Piemonte, al via il bando regionale da 40 milioni di euro per la Bioeconomia

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la Regione vara questa nuova piattaforma su uno dei temi più strategici per l’attuale programmazione dei fondi europei. L’ente sostiene progetti per chimica verde, cleantech e agroalimentare, stanziando contributi per 40 milioni

Contributi a fondo perduto finalizzati alla realizzazione di  progetti di ricerca industriale in Piemonte nei settori dell’agroalimentare, della chimica verde/cleantech e dell’economia circolare, con l’impegno da parte delle aziende di assumere giovani qualificati in alto apprendistato, in rapporto alla fascia di investimento prevista. Sono queste, in sintesi, le caratteristiche più significative della nuova piattaforma tecnologica sulla Bioeconomia, di cui da oggi è disponibile il bando.

Dopo  “Fabbrica intelligente” (avviata nel 2015) e  “Salute e benessere” (lanciata lo scorso anno), la Regione vara questa nuova piattaforma su uno dei temi più strategici per l’attuale programmazione dei fondi europei, finanziando i relativi progetti con un contributo di 40 milioni di euro.

Nel territorio piemontese l’industria agrifood è costituita da circa 33 mila unità produttive e oltre 135 mila addetti, mentre sono quasi 3800 le imprese del settore chimica verde con circa 48 mila lavoratori. «Il Piemonte- sottolinea l’assessore Giuseppina De Santis – ha condiviso con le altre Regioni la strategia generale di posizionamento sul settore e questa piattaforma rappresenta la misura concreta per darne attuazione. Qui è inoltre presente un modello distintivo di collaborazione tra mondo agricolo e industriale, che rende auspicabile l’ulteriore incremento della cooperazione tra strutture di ricerca e imprese riferiti all’intera filiera agroalimentare. Contiamo infine che, come già accaduto con le altre misure avviate sulla ricerca, anche in questo caso si possano ottenere importanti risultati sul tema dell’occupazione qualificata di giovani ricercatori».

La piattaforma sulla Bioeconomia riunisce i settori della chimica verde/cleantech e dell’agroalimentare. In tali ambiti una delle sfide più attuali è costituita dal rafforzamento della ricerca e dell’innovazione volte allo sviluppo di tecnologie non solo nei rispettivi comparti, ma come risultato della loro simbiosi, che consenta la creazione di ecosistemi produttivi circolari. La bioeconomia si propone quindi di favorire la transizione verso un sistema economico più sostenibile e a minor impatto ambientale, che rigeneri gli ecosistemi naturali anziché impattarli e maggiormente efficiente dal punto di vista delle risorse nel più ampio contesto di sviluppo dell’economia circolare.  Lo strumento della piattaforma tecnologica è già collaudata da diverso tempo in Piemonte nell’ambito della politica di sviluppo regionale: si tratta di sostenere le iniziative di partenariati che si costituiscono ad hoc riunendo grandi e piccole imprese insieme ai centri di ricerca pubblici e privati. La piattaforma rappresenta quindi l’ideale forma di coordinamento e di raccordo tra i diversi attori – imprese, istituzioni, Università – che operano su scala regionale in uno specifico settore di innovazione attorno ad una visione strategica comune, con il fine di garantire un trasferimento tecnologico più immediato.  Il contributo è a fondo perduto, con il limite massimo di 10 milioni di euro per progetto e 5 milioni di euro per singolo soggetto. Gli interventi finanziabili, presentati dal raggruppamenti che abbiano come minimo  il 30 per cento di “presenza” di piccole e medie imprese, dovranno riguardare la ricerca industriale o lo sviluppo sperimentale. Per ogni singola proposta progettuale le imprese del partenariato, assumono l’impegno ad attivare un numero minimo di assunzioni in alto apprendistato che varia tra 10 e 20, in rapporto alla fascia di investimento prevista.

