LaCasaRotta: da cascina abbandonata ad ecovillaggio diffuso dove ritornare a essere comunità.

Una casa “rotta” che riprende vita e viene trasformata in un progetto di ecovillaggio, ma anche una casa che “rompe” gli schemi per sperimentare la bellezza del crescere insieme. Si chiama, per l’appunto, LaCasaRotta e a Cherasco, tra le campagne piemontesi, è divenuto un progetto di vita comunitario che si ispira ai concetti di crescita felice e sovranità alimentare, per trovare insieme nuove “rotte”. Parcheggio, dopo essermi inerpicato per una stradina non segnata dai navigatori e raggiungo un casale. Qui mi accolgono dei bambini che subito mi indicano la direzione da prendere. Vedo dei campi coltivati e un uomo che sta trafficando con un marchingegno che non so identificare: capisco immediatamente che l’uomo in questione è Stefano Vegetabile, uno dei fondatori dell’ecovillaggio LaCasaRotta, nonché il responsabile della parte agricola. Ci presentiamo e subito entriamo in sintonia. Sono già stato qui, qualche mese fa, in occasione di un raduno di Italia che Cambia con degli attivisti cuneesi per creare, tramite tavoli tematici, un documento condiviso che racchiudesse sogni e progetti a cui dare vita sul territorio. In quell’occasione, però, non mi trovavo proprio qui. Ero in quella collinetta che vedo sopra di me, dove si trovano altre case, quelle da cui tutto ha avuto inizio, quelle che erano in effetti rotte e che hanno poi dato il nome al progetto.

Ci troviamo in Piemonte nella zona delle Langhe e, per la precisione, nei pressi della Morra Cherasco, in provincia di Cuneo. Allora, come oggi, mi sento a casa e ho la sensazione che per comprendere al meglio questi luoghi e i sogni che li ispirano ci vorrebbero giorni, forse settimane. Il progetto nasce nel 2011/2012 quando Claudio, Michela e Arianna decidono di fondare un’associazione per promuovere pratiche sostenibili di vario tipo. Nel giro di pochi mesi acquistano una cascina per avviare un progetto sociale e in quest’occasione si uniscono il nostro Stefano, con la compagna Ivana e il figlio Elia, insieme a un gruppo di amici con i quali stavano mappando il territorio. Ed ecco che nasce LaCasaRotta. La partenza è mossa dalla passione più che dalla programmazione. Stefano, infatti, ci confida che al momento dell’avvio del progetto non si sono fatti troppe domande, non si sono chiesti chi avrebbe messo più soldi o chi avrebbe messo a disposizione le case, ma sono partiti, mossi da un sogno e dall’entusiasmo di fare. E così LaCasaRotta viene aggiustata, grazie a una buona parte di lavori realizzati in auto-costruzione. Dopo alcuni anni, nel 2015, Stefano e la sua famiglia trovano una nuova casa, proprio quella dove ci troviamo ora, con 10 ettari di terreno disponibili vicino al fiume. Ed ecco che un nuovo grande passo viene fatto: quello verso il progetto agricolo, sfociato poi un’azienda chiamata “Nuove Rotte”.

Nelle due case e nelle abitazioni situate nei dintorni vivono diversi volontari, alcuni stanziali e altri di passaggio, nonché soci del progetto. Per questo, Stefano ci spiega che il loro è un ecovillaggio diffuso. Come ben specificato nel video che racchiude la loro storia e che qui vi proponiamo, il nome al progetto lo diedero proprio i bambini. Gli adulti, allora, coniarono lo slogan “CasaRotta: rompere le forme verso nuove rotte”.

«Vivere con un gruppo di persone così tanto tempo è una grandissima risorsa, permette di confrontarti su tantissimi argomenti, di rivedere il tuo rapporto con tutto ciò che ti circonda, dai bambini, agli aspetti ideologici, a quelli pratici. Ti confronti con persone che hanno la stessa età e in questo modo si crea una sorta di amore fraterno, con tutti i pro e i contro. Così il rapporto diventa più intimo, proprio come all’interno di una grande famiglia, dove l’accettazione e la comprensione reciproca sono un aspetto fondamentale.

