Outdoor education: le sfide e le conquiste dell’educazione in natura

I bambini non si stancano di stare sempre all’aperto? Arriveranno preparati alle scuole elementari? È vero che ci si ammala di più? Quali sono le responsabilità dei genitori? Ecco alcune domande ricorrenti nel dibattito sull’educazione in natura, a cui rispondiamo con l’aiuto di Davide Fattori di Canalescuola, una cooperativa che ha avviato molte esperienze di outdoor education in Italia. Costruire adulti di domani che sappiano recuperare il rapporto con l’ecosistema di cui siamo parte perché cresciuti fianco a fianco con esso. È questo l’obiettivo di coloro che, a vario titolo, si occupano di educazione all’aria aperta. Uno di loro è Davide Fattori, che da diversi anni sta dando, insieme alla cooperativa Canalescuola, un contributo importante alla diffusione di questo modello educativo e pedagogico improntato sulla consapevolezza, sulla naturalità e sulla libertà d’espressione.

I bambini non si stancano di stare sempre all’aperto? Arriveranno preparati alle scuole elementari? È vero che ci si ammala di più? Quali sono le responsabilità dei genitori? Ecco alcune domande ricorrenti nel dibattito sull’educazione in natura, a cui rispondiamo con l’aiuto di Davide Fattori di Canalescuola, una cooperativa che ha avviato molte esperienze di outdoor education in Italia. Costruire adulti di domani che sappiano recuperare il rapporto con l’ecosistema di cui siamo parte perché cresciuti fianco a fianco con esso. È questo l’obiettivo di coloro che, a vario titolo, si occupano di educazione all’aria aperta. Uno di loro è Davide Fattori, che da diversi anni sta dando, insieme alla cooperativa Canalescuola, un contributo importante alla diffusione di questo modello educativo e pedagogico improntato sulla consapevolezza, sulla naturalità e sulla libertà d’espressione.

Com’è nata la Rete di Scuole nel Bosco di Canalescuola e cosa la caratterizza?

Dopo aver aperto la Scuola nel Bosco di Verona per bambini dai 3 ai 6 anni attraverso la cooperativa Canalescuola, ente formatore riconosciuto dal MIUR, io e la mia collega siamo stati contattati da varie realtà interessate ad avviare progetti di educazione in natura. È nata così la prima Rete italiana di Scuole nel Bosco e assieme ad essa la voglia di supportarci, confrontarci e crescere insieme a livello professionale. La cosa interessante di questa rete è che tutte le scuole nel bosco aderenti seguono lo stesso progetto, alla base c’è un lavoro di equipe. Siamo circa sessanta persone, perlopiù professionisti dell’educazione – educatori, maestri e pedagoghi –, ma c’è anche chi ha alle spalle lauree in biologia o in scienze forestali. Nel primo anno abbiamo condensato i tanti saperi provenienti dalla nostra esperienza professionale, mentre dagli anni successivi abbiamo impostato una formazione che ci garantisse un linguaggio comune sugli elementi caratteristici del nostro progetto – l’uso del bosco, il gioco libero, l’apprendimento incidentale, il lavoro con i genitori, la crescita personale attraverso la formazione – prestando attenzione anche all’utilizzo dell’ambiente esterno, con corsi di meteorologia e di scouting.

Com’è nata la Rete di Scuole nel Bosco di Canalescuola e cosa la caratterizza?

Dopo aver aperto la Scuola nel Bosco di Verona per bambini dai 3 ai 6 anni attraverso la cooperativa Canalescuola, ente formatore riconosciuto dal MIUR, io e la mia collega siamo stati contattati da varie realtà interessate ad avviare progetti di educazione in natura. È nata così la prima Rete italiana di Scuole nel Bosco e assieme ad essa la voglia di supportarci, confrontarci e crescere insieme a livello professionale. La cosa interessante di questa rete è che tutte le scuole nel bosco aderenti seguono lo stesso progetto, alla base c’è un lavoro di equipe. Siamo circa sessanta persone, perlopiù professionisti dell’educazione – educatori, maestri e pedagoghi –, ma c’è anche chi ha alle spalle lauree in biologia o in scienze forestali. Nel primo anno abbiamo condensato i tanti saperi provenienti dalla nostra esperienza professionale, mentre dagli anni successivi abbiamo impostato una formazione che ci garantisse un linguaggio comune sugli elementi caratteristici del nostro progetto – l’uso del bosco, il gioco libero, l’apprendimento incidentale, il lavoro con i genitori, la crescita personale attraverso la formazione – prestando attenzione anche all’utilizzo dell’ambiente esterno, con corsi di meteorologia e di scouting.

