Bristol, il primo bus alimentato dai bisogni umani

E’ stato ribattezzato affettuosamente “Poo Bus” e unisce l’aeroporto di Bristol alla città di Bath. E’ alimentato da un biocarburante prodotto sia dai rifiuti alimentari sia umani e può percorrere 186 miglia con un pieno.bio-bus_470

La foto del bus è emblematica. Cinque persone, sedute sul water, intente a fare cose diverse: chi legge il giornale, chi ascolta la musica, chi lavora all’uncinetto. Cose che ognuno di noi fa nel proprio bagno, in estrema tranquillità. Peccato che qui il discorso è diverso. Siamo infatti sul primo autobus che si alimenta con i bisogni umani, il famoso “Poo bus”, dove “poo” potete ben immaginare cosa significhi. Unisce l’areoporto di Bristol alla città di Bath. Non potevamo che essere nel Regno Unito, Paese da sempre alternativo e futurista che però non riesce, malgrado tutto, a superare il problema dell’inquinamento atmosferico.  Così, dopo il documentario Just Eat It, torniamo sull’argomento del riciclo dei rifiuti alimentari, non fermandoci ad essi, ma arrivando fino al recupero dei rifiuti organici prodotti dall’uomo. Questo Bio-Bus, di 40 posti, è alimentato infatti da un biocarburante prodotto sia dai rifiuti alimentari sia dai liquami umani; può percorrere circa 186 miglia con un pieno, l’equivalente di 300 km e dei bisogni di cinque persone (ed ecco che torniamo alla foto in testa). Il bus, che emette fino al 30% in meno di anidride carbonica rispetto ai veicoli diesel convenzionali, funge  da navetta tra l’aeroporto di Bristol e la città di Bath. Fin qui un’idea fantastica. Ma come la mettiamo con la questione olfattiva? Il carburante, come detto, viene prodotto infatti sia dagli scarti di cibo e dai rifiuti dell’industria alimentare ma anche dai residui organici umani, ovvero le feci recuperate nelle fogne. Quindi va bene non inquinare, ma la funzione sensoriale diventa di grande importanza. Tutti questi rifiuti vengono trasformati in metano e CO2 grazie alla fermentazione di batteri anaerobici, posti all’interno di grandi vasche. Alla fine del processo, l’anidride carbonica viene eliminata e del propano viene invece aggiunto. Il tutto, all’interno di potenti filtri che eliminano la puzza.
Mohammed Saddiq, Direttore Generale della GENeco, azienda ideatrice del progetto, ha affermato che i «veicoli a gas hanno un ruolo importante da svolgere per migliorare la qualità dell’aria nelle città del Regno Unito, ma il Bio-Bus va oltre, e in realtà è alimentato da persone che vivono nella zona, molto probabilmente quelle sul bus stesso». Il biogas prodotto, affermano dall’azienda, non è utilizzato solo per il “Poo bus”, ma viene immesso anche nelle rete domestica, soddisfacendo così il fabbisogno energetico di molte famiglie. «Oltre all’impegno nel migliorare la qualità dell’aria che respiriamo – ha affermato Collin Field, della Bath Bus Company – questo progetto focalizzerà l’attenzione sulla città di Bristol, il cui obiettivo è di diventare il prossimo anno la Capitale Verde d’Europa».

Fonte: ilcambiamento.it

Rob Hopkins e la transizione verso un mondo sostenibile

George Ferguson è il sindaco di Bristol, una grossa città del sud dell’Inghilterra di quasi mezzo milione di abitanti, e il suo salario annuale ammonta a circa 50mila sterline. Al momento della sua elezione, nel novembre del 2012, Ferguson ha annunciato che questa somma gli sarebbe stata corrisposta in Bristol Poundsla moneta alternativa di Bristol. Il Bristol Pound è la moneta locale più diffusa in Inghilterra, ma non certo l’unica. Ne esistono anche a Totnes, Brixton, Lewes, Stroud. E sapete cos’hanno in comune queste località britanniche? Sono tutte Città in Transizione.

Transizione… Ma verso che cosa? E con quali modalità, coinvolgendo chi? Sono queste le prime domande che, ormai quasi dieci anni fa, un giovane insegnante di permacultura della provincia inglese ha rivolto a se stesso, consapevole della necessità di avviare un grande processo per modificare la società e traghettarla verso il cambiamento a cui il mondo sta ineluttabilmente andando incontro. Il nome di questo insegnante è Rob Hopkins, co-fondatore del movimento delle Transition Towns. Il punto di partenza è un ragionamento tanto semplice quanto cruciale: la società attuale dipende quasi interamente dai combustibili fossili, in particolare dal petrolio. Come teorizzò ormai quasi cinquant’anni fa il geofisico Marion King Hubbert, il picco del petrolio è già stato raggiunto e questo vuol dire che le riserve dell’oro nero stanno cominciando a esaurirsi e d’ora in poi sarà sempre più difficile e costoso estrarlo. A questo, si accompagna un degrado dell’ecosistema che ha raggiunto livelli allarmanti, come testimoniano i pesanti cambiamenti climatici in corso. Che fare quindi? Le conclusioni sono quasi obbligate: è necessario avviare la costruzione di una nuova società che non sia più oil addicted, ma che faccia ricorso alle numerose soluzioni alternative ed ecologiche di approvvigionamento energetico e di reperimento delle materie prime.IMG_2051