Crediamo molto nel mutuo soccorso e quando uno di noi ha bisogno di un confronto o di un consiglio lo chiede e, se non riesce a parlarne, siamo abbastanza scaltri da comprendere le sue esigenze. Anche perché nelle incomprensioni e nei momenti di difficoltà tutto il gruppo ne risente e per noi è molto importante evitare situazioni che possano creare fraintendimenti».

Per questo motivo tutti gli abitanti dell’ecovillaggio si radunano una volta a settimana, per dare vita a dei cerchi operativi che permettano di confrontarsi sulla visione generale del progetto e almeno una volta ogni due o tre mesi organizzano un cerchio sul “come sto”. Come ci racconta Stefano, «ogni volta che una persona viene accolta nel gruppo, bisogna ricreare gli equilibri ed è molto interessante osservare le nuove dinamiche che vengono a crearsi».

La gente “arriva” alla CasaRotta attraverso le “solite” piattaforme: Wwoof, Work Away, RIVE e chi vuole rimanere per più tempo si impegna a dare un piccolo contributo. Come ci spiega Stefano, «questi sono progetti basati sull’autocoscienza e sull’auto responsabilità, se non c’è questa presa di responsabilità il progetto non sta insieme. Ed è importante che le persone accettino ciò, soprattutto quelle che hanno l’illusione che nell’eco-villaggio funzioni tutto in modo paradisiaco. Dopo un po’ cambia il concetto di libertà e responsabilità che ognuno ha e questo dà la possibilità di potersi esprimere ed essere se stessi».

Il cibo è al centro delle numerose attività che svolgono, oltre che il cuore dell’azienda agricola, che è biologica e in parte biodinamica. Qui vengono coltivati cereali, frutta e verdura. C’è una piccola vigna e ci sono galline e pecore che “tagliano l’erba” e concimano il terreno. La logica che muove le coltivazioni non è la massimizzazione della produzione ma la costruzione di ecosistemi equilibrati e sempre più ricchi.

«Vogliamo invertire completamente il pensiero di una agricoltura classica dove decido di produrre in base al mercato e tutto il sistema si adegua a questa domanda. Qui facciamo esattamente il contrario. Cerchiamo di creare un ecosistema che sia sempre più ricco, sempre più biodiverso e pieno di relazioni. Gli aspetti economici vengono in seguito».

Stefano è un antropologo e ha cercato di portare in questo luogo anche concetti e pratiche di agricoltura indigena. Dalle pratiche sono nati anche dei corsi e una vera e propria scuola, la “Scuola di agricoltura indigena”. Questo però non è l’unico corso che si tiene qui (o via web quando le restrizioni non lo concedono). LaCasaRotta, infatti, ospita molti corsi ed eventi organizzati da diverse associazioni, nonché progetti di valorizzazione del Fiume Tanaro da un punto di vista storico, antropologico e culturale. Anche qui, la parola chiave è eco-sistema. Riparto. E mentre viaggio, da solo, ripenso alle emozioni della giornata. Sono certo che tornerò in questo luogo intenso e vivo e che ancora una volta, in strade spesso non segnate dal navigatore, cuori nobili pulsano e costruiscono un mondo complesso e funzionante, biodiverso e sistemico, eco-sistemico.

In attesa di andare a visitarlo… non vi resta che guardare il video!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/12/lacasarotta-cascina-ecovillaggio-ritornare-essere-comunita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Ma21Cuore Verde: la fattoria familiare che coltiva erbe aromatiche e promuove la biodinamica

Emanuele Tellini racconta della fattoria Cuore Verde, frutto della passione per l’Antroposofia e per l’agricoltura Biodinamica e di come questa gli abbia permesso di condurre una vita basata su principi di cura e rigenerazione dell’ambiente, della biodiversità e delle persone. La Biodinamica è un settore in crescita con favorevoli dati economici e sempre più supportata dalle crescenti richieste di parte della popolazione, anche in Italia. La fattoria Cuore Verde, a Castel Focognano in provincia di Arezzo, nasce nel 2006. Oggi è una piccola realtà biodinamica di circa 12 ettari, a conduzione familiare, nata della passione per un’agricoltura volta alla sperimentazione di un sistema agroecologico, ad impatto zero.

