Il progetto del capoluogo salentino prevede la ristrutturazione di un immobile comunale a ridosso della stazione ferroviaria che sarà il futuro ingresso della stazione stessa ed è stato presentato alla Regione Puglia per l’ammissione a finanziamento. Anche Lecce avrà la sua velostazione dedicata al parcheggio custodito, al noleggio e alla manutenzione delle biciclette. È stato infatti approvato dalla giunta comunale il progetto definitivo per la realizzazione della Velostazione della Città, a circa due anni di distanza dall’apertura della Velostazione di Bari, la prima del sud italia. Il progetto del capoluogo salentino prevede la ristrutturazione di un immobile comunale in via Codacci Pisanelli a ridosso della stazione ferroviaria, in particolare di quello che sarà il futuro ingresso della stazione dopo i lavoro di ribaltamento, ed è stato presentato alla Regione Puglia per l’ammissione a finanziamento. La nuova Velostazione della città di Lecce sarà realizzata con l’impiego di risorse per 320mila euro, dei quali 50mila euro a carico del bilancio comunale. 270mila euro dovrebbero venire da fondi del P.O.R. Puglia FESR – FSE 2014 – 2020, asse prioritario IV “Energia sostenibile e qualità della vita”, Azione 4.4 “Interventi per l’aumento della mobilità sostenibile nelle aree urbane e sub urbane”.
Nella stessa delibera, la giunta ha stabilito che la gestione della velostazione sarà affidata ad una cooperativa sociale, individuata tramite avviso pubblico. La cooperativa dovrà espletare tutte le attività di deposito, noleggio, e manutenzione delle biciclette sul territorio comunale di Lecce per un periodo minimo non inferiore a 5 anni.
Sbloccati 146mila euro per la realizzazione progetto definitivo del Grab. Legambiente: “GRAB, progetto vincente non si cambia. Ora si lavori affinché questa straordinaria e importante opera venga realizzata bene garantendo sicurezza, accessibilità e qualità del design”.
“Il progetto del GRAB ha avuto un successo clamoroso a livello nazionale e internazionale, ha vinto numerosi premi all’estero e in Italia, piace tantissimo ai romani: il 70% della popolazione capitolina ritiene urgente la realizzazione del Grande raccordo anulare delle Bici. E un progetto vincente non si cambia”, così la Presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni commenta la notizia dell’arrivo degli oltre 146mila euro per la realizzazione del progetto definitivo del Grande Raccordo Anulare delle biciclette (Grab). Legambiente, VeloLove, TCI e tutte le associazioni che hanno ideato e realizzato lo studio di fattibilità del GRAB sono davvero molto soddisfatte che il MIT abbia assegnato al Campidoglio i fondi per realizzare il progetto esecutivo dell’infrastruttura. Il fatto che l’iter vada avanti fa sperare che davvero l’anello ciclopedonale possa essere pronto entro la fine del 2018 o al massimo all’inizio dell’anno successivo. Nello stesso tempo le associazioni sono certe che, nell’interesse della città, il GRAB vada realizzato con quelle caratteristiche qualitative che hanno consentito al progetto di ricevere apprezzamenti ed encomi in tutto il mondo e che hanno spinto il Ministero dei Trasporti a finanziarlo. I punti di forza del GRAB, infatti, proposti dai promotori del progetto sono la pedonalizzazione dell’Appia Antica, la piena accessibilità del percorso a persone con disabilità motoria, gli interventi per garantire la massima sicurezza a chi lo percorre, la riqualificazione delle aree attraversate affinché l’anello offra un tracciato di qualità a chi pedala e spazi di qualità a chi non va in bici, l’intermodalità e l’interconnessione con percorsi ciclabili già esistenti o programmati.