La piattaforma sulla bioeconomia è destinata alle imprese industriali e di trasformazione agroalimentare, ma auspica la partecipazione di imprese del settore agricolo e primario, che potranno avvalersi delle opportunità offerte dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, attraverso una misura di prossima emanazione che ha in programma una esplicita premialità per i soggetti che cooperano nell’ambito dei progetti finanziati dalla piattaforma bioeconomia del Fesr.

Le candidature dovranno essere presentate entro e il 17 settembre 2018.

Pagina dedicata all’agevolazione: https://www.finpiemonte.it/bandi/dettaglio-bando/piattaforma-tecnologica-bioeconomia

 

Fonte: ecodallecitta.it

«Ecco perché ho scelto la sostenibilità, la decrescita e la bioeconomia»

Lui, Andrea Strozzi, ha lasciato un lavoro sicuro in ambito economico e ha accolto una vita intera di nuove opportunità scegliendo di provare ad essere una persona “sostenibile”. La sfida è di quelle decisive, di quelle che fanno mancare il fiato un attimo prima di spiccare il volo, di compiere il balzo. Ma poi cosa vorrà mai dire essere una “persona sostenibile”?bioeconomia_decrescita

Quanti di noi hanno pensato almeno una volta che è arrivato il momento di cambiare, che non si può vivere stritolati dall’urgenza di lavorare-guadagnare-consumare, che il tempo di vita non viene vissuto ma calpestato? Quanti di noi desiderano prendersi respiro, guardarsi intorno, comprendere a fondo ogni minuto dell’esistenza per farlo nostro e condivisibile con chi amiamo? Quanti di noi hanno già capito che i ritmi di oggi, i meccanismi dell’oggi, gli slogan della crescita a ogni costo, del consumismo a prescindere non funzionano e non fanno che lacerarci distogliendoci da altro, più importante? Anche Andrea si è posto un sacco di domande, poi ha preso la sua decisione. Ascoltiamolo, perché è tempo ben speso.

Andrea, tu parli della necessità di arrivare ad un’idea di economia che pensi al benessere delle persone da realizzarsi non con i soli beni materiali da accumulare e moltiplicare, ma con qualcosa d’altro che nutra corpo e spirito in una visione non semplicemente e unicamente utilitaristica. Lo insegni e lo spieghi nei tuoi corsi: come realizzarla, allora, questa utopia?

«Innanzitutto, al posto della parola “utopia”, che evoca di per sé orizzonti quasi sempre irraggiungibili, preferirei usare la parola “possibilità”. O, ancor meglio, parlerei di inevitabile opportunità. La bioeconomia, di cui curiosamente quasi nessuno parla (almeno sui circuiti mainstream), è una disciplina perfettamente integrata e dalle enormi potenzialità applicative, che fu introdotta negli anni Settanta da Nicholas Georgescu-Roegen, una di quelle personalità di cui ci fa dono la Vita e che, per la vastità dei temi che seppe trattare e per il tasso di innovazione delle sue proposte, risulta poi difficile incasellare in un ambito professionale univoco. Lui fu infatti un economista, un sociologo, un biologo, un filosofo e oggi, a distanza di vent’anni esatti dalla sua morte, possiamo certamente dire che non gli venne mai riconosciuto il Nobel, soltanto per la “scomodità” delle sue teorie. Che, chiariamolo fin da subito, quanto a completezza e robustezza dottrinaria, non hanno nulla da invidiare ai modelli economici classici che, in vigore da oltre due secoli, ci hanno condotto allo stato in cui siamo. Ma vengo alla tua domanda. In base all’approccio bioeconomico, ogni processo produttivo è in tutto e per tutto concepito e trattato come un fenomeno naturale, proprio in considerazione delle sue inevitabili ripercussioni sull’ambiente circostante. Già da qui si capisce come si tratti di un approccio rivoluzionario, in quanto per la prima volta l’ecosistema non viene considerato come un “sottoinsieme” dell’economia, cioè un serbatoio da cui attingere risorse, ma è esattamente il contrario: in una visione olistica della fenomenologia umana, l’economia non è che una declinazione – per certi aspetti marginale – di un disegno assai più vasto, che ha nel benessere delle persone il suo fine ultimo. Una concezione diametralmente opposta a quella della cultura dominante, che vede invece nell’economia il mezzo e, soprattutto, il fine dell’attività umana. Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Tra l’altro, se ci pensiamo, il prefisso “bio” viene ormai applicato a tutto: bioagricoltura, bioarchitettura, bioedilizia, bioregionalismo, biodiversità, biocarburanti, biodegradabilità, biodinamica, bioetica… per citare solo i primi che mi vengono in mente. Ma di bioeconomia finora non ne parla praticamente nessuno. Quando invece c’è lì, bello a disposizione, un intero modello già pronto e applicabile, al quale si tratterebbe solo di togliere qualche ragnatela, insegnarlo nelle scuole, nelle università e alle imprese».

