L’India tassa il consumo di Coca Cola per tutelare la salute pubblica

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Che bere Coca Cola faccia male alla salute, esperti e scienziati lo affermano ogni giorno, accendendo aspri dibattiti tra i sostenitori e gli oppositori di uno dei più grandi colossi del mercato alimentare. Ma c’è chi ha fatto qualcosa in più che mettere semplicemente in guardia i consumatori.  Il governo del Partito del Popolo Indiano (BJP) ha infatti deciso di creare una nuova imposta sulla bevanda gassata tra le più consumate nel mondo, per scoraggiarne l’acquisto. La decisione di creare una nuova imposta del 5% sulla Coca Cola è contenuta nella legge finanziaria 2014-2015. La motivazione che ha portato a questa decisione, fanno sapere i politici del neo governo indiano di Narendra Modi, è semplicissima ed è che questa bevanda fa male alla salute. La tassazione, effettuata come misura volta a tutelare la salute pubblica, è stata accompagnata da un rincaro di altri prodotti nocivi, come le sigarette, il tabacco e il “pan masala”, una miscela di spezie da masticare. L’urgenza di prendere provvedimenti per bloccare il consumo di coca cola sembra essersi presentata anche a fronte della costante crescita delle vendite del prodotto. Nei mercati nuovi ed emergenti dell’Asia, come quello cinese, la Coca Cola registra un aumento di vendite di nove punti percentuali all’anno, mentre in quello indiano la crescita delle vendite si attesta al 10% annuo. Naturalmente, c’è anche chi ha commentato il provvedimento con un certo scetticismo, affermando che un semplice rincaro non scoraggerà il consumo delle bibite gassate, soprattutto visto che continuano a essere pubblicizzate dalle star di Bollywood. L’annunciato rincaro ha incontrato il favore dei medici, sempre più preoccupati per l’aumento di casi di diabete e obesità, soprattutto nei bambini. Contrari, ovviamente, i produttori che saranno costretti ad aumentare i prezzi. Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidianogli affari per la Coca Cola in India, nonostante la crescita del consumo, non stanno andando bene. Lo stabilimento di Varanasi, ad esempio, ha dovuto temporaneamente chiudere a causa dell’assenza di un permesso che avrebbe dovuto autorizzare l’uso delle falde acquifere della città. L’azienda avrebbe investito 5 miliardi di dollari sul territorio per aumentare i guadagni e adesso rischia di vedere i suoi progetti di ampliamento andare in fumo. Nonostante le ripetute azioni di  Greenwashing adottate dall’azienda in questi ultimi anni, non ultima la Coca-Cola life dolcificata con la stevia, sembra proprio che questo colosso stia iniziando a perdere presa sui consumatori. Almeno su quelli più attenti.

Un’azione simile a quella dell’India, e sicuramente più drastica, è stata proposta ad esempio due anni fa dalla Bolivia. Il governo di allora, infatti, decise di bandire dal Paese il prodotto fissando una dead line al 21 dicembre 2012.
La decisione fu presa perché, secondo quanto affermato dall’allora ministro degli esteri, David Choquehuanca: “il contenuto della Coca Cola ha sostanze che pregiudicano la salute e che potrebbero provocare attacchi cardiaci e tumori. Si tratta di una decisione di salute ma anche di cultura”.

Non solo, in Bolivia, la multinazionale è stata più volte attaccata anche per i modus operandi utilizzati nei processi di produzione. In questa sede abbiamo più volte parlato dei rischi di bere bevande gassate. In particolare, abbiamo visto cosa questi prodotti provocano nel nostro organismo minuto per minuto e come riescano ad arrecare ai nostri denti gli stessi danni creati da cocaina e metanfetamine.

(Foto: Thomàs)

Fonte: ambientebio.it/

Basta sabbie bituminose per trasportare Coca e Pepsi

La campagna “Tastes like tas sands” è rivolta alle aziende che producono bevande gassate perchè non usino più greggio sintetico ottenuto dalle sabbie bituminose per il trasporto delle merci

La campagna lanciata da Sierra Club e ForestEthics “Tastes like sands” chiede alle principali aziende produttrici di bibite gasate, Coca ColaPepsi Cola e Dr. Pepper di rinunciare al petrolio da sabbie bituminose per le proprie flotte aziendali. Se vogliono mantenere la propria immagine di sostenibilità, queste aziende dovranno fare i conti con clenti sempre più agguerriti e informati sul lato ambientale. Le tre aziende producono quasi 12 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, in buona parte originata dalle flotte aziendali di oltre centomila autocarri; gli sforzi per essere più green e per ridurre le emissioni vengono vanificati dall’uso delle famigerate sabbie bituminose canadesi, che causano il triplo delle emissioni per unità di energia prodotta rispetto al petrolio convenzionale. ForestEthics ha identificato le raffinerie che negli USA processano le sabbie bituminose e 19 aziende tra cui WholeFoods e Columbia Sportsware hanno già rinunciato a rifornirsi da chi inquina di più. Eliminare le tar sands dagli ingredienti indiretti delle bibite sarebbe un passo di estrema importanza verso la transizione energetica. Le sabbie bituminose resteranno dove sono, senza inquinare terra, acqua e aria se i clienti decideranno di non volerle più.

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Fonte: ecoblog.it