Sardegna, l’isola di Budelli torna pubblica

L’isola di Budelli, nell’arcipelago della Maddalena e famosa per la spiaggia rosa, non sarà più messa all’asta e non finirà in mano a privati. Il tribunale di Tempio Pausania ha assegnato definitivamente l’isola all’Ente Parco La Maddalena.

Si è chiusa finalmente la complessa vicenda immobiliare dell’Isola di Budelli. Il Giudice per le esecuzioni immobiliari di Tempio Pausania ha stabilito oggi che la proprietà passerà al Parco Nazionale della Maddalena.budelli

L’isola di Budelli non sarà più messa all’asta e non finirà in mano a privati

Ma il sogno della IIB della Scuola Media di Mosso, piccola cittadina montana del biellese, di fare di Budelli l’isola dei Giovani resta. Un sogno che il WWF continuerà a sostenere, come ha fatto appoggiando il progetto di cittadinanza attiva dei giovani studenti pronti a raccogliere fondi per l’acquisto qualora il Tribunale di Tempio avesse confermato l’impossibilità di prelazione del Parco e Budelli fosse stata rimessa all’asta. Un’isola contesa, che oggi merita di trovare il suo futuro in un modello di gestione e di valorizzazione a misura del paradiso straordinario ma fragile qual è.

 

“Ci auguriamo che da oggi si possa scrivere la nuova storia di Budelli – ha dichiarato la Presidente del WWF Italia Donatella Bianchi . Il WWF Italia, con le sue competenze e la sua esperienza, con le sue 100 Oasi e i suoi 50 anni di impegno per la tutela della natura italiana, è a disposizione per un progetto di conservazione condiviso ed innovativo. Sarebbe fantastico se un progetto di conservazione partisse dal basso, fosse condiviso e partecipato e realizzato in collaborazione con gli Enti proposti, quindi con il Parco della Maddalena, il Ministero dell’Ambiente e la Regione Sardegna”.

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/03/sardegna-isola-di-budelli-torna-pubblica/

Decrescita, beni comuni, ecologia: l’Enciclica di Papa Francesco segna una svolta storica?

È stata pubblicata ieri Laudato Si’, la seconda enciclica di Papa Francesco. Sin da subito il documento ha suscitato grande scalpore, poiché si occupa in maniera diretta e puntuale di questioni legate all’ambiente, alla decrescita, all’economia e allo sviluppo tecnologico. Contenuti decisamente inaspettati, che Francesco I introduce chiamando in causa suoi predecessori come Paolo VI, Giovanni XXIII e, riferendosi agli attacchi alle oligarchie economiche, Benedetto XVI. E, naturalmente, il downshifter ed ecologista ante litteram San Francesco d’Assisi.

Papa-Francesco

Bergoglio parla esplicitamente di bene comune, della chimica in agricoltura, del riscaldamento globale – che imputa senza mezzi termini all’intervento umano –, della biodiversità minacciata dalle monocolture, della finanza che soffoca l’economia reale. Tocca da vicino questioni come la necessità di ridurre gli scarti e l’importanza del riciclaggio, si scaglia contro la privatizzazione delle risorse idriche, parla delle iniquità sociali a livello globale, inquadrandole però da una prospettiva ecologista, legata allo sfruttamento eccessivo e impari delle risorse del Pianeta, introducendo il concetto di “debito ecologico”. Coglie addirittura la fondamentale distinzione fra ecologia di superficie ed ecologia profonda, spiegando che se inquadrate nell’ottica sbagliata, anche le iniziative ambientali più meritevoli si inseriscono in una logica di dominio della natura. E punta il dito senza giri di parole contro le élite della finanza mondiale: «Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi».debito_ecologico

Esalta scienza e tecnologia, rilevando però come il loro rapido sviluppo non sia stato accompagnato da una crescita della coscienza e della consapevolezza di chi ne fa uso. Da qui, il passo verso argomenti he costituiscono il pane quotidiano del mondo ambientalista è molto breve: «[…] si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che “esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti”».