“Il GRAB – spiega la presidente nazionale di Legambiente – può davvero essere la ciclovia più affascinante e attraente del mondo. Per poterlo essere, non sembri banale il dirlo, la condizione essenziale è che questa opera pubblica venga realizzata bene, seguendo criteri qualitativi minimi e avendo cura sia del tracciato ciclabile, sia di quello pedonale che del paesaggio urbano circostante. Ci auguriamo di poterci confrontare al più presto col Campidoglio sugli standard qualitativi minimi che devono garantire, come evidenziato dal nostro studio di fattibilità, sicurezza, accessibilità e qualità del design all’interno di un contesto di sostenibilità ambientale ed economica”.
Hanno ruote con diametro di 26 pollici e non più 28 a vantaggio delle persone più basse di statura, uno pneumatico più largo che agevola la stabilità. Le 133 stazioni attive in città diventeranno 185, con l’obiettivo di raggiungere quota 213 entro il 2018
Hanno ruote con diametro di 26 pollici e non più 28 a vantaggio delle persone più basse di statura, uno pneumatico più largo che agevola la stabilità, un cambio che entra in funzione anche da fermi, facilitando partenze scattanti. Sono le caratteristiche delle nuove biciclette che costituiranno la nuova flotta del bikesharing torinese, mandando in pensione i vecchi modelli, a partire dai prossimi giorni. La nuova citybike è stata presentata dai responsabili di Tobike, il servizio di bikesharing in città, ai componenti delle commissioni Ambiente e Viabilità, presiedute rispettivamente da Damiano Carretto e Federico Mensio, alla presenza dell’assessora all’Ambiente, Stefania Giannuzzi. Le nuove biciclette sono state concepite in modo tale che possano essere ridotti i danni da atti vandalici e i furti di componenti dei mezzi, in particolare campanelli, sellini. Con pedali più robusti, i velocipedi dispongono anche di un nuovo portapacchi, più funzionale e più robusto rispetto al più bello (ma meno stabile) cestino. La riunione delle commissioni è stata anche l’occasione per fare il punto, da parte dell’assessora Giannuzzi, sull’estensione del bikesharing in città. Le 133 stazioni attive in città raggiungeranno le 185 unità, con l’obiettivo di raggiungere quota 213 entro il 2018. Gli abbonati, in costante aumento, sono 21 mila. Molte domande da parte dei consiglieri, con particolare riferimento ai costi (la manutenzione annuale varia da 800 mila e 1 milione di euro), la soddisfazione sul servizio da parte degli utenti, i criteri di collocazione delle stazioni. Il servizio, è stato spiegato dagli uffici comunali, nel suo programma di estensione tiene conto anche della collocazione delle piste ciclabili e della possibilità di raggiungerle.
Piste ciclabili e percorsi turistici per le biciclette verranno finanziati con un apposito fondo da 33 milioni di euro inserito nella Legge di Stabilità. Il finanziamento deve passare al vaglio del parlamento e l’impegno è di 5 milioni di euro nel 2016, 13 milioni nel 2017 e 15 milioni nel 2018 finalizzati alla progettazione e alla realizzazione di ciclovie turistiche e ciclostazioni, ma anche alla progettazione e realizzazione di interventi volti a garantire la sicurezza della ciclabilità cittadina. Una bella notizia per gli appassionati della bicicletta, probabilmente questo finanziamento permetterà, per esempio, un progresso al progetto VenTo dellaVenezia-Torino, ma la cifra stanziata resta davvero una mancetta se pensiamo ai ricavi potenziali che si potrebbero ottenere dal cicloturismo (in Italia stimati in 3 miliardi di euro) e soprattutto ai finanziamenti stanziati in altri Paesi. Tanto per fare un esempio, il piano per la ciclabilità per Londra pensato dal sindaco Boris Johnson e incentrato sulla SkyCycle prevede un finanziamento (con contributi anche da sponsor privati) di 1 miliardo di sterline (1,4 milioni di euro). Come fa notare Giulietta Pagliaccio, presidente della Fiab, la notizia è sicuramente positiva e con le risorse stanziate di recente con i progetti di bike to school e bike to work e di recupero dei tracciati ferroviari delineano un nuovo trend positivo per la ciclabilità. Secondo Alberto Fiorillo, responsabile delle aree urbane di Legambiente, l’iniziativa potrebbe fare da volano a investimenti degli enti locali. Oltre alla già citata ciclovia del Po, uno dei progetti in pole position è il Grab, il Grande raccordo anulare delle bici che dovrebbe svilupparsi intorno a Roma con un costo di 4 milioni di euro per uno sviluppo di 44 chilometri. L’altro progetto è quello dell’Acquedotto pugliese, poi si andrà avanti con le piste ciclabili urbane per provare a colmare l’ampio gap che ci separa dalle città del Nord Europa e della Francia.