Come rispondono i bambini alla vostra proposta formativa?

Siamo coscienti che i progetti pedagogici vanno verificati dopo 20-25 anni, quindi stiamo ancora lavorando con calma, aspettando il momento in cui potremmo fare anche un’analisi del progetto educativo. Detto questo, ciò che abbiamo osservato in questi primi cinque anni lascia ben sperare. Le maestre delle scuole primarie dove i bambini dell’asilo nel bosco poi si iscrivono, riportano che si tratta di bambini con buone capacità di dialogo, di confronto e, pur arrivando a scuola senza aver fatto quel percorso di pre-scrittura, pre-lettura e pre-calcolo che viene solitamente proposto nelle scuole tradizionali, messi di fronte al simbolo sono molto veloci nell’apprendimento e dimostrano spesso capacità di risoluzione dei problemi, creatività e voglia di raccontare. Sono inoltre bambini con un buon livello di consapevolezza di sé, delle proprie energie e che hanno maturato una sensibilità nei confronti della natura. Questo, in particolare, ci sta a cuore perché il nostro grande obiettivo è far sì che i bambini e le bambine con cui lavoriamo oggi possano diventare un domani uomini e donne capaci di vivere in modo più equilibrato e funzionale il rapporto con la natura.

Come rispondono i bambini alla vostra proposta formativa?

Siamo coscienti che i progetti pedagogici vanno verificati dopo 20-25 anni, quindi stiamo ancora lavorando con calma, aspettando il momento in cui potremmo fare anche un’analisi del progetto educativo. Detto questo, ciò che abbiamo osservato in questi primi cinque anni lascia ben sperare. Le maestre delle scuole primarie dove i bambini dell’asilo nel bosco poi si iscrivono, riportano che si tratta di bambini con buone capacità di dialogo, di confronto e, pur arrivando a scuola senza aver fatto quel percorso di pre-scrittura, pre-lettura e pre-calcolo che viene solitamente proposto nelle scuole tradizionali, messi di fronte al simbolo sono molto veloci nell’apprendimento e dimostrano spesso capacità di risoluzione dei problemi, creatività e voglia di raccontare. Sono inoltre bambini con un buon livello di consapevolezza di sé, delle proprie energie e che hanno maturato una sensibilità nei confronti della natura. Questo, in particolare, ci sta a cuore perché il nostro grande obiettivo è far sì che i bambini e le bambine con cui lavoriamo oggi possano diventare un domani uomini e donne capaci di vivere in modo più equilibrato e funzionale il rapporto con la natura.

Quali state le sfide dell’educare in natura?

Una limitazione fisica e concreta che si può presentare quando si vuole avviare una scuola nel bosco è la difficoltà a individuare un bosco adatto ad accogliere una scuola. La sfida più grande, tuttavia, è data da alcune convinzioni ancora ben presenti nella nostra società, ovvero che a stare all’aperto non si impara niente, che ci si affatica troppo o che magari ci si ammala di più. Quando però riusciamo a far fare quest’esperienza ai bambini, anche solo un giorno o in una settimana d’estate, le famiglie restano spesse sorprese dal cambiamento che opera in loro e decidono di portarli ancora.