Si avvicina sempre più al pensiero decrescitista, facendo notare che «nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane». Fino a che non dichiara esplicitamente che «è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti».

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Come detto, lo scalpore suscitato da questa enciclica è stato notevole, sin dalle prime bozze diffuse nei giorni scorsi. Come interpretarla dunque? I più scettici potrebbero pensare che si tratti di un tentativo da parte della Chiesa di allinearsi alle tematiche più in voga, quelle legate alla sostenibilità ambientale, in una sorta di green washing papale. I più entusiasti saranno invece contenti che dalla Santa Sede arrivino esortazioni riguardanti la raccolta differenziata, la tutela della biodiversità e la condivisione dei beni comuni. I più attenti noteranno la discrepanza fra le dichiarazioni del Papa e la condotta di molti rappresentanti del mondo clericale. Certo è che tematiche di fondamentale importanza, che stanno cominciando a diffondersi ma che in molte sedi sono ancora poco dibattute se non censurate, sono state chiamate in causa da una delle persone più influenti del mondo e il risultato è che oggi sono sulla bocca di tutti. In fondo, come diceva Oscar Wilde, «l’importante è che se ne parli», al di là delle intenzioni sincere o solo di facciata di chi ne parla.

Fonte : italiachecambia.org

«Beni comuni, si torna indietro. Ci si fa beffe della volontà dei cittadini»

Ve lo ricordate il referendum su acqua e servizi pubblici 4 anni? Vinse il no alla privatizzazione. «Ma l’esito di quel referendum non è mai stato attuato – spiega Paolo Carsetti del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua – e viene messo pericolosamente, seriamente e convintamente in discussione dall’attuale governo».vignetta_benicomuni

«I cittadini hanno fatto sentire chiara la loro voce a difesa dei beni comuni; si è raggiunto il top con il referendum 4 anni fa, lo strumento principe di partecipazione garantito dalla Costituzione» spiega Paolo Carsetti del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua. «Ma l’esito non è stato attuato né a livello giuridico nè politico e ultimamente viene messo pericolosamente, seriamente e convintamente in discussione dall’attuale governo. Quindi è evidente che c’è un grosso problema. C’è un preciso piano attraverso il quale il Governo intende rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dei beni comuni ma ciò avviene in maniera molto più subdola degli anni passati. Tutti i provvedimenti elencati non esplicitano un attacco diretto all’acqua o ai servizi pubblici locali come fatto nel 2009 dal governo Berlusconi, l’attacco è strisciante, non si pronuncia la parola privatizzazione perchè è un tema su cui si è già registrato una sconfitta epocale ma la sostanza è la stessa. Il governo si muove dietro la propaganda che prova a descrivere uno scenario come quello della necessità di riduzione della spesa pubblica anche attraverso la razionalizzazione delle cosiddette partecipate o ex municipalizzate che sarebbero coacervo di sprechi, clientele e malapolitica. È la retorica che sta dietro a questa propaganda, con la quale si prova a raggiungere il medesimo obiettivo del governo Berlusconi: cedere al mercato la gestione dei servizi pubblici e dei beni connessi. Se prima si era aperto lo scontro frontale prevedendo l’obbligo di privatizzazione, oggi non si apre uno scontro così diretto ma di fatto si incentivano e si costruiscono processi di privatizzazione, incentivazione delle cessioni ai privati, si costruiscono meccanismi di fusione perchè si racconta che solo attraverso economie di scala si raggiunge efficienza di gestione e si hanno soldi per investimenti, quindi il tema non è più “privato o pubblico” ma spostato sulla dimensione del soggetto gestore. Bassanini ci racconta che bisogna costruire player nazionali che siano in grado di competere su mercato internazionale: tradotto significa che bisogna dare tutto in pasto alle multinazionali, identificando poli aggregativi in multinazionali già esistenti di cui, evidentemente, per il governo è bene fare gli interessi: Acea, Hera, Iren, A2A nel centro nord; il sud è ancora territorio di nessuno a parte la Campania, dove c’è la mira espansionistica di Acea. Il resto in balia degli eventi». «Insomma, lo Sblocca Italia privatizza in maniera subdola, ci dice che gestore deve essere unico e si deve favorire il gestore più grande presente sul territorio – continua Carsetti – Poi con la legge di stabilità si sono definiti meccanismi premiali per gli enti locali che cedono quote o che fondono le proprie aziende tra loro. Il risultato è uguale a quello del Decreto Ronchi. Gli enti locali, schiacciati da tagli sempre maggiori, procederanno senza neanche un’esitazione se si dice loro che i proventi derivanti dalla cessione delle proprie azioni potranno essere usati al di fuori del patto di stabilità. Nelle multinazionali verranno ridotte, laddove ci sono, le quote pubbliche che non saranno più maggioritarie, poi si fagociteranno piccole aziende a maggioranza pubblica che sono modelli di gestione efficiente, tariffe ridotte e attenzione all’ambiente. Si ragionerà solo con logiche di mercato e di borsa. E’ di fatto una privatizzazione camuffata. Noi lo diciamo da tempo ma la gente continua a pensare che il referendum abbia salvato qualcosa».