Con 2.728.600 esemplari prodotti nel 2014 e una crescita del 2,1% sull’anno precedente, l’Italia si conferma come il primo produttore europeo di biciclette eppure il Paese continua a essere uno dei fanalini di coda continentali sia per quanto riguarda la ciclabilità, sia per ciò che concerne il cicloturismo. Un recente studio dell’Agenzia Nazionale del Turismo-Enit ha stimato in 3,2 miliardi di euro il possibile fatturato annuale di un cicloturismo a pieno regime nel nostro Paese. Perché ciò avvengono servono infrastrutture adeguate. Le piste ciclabili possono costare fino a 400 euro al metro, ma numerosi studi internazionali dimostrano l’alta redditività del settore: per ogni euro di investimento se ne guadagnano 4 o 5 in meno di tre anni. In Francia, tanto per fare un esempio, il cicloturismo movimenta 2 miliardi di euro l’anno, mentre nel nostro Paese brilla soprattutto la provincia autonoma di Trento con i suoi 400 chilometri di piste ciclabili che, dal 2009, generano oltre 100 milioni di euro l’anno. L’Italia è la nazione più ricca al mondo per siti e paesaggi dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità e molti di questi si prestano a una visita in sella a una bici. Tanti i progetti in cantiere, da VenTo, di cui Ecoblog vi ha raccontato più volte, al progetto di un itinerario cicloturistico di 300 chilometri per collegare Verona a Firenze.
Nell’ambito del progetto Giovani&SenzaMotori è emerso il tema della custodia delle bici parcheggiate. L’architetto Matteo Dondè ci illustra alcuni parcheggi custoditi in Europa, ottimo incentivo per la diffusione della mobilità ciclabile
di Matteo Dondè
La paura del furto è in qualsiasi città del mondo uno dei fattori di maggior disincentivo all’uso della bicicletta in ambito urbano. Quante volte vi è stata rubata la bicicletta? Quante volte avete rinunciato ad utilizzarla se nel luogo da raggiungere non c’era un parcheggio sicuro? Il tema è tanto importante che diverse città nel mondo si sono attrezzate con parcheggi per biciclette custoditi o automatizzati. In qualsiasi area in cui è presente, attesa o auspicata una concentrazione di biciclette parcheggiate, dovrebbe esserci la possibilità di parcheggiare in spazi pubblici dedicati, ben organizzati, comodi e sicuri. Questa soluzione di per sé incoraggerà la mobilità ciclistica. Come riportato dall’interessante scheda tecnica realizzata da Presto, esistono piccoli parcheggi distribuiti in modo capillare che consentono ai ciclisti di parcheggiare le bici per brevi periodi in prossimità della loro destinazione, per esempio quelli costituiti da supporti a U rovesciata, in modo da poter legare sia telaio che ruota; esistono poi depositi più grandi, complessi e sicuri che permettono ai ciclisti di lasciare le biciclette per periodi più lunghi, un’intera giornata, tutta la notte o perfino diversi giorni. La prima volta che vidi un parcheggio automatizzato fu a Berna nel 2004. In un viaggio studio organizzato dalla Fiab, l’ing. Balsiger dell’Ufficio Strade Cantonale di Berna ci mostrò un piccolo edificio di cemento, posizionato vicino ad una delle piazze centrali della città, dove era possibile parcheggiare molte biciclette con un sistema automatizzato a due livelli: l’accesso era possibile unicamente con una tessera personale il cui utilizzo consentiva di liberare unicamente la propria bicicletta. Il sistema risultava pratico, comodo e sicuro, utilizzabile da tutti gli utenti con facilità.