È bello vedere come i genitori cambiano di fronte a dei bambini che stanno bene, che li accolgono con le guance arrossate, divertiti e pieni di vita. Per loro – i genitori – la sfida è invece costituita dal fatto che l’asilo nel bosco richiede molto più impegno rispetto a una scuola tradizionale. Innanzitutto una caratteristica del nostro progetto è che noi proponiamo solo la mattina, perché sappiamo che a quell’età i bambini hanno l’energia necessaria per stare al di fuori dal nido e dalla famiglia solo per alcune ore, oltre le quali entrerebbero in sofferenza. C’è poi da parte nostra un coinvolgimento dei genitori sugli aspetti educativi, con incontri a cadenza mensile. Infine, ogni giorno i genitori trovano i bambini sporchi, talvolta infangati e li devono “rimettere a nuovo” assieme ai loro vestiti e agli stivali. Queste a parte, non abbiamo riscontrato a oggi altre difficoltà. Ciò che dà fluidità al lavoro è trovare delle persone sufficientemente preparate a vivere l’educazione sapendo i bisogni dei bambini e capaci di vivere l’ambiente esterno, osservando, interpretando i segni della natura, piante, animali, clima.

Quali state le sfide dell’educare in natura?

Una limitazione fisica e concreta che si può presentare quando si vuole avviare una scuola nel bosco è la difficoltà a individuare un bosco adatto ad accogliere una scuola. La sfida più grande, tuttavia, è data da alcune convinzioni ancora ben presenti nella nostra società, ovvero che a stare all’aperto non si impara niente, che ci si affatica troppo o che magari ci si ammala di più. Quando però riusciamo a far fare quest’esperienza ai bambini, anche solo un giorno o in una settimana d’estate, le famiglie restano spesse sorprese dal cambiamento che opera in loro e decidono di portarli ancora.

È bello vedere come i genitori cambiano di fronte a dei bambini che stanno bene, che li accolgono con le guance arrossate, divertiti e pieni di vita. Per loro – i genitori – la sfida è invece costituita dal fatto che l’asilo nel bosco richiede molto più impegno rispetto a una scuola tradizionale. Innanzitutto una caratteristica del nostro progetto è che noi proponiamo solo la mattina, perché sappiamo che a quell’età i bambini hanno l’energia necessaria per stare al di fuori dal nido e dalla famiglia solo per alcune ore, oltre le quali entrerebbero in sofferenza. C’è poi da parte nostra un coinvolgimento dei genitori sugli aspetti educativi, con incontri a cadenza mensile. Infine, ogni giorno i genitori trovano i bambini sporchi, talvolta infangati e li devono “rimettere a nuovo” assieme ai loro vestiti e agli stivali. Queste a parte, non abbiamo riscontrato a oggi altre difficoltà. Ciò che dà fluidità al lavoro è trovare delle persone sufficientemente preparate a vivere l’educazione sapendo i bisogni dei bambini e capaci di vivere l’ambiente esterno, osservando, interpretando i segni della natura, piante, animali, clima.

Quali programmi avete per il futuro?

Il 9 e il 10 aprile saremo presenti al convegno di Erickson sui modelli alternativi di scuole per l’infanzia, dedicato principalmente a insegnanti, educatori, pedagogisti e altri professionisti che lavorano con i bambini nella fascia dai 3 ai 6 anni. Da un paio d’anni, inoltre, prendiamo parte al convegno internazionale Educazione Terra Natura di Bressanone e speriamo di ripetere l’esperienza anche quest’anno. Confrontarci su una dimensione scientifica, in generale, per noi è molto prezioso. L’outdoor education infatti è ancora una novità nel panorama educativo e il rischio è quello di scadere nella logica della moda. Ma l’educazione non deve esserlo ed è nostra intenzione coltivare con cura e attenzione il modello pedagogico che stiamo sperimentando, lavorando anche a delle pubblicazioni.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/outdoor-education-sfide-conquiste-educazione-in-natura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Scoperto nuovo sistema immunitario

Batteriofago aderisce a strati di muco e fornisce immunità contro i batteri invasori. Credit: Jeremy Barrnewimmunesys

Un gruppo di ricerca, guidato da Jeremy Barr, una biologia borsista post-dottorato, svela un nuovo sistema immunitario che protegge gli esseri umani e gli animali dalle infezioni.