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Fattoria Cuore Verde

Intervisto Emanuele Tellini, coproprietario di Cuore Verde: «Tutto inizia dall’incontro con la filosofia di Rudolf Steiner: l’Antroposofia. Poi il corso di agricoltura Biodinamica è stato determinante per iniziare questo progetto. La Biodinamica è un metodo ben preciso di coltivazione: non ci si può improvvisare ma bisogna essere ben preparati e aver studiato tutte le sue regole e ci va tempo per osservare e per capire di cosa c’è veramente bisogno per sostenere quel sistema nel suo insieme».

È un sistema di produzione che mira a riprodurre nell’azienda un modello agro-ecologico basato su principi vitali come la sinergia e l’interconnessione tra suolo, animali, coltivazioni, boschi e attività umane in grado di rigenerare le risorse. Tutto concorre alla crescita e alla cura del sistema attraverso la cooperazione dei diversi componenti.

«È per questo che noi usiamo esclusivamente il letame dei nostri animali e anche i semi delle nostre piante, esse imparano ad adattarsi anno dopo anno a questo equilibrio. Anche i parassiti, le infestanti, le lumache che ti mangiano l’insalata saranno cibo per altri animali. Così si compone un organismo agricolo. La presenza, nell’equilibrio, di ogni componente nutrirà altri animali o il terreno stesso e quel nutrimento tornerà in un circolo virtuoso al tuo “organismo agricolo” rigenerandolo continuamente. 

Il contadino partecipa al processo osservando l’intero sistema e intervenendo dove reputa sia necessario. Così ogni “organismo agricolo” è diverso dall’altro e alla fine ogni prodotto di quell’azienda sarà caratteristico di quel progetto. Una individualità che produce prodotti unici.

Fattoria Cuore Verde

Al contrario l’agricoltura convenzionale è una esecuzione di protocolli che prevedo l’uso più o meno massiccio della chimica e che ottiene prodotti standardizzati perché adattati al sistema di produzione meccanico dove l’unico obiettivo è il margine maggiore di guadagno senza tenere conto degli equilibri della natura e dei suoi ritmi. La necessità di realizzare un equilibrio naturale non ci ha permesso di ottenere una immediata entrata nelle casse aziendali. Però una volta che si è stabilito viene mantenuto con costi irrisori. Tanto per fare un esempio la voce “concimazione” ha un costo pari a circa 150 euro l’ettaro l’anno».

In generale, secondo il rapporto Bioreport 2017-2018, il fatturato medio annuo per ettaro è molto maggiore nella Biodinamica che nell’agricoltura biologica e in quella convenzionale di quasi tre volte: 13.000 euro a ettaro nei campi biodinamici, certificati Demeter, a fronte dei 2.441 euro di un’azienda biologica e dei 3.207 euro di un’azienda convenzionale. Oltre la metà delle aziende certificate Demeter si trova nell’Italia settentrionale e in particolare in tre regioni italiane: Trentino Alto Adige, Piemonte ed Emilia-Romagna che da sole ospitano il 45% delle aziende biodinamiche italiane. L’Italia ha un consumo interno di prodotti biodinamici inferiore a paesi Europei come Germania e Olanda ma risulta essere quella che esporta maggiormente all’estero. Quindi importiamo quasi del tutto le erbe più “industriali” ed esportiamo quelle di maggior valore nutrizionale.

Continua Emanuele: «Noi oggi coltiviamo principalmente erbe aromatiche e officinali (circa 20mila piante), ortaggi (5mila m2), olivi (15mila m2), prati a pascolo (30mila m2) per i nostri ovi-caprini per la produzione di letame non per la produzione di latte.»

Le erbe aromatiche e officinali sono il settore più importante per la produzione di Tisane e di Oli Essenziali. A Cuore Verde la raccolta si fa a mano, foglie e fiori vengono commercializzati interi e non triturati per far vedere il prodotto originario e l’essiccazione è naturale. 

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Fattoria Cuore Verde

Le erbe normalmente in commercio, prevalentemente di origine straniera, sono sminuzzate indistintamente con pale che pre-cuociono il materiale facendo perdere l’aroma e la capacità curativa. Invece se ben gestite le piante sono una risorsa medicinale naturale importante. La Lavanda e la Melissa sono utilissime per l’ansia e l’insonnia così come la Malva è un ottimo emolliente per le mucose del sistema digerente. Lo stesso Steiner riteneva che l’Ortica fosse la pianta più depurativa, oggi la utilizziamo anche per le proprietà rimineralizzanti. «Ma bisogna avere un prodotto di prima qualità dove le forze vitali siano state supportate e protette così come i valori nutrizionali e i cicli naturali caratteristici».