Ma vediamo nel dettaglio la situazione, come “fotografata” dal Forum dei Movimenti per l’acqua.

«E’ possibile affermare che il piano attraverso il quale il Governo intende rilanciare con forza il processo di privatizzazione e finanziarizzazione dei beni comuni seguirà tre assi fondamentali, già indicati nel DEF(Documento di Economia e Finanza 2014): a) cessione di quote statali delle grandi aziende; b) razionalizzazione delle aziende partecipate dagli enti locali, seguendo lo slogan “riduzione da 8.000 a 1.000”; c) dismissione del patrimonio pubblico. Per quanto concerne i servizi pubblici locali e, quindi, anche il servizio idrico, tale progetto si ispira direttamente al programma sulla “spending review” il quale prevede aggregazioni e fusioni individuando dei poli aggregativi nelle grandi multiutilities. A riguardo il Governo ha messo in campo una rinnovata strategia comunicativa che si ammanta della propaganda di riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione delle aziende da 8.000 a 1.000”.

Due sono i provvedimenti legislativi che il Governo ha messo in campo:

  • il decreto “Sblocca Italia”, convertito in legge a colpi di fiducia lo scorso 5 novembre,costruisce un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l’incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare la procedura delle bonifiche.

Inoltre, contiene delle norme che, modificando profondamente la disciplina riguardante la gestione dell’acqua, mirano di fatto alla privatizzazione del servizio idrico.

In particolare l’articolo 7 modifica quella parte del Testo Unico Ambientale (D. lgs 152/2006) che riguarda la gestione del servizio idrico integrato. Tre appaiono le modifche più pericolose:

  1. modifica del principio cardine su cui si basava la disciplina, ovvero passaggio da “unitarietà della gestione” a “unicità della gestione” (comma 1, lettera b) punto 3) dell’art. 7);
  2. imposizione progressiva del gestore unicoper ogni ambito territoriale che sarà scelto tra chi già gestisce il servizio per almeno il 25 % della popolazione che insiste su quel territorio (comma 1, lettera d) e lettera i) dell’art. 7), ovvero le grandi aziende e/o multiutilities;
  3. imposizione al gestore che subentra di corrispondere a quello uscente un valore di rimborsodefinito secondo i criteri stabiliti dall’AEEGSI, ciò rischia di rendere più onerosi e quindi difficoltosi i processi di ripubblicizzazione (ad es. caso di Reggio Emilia) (comma 1, lettera f) punto 2) dell’art. 7).

Anche questo provvedimento, quindi, appare ispirarsi agli stessi principi della “spending review”, ovvero individuare dei poli aggregativi nelle grandi aziende e multiutilities. Ciò si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano di privatizzazione e finanziarizzazione dell’acqua e dei beni comuni che il Governo ha poi definito compiutamente con la legge di stabilità.