Un gruppo di ricerca della San Diego State University,guidato dalla biologa post-dottorato Jeremy Barr, ha scoperto che il muco è la casa di un sistema immunitario potente che può cambiare il modo in cui i medici trattano una serie di malattie. In questo sistema immunitario precedentemente non documentato, i ricercatori hanno scoperto batteri che infettano-virus conosciuti come batteriofago, schermano il corpo dall’ invasione dell’infezioni. La scoperta, resa possibile con i finanziamenti del National Institutes of Health, si concentra sugli strati protettivi di muco che sono presenti in tutti gli esseri umani e animali. Serve sia come una casa per grandi popolazioni di microbi benefici , che possono includere i funghi , batteri e virus, e come punto di ingresso per l’infezione. Un nuovo sistema immunitario. I ricercatori hanno campionato muco di animali, un anemone mare, un topo e una persona, e hanno trovato che i batteriofagi aderiscono allo strato di muco su ognuna di essi. Hanno disposto il batteriofago sopra uno strato di tessuto che produce muco ed hanno osservato che il batteriofago si è legato con gli zuccheri all’interno del muco, inducendoli ad aderire alla superficie. Poi hanno sfidato queste cellule del muco con i batteri di Escherichia coli ed hanno  rovato che il batteriofago ha attaccato e ucciso la Escherichia oli nel muco,efficacemente formando  la barriera antimicrobica sull’ospite che ha protetto dall’infezione e dalla malattia. Per confermare la loro scoperta, il team ha anche condotto una ricerca parallela impegnativa in cellule che non producono muco  sia con batteriofago e E. coli. I risultati dei provini senza muco avevano tre volte più morte cellulare . “Prendendo in considerazione la ricerca precedente ,possiamo proporre l’aderenza del batteriofago a Muco-o Bam-è un nuovo modello di immunità, che sottolinea l’importanza gioco batteriofago ruolo nel proteggere l’organismo da agenti patogeni invasori”, ha detto Barr. Una protezione nascosta. l corpo recluta il batteriofago dall’ambiente, che poi si attacca naturalmente a strati di muco in varie parti del corpo, compresa la bocca e intestino. Il batteriofago poi diventa un protettore del suo ospite, accumulandosi e aderendo. “Questa scoperta non solo propone un nuovo sistema immunitario, ma dimostra anche il primo rapporto simbiotico tra fagi e gli animali”, ha detto Barr. “Avrà un impatto significativo in numerosi campi.” “La ricerca potrebbe essere applicata a qualsiasi superficie della mucosa”, ha detto Barr. “Prevediamo che il BAM influenzerà la prevenzione e il trattamento di infezioni delle mucose viste nell’intestino e polmoni, con applicazioni per la terapia fagica e anche interagendo direttamente con il sistema immunitario umano. “ La ricerca è stata pubblicata nella prima Edizione della rivista Proceedings of National Academy of Sciences di maggio.

Di Natalia Van Stralen

Fonte: http://medicalxpress.com/news/2013-05-immune.html

La percezione del rischio campi elettromagnetici: una problematica ancora attuale

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In ambito di prevenzione e sicurezza, i campi elettromagnetici costituiscono una tipologia di rischio che suscita ancora perplessità nella popolazione, non sono in Italia ed in Europa, ma in tutto il mondo

I risultati delle ricerche portate avanti nel corso degli ultimi 10 anni non hanno fornito purtroppo risposte conclusive ed omogenee per quanto riguarda gli effetti della esposizione ai campi elettromagnetici sulla nostra salute.

E’ pertanto possibile affermare che ci si trova di fronte ad un fenomeno complesso caratterizzato da una rilevante incertezza dal punto di vista scientifico che richiede, oltre ad una continua integrazione delle conoscenze disponibili, anche una accurata e trasparente diffusione delle stesse, allo scopo di permettere una corretta valutazione e gestione del rischio.

Il problema pertanto non deve essere trattato unicamente da un punto di vista scientifico, soffermandosi esclusivamente sulle potenziali conseguenze sanitarie e biologiche della esposizione, ma anche da un punto di vista sociale, attraverso analisi approfondite che permettano di comprendere gli atteggiamenti e le percezioni delle persone nei confronti di tali effetti.

A tal proposito, nel 2003 l’agenzia australiana ARPANSA (Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency) ha istituito un Registro in cui vengono riportati vari problemi alla salute lamentati da cittadini australiani e la cui comparsa potrebbe essere messa in relazione all’esposizione a campi elettromagnetici.