Ma da buon permacultore, Rob sapeva che non si può modificare una comunità concentrandosi su un solo obiettivo, appartenente a un singolo ambito. Ecco quindi che una città resiliente deve anche ripensare la propria politica finanziaria, dotandosi di uno strumento monetario che, come ha detto uno degli ideatori del Bristol Pound, sia «creato dai cittadini per i cittadini». Anche il comparto produttivo e commerciale deve essere oggetto di intervento, creando filiere locali che consentano alla ricchezza generata di rimanere sul territorio. Non si può poi prescindere dall’educazione: scuole e università devono preparare i ragazzi alle buone pratiche, senza limitarsi alla teoria e insegnando anche il “saper fare”. E che dire dell’urbanistica, dell’edilizia, dei trasporti, dell’informazione, dell’accesso ai dati, delle relazioni sociali…  «La chiamiamo transizione perché parliamo di un passaggio», ci ha spiegato Rob Hopkins quando lo abbiamo incontrato a Bologna lo scorso ottobre, durante la sua visita in Italia organizzata da Transition Italia. «Un passaggio dal modello attuale, che ci conduce al suicidio climatico, a un modello compatibile, che ci porta verso una vita serena e sana su questo pianeta». Ma questo non è che il punto di partenza: «Per me la transizione ha a che fare con la costruzione di un sistema culturale ricco, abbondante, locale, resiliente. E soprattutto col vedere le sfide di questi tempi come opportunità per stimolare la nostra creatività e la nostra originalità».ChelseaFringe3_2219212b

In occasione del suo viaggio a Bologna, Rob ha incontrato studenti dei licei e dell’università, i maggiori rappresentanti istituzionali del Comune e dell’Alma Mater, mass media, attivisti e semplici cittadini. Come un vento rinfrescante, con l’ironia e la semplicità che lo contraddistinguono, ha portato a tutti ottimismo ed entusiasmo attraverso la forza dell’esempio. I suoi incontri infatti, sono sempre stati caratterizzati non solo da spiegazioni teoriche dei nuovi modelli che la transizione cerca di costruire e insediare, ma anche da testimonianzecase history, con tanto di foto e filmati, di ciò che i transizionisti stanno facendo in giro per il mondo. Così, davanti alle espressioni curiose e interessate del sindaco Virginio Merola e del prorettore Dario Braga, il papà della Transizione ha raccontato delle edible bus stops di una linea di Londra, ovvero le fermate del bus “commestibili”, cioè corredate di piccoli orti con verdure piantate e coltivate dai residenti della zona a disposizione degli utenti dell’autobus. Oppure del Bristol Pound di cui abbiamo parlato all’inizio, la moneta complementare di Bristol, che dopo aver avuto l’approvazione della Bank of England, viene ora accettata da più di 650 negozi e ha un sistema di pagamento elettronico e on-line. O ancora, il Local Entrepreneur Forum, un tavolo che favorisce l’incontri di investitori e imprenditori che vogliono avviare attività sociali, sostenibili, resilienti e finalizzate a creare benessere nel territorio. Sono queste iniziative che possono essere ricondotte all’idea della REconomy. «Verso il 2010 – racconta Rob in proposito –, è emerso questo concetto. Abbiamo capito che la transizione era una cosa seria e ambiziosa, perché ci chiede di reinventare il modo con cui ci alimentiamo, produciamo energia, viviamo. Per questo motivo, era necessario creare anche un nuovo modo di fare economia: generare nuovi posti di lavoro, avviare nuove attività di imprenditoria sociale, trovare nuove modalità di investimento del denaro. C’era bisogno di canalizzare le risorse al fine di rendere possibile nel mondo reale questo cambiamento».well_done_dragons-1024x443