Che senso ha andarsi a cercare una crescita esasperata e forsennata in nuovi mercati (ma nuovi dove?) per nuovi e più esasperati consumi? Ma se ha poco o niente senso, perché l’economia “convenzionale” e maggioritaria continua pervicacemente a intontirci con questo mantra?

«La risposta te la sei già data tu: non ha alcun senso, infatti. La schizofrenica ricerca di nuovi mercati in ogni zona del globo non sta facendo altro, a mio avviso, che certificare l’ormai imminente epilogo – almeno in Occidente – di questa “esperienza organizzativa umana” che ha avuto nome capitalismo. Questa rigida applicazione dell’economia, che dal 1989 ha definitivamente perso ogni contrappeso storico, ha infatti continuamente bisogno, per perpetuarsi, di una cosa sola: il consumismo. Ma, come tutte le cose inventate dall’uomo, anche il capitalismo ha un periodo di sopravvivenza limitato. Due secoli? Forse tre. Ad ogni modo, la favoletta è prima o poi destinata a finire. Le risorse vengono man mano esaurite. Prima quelle naturali, poi quelle monetarie e, da ultimo, quelle umane: le persone. Che, quando si rendono finalmente conto di cosa sia realmente importante per il loro benessere, perdono spinta, entusiasmo, motivazione. E cercano altro. Tornano cioè al significato originario del termine “economia”, che è “amministrazione dei beni domestici”».

Proviamo a essere massimamente concreti e pratici: supponiamo che io voglia da domani iniziare a condurre una esistenza quotidiana improntata alla bioeconomia, alla resilienza, alla sostenibilità, all’anticonsumismo. Disegnami una geografia possibile, dammi latitudine e longitudine, mettimi in condizione di fare un programma per ingranare la marcia.