Tale struttura consente un buona capacità di parcheggio e ottimizzazione degli spazi, ma l’offerta da allora si è molto sviluppata, consentendo interventi anche più “leggeri” ed economici, e con dimensioni adeguate a seconda delle necessità. La gestione e la sorveglianza degli accessi possono essere di competenza di personale apposito, oppure parzialmente o totalmente automatizzate. Una recente novità ha visto la comparsa di depositi per biciclette totalmente automatizzati posizionati lungo le strade. Come riporta la scheda tecnica sopracitata, il principio di base è che le biciclette vengono consegnate a un sistema che le parcheggia automaticamente in un deposito sotterraneo. Il vantaggio è che il sistema funziona 24 ore su 24 e garantisce la massima sicurezza sia alla bicicletta che al ciclista. Spesso c’è anche lo spazio sufficiente per depositare casco e giacca. Inoltre questi sistemi sono accessibili allo stesso livello della strada e possono essere posizionati in luoghi visibili e ben illuminati di notte.
Un esempio molto interessante è quello realizzato dalla Biceberg: un sistema totalmente automatizzato per il parcheggio sotterraneo delle biciclette (moduli da 23, 46, 69 o 92 biciclette). In Spagna sono già operativi diversi tipi di Biceberg nelle città di Zaragoza, Victoria, Huesca e Girona. Come detto in precedenza, esistono tuttavia anche soluzioni a basso costo, come ad esempio la custodia delle biciclette affidata ad associazioni in occasione di eventi particolari, oppure l’uso di strutture trasportabili come la Container Shelter Box di Milano che propone, anche in affitto, strutture metalliche economiche, sicure, movimentabili facilmente presso i principali punti chiave di qualsiasi città.
Anche in Italia sono state realizzate e sono in corso di realizzazione diverse bicistazioni, più custodite che automatizzate, ma prevalentemente ubicate nei pressi delle stazioni ferroviarie. Come insegnano le migliori esperienze, è però necessario iniziare a realizzarle anche nelle zone più centrali delle città o comunque nei pressi dei principali attrattori di traffico. E per rendere comprensibile a tutti di cosa si tratta, forse è meglio utilizzare l’italiano per evitare che la domanda che mi è stata recentemente posta da un anziano si moltiplichi senza controllo: “Ma cos’è sta VELOstazione?”
Biciclami, il progetto del Comune di Milano realizzato da AMSA e i Vigili di quartiere ha tolto dalle strade 1.085 rottami di bici abbandonate in un anno. Si segnala il rottame ad AMSA e i Vigili mettono un adesivo sul telaio. 20 giorni di tempo per recuperare la bici se c’è un proprietario, se no AMSA la rimuove
Sono 1.085 i rottami di biciclette recuperati dalle strade di Milano in un anno, dal gennaio 2014 al gennaio 2015. E’ il bilancio di Biciclami, il progetto del Comune di Milano realizzato da AMSA e i Vigili di quartiere della Polizia locale con l’aiuto dei cittadini, avviato nel gennaio del 2014. In particolare, sono stati 865 gli interventi di rimozione effettuati nel 2014. A gennaio 2015 altri 220 rottami sono stati tolti dalle strade, per un totale di 1.085 interventi in un anno.
“Un risultato molto positivo di contrasto al degrado, frutto della sinergia tra AMSA e Polizia Locale e della collaborazione dei milanesi che segnalano puntualmente i luoghi in cui è richiesto un intervento. Continueremo su questa strada”, hanno sottolineato l’assessore alla Mobilità e Ambiente Piefrancesco Maran e l’assessore alla Sicurezza e Coesione sociale Marco Granelli. Grazie alla sezione Biciclami dell’applicazione mobile PULIamo di AMSA i cittadini possono segnalare la presenza di biciclette abbandonate sul territorio inviando una foto e descrivendo le parti mancanti o danneggiate. Quando AMSA riceve la segnalazione, la inoltra ai Vigili di quartiere, che applicano un adesivo di avvertimento sulla carcassa: l’eventuale proprietario ha poi 20 giorni di tempo per recuperarla, prima che Amsa intervenga a rimuoverla. Su un totale di 1.486 segnalazioni pervenute nel 2014, 592 sono state inviate dai cittadini le restanti sono frutto dell’osservazione dei Vigili di Quartiere che quando vedono una bicicletta malridotta applicano un adesivo: se dopo 20 giorni nessuno toglie la bicicletta il veicolo viene definito abbandonato e recuperato da AMSA. La differenza tra il numero delle segnalazioni e quello delle rimozioni deriva dal fatto che talvolta la segnalazione pervenuta risulta già recepita da Amsa, oppure la bici è stata recuperata dal proprietario.