Molto importante per la sostenibilità economica di questo progetto è stata la collaborazione con La Grande Via, l’associazione del prof. Berrino, medico, epidemiologo, già direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, poco distante dalla Fattoria. La possibilità di entrare a far parte della Guida Nomade che raccoglie aziende virtuose, a cui Italia che Cambia collabora, e di poter far conoscere le caratteristiche del proprio lavoro ad un pubblico già molto sensibilizzato verso una buona alimentazione, uno stile di vita salutare e un’attitudine alla spiritualità, può determinare la riuscita un progetto

«La cura della terra e dell’ambiente va di pari passo con la cura delle persone e della società  per chi sceglie di vivere non di un mestiere ma di una passione. Il mio sogno è riuscire a dialogare anche con chi è molto distante da me come mentalità per cercare insieme di ricreare quelle connessioni perdute con la Natura che rigenerebbero le nostre vite».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/01/cuore-verde-fattoria-familiare-coltiva-erbe-aromatiche-promuove-biodinamica/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La bellezza a… chimica zero!

E’ possibile una bellezza a… chimica zero? Sì, è possibile. E c’è chi ne ha fatto un mestiere, come il salone ChimicaZero, il primo a Bologna con una direzione ecologica, olistica e biodinamica in cui il percorso di bellezza personalizzato si inserisce in una proposta di benessere psicofisico profondo della persona che, a sua volta, è compatibile con il benessere e il rispetto del nostro pianeta.9553-10312

La bellezza è un concetto difficile da spiegare. Tutti sappiamo cos’è e quanto sia importante sebbene ciascuno di noi ne abbia un’idea del tutto propria e soggettiva. Si percepisce, in realtà, attraverso tutti i nostri sensi, i cinque che conosciamo ma anche quelli meno esplorati, interiori, di cui non sappiamo molto o con i quali abbiamo poca confidenza.

Le immagini delle pubblicità, dei social, dei media ci propongono spesso una bellezza del tutto esterna, non solo esteriore, quasi matematica, prodotto della somma di più elementi perfetti che, messi insieme, danno un risultato conforme ai canoni validi del nostro tempo e della nostra società leggera, veloce, sempre più scissa, inconsapevole, distratta. I prodotti e i trattamenti stessi, offerti da aziende ed operatori dedicati sono spesso pensati nell’ottica del nascondere, coprire o fingere. Una bellezza, quindi, tutta tesa all’impressione, all’apparenza, alla copertura più o meno efficace di difetti di cui qualche volta ci vergogniamo, in contemplazione di un modello ideale valido per tutti. Di bellezza hanno discusso e  pensato filosofi della grandezza di Aristotele, Platone, Kant. E’qualcosa che fa profondamente parte del modo di essere, pensare e sentire umani. Un bisogno tutt’altro che superficiale o effimero quando si esprime nella ricerca di un se stesso più possibile autentico, quando si coniuga con lo scoprirsi come si è invece che, al contrario, camuffarsi, somigliare o conformarsi a un modello in cui non ci riconosciamo. La nostra bellezza è spesso la nostra profonda espressione interiore che si manifesta all’esterno, che viene aiutata, spinta ad uscire quando ci sentiamo bene. In questa ottica di integrazione tra bellezza e benessere profondo come in un tutto unico operano i saloni come ChimicaZero, il primo a Bologna con una direzione ecologica, olistica e biodinamica in cui il proprio, personalizzato percorso di bellezza si inserisce in una proposta di benessere psicofisico profondo della persona che, a sua volta, è compatibile con il benessere e il rispetto del nostro pianeta. Ne parliamo con Francesca Ventura, 43 anni, dopo un passato di lavoro in aziende tradizionali cambia strada e fonda ChimicaZero, quattro anni e mezzo fa a Bologna (via Fratelli Rosselli 8/AB, tel 051 6494741). Prima manager in una multinazionale poi un percorso personale e di crescita attraverso meditazione, yoga e discipline legate al mondo della medicina complementare. Da lì le viene in mente l’idea di integrare l’estetica con il benessere, l’operatore estetico con quello olistico.

Che cos’è il salone ChimicaZero?

