interesse per shale gas e carbone in Europa

Fonte: Le Monde

© Foto Getty Images

Smog, Bruxelles apre una nuova procedura d’infrazione contro 19 zone d’Italia

L’Italia torna nel mirino dell’Ue per il mancato rispetto della normativa sulla qualità dell’aria. Le aree colpite vanno da Nord a Sud e interessano dieci Regioni italiane: Veneto, Lombardia, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia, Molise, Campania e Umbria. Le autorità italiane devono rispondere, fornendo chiarimenti, entro fine ottobre380456

L’Italia torna nel mirino dell’Ue per il mancato rispetto della normativa sulla qualità dell’aria: una nuova procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea accusa diciannove zone e agglomerati di mettere in pericolo la salute dei cittadini con livelli di smog troppo elevati. Le aree colpite vanno da Nord a Sud e interessano dieci Regioni italiane: Veneto, Lombardia, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia, Molise, Campania e Umbria.
La procedura d’infrazione è stata aperta lo scorso luglio con l’invio di una lettera di messa in mora a cui le autorità italiane devono rispondere, fornendo chiarimenti, entro fine ottobre. Se la risposta non dovesse essere ritenuta soddisfacente, la Commissione europea potrà passare alla seconda fase della procedura attraverso un parere motivato in cui inviterà l’Italia a mettersi in regola al più presto con le norme sulla qualità dell’aria. Non è la prima volta che l’Italia viene bacchettata da Bruxelles per la violazione della legislazione che dal 2005 impone livelli massimi di concentrazione delle polveri sottili. Una precedente procedura d’infrazione si era conclusa nel 2012 con una condanna della Corte di giustizia che confermava il mancato rispetto nel 2006 e nel 2007 dei limiti di PM10 in 55 zone. A pochi anni di distanza, l’esame dei valori di polveri sottili ha mostrato che in 13 di queste 55 aeree i valori massimi sono stati continuamente superati anche nel periodo 2008-2012. Per questo motivo la Commissione europea ha deciso di avviare una nuova procedura d’infrazione che, oltre alle 13 aree già identificate nella precedente indagine, coinvolge sei nuove zone e agglomerati. L’Italia non è il solo Paese a non ancora aver attuato pienamente le norme sulla qualità dell’aria, non rispettate complessivamente da 17 Stati membri dell’Ue.  Negli ultimi cinque anni il rispetto della legislazione sulle polveri sottili è stato fra le priorità del commissario europeo all’Ambiente, Janez Potocnik, e il nuovo commissario designato Karmenu Vella ha promesso battaglia sullo stesso fronte. “La qualità dell’aria è un problema ancora molto grave e con effetti negativi sulla salute, sull’ambiente e sull’economia”, ha affermato oggi il politico maltese durante un’audizione davanti agli eurodeputati. “Conto di agire velocemente su questo”, ha aggiunto Vella, impegnandosi a non permettere “standard diversi” fra i Paesi Ue, perché tutti i cittadini hanno diritto “allo stesso livello di tutela”.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Nuovi obiettivi UE su CO2, efficienza e rinnovabili: battaglia a Bruxelles

Le varie direzioni generali della Commissione UE sono ancora in disaccordo sulla linea da seguire nel definire il target europeo al 20130 in tema di emissioni, efficienza energetica e fonti rinnovabili. Ma in pochi giorni si dovrebbe arrivare alle nuove misure