Il settore Traffico rende noto che, grazie ad un finanziamento del ministero dell’Ambiente, il comune di Bari ha acquistato 50 biciclette elettriche – a pedalata assistita per i dipendenti comunali. Il progetto ha un importo complessivo di 120.000 euro, 38.000 dei quali a carico del comune
Il ministero dell’Ambiente, promotore dell’iniziativa, ha pubblicato un bando per fornire ai comuni interessati delle biciclette da destinare ai dipendenti comunali. Prototipi particolarmente performanti sviluppati in collaborazione con la Ducati Energia. Il comune di Bari ne ha approfittato: per ottenere il finanziamento ha dimostrato di aver proceduto a dismettere delle vetture dell’autoparco comunale.
Il progetto ha un importo complessivo di 120.000 euro, 38.000 dei quali a carico del comune. Le 50 biciclette saranno distribuite tra diverse sedi degli uffici comunali baresi, come di seguito indicato:
• 10 a Palazzo di Città
• 10 presso la ripartizione Infrastrutture in via G. Petroni
• 10 presso il comando di PM in via Aquilino
• 10 presso la ripartizione Contratti e Appalti in via Garruba
• 10 presso la ripartizione Personale in via Ballestrero
Presso ciascuna delle sedi individuate saranno posizionate delle speciali rastrelliere collegate alla rete elettrica per la ricarica dei mezzi nonché alla rete internet. Le biciclette, infatti sono dotate, oltre che di GPS, di un sistema di rilevazione degli inquinanti atmosferici che sarà utilizzato per effettuare i report periodici sulla qualità dell’aria previsti dal progetto.
I lavori per la sistemazione di tutte le postazioni presso gli uffici comunali inizieranno lunedì prossimo per concludersi entro un mese, mentre per la postazione di Palazzo di Città si dovrà aspettare la fine dei lavori di ristrutturazione attualmente in corso nell’atrio.
Nate agli inizi degli anni 2000, sulla scia della Critical Mass di San Francisco, sono delle vere e proprie botteghe dove riparare e riciclare biciclette ed immaginarne di nuove, costruendole da soli o con l’aiuto dei meccanici. Il tutto senza scopo di lucro.