«Massima concretezza: prendi un foglio di carta, una matita e fai sette colonne, una per ogni giorno della settimana. Poi ogni sera, sulla colonna di quel giorno, elenchi tutte le cose che hai fatto e che hanno sprecato energia. Per “sprecato” intendo che avresti potuto farle ugualmente, ma con un dispendio di energia inferiore. Alla domenica sera, prendi in mano il foglio e fai un cerchio intorno ai cinque sprechi maggiori. Vai a lavorare tutti i giorni in auto, quando c’è magari una combinazione di mezzi pubblici che – alzandoti qualche minuto prima – ti consentirebbe ugualmente di raggiungere il lavoro? Acquisti prodotti alimentari che, pur coltivabili nelle tue zone, provengono invece da molto lontano? Per conversare con i tuoi amici, anziché andare ogni tanto a trovarli, scrivi in continuazione mail, usando smartphone, tablet e ogni altra diavoleria high-tech? Hai fatto il weekend al mare, in montagna, o in una città d’arte? Sono alcuni comunissimi esempi che possono essere facilmente rimodulabili in chiave bioeconomica. Ovvio che, non essendo nessuno di noi nato ieri, sappiamo benissimo che molto spesso abbiamo i minuti contati, che non possiamo permetterci di prendere l’autobus mezz’ora prima, che è molto più comodo acquistare l’insalata già pulita e lavata nella busta di plastica al supermercato, che cliccare “I like” sulla pagina Facebook di un nostro amico è molto più sbrigativo che telefonargli o fargli visita di persona, e che ogni tanto, nel fine settimana, è sacrosanto cambiare aria e distrarsi un po’. Tutto vero. Ma chiediamoci allora: perché siamo sempre a corto di tempo? Per quale motivo il tempo sembra essere ormai diventato la risorsa più preziosa di tutte? Perché, allora, lo sacrifichiamo per concederci tutte queste distrazioni, tutte quelle comodità energivore? Se a detta di tutti il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo, perché dissiparlo così miseramente? In nome di che cosa? Ah, già! In nome di quei soldi che, lavorando, guadagniamo e che ci consentono poi di avere l’auto per andare al lavoro, di avere l’ultimo modello di iPhone, di fare il weekend a Lisbona. Il cerchio si è chiuso: consumiamo soldi ed energia per poter consumare altri soldi ed altra energia. Tutto questo, con quella valuta internazionale che si chiama “tempo”. Una curiosità: tra la sue molteplici risultanze, il modello bioeconomico ha previsto una interessante formulazione del concetto di benessere. Pur essendo io per primo scettico sulla possibilità di codificare in una formula un qualcosa di così soggettivo come la percezione del benessere, è interessante notare come due dei tre principali “ingredienti” di questa formula siano aspetti che non hanno nulla a che fare con il paradigma utilitaristico neoclassico. Tornando al foglio di carta, dunque, dopo aver spuntato le attività a maggior assorbimento energetico, occorre mettersi una mano sul cuore, l’altra mano sul portafoglio e trovare il coraggio di domandarsi: quali di queste attività mi servono soltanto per “finanziarne altre”, senza che mi procurino alcun beneficio diretto? Quali di queste “coppie” di attività, dunque, potrei definitivamente eliminare dalla mia agenda esistenziale? O, almeno, sostituire con altre a minore impatto?»

Ma soprattutto: perché cambiare? Perché lasciarci alle spalle uno status quo che ci fa arrabbiare ma ci dà sicurezza, che ci frustra ma ci fa sognare di poter avere tante cose, che ci condanna alla schiavitù ma che accettiamo come inesorabile e senza alternative? Cosa possiamo immaginare al di là?