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Sarà ”battaglia sino all’ultimo minuto” su cifre e vincoli tra i commissari Ue che mercoledì prossimo dovranno adottare l’atteso pacchetto di misure sui target climatici, energetici, ambientali e industriali, ”tutti strettamente collegati gli uni agli altri”. La partita, infatti, riferiscono fonti Ue, vede da una parte ”la tutela della competitività dell’industria e la sostenibilità dei prezzi per i consumatori”, e dall’altra ”la capacità di attirare investimenti in Europa” sulle tecnologie verdi. L’esito preciso delle discussioni, che fervono tra le diverse direzioni generali della Commissione Ue in vista della decisiva riunione del Collegio del 22, non è scontato. Anche se sembra andare verso un 40% vincolante di taglio delle emissioni di CO2, come sostenuto dalla commissaria al clima Connie Hedegaard, dal presidente Barroso e anche dai ministri dell’ambiente di alcuni paesi tra cui l’Italia, mentre gli obiettivi sulle rinnovabili resterebbero non obbligatori. La ‘linea del Piave’, su cui concordano diversi commissari tra cui Tajani, Rehn e Oettinger, è di evitare di affossare del tutto la competitività dell’industria europea, già messa a dura prova dalla crisi. Nessuno a Bruxelles è contrario a ridurre in linea di principio le emissioni di CO2, ma si vuole anche evitare un ‘carbon leakage’ a favore degli impianti industriali ad alto impatto ambientale dei paesi emergenti come la Cina, e la chiusura ulteriore di quelli europei per deficit di competitività. I dati in possesso di Bruxelles mostrano infatti una situazione differenziata a seconda del comparto, dove quelli più penalizzati da target climatici ambiziosi sarebbero quelli dell’industria pesante. Un ulteriore tassello della strategia Ue dovrebbe arrivare per Pasqua, quando il commissario alla concorrenza Almunia dovrà presentare le nuove norme sugli aiuti di stato valide sino al 2020, che riguardano in particolare le industrie energivore.

 

Fonte. ecodallecittà

Centrali a carbone in Polonia, pressioni su Bruxelles per fermare i progetti a Opole

Come riferisce l’esclusiva di Euractiv, i parlamentari europei e gruppi ambientalisti stanno sollecitando la Commissione europea a intervenire repentinamente per bloccare la costruzione di due nuove centrali a carbone in Polonia176536357-594x350

La Polonia si appresta a costruire due nuove centrali a carbone da 900mW a Opole e sembra abbia violato anche le leggi europee in materia di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS). Questa l’esclusiva che presenta oggi Euractiv riferendo che parlamentari europei e associazioni ambientaliste stanno lavorando per fare pressione sulla Commissione europea affinché siano sospesi i progetti. Il primo ministro polacco Donald Tusk, ha annunciato che a Opole oltre all’ampliamento da 1.8GW sarà costruita anche una unità di stoccaggio per la CO2 (CCS) da 2,7 milioni di euro anche se non sono ancora giunte le autorizzazioni, peraltro richieste ignorate da Varsavia. In effetti un anno la Corte Suprema della Polonia aveva stabilito che la costruzione di Opole era legale,poiché il governo non aveva prodotto alcuna direttiva nazionale sui CCS a recepimento delle direttive europee. Il che de da un lato potrebbe aprire la strada a procedure europee per infrazione con multe salate, dall’altro lascia campo libero al Governo polacco di determinare come costruire le centrali a carbone non tenendo conto dell’impatto sull’inquinamento dell’aria se non in riferimento alle normative nazionali e non europee. Ma le emissioni di questo impianto sono state stimate pari a 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per i prossimi 55 anni. Il che porta molto lontano la Polonia dal raggiungere l’obiettivo del 15% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020.

Come riferiscono i gruppi ambientalisti la Polonia, unico Stato membro europeo a non aver notificato alla Commissione le misure adottate per conformarsi alla direttiva CCS, il che appunto consente che nello Stato si proceda troppo autonomamente anche a costo poi di pagare salatissime multe alla Ue. Per Jo Leinen parlamentare socialista (S&D) nel MEP, come ha riferito a Euractiv:

E’ molto urgente che la Commissione si attivi per fare pressione sulle autorità polacche e invitarle a seguire le norme UE. Opole è un banco di prova per il fatto che le nostre politiche sono valide o esistenti solo sulla carta.

Leinen con altri sei eurodeputati di cinque gruppi politici il mese scorso ha presentato interrogazioni parlamentari sulla questione al Commissario dell’UE sul clima, Connie Hedegaard. Ora le discussioni in Polonia tendono a sminuire l’impatto inquinante del nuovo impianto a carbone sostenendo che con le moderne tecnologie le emissioni sono ridotte di almeno 6 volte. Il primo ministro Tursk però nonostante sia stato già richiamato in passato dall’Europa per la sua visione sulla politica energetica della Polonia prosegue spedito per la sua strada e anzi proprio lo scorso 6 giugno aveva dichiarato:

Il governo troverà i fondi per sostenere questo investimento.