Parallelamente, si è sviluppato l’aspetto della transizione interiore: «La transizione non è solo pannelli solari e carote biologiche! C’è bisogno di creare una cultura resiliente e sana del lavoro di gruppo, allo scopo di risolvere gli storici problemi legati all’attivismo, che è soggetto a un alto rischio di bruciarsi dopo la spinta iniziale. Per questo motivo abbiamo cominciato a chiederci come potevamo progettare la nostra attività in modo da sostenerci a vicenda e questa idea della transizione interiore è stata per molti aspetti il punto di svolta. Spesso, quando viaggio e incontro le persone, mi sento dire: “la transizione è fantastica, bravo Rob, hai fatto una cosa splendida!”. Ma non li ho fatti io tutti quei progetti, in Brasile, a Brixton, a Bologna, in Giappone. Ovunque la risposta che vedo è che la transizione si adatta al territorio e alle passioni delle persone che lo abitano. Io sono un po’ come un’ape che se ne va in giro a raccontare storie. E adesso ne avrò una in più di cui parlare e riguarderà ciò che state facendo voi a Bologna, in Italia». Già, l’Italia… «Qui l’economia è un disastro e continua a peggiorare. Però la vedo come un’opportunità, una possibilità da parte del vostro paese di posizionarsi come prima economia post-crescita. Se solo fossimo capaci di abbandonare l’obiettivo della crescita, la pretesa tornare a un’epoca impossibile. Qui c’è una cultura del cibo straordinaria, ci sono enormi potenzialità per le energie rinnovabili, grandi capacità manuali e pratiche. Basta guardare dalla giusta prospettiva e l’Italia potrebbe diventare la Silicon Valley di una nuova economia». Questo è un invito. Di più, è un’esortazione, quasi una sfida che ci viene posta. Gli strumenti ci sono, le potenzialità e le risorse anche. Adesso spetta solo a noi.

Rob ci lascia con una conclusione che tradisce lo squisito british humor con cui ha conquistato tutti in giro per il mondo, ma che cela anche una grande verità. «Non c’è garanzia che il lavoro che stiamo facendo abbia l’effetto che vogliamo. Del resto, se ci fosse la certezza che andrà tutto bene sarebbe noioso e non ci sarebbe motivo di farlo. È qualcosa che sentiamo di dover fare anche, soprattutto, perché non sappiamo come andrà a finire».

 

 

Fonte: : italiachecambia.org

Primo traghetto a idrogeno a Bristol Green Capital 2015

Bristol che si è aggiudicata recentemente il premio come Green Capital 2015 ha reso operativo il primo traghetto a idrogeno del Regno Unito, noto anche come Hydrogenesis. Il progetto è stato promosso dal Comune di Bristolphoto-5-620x350

Bristol inaugura il primo traghetto a idrogeno chiamato Hyrogenesis nel suo porto con un progetto promosso dal Comune che così mantiene fede agli impegni presi dopo essersi aggiudicato il premio Green capital 2015. Il traghetto che può trasportare 12 passeggeri più l’equipaggio è a emissioni zero e è alimentato da una cella a combustibile da 12kW che utilizza l’idrogeno ottenuto dai prodotti di scarto di una fabbrica di plastica con sede a Bristol e ha bisogno di soli 10 minuti per ricaricarsi. L’idrogeno è l’alternativa ai combustibili fossili e Hydrogenesis, questo il nome del traghetto propone di mostrare come i motori a idrogeno possano essere utilizzato come alternativa verde. Grazie al suo successo la città sta ora valutando di lanciare la prima linea di trasporto pubblico alimentata a idrogeno per collegare Bristol a Londra. Nel corso degli ultimi anni, Bristol ha chiaramente dimostrato il suo impegno all’avanguardia per affrontare il cambiamento climatico attraverso l’adozione di diverse misure e piani che vanno dalla nella mobilità urbana alla qualità dell’aria. La città ha messo a disposizione un budget di € 500 milioni di euro per il miglioramento dei trasporti entro il 2015 e di € 300 milioni di euro per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili entro il 2020. Le emissioni di CO2sono stati costantemente ridotte a Bristol dal 2005 mentre l’economia ha confermato la sua crescita il che ha portato Bristol a conquistare nel giugno di quest’anno il riconoscimento europeo di Green Capital 2015. Il premio Greeen Capital è stato vinto da Stoccolma nel 2010, da Amburgo nel 2011, Vitoria-Gasteiz nel 2012, Nantes nel 2013 e Copenhagen per il 2014. La Commissione Europea ha pubblicato il nuovo bando per il 2016 aperto a città con 100 mila abitanti e non più 200 mila.