In tale Registro vengono considerate le esposizioni a campi con frequenze comprese tra 0 e 300 GHz. I cittadini che ritengono di soffrire o di aver sofferto di patologie correlabili all’esposizione ai campi elettromagnetici possono quindi compilare un questionario standard nel quale hanno la possibilità di descrivere in dettaglio le modalità della loro esposizione, sia residenziale che professionale, e gli eventuali sintomi o patologie da loro ritenuti associabili alla esposizione ai campi elettrici, magnetici o elettromagnetici.

Il Registro ancora non è molto utilizzato dai cittadini, infatti da quando è stato istituito, ha ricevuto in totale 55 report di cui 24 nel periodo Luglio 2003-Giugno 2004, 5 tra Luglio 2004-Giugno 2005, 1 tra Luglio 2005-Giugno 2006, 7 tra Luglio 2006-Giugno 2007, 3 tra Luglio 2007-Giugno 2008, 9 tra Luglio 2008-Giugno 2010 e 6 tra Luglio 2010-Giugno 2012.

Considerando nello specifico le segnalazioni giunte e le fonti di esposizione dichiarate per il periodo 2010-2012, si osserva che i campi elettromagnetici prodotti dai terminali mobili non vengono mai indicati come fonte associabile ad insorgenza di fastidi o patologie, mentre nel periodo 2003-2010 si trovavano al secondo posto.

L’analisi dei dati segnalati dai cittadini hanno permesso di costruire un quadro abbastanza dettagliato dei disturbi percepiti come legati alla esposizione a campi elettromagnetici.

Il quadro emerso varia a seconda degli anni: nel periodo 2010-2012 le patologie maggiormente segnalate consistono in dolori vari al corpo, vertigini, aritmia, insonnia, nausea, sensazione di tintinnio alle orecchie; non sono stati invece riportati emicranie, sensazione di bruciore diffuso, problemi a livello di concentrazione che nei periodi precedenti (2003-2010) avevano avuto un’incidenza elevata.

Si tratta in ogni caso di disturbi di lieve entità che possono essere ricondotti a sindrome idiopatica di ipersensibilità, fenomeno afferente al campo della psichiatria e non della medicina generale, per il quale non ci sono evidenze sperimentali di una possibile associazione tra esposizione ai campi elettromagnetici e sviluppo delle reazioni fisiche lamentate, ma con molta probabilità un effetto di tipo nocebo.

Oltre a queste statistiche, sono stati condotti numerosi altri studi sulla percezione del rischio, non solo in materia di campi elettromagnetici ma anche prendendo in considerazione tutte le tecnologie che fanno uso di radiazioni sia ionizzanti che non. Dall’analisi di tali studi si può affermare che le percezioni e le valutazioni della popolazione sono spesso eterogenee e possono subire influenze esterne ad esempio dai media.

Tra i vari risultati, infatti, è emersa una bassa percezione del rischio associato ai campi emessi dagli elettrodomestici, strumenti di uso comune e considerati innocui e, di contro, un’altissima percezione del rischio associato ai cavi di alta tensione delle linee elettriche; analogamente nel campo delle radiofrequenze, la percezione del danno alla salute derivante dall’utilizzo del terminale mobile è minore rispetto a quella associata alla presenza di stazioni radiobase negli ambienti di vita.

Si può perciò affermare che la percezione del rischio non dipende sempre dal valore reale del rischio stesso ma piuttosto dal modo in cui il pubblico lo percepisce e spesso anche dalla familiarità con una determinata situazione. Nel caso specifico dei campi elettromagnetici, l’impossibilità di percepirli a livello sensitivo e visivo e la mancanza di una risposta scientifica chiara ed esaustiva sui loro potenziali effetti biologici e sanitari, rendono questo agente fisico poco conosciuto e, di conseguenza, maggiormente temuto.

Da questa analisi emerge che la percezione del rischio può portare ad inutili allarmismi e arrivare a bloccare o rallentare il progresso o l’applicazione di determinate tecnologie, va pertanto affrontata in modo chiaro, trasparente e concertato, mettendo sempre in primo piano i risultati di una ricerca scientifica che deve venire aggiornata con continuità e rivolgersi alla popolazione in modo comprensibile e, ove possibile, univoco.

Fonte: Elettra2000