Ora il braccio di ferro tra Varsavia e Bruxelles riguarda l’inizio dei lavori che sarebbero dovuti partire il 15 agosto e che invece sono slittati al 15 dicembre, il che secondo gli ambientalisti fornisce un lasso di tempo sufficiente a Bruxelles per mettere lo sgambetto e mandare a gambe all’aria il progetto di Varsavia. Riguardo invece il mancato recepimenti della Polonia delle direttive Ue in materia di energie rinnovabili è già partita la richiesta di Bruxelles alla Corte di Giustizia europea di multare Varsavia per 133 mila euro al giorno fino al raggiungimento delle conformità. Ma non risulta che la comunicazione sia stata recepita da Varsavia. In effetti la posta in gioco è davvero alta e si quantifica in investimenti milionari a Opole a cui neanche l’Italia è indifferente se UniCredit Group la inserisce tra le possibili opzioni. Infatti proprio il 14 agosto è stato annunciato che il gigante francese dell’energia Alstom è entrato a far parte del gruppo di costruttori assieme ai polacchi Rafako, Polimex-Mostostal e Mostostal Warszawa. Ora la corsa è contro il tempo per evitare che sia iniziata la costruzione dei due nuovi impianti è iniziato, poiché poi sarà difficile invertire o addirittura bloccare i lavori.

Fonte:  Euractiv, Icis

 

Sacchetti, a Bruxelles si ragiona su un piano per limitarne l’uso

La crescente preoccupazione degli ambientalisti per la dispersione dei rifiuti plastici usa e getta ha spinto la Commissione Europea a presentare un piano di misure per ridurre il consumo di sacchetti che sarà proposto agli Stati in autunno. “Dal divieto alla tassa, nel rispetto del mercato unico europeo” riportano fonti ANSA375660

Dalle bottiglie alle buste usa e getta, fino alle microparticelle, tre quarti della spazzatura che si trova in mare plastica, una quota che supera anche l’80% lungo le coste del Mediterraneo. Il drammatico bilancio arriva da un rapporto richiesto dall’agenzia federale dell’ambiente tedesca e dalla Commissione Ue, che ha fatto il punto sulla situazione dei rifiuti marini in Europa. Ricercatori e ambientalisti lanciano l’allarme da tempo: l’ultimo arriva da un’osservazione diretta in mare sui traghetti fra Toscana e Corsica di più di 40 ore coordinata dall’Università di Pisa e da Ispra, secondo cui oltre l’80% dei rifiuti più grandi di 25 cm, circa uno ogni 5 km in una striscia di 100 metri, sono plastiche come teli e buste, insieme a cassette per il pesce di polistirolo. La differenza adesso è che a suonare la sveglia è Bruxelles, al lavoro su una proposta per ridurre l’uso delle buste di plastica nell’Ue, che verrà presentata in autunno, come riferiscono all’Ansa fonti comunitarie. L’idea sarebbe quella di dare agli Stati membri un menù di possibili misure, dal divieto ad una tassarispettando le regole del mercato unico. “Una boccata d’ossigeno per l’Italia – scrive l’agenzia – non ancora uscita dalla procedura d’infrazione per il divieto di uso delle buste di plastica non biodegradabili. Lo stesso richiesto per tutti i Paesi Ue dalle migliaia di firme della petizione lanciata dalla Surfrider Foundation Europe, che arriverà sul tavolo del commissario europeo all’ambiente, Janez Potocnik, sempre in autunno”.

 

Fonte: eco dalle città

Green Capital Award: cosa c’è da imparare dalle quattro finaliste 2015

Per avere una città mediterranea nella rosa delle Capitali verdi d’Europa bisognerà aspettare ancora un po’: dopo Stoccolma, Amburgo, la basca Vitoria, la bretone Nantes e Copenhagen, la sfida per il premio European Green Capital 2015 si gioca di tra Bristol, Bruxelles, Glasgow e Ljubljana. Ecco perché

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Per avere una città mediterranea nella rosa delle Capitali verdi d’Europa bisognerà aspettare ancora un po’: dopo StoccolmaAmburgo, la basca Vitoria, la bretone Nantes Copenhagen, la sfida per il premio European Green Capital Award 2015 si gioca di nuovo tutta fra città “fredde”: BristolBruxelles,Glasgow Lubiana. Il quartetto è stato selezionato sulla base dei 12 indicatori ambientali di riferimento: il contributo fornito alla lotta ai cambiamenti climatici, il trasporto locale, la quantità di verde urbano e l’attenzione al consumo del suolo; la biodiversità, la qualità dell’aria, lo stato dell’inquinamento acustico, la produzione e gestione dei rifiuti; il consumo d’acqua, le innovazioni tecnologiche ecosostenibili, la gestione delle questioni ambientali a livello di autorità locali e la performance energetica. Vediamo allora i punti di forza delle quattro finaliste.