Il nostro centro di estetica e acconciatura ha un indirizzo ecologico, olistico, biologico e biodinamico.  Sono le caratteristiche essenziali dei nostri trattamenti. Olistico perché nell’offerta dei  nostri trattamenti cosmetici ed estetici inseriamo percorsi di benessere della persona. La cliente, cioè, riceve un trattamento estetico ma anche di benessere psicofisico profondo. E lo facciamo in modo radicale.

Può farci un esempio?

Facciamo trattamenti energetici sia con le mani che con dispositivi paramedicali, quindi, ad esempio, all’interno del salone usiamo acqua alcalinizzata e ionizzata. Quando i clienti arrivano bevono succhi o tisane preparati con questa acqua. Quando lavano i capelli sono distesi su lettini e durante le pose ricevono trattamenti energetici con un cuscino che è un dispositivo in grado di riequilibrare il sistema elettromagnetico del corpo. Vengono riequilibrati i punti di accumulo e di scarico energetico. Quando si fa una pedicure si fa anche un trattamento di riflessologia plantare e la stessa cosa per le mani. Se si fa un’epilazione si riceve anche un massaggio sul lettino massaggiante.

Che prodotti utilizzate?

Usiamo prodotti Organic Way per ciò che riguarda capelli e corpo.

In che modo i parrucchieri e i saloni di bellezza in generale incidono sull’inquinamento ambientale?

Con i lavaggi, tutto viene riversato nelle acque chiare e i prodotti defluiscono nell’acqua che poi utilizziamo. Non ce ne rendiamo conto e nessuno ci fa troppo caso. Si fa attenzione più al domestico e alle attività industriali ma ci sono le attività commerciali e artigianali che non hanno una regolamentazione in questo senso. In realtà sono produttori di inquinamento e rifiuti ed ha senso lavorare in questo modo almeno per scelta personale se non per normativa.

Chi sono i vostri clienti?

Ci sono tantissimi clienti. C’è molto interesse per le tecniche complementari di benessere.

Come viene formato il vostro personale?

E’ difficile trovare personale preparato ed è per questo che facciamo anche formazione. Non c’è molta attenzione all’ambiente nell’ambito della cosmetica. Bisogna portare gli operatori a ragionare in un altro modo. E’ necessario andare oltre la tendenza della moda stagionale includendo un ragionamento diverso e accogliendo le persone, coccolandole e ascoltandole. I corsi di formazione sono continui per  un nuovo approccio concettuale a metodiche di lavoro nuove. Anche i prodotti, infatti, vengono usati in modo diverso rispetto a quelli tradizionali.

I costi sono più alti rispetto a un salone tradizionale?

Una messa in piega per i capelli costa 23 euro inclusi i trattamenti olistici, il colore viene 40 euro. Il taglio tra i 25 e i 30 euro. Sono prezzi medi per Bologna e non sono molto diversi da quelli di un salone tradizionale. E’ una scelta di ChimicaZero. Se parlo di sostenibilità voglio che la nostra offerta sia accessibile per la maggior parte delle persone. Se si vuole apportare un cambiamento consapevole si devono raggiungere più persone possibile. Se non  è per tutti si riduce la possibilità di incidere sulle persone e sull’ambiente sociale e urbano, non solo naturale. Ci sono altri saloni bio che scelgono di fare diversamente. E’ una mia scelta di principio. I prodotti biologici provenienti da agricoltura biodinamica costano normalmente quasi il doppio delle marche tradizionali e i tempi di lavorazione sono più lunghi se si vogliono offrire anche tecniche di benessere. Le sedute durano più tempo e l’operatore accompagna il cliente in tutte le fasi.

Qual è il futuro dei saloni di bellezza?

Il futuro è questo e ci credo in modo totale come consulente e imprenditore. Per me o si va sul lavoro di quantità e low cost, una scelta che va in una direzione di massa con standard qualitativi bassi e non considera tutta una serie di aspetti ecologici ed etici, oppure si va in direzione opposta e ci si prende cura delle persone. Noi scegliamo di trattare le persone come tali e non come clienti.

Che origine hanno i prodotti?

Coltivazione a km zero in agricoltura biodinamica. Oppure da ingredienti biologici e naturali. Gli oli essenziali vengono utilizzati al posto dei profumi.

Che relazione c’è tra Organic Way e ChimicaZero?