Li vedi ricurvi sulle corone. O intenti a saldare un telaio. Mentre regolano i freni o pensano alle nuove creazioni. Brugole e chiavi nelle mani, sporchi di grasso ed olio. Ma felici. Con gli occhi lucenti e un sorriso che non lascia dubbi. Sono i ragazzi delle ciclofficine, vere e proprie botteghe della bicicletta, dove la meccanica si unisce alla condivisione della conoscenza e alla passione per la due ruote. «La ciclofficina ha semplicemente la pretesa di trasmettere la passione per la bicicletta. Non è altro che un progetto per insegnare alle persone come riparare o costruirsi da sé una bicicletta dal riciclaggio», afferma Piero Di Silvestro, uno dei meccanici delle Ciclofficine Popolari Romane. Un luogo aperto a tutti, dove è possibile riparare, recuperare, riciclare biciclette ed immaginarne di nuove, costruendole da soli o con l’aiuto dei meccanici dell’officina; un luogo dove questa attività è il punto di partenza di un percorso di riflessione sul consumo e sugli stili di vita, sulla mobilità e sui trasporti. Ce ne sono tante a Roma, tantissime in Italia, tutte o quasi sorte da esperienze di occupazione di luoghi in disuso e abbandonati, oppure sottoforma di associazioni e cooperative sociali, con l’obiettivo di aiutare anche le persone in difficoltà. E qui non si compra e non si vende nulla. Non c’è scopo di lucro. Tutto è basato sulla condivisione, sulla libera offerta, sul riciclaggio di vecchie biciclette o di parti di esse, sul volontariato e, come detto, sulla passione verso questo splendido mezzo di trasporto. «La bicicletta è un mezzo povero, economico – continua Di Silvestro – che ti può portare veramente lontano». E lontano sono ormai arrivate queste botteghe della bici, tanto da essere oggetto di documentari, come Contromano, diStefano Gabbiani, prodotto da Lacumbia Film, che narra la storia di due piccole ciclofficine aperte di recente a Torino, la Bikezone Vanchiglia e l’Officina Bici, e delle persone che vi lavorano all’interno. Persone che tramite la bicicletta vivono la concreta possibilità di reinventarsi e che, pur provenendo da storie e mondi molto diversi tra loro, sono testimoni di un riscatto personale e professionale ancora oggi possibile. Ma da dove nascono le ciclofficine? Siamo agli inizi degli anni 2000, un gruppo di ciclisti decide di radunarsi davanti al centro sociale “Deposito Bulk” a Milano, sulla scia del movimento denominato “Critical Mass”, nato a San Francisco dieci anni prima. Un raduno spontaneo di ciclisti che, al grido di “Noi non blocchiamo il traffico. Noi siamo il traffico”, invadono le strade normalmente usate dalle automobili, con l’obiettivo di accendere i riflettori sul deteriorarsi della qualità della vita, a partire dai livelli di inquinamento dell’aria e acustico dovuti alle automobili, fino ad arrivare, come da noi in Italia, alla denuncia della mancanza di piste ciclabili. Da Milano a Roma il passo è breve. La capitale diventa nel corso degli anni un terreno fertile per lo sviluppo della critical mass, con l’appuntamento fisso dell’ultimo venerdì del mese, e soprattutto delle ciclofficine. Tante, oramai in Italia. Ognuna con le sue storie. C’è la Ciclofficina Centrale a Roma, che nasce in uno spazio sotto al mercato rionale del quartiere Monti, dopo la chiusura del centro sociale Angelo Mai. Aperti tutti i giorni dalle 20 alle 23, pagano un affitto simbolico al Comune, e si nutrono di sottoscrizioni volontarie e di donazioni di attrezzi. La riparazione però non è tutto: «Organizziamo anche corsi di ciclomeccanica destinati a persone in difficoltà, come pazienti dell’Asl, ex tossicodipendenti e senza fissa dimora – afferma Giuseppe Fiore – Non solo, in accordo con la società di servizi AMA, la ciclofficina provvede a recuperare biciclette e pezzi di ricambio partecipando alla raccolta mensile dei rifiuti ingombranti o andando direttamente a casa dei cittadini». C’è la Ciclofficina popolare Ex Lavanderia, che nasce da uno dei progetti dell’Associazione Ex Lavanderia, che per anni si è battuta per garantire l’uso pubblico e culturale dell’Ex Manicomio Psichiatrico S. Maria della Pietà a Roma. Lì sono aperti solo nel weekend, ma ciò non toglie di organizzare corsi di saldobrasatura e la famosa “Pedalata Patologica”, a sostegno del Teatro Patologico, oggi a rischio chiusura. C’è il Ciclospazio di Bari, che offre il servizio di marcatura