Bristol (Inghilterra)

Il primo punto a favore la città inglese lo segna sul fronte della lotta al consumo di suolo: negli ultimi dieci anni le autorità locali hanno messo in piedi una strategia di salvaguardia del territorio solida ed efficace che ha portato ad avere il 94% delle nuove abitazioni in costruzione realizzato su terreni già compromessi e in attesa di bonifica: i cosiddetti brownfield. Percentuale ancora più alta per gli insediamenti industriali: 98%. Ottimi risultati anche sul piano della mobilità: la città sta mettendo a punto un’ordinanza che abbasserà limite di velocità a 20 miglia all’ora in tutte le aree residenziali (32 km all’ora) e sta investendo molto su mobilità ciclistica e ferroviaria.

Bruxelles (Belgio)

Il punto forte di Bruxelles è l’energia: in questi primi mesi dell’anno la città ha adottato un programma di obiettivi standard da raggiungere molto severo per limitare la quantità di emissioni inquinati, supportato da investimenti sostanziosi. Uno dei cavalli di battaglia di questa politica di efficientamento è il programma Exemplary Buildings: finanziato nel 2007 con 24 milioni di euro, oggi ne fa girare 460, con 1250 posti di lavoro. Il progetto serve a regolare gli standard energetici dei nuovi edifici, sia pubblici che privati, e nei primi due anni dalla nascita ha già permesso una riduzione di 13.000 tonnellate di CO2. Un risultato straordinario anche nel campo della riduzione dei rifiuti:la quota di produzione pro capite sarebbe calata drasticamente, addirittura il 20% dal 2000 ad oggi.

Glasgow (Scozia)

Glasgow non è certo nota per la sua anima verde: è la città più grande della Scozia e ha il carattere (e i colori) tipici delle città a forte vocazione industriale. Ma riserva delle sorprese notevoli. Prima di tutto per l’attenzione che dedica alla biodiversità e alla protezione delle aree verdi: il 22% del territorio comunale è stato dichiarato oasi protetta, e sottoposto a vincoli urbanistici severi. La Città ha dimostrato poi di saper trarre lezioni importanti dai momenti di crisi: il pesante alluvione del 2002 (in un giorno cadde la stessa quantità di acqua che la Città sopportava in un mese, e stiamo parlando della Scozia…) portò alla luce la necessità di avere un sistema di drenaggio all’avanguardia e che reggesse alle emergenze. Nacque così la Metropolitan Glasgow Strategic Drainage Partnership, un’agenzia che oggi è un vero faro nella gestione delle emergenze idrogeologiche.

Lubiana(Slovenia)
La capitale slovena ha molto da insegnare, e su diversi fronti. La gestione dell’acqua, l’attenzione per le energie rinnovabili e il teleriscaldamento, un piano serrato di riduzione delle emissioni di CO2 e soprattutto un ottimo piano per la mobilità urbana, che ha consentito di ridurre notevolmente il traffico automobilistico, e che entro il 2015 raggiungerà facilmente l’obiettivo che si era prefissata: meno 20% per gli spostamenti in auto. L’obiettivo finale, che secondo l’Unione Europea ha buone possibilità di riuscita, è l’equiparazione tra le tre voci principali del modal share: trasporto pubblico, automobili e biciclette. Inoltre il comune sta affrontando un importante rinnovamento del parco mezzi, che dovrebbe portare entro i prossimi due anni ad avere un 50% della flotta degli autobus alimentato a metano. Nei piani c’è anche una congestion charge, sul modello inglese. Lubiana è poi una delle città più verdi d’Europa: il Sentiero delle rimembranze, che attraversa diversi quartieri cittadini è lungo 33 km e conta oltre 7.000 alberi. La scelta della giuria sarà annunciata il 14 giugno, a Nantes, città che ha guadagnato il titolo per l’anno corrente.

scarica il report della Commissione Europea:

European Green Capital Award 2015

Fonte: eco dalle città