Il salone è un mio progetto ed è nato sulla base della scelta di un prodotto che risponda a una serie di principi e sull’idea di creare qualcosa che conciliasse capelli, benessere olistico ed estetica vibrazionale. C’è una collaborazione tra le due aziende. Tutto ciò che viene fatto all’interno del salone è ChimicaZero e i prodotti provengono da questa azienda, che si associa molto bene lavorando coi nostri stessi valori di base.

Che cosa intendete con prodotti personalizzati?

Possiamo acidificare o alcalinizzare l’acqua e possiamo quindi cambiare il ph dei preparati che usiamo. In questo modo possiamo ricavare prodotti personalizzati sulla base del ph della pelle e dei capelli della persona, con effetti di idratazione e lenizione, ad esempio. Ogni cliente poi al suo arrivo riceve un’analisi con tricocamera su cute e capelli e insieme si scelgono ogni volta i programmi di lavaggio e trattamento più indicati.

Si può fare tutto in modo naturale? Anche colori e permanenti?

Con il naturale integrale si possono fare alcune cose e con la chimica verde delle altre. Ad esempio l’ondulazione agisce diversamente dentro il capello dal punto di vista biochimico rispetto alla permanente tradizionale. Le decolorazioni si ottengono necessariamente con prodotti che contengono una parte chimica ma non contengono sostanze tossiche o allergizzanti per la persona o inquinanti per l’ambiente.

Che significa ChimicaZero?

Una parte di chimica c’è ma non è tossica. Fin dove si può. ChimicaZero è provocatorio come marchio. Facciamo tutto ciò che si può fare in assenza di chimica di sintesi e il resto lo facciamo con la chimica verde.

Che si intende per chimica verde?

Nella cosmetica, significa formulare in assenza di tutta una serie di sostanze nocive per l’uomo e l’ambiente, sostituendole progressivamente con ingredienti naturali, biologici e, nel nostro caso, biodinamici. Significa usare packaging ecologici. Significa cercare il miglior bilanciamento possibile fra bellezza e salute, fra efficacia e naturalità.

Offrite anche make up naturale o minerale?

Il trucco non lo facciamo per scelta solo perché di solito ci viene chiesto il make up da cerimonia che deve essere waterproof, in grado di essere resistente e duraturo. E’ difficile, però, produrre trucchi senza polimeri o sostanze di sintesi che sia resistente o semipermanente. Così decidiamo di non farlo. Allo stesso modo e per le stesse ragioni non facciamo interventi di ricostruzione per le unghie o smalti semipermanenti. Il make up è possibile realizzarlo e se ne realizzano anche di bellissimi però hanno una durabilità ridotta. Abbiamo fatto una scelta di principio. Se dobbiamo utilizzare trucchi resistenti non ha più senso chiamarci così. Al momento la chimica verde sta facendo molti passi avanti in questa direzione e magari tra qualche anno sarà possibile.

Quali sono i vantaggi di  usare prodotti a chimica zero o chimica verde?

Stiamo assistendo a un aumento di casi di sensibilità o allergie ai prodotti chimici che usiamo ogni giorno. Nel tempo viene colpito anche il nostro sistema immunitario. Anche per l’ambiente è molto meglio, sia in termini di impatto produttivo sia durante l’uso in salone.

Che cos’è la bellezza?

Per me è la perfetta manifestazione dello spirito. Quando si ha un benessere psicofisico e si  salvaguarda la propria bellezza interiore, la bellezza esteriore diventa l’espressione più completa della persona. Se ci abbini taglio, colore e trattamenti giusti la risalti ma in realtà è la scelta che fai per materializzare ciò che c’è dentro di te.

Fonte: ilcambiamento.it

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Cyclolenti in Georgia: alla scoperta dei grani antichi

Da Tbilisi passiamo un colle a 1700mt prima di riscendere verso Telavi. Facciamo risalire il nostro tasso di zuccheri mangiando accanto ai venditori di miele di montagna che si alternano a quelli di funghi lungo tutta la strada. Una grande pianura si apre davanti a noi, campi di grano e girasole squadrati… e dei vigneti dai quali si ottiene il rinomato vino di Kakétie (in Georgia ci tengono molto al loro vino. In aeroporto danno il benvenuto regalando una bottiglia a passeggero, ci riferiscono alcune persone atterrate a Batumi). Una pausa al monastero ortodosso di Alaverdi, poi percorriamo gli ultimi chilometri che ci portano all’inizio di un parco naturale ai piedi delle alte vette (superano i 3000mt) che separano la Georgia dalla Cecenia. È qui che si trova il villaggio di Argokhi in cui è partito il progetto Momavlis Mitsa (Terre d’Avenir = Terra per il futuro). Siamo pronti ad una tappa di due settimane di wwoofing. 6231247_orig-1024x682