«Per rispondere a questa domanda, non posso che attingere alla mia esperienza personale. E’ vero: prima di cambiare, si è letteralmente lacerati dal terrore dell’incertezza. Cosa potrà mai accadermi, là fuori? Con una efficacissima metafora, Max Weber parlava di “gabbia d’acciaio”: questo sistema ci tiene astutamente sotto chiave, segregati in una prigione apparentemente blindata, le cui sbarre sono essenzialmente fatte di convenzioni, certezze, premure, seduzioni, ammiccamenti. Quando si è fuori, però, succedono cose che non è per niente facile trasmettere. Per certi aspetti, è come… nascere una seconda volta. Si dice che i neonati, quando vengono al mondo, piangano soprattutto per il dolore causato dall’espansione di un’altra gabbia, quella toracica, e dall’utilizzo per la prima volta dell’apparato respiratorio, che viene infatti “inaugurato” proprio in quel frangente. Ecco: cambiare davvero, abbandonare quello status quo, all’apparenza così confortevole e rassicurante, è esattamente la stessa cosa: subito piangi, ma un attimo dopo ti rendi conto che quella gabbia non si trovava in realtà “fuori”, ma era “dentro” di te. Così, attivi risorse che nemmeno immaginavi di possedere, scopri attitudini e ambizioni nuove. Gli ostacoli e le incertezze vengono affrontate con strumenti diversi. Un esempio concreto? Come anticipai circa un anno fa in un’intervista rilasciata a questo giornale, ho scelto il percorso che, compatibilmente alle nostre esigenze famigliari, sentivo che potesse fare per me. Questo ha inevitabilmente comportato alcune rinunce, sia in termini di abitudini quotidiane che di… gestione dell’incredulità, diciamo così. Ma oggi mi ritrovo al centro di una dimensione che mi consente di valorizzare a pieno le mie attitudini e di potenziare le mie responsabilità, sia verso me stesso che verso gli altri. Anche attraverso il mio blog Low Living High Thinking, sto mettendo anni di studi e di esperienze altamente qualificanti a disposizione di una diversa prospettiva con cui guardare al futuro. E la bioeconomia è l’anello di congiunzione perfetto: per questo, con gli amici di PAEA e del PER, abbiamo organizzato questo corso. Cosa c’è allora “al di là”, mi chiedi. Se dovessi sintetizzarlo in una parola, direi che c’è la congruenza. Cioè quell’allineamento del corpo e della mente che, come diceva Carl Rogers, “ci consente di vivere pienamente in accordo con noi stessi, potendo esprimere i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri sentimenti e far sì che tutto ciò che dicono il nostro atteggiamento e le nostre parole sia espressione del nostro pensiero e delle nostre emozioni”.»

Fonte: ilcambiamento.it

Pensare come le Montagne

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La decrescita e l’occupazione. Un matrimonio che s’ha da fare

Ospiti da tutta Italia alla conferenza nazionale del Movimento per la Decrescita Felice. Il tema della giornata sono occupazione e lavoro, temi particolarmente cari al movimento; perché decrescita non vuol dire recessione379503

Il Movimento per la Decrescita Felice non ha propri parlamentari né tantomeno vuole proporsi come un partito politico, eppure crede profondamente nel ruolo delle istituzioni e la conferenza di oggi ha come target proprio la politica.
In Italia c’è una fortissima disoccupazione, ma anche tantissimi lavori che non si fanno. Chi ha il poter politico ha quindi il dovere di ascoltare le nostre proposte”, ha dichiarato in apertura Maurizio Pallante, presidente MDF. “Non è più possibile uscire dalla crisi aumentando la produttività come negli anni 30. All’epoca infatti non c’era una crisi ambientale da affiancare a quella economica”. Entrambe le crisi sono causate dall’aumento dei consumi e tutte le tensioni internazionali e le guerre sono scatenate dal bisogno di controllare i paesi in cui sono presenti le materie prima necessarie alla crescita e consumo. Fondamentale per uscire dalle crisi sarà iniziare ad investire nel lavoro “utile”, su nuove competenze e sulle piccole e medie imprese, fondamentale è capire che gli strumenti tradizionali della politica economica continuano a dimostrare di non essere in grado di risolvere il problema. Si dovrà quindi mirare ad un nuovo modello che punti all’efficentamento energetico e materiale piuttosto che sul rinnovo continuo poiché solo riducendo i consumi a parità di servizi, si può recuperare il denaro necessario a pagare l’occupazione in attività lavorative che attenuano la crisi energetica, climatica ed ambientale. L’efficentamento energetico degli edifici, ad esempio, crea tra i 13 ed i 15 nuovi posti di lavoro per ogni milione di euro investo, contro i 2/4 delle rinnovabili e gli 0,5 della costruzione di grandi opere infrastrutturali. Ristrutturando 15.000 scuole ed investendo 8,2 miliardi di euro si otterrebbe un risparmio energetico annuo di 420 milioni di euro dando lavoro a 150.000 persone.   La speranza del movimento è quella di spingere verso una Bioeconomia che riprenda in considerazione anche la vita delle persone. “Questo tipo di economia – racconta Giordano Mancini formatore industriale – viene considerata utile dalle persone, non crea probemi sociali e genera nuovi posti di lavoro, fa diminuire le emissioni di CO2 e la quantità di rifiuti prodotta, non genere altro debito pubblico e consuma meno energia e materie prime”. Parla invece di “dramma di una generazione” il Professor Luciano Monti dell’università LUISS di Roma che propone un nuovo paradigma economico fondato sulla sostenibilità integrata che mira a riequibrare il saldo negativo accumulato ai danni del Pianeta e delle giovani generazioni.
Ama le future generazioni come te stesso” era lo slogan di Nicolas Georgescu Roegen, padre della bioeconomia e della decrescita e per farlo sarà necessario abbandonare il mito della crescita del PIL che non registra realmente il benessere di una popolazione né tantomeno quello dell’ambiente che abitano.

