Made in Castel Volturno

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Made in Castelvolturno

Sulle etichette di abiti, borse e altri accessori è cucito il nome del marchio: Made in Castel Volturno. Tutti i capi sono prodotti nella Casa di Alice, una sartoria sociale realizzata in un bene confiscato alla camorra, valorizzato con un progetto sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, proprio a Castel Volturno, nel casertano. Un territorio che ospita la comunità italo-africana più numerosa del nostro paese e che più volte è stato raccontato per fatti legati alla criminalità, alla violenza e al degrado. Oggi quel “fatto a Castel Volturno” è sinonimo di qualità, rispetto dei diritti umani e di integrazione. Nel salone della villetta, un tempo appartenuta a Pupetta Maresca, e dal 2010 affidata alla cooperativa sociale Jerry Essan Masslo che la gestisce insieme alla cooperativa Altri Orizzonti, è adibito il laboratorio di sartoria dove ogni capo prende forma.

Moda e integrazione: per Maria Cirillo, responsabile del progetto, è una scommessa vinta, anche se la strada resta ancora lunga, la direzione è certamente quella giusta.

Come è nata l’idea di Made in Castel Volturno?

L’idea nasce più di 10 anni fa quando un gruppo di volontari dell’Associazione Jerry Essan Masslo decide di superare l’ottica del puro assistenzialismo e di andare un po’ avanti, perché sappiamo benissimo che l’integrazione passa soprattutto attraverso il lavoro. Anna Cecere, una dei volontari, aveva il sogno di creare un atelier di moda, partendo proprio da una sartoria. Da questo sogno abbiamo deciso di costruire una cooperativa, Altri Orizzonti, e di aprire il laboratorio di sartoria Made in Castel Voltruno.

Perché avete pensato proprio ad una sartoria?

In Africa c’è una forte tradizione sartoriale: le stoffe, i colori, i vestiti hanno una loro storia. Noi abbiamo cercato di creare un connubio tra la cultura occidentale e la cultura africana, attraverso la moda e le stoffe.

Quindi è un laboratorio permanente che promuove integrazione tra culture diverse e attraverso la tradizione sartoriale, è così?

Questo è il principale obiettivo per poi raggiungere un’occupazione lavorativa che consenta alle persone di vivere in maniera dignitosa.

E ci siete riusciti? Quante persone lavorano in sartoria?

Abbiamo tre sarte provenienti da tre zone diverse dell’Africa, di età molto diverse. Hanno imparato a cucire nella nostra sartoria, che oltre ad essere un laboratorio di promozione sociale e quindi di integrazione, è un laboratorio di formazione che educa al lavoro e insegna un mestiere. La nostra capo sarta Bose ci ha lasciato da poco, insegnava alle altre sarte a cucire. Il sogno va avanti, anche in sua memoria. E speriamo che vada avanti il più possibile per dare alle persone la possibilità di poter imparare a fare una piega, a saper cucire un vestito perché anche questo può costituire una fonte di reddito.

Come vengono pensate le vostre linee, c’è una contaminazione di tradizioni?

È uno studio e una ricerca costante. Certamente cerchiamo di capire cos’è di tendenza, ma questo ci interessa relativamente perché il retroscena è la stoffa e la tradizione africana che uniamo ai nostri prodotti. Una vera contaminazione.

MADEin CastelVolturno // Collezione Autunno-Inverno // Parte 1 from Clelia Carnevale on Vimeo.

Perché avete scelto questo nome per il brand Made in Castel Volturno?

L’abbiamo scelto perché siamo innamorati di Castel Volturno. È un territorio che è stato stuprato e violentato nel corso di decenni, ma offre grandi risorse. Qui abitano circa 72 etnie diverse e questo è sempre stato percepito come un problema. Noi vogliamo far capire attraverso Made in Castel Volturno che persone che vivono e nascono in questo territorio possono creare possibilità e creare qualcosa di bello. La nostra sartoria sociale produce come oggetto finito un vestito, ma ha una storia, quelle delle persone di Castel Volturno.

Sicuramente non tutto va come vorreste, ma con una bacchetta magica cosa cambiereste?

Il nostro desiderio è quello di creare un’economia che definiamo circolare, noi non vogliamo diventare una grande azienda o un grande brand. Vogliamo semplicemente riuscire a sostenerci e a sostenere il nostro sogno con un’economia solidale. Dietro il nostro prodotto c’è una storia.

Cosa bolle in pentola per le prossime collezioni?

Idee regalo afro italiane per Natale, a breve le troverete anche sul nostro sito www.madeincastelvolturno.com

 

Ludovica Siani

Fonte: http://www.conmagazine.it/2018/11/12/made-in-castel-volturno/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Gucci: le borse in cuoio certificate Rainforest Alliance a deforestazione zero.


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Gucci torna sul progetto della moda sostenibile e lancia una nuova linea di borse in cuoio certificato Rainforest Alliance, ovvero a deforestazione zero. I vegani certamente non saranno d’accordo perché l’etica animalista impone che non siano usati animali e derivati per la produzione di oggetti e cibi. Ma per la maison italiana dell’alta moda e per i clienti è un compromesso di elevato interesse. Ma vediamo esattamente in cosa consiste. La nuova linea di borse è stata messa a punto con la collaborazione di Livia Firth fondatrice del Green Carpet Challenge e il cuoio usato proviene da fattorie di allevamento del Mato Grosso che occupano una superficie di 32 mila ettari inclusa una riserva di 13 mila ettari di Foresta Amazzonica e per cui hanno ricevuto la certificazione Rainforest Alliance. Ogni borsa sarà dotata di un passaporto che attesta la filiera di produzione e la sua tranciabilità totale. Spiega Sabrina Vigilante direttore delle iniziative strategiche di La certificazione Rainforest Alliance:

La conversione agricola per la produzione di bestiame è la principale causa della deforestazione in Amazzonia. La nuova linea Gucci imposta un fulgido esempio nel settore della moda, dimostrando che la pelle può essere prodotta tenendo in conto i benefici per l’ambiente e l’agricoltura delle comunità, promuovendo nel contempo il trattamento umano degli animali.

E’ un piccolo passo: sia chiaro, perché Gucci comunque produce borse approvvigionandosi dei pellami attraverso i canali tradizionali e usando anche pelli di animali come il pitone. Rossella Ravagli Sustainability Manager per Gucci spiega che la maison fiorentina non è nuova a queste iniziative:

Abbiamo aderito alle campagne Greenpeace per l’Amazzonia, abbiamo appoggiato la lotta alla sabbiatura dei jeans, abbiamo varato un nuovo packaging realizzato esclusivamente con carta certificata Fsc (Forest Stewardship Council) e riciclabile al 100% e, nel 2012, lanciato i primi prodotti eco-friendly, tra i quali una linea di occhiali realizzati con materiali naturali o a minor impatto ambientale, e un sandalo biodegradabile.

In merito a questa nuova collezione Ravagli precisa:

Questa nuova linea di borse eco responsabili risponde alla domanda ecologica dei consumatori e corrisponde perfettamente allo stile esigente di Gucci e prova che l’industria della moda può rappresentare una forza positiva se affronta direttamente la questione ambientale.

Fonte: Eco Age, Bioaddict