A fine giornata, la luce inizia a calare, ma nessun segno di Momavlis Mitsa. Argokhi assomiglia agli altri paesini georgiani con le sue casette tutte identiche, traccia di un passato comunista, con i maiali, le mucche, le oche e galline che camminano per strada, i contadini che rientrano dai campi seduti sui loro carretti tirati da cavalli e asinelli… Chiediamo a qualcuno a caso “Jean Jacques?”. Senza esitare gli abitanti ci indicano una casa, ci siamo! Jean Jacques, il fondatore del progetto, si è trasferito qui per via dei grani antichi georgiani. Ed è proprio durante un suo viaggio in Georgia che, mangiando del pane fatto con questi grani, si rende conto che, nonostante la sua intolleranza al glutine, non ha nessuna reazione allergica . Da due anni ormai coltiva e produce il proprio pane in un forno a legna che egli stesso ha costruito con l’aiuto dei wwoofer. Tra qualche mese arriverà anche un mulino a pietra. In questo modo terrà le fila di tutte le tappe di produzione. Al nostro arrivo siamo accolti da Rosa, Jannes e Colyer, dei ragazzi volontari tedeschi e americani; non hanno ancora 21 anni, ma tengono in piedi la baracca con una sicurezza e una serietà notevole durante l’assenza di Jean Jacques. Dopo un dolce risveglio al suono del violoncello di Colyer, ci occupiamo tutti insieme dell’orto che gestiscono dalla A alla Z. Sono stupita, hanno imparato tutto da soli e al minimo dubbio vanno a controllare sui libri. La sera fanno un bilancio di ciò che hanno piantato e raccolto, annotano le temperature e i millimetri di pioggia caduta.8303924_orig-1024x682

Non sono soli, hanno anche il supporto di Rainer, uno dei grandi esperti di biodinamica che si è trasferito qui per entrare a far parte del progetto Momavlis Mitsa. In passato Rainer ha portato avanti uno studio finanziato da una compagnia svizzera che voleva dimostrare che l’agricoltura biologica e biodinamica non avevano nessun impatto positivo sui terreni radioattivi. I risultati hanno invece mostrato gli enormi benefici di questi metodi (in particolar modo quelli della biodinamica si sono rivelati nettamente migliori), ma si è dovuto aspettare 20 anni per pubblicarli perché ovviamente contrari agli interessi dell’azienda. Io stessa ho scoperto che cos’è la biodinamica durante questi giorni e attraverso la lettura del libro “Il vino dal cielo alla terra” di Nicolas Joly, proprietario del vigneto La Coullée de Serrant in Francia (I prodotti di agricoltura biodinamica si trovano in commercio col marchio Demeter). Ma al di là dell’agricoltura è un’altra maniera di vedere le cose che introduce la biodinamica: essa presenta il pianeta come un organismo vivente dove tutto interagisce, la Terra è in un universo nel quale tutto si influenza a vicenda; la biodinamica ci ricorda che non siamo in un mondo fatto di sola materia, ci dimentichiamo spesso di considerare le energie e le forze che ci circondano. Il vantaggio in Georgia è che i pesticidi, diserbanti e altri prodotti chimici sono arrivati che di recente e quindi è ancora possibile trovare dei terreni “intatti”, o facilmente “recuperabili”, in cui i microrganismi non siano ancora scomparsi e in cui l’equilibrio naturale possa essere ristabilito. Uno sguardo all’orto di Momavlis Mitsa e si comprende che questi prodotti non sono necessari. Che piacere, all’ora di mangiare, andare a “fare la spesa” nell’orto, dai vicini per il latte, il formaggio, vino, le uova… farsi il proprio Matsoni (yogurt caratteristico della regione e rinomato per le sue proprietà terapeutiche per via di alcuni batteri particolari), senza alcun bisogno di un supermercato!4882391_orig-1024x682