Fonte: ecodallecittà.it

Bioeconomia: Ue istituisce osservatorio su attività a basso impatto ambientale

La Commissione europea annuncia la creazione di un osservatorio dedicato alle attività economiche basate su un uso intelligente e sostenibile delle risorse naturali. Un’occasione anche per aggiustare il tiro rispetto ad alcune contraddizioni della strategia Ue in materia di bioeconomy lanciata un anno fa.

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L’annuncio è arrivato durante la conferenza sulla bioeconomia di Dublino, dalla commissaria per la ricerca, l’innovazione e la scienza Máire Geoghegan-Quinn: la Commissione europea sta istituendo un osservatorio per monitorare i progressi delle attività che rientrano nella bioeconomy e valutarne l’impatto sull’economia complessiva dell’Unione. L’iniziativa era già prevista nell’ambito della strategia “Innovating for Sustainable Growth: a bioeconomy for Europe”, lanciata nel febbraio scorso per promuovere investimenti e politiche a favore della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo di competenze per la bioeconomia. Un termine che raccoglie una vasta gamma di attività produttive fondate sull’uso intelligente delle risorse biologiche rinnovabili, ma anche dei rifiuti, e vale, secondo Bruxelles, 2mila miliardi di euro per 22 milioni di posti di lavoro. Coordinato dal centro comune di ricerca della Commissione, l’osservatorio sarà attivo per tre anni, a partire da questo mese, e dal 2014 disporrà anche di un portale web per la divulgazione dei dati raccolti. Il suo compito sarà quello di valutare e facilitare lo scambio di informazioni circa le politiche – a livello comunitario, nazionale e regionale – dirette alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, in linea con gli obiettivi della tabella di marcia Ue per il 2050. Sotto la lente, quindi, le strategie di sviluppo degli Stati membri, gli investimenti pubblici e privati nei settori coinvolti, le innovazioni rese disponibili dalla ricerca per ridurre la pressione sulle risorse naturali. Il tutto, almeno nelle intenzioni, secondo un approccio olistico, cercando cioè di riconoscere le interconnessioni tra le politiche realizzate nei diversi settori produttivi, dall’agricoltura all’energia, fino alla manifattura.

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È l’approccio che l’Europa dice da tempo di voler adottare, ma che poi sembra incapace di seguire fino in fondo e il caso della bioeconomia non sembra fare eccezione: che intende, ad esempio, la strategia Ue quando parla di “intensificazione sostenibile della produzione primaria”? Come si conciliano i dati secondo cui gli allevamenti zootecnici hanno impatto significativo in termini di consumo di risorse e di emissioni di protossido di azoto e metano in atmosfera con la prospettiva di modelli di produzione di carne più intensivi? E ancora: qual è il guadagno della proposta, in discussione in questi mesi, di abbandonare gradualmente il biofuel agricolo – che sottrae terreni rurali all’agricoltura – per passare a biocarburanti ricavati dalla combustione dei rifiuti? L’incenerimento non è forse, nella strategia comunitaria sui rifiuti, l’ultima opzione insieme al conferimento in discarica per il trattamento degli scarti? L’osservatorio è probabilmente un’occasione per riconoscere questo tipo di contraddizioni e per rivedere le politiche europee in modo che sicurezza alimentare, contrasto al cambiamento climatico e creazione di posti di lavoro non diventino obiettivi che si insidiano a vicenda. La pubblicità dei dati, inoltre, ha il doppio valore di rappresentare uno stimolo a una competizione positiva tra gli stati membri nel campo della bioeconomia e un modo per accrescere la trasparenza nei confronti dei cittadini. Non solo sui risultati, ma anche sulle strade scelte per arrivarci, e sui criteri con cui i governi e le istituzioni Ue misurano il successo delle proprie politiche.