bici con una targa indelebile micropunzonata sul telaio, creando così l’Anagrafe della Bici contro i furti. C’è la ValdarnoInBici, premiata dal Consiglio Comunale con una somma di 400 euro, per il progetto “Laboratori di ciclofficina e banca della bici”, con la realizzazione di corsi di cicloriparazione e ciclo manutenzione. O l’ultima nata in Italia, la Ciclofficina Raggi Resistenti a Reggio Emilia, che si sviluppa all’interno di uno degli stabili occupati da alcuni migranti e profughi rimasti senza alloggio e che, costretti a dormire in strada, si sono riappropriati di un diritto fondamentale, il diritto all’abitare, occupando stabili lasciati all’abbandono. E poi ci sono gli slogan che le contraddistinguono. Da quello più semplice del Ciclotrofio di Alghero, “Se hai una bici da buttare, protacela…”, a quello più filosofico delle Ciclofficine Popolari di Roma, “Una macchia di grasso pulisce l’aria delle nostre città, un movimento centrale scorre a ruota libera nelle nostre strade”, a quello latinosinistroide della Popolare Ampio Raggio di Bologna, “El socialismo puede llegar solo en bicicleta”, fino a quello naïf della Ciclofficina Centrale sempre a Roma, autodefinitasi “Ciclofficina di Irriverenti Ciclisti Liberi, Offriamo Fantastiche Feste, Iniziative Cicloattive, Inventiva Naturale e Assistenza”. Non sempre però son tutte rose e fiori. Alcune ciclofficine chiudono, per ovvi motivi, altre aprono, altre ancora si dividono, aumentando così il numero e i servizi offerti. Ma il filo conduttore resta lei, la bicicletta. Con la sua bellezza e il suo significato. Perché la bici è romantica. Perché la bici è lenta. E ti porta ovunque, senza usare petrolio, senza creare traffico, senza produrre inquinamento.
L’industria delle due ruote e tutte le attività ad essa connesse, cicloturismo in primis, rappresentano uno dei settori più vivaci dell’economia europea. Secondo lo studio della Federazione Europea dei Ciclisti,ad oggi nel vecchio continente sono più di 650 mila i lavoratori del settore e nel 2020 saranno un milione. Investire nella bici fornisce il migliore ritorno economico nel settore dei trasposti
L’ultimo studio della Federazione Europea dei Ciclisti(ECF) dal nome “Ciclismo per la crescita” sviscera i dati di uno dei settori economicamente più vivaci del vecchio continente. In Europa l’indotto dell’industria della bicicletta occupa più di 650mila lavoratori, più di quelli impiegati nel settore estrattivo minerario (615 mila addetti) e più del doppio di quello siderurgico (31 mila lavoratori). La parte del leone la fa il settore del cicloturismo, che vede impegnati più di mezzo milione di addetti, a seguire quello della vendita e riparazione (80587 lavoratori), poi quello della costruzione delle infrastrutture (23417 addetti), vendita e riparazione (22629 lavoratori) e infine quello dei servizi (4224 addetti).
Durante la presentazione dello studio a Bruxelles, Kevin Mayne (direttore del settore sviluppo dell’ECF) ha lanciato un messaggio ai governi europei e al nuovo presidente Juncker: “Investire sul ciclismo su due ruote è la scelta più giusta e i benefici a lungo termine si vedranno sui bilanci della spesa sanitaria, in quello dei trasporti e nel cambiamento climatico. Adesso siamo in grado di dimostrare che ogni nuova pista ciclabile costruita crea nuovi ciclisti e questo contribuisce alla crescita dei posti di lavoro. Investire nella bicicletta fornisce il migliore ritorno economico di qualsiasi altro investimento fatto nel settore dei trasposti”. Nel rapporto è incluso anche un piano di azione e i relativi benefici che potrebbe apportare all’economia europea. Il piano d’intervento si spinge fino al 2020 dove, a fronte di un raddoppio degli investimenti da parte della Comunità Europea e di piani nazionali per incentivare l’uso delle due ruote (per esempio sgravi fiscali per i ciclisti), il numero dei lavoratori sale fino a quota un milione. Inoltre, a parità di investimenti, il tempo di permanenza nella aziende di un lavoratore dell’industria delle due ruote è tre volte superiore a quello dei lavoratori dell’industria automobilistica. Lo studio si chiude ricordando che il settore del ciclismo non richiede un alto livello di qualificazione per potervi accedere e questo gli permette di offrire una oggettiva opportunità per l’ inclusione europea sopratutto in questi anni di crisi economica.