L’orto è così produttivo che il surplus va sui banchetti del mercato settimanale che Jean Jacques tiene a Tblisi per la vendita del suo pane. Vende anche dell’olio di girasole che lui stesso molisce, del formaggio di Telavi, del miele di un apicoltore locale, del succo di mele di una cooperativa del posto… rifornisce addirittura dei ristoranti della città. L’associazione Momavlis Mitsa è in cerca di persone per un aiuto nelle varie attività: orto, panetteria, nuove costruzioni… Non esitate a contattare Jean Jacques (momavlismitsa.jjj@gmail.com , +995 59 11 33 478). Grace e il suo compagno sono passati da qui in bici due anni fa per raggiungere l’Inghilterra dall’Australia. Lei e suo padre realizzano dei documentari e oggi sono di ritorno per filmare l’avventura Momavlis Mitsa e la vita al villaggio di Argokhi. Ritornerò anche io? Le partenze non sono mai facili, ma questa qui è ancora più difficile per me, perché? Sarà forse perché questo posto lascia a ciascuno lo spazio per “mettersi all’ascolto del seme di vita che è in ognuno di noi”?

Durante una chiacchierata, parlando del grano, Jean-Jacques ci offre la sua visione: “…un seme è riposto in ogni anima, in ogni cuore, sta a noi scoprirlo e lasciarlo crescere…”.

Tiphaine

Fonte : italiachecambia.org

Sicurezza alimentare, è polemica per la nomina di Juliane Kleiner ai vertici Efsa

Le associazioni europee insorgono per l’incarico di direttore della Strategia scientifica e coordinamento affidato alla dottoressa che in passato ha lavorato per un gruppo lobbistico1628990682-586x389

Il cambio al vertice dell’Efsa, l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare, con la nomina della dottoressa Juliane Kleiner a direttore del settore Strategia scientifica e coordinamento (Scistrat) sta sollevando un vero e proprio polverone fra le associazioni continentali che si occupano di sicurezza alimentare. Dopo l’abbandono della carica da parte di Hubert Deluyker, lo Scistrat sarà presieduto da Kleiner che, in passato, ha lavorato per sette anni all’Ilsi (Istituto internazionale per le scienze della vita), gruppo lobbistico per il quale ha difeso gli interessi della grande industria. A denunciare il pericolo di conflitto d’interessi sono il Pesticide Action Network Europe (Pan Europe), l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab), la Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab) che sottolineano come, durante la sua attività all’Ilsi, Kleiner abbia innalzato a favore dell’industria le soglie di tolleranza degli agenti cancerogeni genotossici e delle sostanze chimiche in ambito tossicologico. Secondo Pan Europe, Kleiner non avrebbe esperienze di laboratorio e sarebbe pertanto molto sospetto il suo incarico in un ruolo di così elevata responsabilità che richiede un background di ricerca di cui la neo-direttrice sembra essere totalmente sprovvista, a partire dalle pubblicazioni su riviste scientifiche peer-review. Anche il suo predecessore Deluyker aveva avuto a che fare con il mondo dell’industria: prima di diventare direttore della Scistrat aveva lavorato per l’industria chimico-farmaceutica Pfizer. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) è un’agenzia europea indipendente, finanziata dal bilancio dell’UE e operante in modo autonomo dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dagli Stati membri dell’UE. La sede è a Parma.

Legambiente: “Nomina inopportuna”

Anche Legambiente non nasconde la propria preoccupazione per la nomina di Juliane Kleinert. La nomina della Kleiner, che in passato ha sostenuto posizioni favorevoli agli interessi delle multinazionali, come nel caso delle soglie di tolleranza per gli agenti cancerogeni genotossici o per le sostanze chimiche in ambito tossicologico, a direttore scientifico dell’Authority per la sicurezza alimentare, ci sembra francamente inopportuna. Continuiamo a pensare, infatti, che l’Efsa debba essere un organismo indipendente a tutela della sicurezza dei cittadini mentre, fino ad oggi, tutte le scelte di questo organismo sono state a favore delle multinazionali e mai realmente a favore degli interessi dei consumatori europei. Il nuovo direttore scientifico, dunque, avrebbe potuto rappresentare finalmente il cambio di passo in questo senso. Per questo sosteniamo la denuncia del Pesticide Action Network (PAN) Europe che chiede un ruolo dell’EFSA privo di conflitti di interessi a genuina tutela della salute pubblica, ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza in una nota.

Fonte: Slow Food