Fonte:  Europa

 

Green Capital Award: cosa c’è da imparare dalle quattro finaliste 2015

Per avere una città mediterranea nella rosa delle Capitali verdi d’Europa bisognerà aspettare ancora un po’: dopo Stoccolma, Amburgo, la basca Vitoria, la bretone Nantes e Copenhagen, la sfida per il premio European Green Capital 2015 si gioca di tra Bristol, Bruxelles, Glasgow e Ljubljana. Ecco perché

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Per avere una città mediterranea nella rosa delle Capitali verdi d’Europa bisognerà aspettare ancora un po’: dopo StoccolmaAmburgo, la basca Vitoria, la bretone Nantes Copenhagen, la sfida per il premio European Green Capital Award 2015 si gioca di nuovo tutta fra città “fredde”: BristolBruxelles,Glasgow Lubiana. Il quartetto è stato selezionato sulla base dei 12 indicatori ambientali di riferimento: il contributo fornito alla lotta ai cambiamenti climatici, il trasporto locale, la quantità di verde urbano e l’attenzione al consumo del suolo; la biodiversità, la qualità dell’aria, lo stato dell’inquinamento acustico, la produzione e gestione dei rifiuti; il consumo d’acqua, le innovazioni tecnologiche ecosostenibili, la gestione delle questioni ambientali a livello di autorità locali e la performance energetica. Vediamo allora i punti di forza delle quattro finaliste.

Bristol (Inghilterra)

Il primo punto a favore la città inglese lo segna sul fronte della lotta al consumo di suolo: negli ultimi dieci anni le autorità locali hanno messo in piedi una strategia di salvaguardia del territorio solida ed efficace che ha portato ad avere il 94% delle nuove abitazioni in costruzione realizzato su terreni già compromessi e in attesa di bonifica: i cosiddetti brownfield. Percentuale ancora più alta per gli insediamenti industriali: 98%. Ottimi risultati anche sul piano della mobilità: la città sta mettendo a punto un’ordinanza che abbasserà limite di velocità a 20 miglia all’ora in tutte le aree residenziali (32 km all’ora) e sta investendo molto su mobilità ciclistica e ferroviaria.

Bruxelles (Belgio)

Il punto forte di Bruxelles è l’energia: in questi primi mesi dell’anno la città ha adottato un programma di obiettivi standard da raggiungere molto severo per limitare la quantità di emissioni inquinati, supportato da investimenti sostanziosi. Uno dei cavalli di battaglia di questa politica di efficientamento è il programma Exemplary Buildings: finanziato nel 2007 con 24 milioni di euro, oggi ne fa girare 460, con 1250 posti di lavoro. Il progetto serve a regolare gli standard energetici dei nuovi edifici, sia pubblici che privati, e nei primi due anni dalla nascita ha già permesso una riduzione di 13.000 tonnellate di CO2. Un risultato straordinario anche nel campo della riduzione dei rifiuti:la quota di produzione pro capite sarebbe calata drasticamente, addirittura il 20% dal 2000 ad oggi.

Glasgow (Scozia)

Glasgow non è certo nota per la sua anima verde: è la città più grande della Scozia e ha il carattere (e i colori) tipici delle città a forte vocazione industriale. Ma riserva delle sorprese notevoli. Prima di tutto per l’attenzione che dedica alla biodiversità e alla protezione delle aree verdi: il 22% del territorio comunale è stato dichiarato oasi protetta, e sottoposto a vincoli urbanistici severi. La Città ha dimostrato poi di saper trarre lezioni importanti dai momenti di crisi: il pesante alluvione del 2002 (in un giorno cadde la stessa quantità di acqua che la Città sopportava in un mese, e stiamo parlando della Scozia…) portò alla luce la necessità di avere un sistema di drenaggio all’avanguardia e che reggesse alle emergenze. Nacque così la Metropolitan Glasgow Strategic Drainage Partnership, un’agenzia che oggi è un vero faro nella gestione delle emergenze idrogeologiche.

Lubiana(Slovenia)
La capitale slovena ha molto da insegnare, e su diversi fronti. La gestione dell’acqua, l’attenzione per le energie rinnovabili e il teleriscaldamento, un piano serrato di riduzione delle emissioni di CO2 e soprattutto un ottimo piano per la mobilità urbana, che ha consentito di ridurre notevolmente il traffico automobilistico, e che entro il 2015 raggiungerà facilmente l’obiettivo che si era prefissata: meno 20% per gli spostamenti in auto. L’obiettivo finale, che secondo l’Unione Europea ha buone possibilità di riuscita, è l’equiparazione tra le tre voci principali del modal share: trasporto pubblico, automobili e biciclette. Inoltre il comune sta affrontando un importante rinnovamento del parco mezzi, che dovrebbe portare entro i prossimi due anni ad avere un 50% della flotta degli autobus alimentato a metano. Nei piani c’è anche una congestion charge, sul modello inglese. Lubiana è poi una delle città più verdi d’Europa: il Sentiero delle rimembranze, che attraversa diversi quartieri cittadini è lungo 33 km e conta oltre 7.000 alberi. La scelta della giuria sarà annunciata il 14 giugno, a Nantes, città che ha guadagnato il titolo per l’anno corrente.

scarica il report della Commissione Europea:

European Green Capital Award 2015

Fonte: eco dalle città