Fonte: il cambiamento

 

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Osservatorio sulla Bioeconomia……

Osservatorio sulla Bioeconomia, il nuovo progetto della Commissione Europea

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La Commissione Europea istituirà un osservatorio sullo sviluppo della Bioeconomia nell’Unione, utile per mapparne i progressi e misurarne l’impatto di sviluppo nei mercati europei: lo ha annunciato ieri Máire Geoghegan-Quinn, Commissario europeo per la Ricerca, l’innovazione e la scienza. L’annuncio è stato dato nel corso di una conferenza sulla Bioeconomia, tenutasi ieri a Dublino:

E’ ormai passato un anno da quando abbiamo lanciato la strategia comunitaria di bioeconomia; in questa fase stiamo assistendo gli Stati membri affinché colgano l’opportunità offerta dal passaggio da un’economia post-petrolio a un economia basata su un uso più intelligente delle risorse di terra e di mare. E’ essenziale che lo facciano perché sarà un bene per il nostro ambiente, il nostro cibo e la sicurezza energetica, nonché per la competitività dell’Europa nel futuro. In questo senso, l’osservatorio contribuirà a mantenere lo slancio.

ha detto ieri il Commissario europeo; l’Osservatorio, un progetto partirà a marzo 2013 e durerà tre anni, si pone come obiettivo quello di rendere pubblici tutti i dati raccolti, attraverso un portale web dedicato, entro il 2014, sostenendo in questo modo le strategie di bioeconomia in corso di sviluppo a livello regionale e nazionale da parte degli Stati membri.

Per Bioeconomia si intende ad un modello economico basato sull’uso intelligente delle risorse, di terra e mare, biologiche e rinnovabili; risorse queste che vengono impiegate come input della produzione industriale ed energetica, nonché della produzione di alimenti e mangimi: si stima che oggi in Europa abbia un valore di 2000 miliardi di euro per 22 milioni di posti di lavoro.

La strategia di Bioeconomy dell’Unione si basa su tre pilastri principali: primo su tutti gli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione e competenze. Questo includerà presumibilmente anche investimenti comunitari, nazionali e privati, nonché il rafforzamento di sinergie con altre iniziative politiche.

Il secondo pilastro su cui si poggia la strategia bioeconomica europea è lo sviluppo di nuovi mercati e di competitività, focalizzandosi in particolare su un’intensificazione sostenibile della produzione primaria, la conversione dei flussi di rifiuti in prodotti finali con valore aggiunto (come ad esempio il recupero della Co2 emessa dallo smaltimento dei rifiuti, trasformandola in bio-energia o in altri prodotti a base biologica, creando crescita e posti di lavoro).

Il terzo pilastro è stato edificato ieri con la posa della prima pietra: la creazione dell’Osservatorio sulla Bioeconomia può infatti avvenire solo la creazione di un gruppo di esperti per condividere visioni, politiche e coinvolgere gli stakeholder attraverso una rete di conferenze in fase di programmazione.

La strategia europea mira ad una sinergica complementarietà con le altre politiche, fondi e strumenti europei che mirino agli stessi obiettivi ed è una delle proposte operative nell’ambito di due delle iniziative centrali per le strategie Europa 2020: l’Unione dell’innovazione e un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse.

Fonte: ecoblog