Una sola specie (indovinate quale) consuma quasi il 30% della produzione vegetale di tutta la Terra

Si tratta ogni anno di oltre una tonnellata di Carbonio per abitante. Nelle zone maggiormente antropizzate il prelievo supera il 70%.

 

Quanto pesa l’umanità su questo pianeta?

Oltre alla ormai celebre impronta ecologica, un buon sistema di misura è il cosiddetto HANPP (Human Appropriation of Net Primary Productivity), ovvero l’appropriazione umana della produttività primaria netta (cioè vegetale) in termini di raccolti, pascoli, mangime, legno, biofuel. Secondo uno studio dell’Istituto di Ecologia Sociale di Klagenfurt, Austria, l’uomo ogni anno si appropria in un modo o nell’altro del 28,8% di tutta la biomassa che cresce al di sopra del terreno (1). Questo equivale ad un prelievo di 1,2 tonnellate di Carbonio per ogni abitante del pianeta. Si tratta naturalmente di un valore medio, perchè come si può vedere dalla mappa qui sotto, nelle zone più antropizzate l’appropriazione supera in genere il 70%. L’India spicca per l’ enorme prelievo di biomassa su tutto il suo territorio e mostra chiaramente l’impatto dei consumi, ancorchè sobri, di un miliardo di persone. Tra le altre zone critiche, la Cina, l’Australia, il modwest americano, la Nigeria, il Rwanda e varie regioni di Europa, tra cui la pianura padana In certi casi (aree in azzurro nella mappa, corrispondenti alle zone irrigate in Egitto, Pakistan, Uzbekistan) i cambiamenti indotti dall’uomo hanno causato un’aumento della produzione vegetale rispetto allo stato naturale, per cui l’appropriazione si presenta con un  segno meno davanti. Questo non significa però che le cose stiano andando bene, visto che tle risultato è stato ottenuto al prezzo di un insostenibile prelievo di acqua.HANPP

(1) Il valore risulta un po’ più basso se si considera anche la biomassa sotterranea, da cui i prelievi sono minori (radici, tuberi, bulbi).  L’HANPP è la somma della biomassa effettivamente utilizzata dall’umanità e della biomassa  persa per i cambiamenti rispetto ad un ecosistema indisturbato. Il video in alto proviene da un’altra fonte (NASA) e per questo i colori del globo sono leggermente diversi dalla mappa qui sopra.

Fonte: ecoblog.it

Il costo ambientale nascosto del biofuel USA

Le minori emissioni di CO2 del bioetanolo sono più che compensate in negativo dalla perdita ed erosione di suoli naturali per nuove colture, dal maggiore inquinamento dei fiumi e dalla crescita della zona morta nel Golfo del MessicoMais-usa-586x424

L’Associated Press ha pubblicato un interessante servizio sul costo ambientale nascosto del bioetanolo da mais negli USA.E’ stato valutato che (anche se probabilmente si tratta di una stima abbastanza ottimistica) prendendo in considerazione l’intero ciclo l’etanolo rispetto al petrolio permette di ridurre i consumi di energia del 57% e le emissioni di CO2 dell’ 34%;  è però altrettanto vero che non si può ignorare il suo impatto ambientale complessivo. Lo sviluppo del bioetanolo ha diffuso tra gli agricoltori una vera e propria “febbre del mais” che ha portato a destinare a biofuel ben il 44% dei terreni coltivati a mais e ad aumentare del 27% in 10 anni la superficie complessiva destinata a questo cereale. Nella ricerca esasperata di nuove terre in cui coltivare il mais sono stati aggrediti oltre  3 milioni di ettari di ambienti naturali. Gli agricoltori hanno usato colline, zone umide, boschi, praterie, zone troppo aride e pesino un campo da golf  per fare crescere pannocchie destinate a coprire appena il 3% dei consumi fossili USA. L’attività agricola su suoli più fragili e storicamente non adatti sta aumentando il rischio di erosione e desertificazione, mentre la mancanza di rotazione delle colture sta impoverendo i suoli. Inoltre l’incremento nell’uso di pesticidi e fertilizzanti, peggiora la contaminazione della  falda acquifera e dei fiumi e allarga la cosiddetta zona morta del golfo del Messico. Poichè l’alcool è più corrosivo della benzina, l’ultimo danno ai cittadini è rappresentato dai possibili danni ai motori, soprattutto quelli più vecchi, che potrebbe arrecare l’E15, cioè una miscela al 15% di etanolo.

Fonte: ecoblog

USA: il 44% del mais è destinato a biofuel

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Negli USA la terra arabile è sempre più usata per produrre biofuel invece che cibo. Come si vede dal grafico, la produzione di mais per bioetanolo è letteralmente esplosa nell’ultimo decennio ed ormai interessa il 44% della superficie destinata a questo cereale, per un’area pari a oltre 150 000 km², ovvero un’estensione maggiore dell’intero stato dell’Iowa.(1)  La quota rimanente è in massima parte destinata ad essere usata come mangime negli allevamenti intensivi.

La pressione generata dai biofuel sta aggredendo  un’importante area naturale quale la grande prateria, in particolare in South Dakota e Iowa.  Secondo una ricerca di Wright e Wimberly negli ultimi 5 anni oltre 5300 km² di prateria sono stati messi a coltivazione per il mais. In questo modo sono stati distrutti habitat importanti per gli uccelli, in particolare le anatre selvatiche.

Ma la follia del bioetanolo non si ferma qui.

Primo: l’attuale produzione di bioetanolo, pari a 22,6 Mtep, copre appena il 3% dei consumi di petrolio degli USA. Nemmeno se tappezzassero tutta l’Unione di campi di mais, gli americani potrebbero soddisfare la loro economia ultra energivora.

Secondo: il mais per il bioetanolo è coltivato con grandi input fossili (fertilizzanti, trasporto, trattamento chimico) e il guadagno energetico è modesto, in genere di qualche punto percentuale.

Terzo: i cambiamenti climatici potrebbero ridurre in modo significativo la resa agricola negli USA e quindi occorrerà più terra per produrre lo stesso cibo: la terribile siccità dell’estate del 2012 potrebbe essere solo un’avvisaglia di quello che ci aspetta.

(1) Fonti: Renewable Fuel Association e Faostat. I dati relativi alla produzione e alle rese del 2012 provengono invece da USDA.

 

Fonte: ecoblog