  • la legge di stabilitàin cui quello che nella versione originaria era l’articolo 43 “Razionalizzazione delle società partecipate locali” da una parte limita l’affidamento “in house” (nella sua concezione comunitaria, quindi, sia ad S.p.A a totale capitale pubblico che ad aziende speciali) rendendolo oneroso per le casse degli Enti Locali e dall’altra favorisce le privatizzazioni incentivando la cessione di quote e più in generale le operaioni di fusione

Infatti, si stabilisce:

  1. l’obbligo per l’ente locale, che effettua la scelta “in house”, ad accantonare“pro quota nel primo bilancio utile” e ogni triennio una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto (comma 609, lettera a);
  2. in caso di fusioni e acquisizioni si rende possibile l’allungamento delle concessioni per il gestore subentrante, oltre a poter vedere rideterminati i criteri qualitativi di offerta del servizio (comma 609, lettera b);
  3. che i finanziamenti derivanti da risorse pubbliche debbono essere prioritariamente assegnati ai gestori privati(per esattezza quelli selezionati tramite gara) o a quelli che hanno deliberato aggregazioni societarie (comma 609, lettera c). Ovvero le risorse pubbliche devono essere date in primo luogo ai privati o a quei soggetti in via di privatizzazione.
  4. che gli enti locali possono usare fuori dai vincoli del patto di stabilità i proventi dalla dismissione delle partecipazioni(comma 609, lettera d), ma tale disposizione non si applica per spese relative ad acquisti di partecipazioni, ovvero non sarà possibile utilizzare questo incentivo per riacquisire quote da privati e quindi ripubblicizzare.

In questo nuovo scenario diversi sono i soggetti interessati a investire nei servizi pubblici locali, ma il regista sembra unico, ovvero Cassa Depositi e Prestiti, attraverso finanziamenti diretti (3 miliardi di euro già investiti nel triennio 2011–2013) o con i propri fondi equity FSI (500 milioni a disposizione per favorire le fusioni territoriali) e F21 (già attivo nei servizi idrici, nella distribuzione del gas, energie rinnovabili, rifiuti, in autostrade, aeroporti e tlc). Il tutto con interessanti joint venture con capitali stranieri, a partire dal colosso cinese State Grid Corporation of China, che, con la benedizione estiva di Renzi, ha acquisito il 35% di Cdp Reti, la società di Cassa Depositi e Prestiti, che tiene in pancia il 30% di Snam (gas) e il 29,85% di Terna (energia elettrica). Sembra evidente, dunque, come questa legge di stabilità, in maniera più esplicita del decreto “Sblocca Italia”, indichi la direzione della privatizzazione dei servizi pubblici, incentivando esplicitamente le dismissioni di quote dei comuni e favorendo economicamente i soggetti privati e i processi di aggregazione. Si arriverebbe, quindi, a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti degli Enti Locali i quali, oramai strangolati dai tagli, sarebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario, giungendo così a relegarli esclusivamente ad un ruolo di “controllo” esterno o con quote di assoluta minoranza. Il combinato disposto dei due provvedimenti costruisce, quindi, un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali – A2A, Iren, Hera e Acea – già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale. Ciò si configurerebbe come una reale regressione ai primi del novecento quando a gestire l’acqua e i servizi pubblici erano pochi monopoli privati. Nella medesima direzione vanno le norme inserite negli articoli 14 e 15 del cosiddetto disegno di legge delega Madia “Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche“, attualmente in discussione al Senato. Se approvate nell’attuale versione consegnano una delega al Governo con indicazioni precise volte al rilancio dei processi di privatizzazione. Infatti, appare sempre più evidente come l’obiettivo ultimo di tale provvedimento sia la limitazione drastica degli affidamenti diretti, quindi la possibilità di gestione pubblica dell’acqua e dei servizi essenziali, attraverso i seguenti punti:

  • il tentativo di limitare drasticamente gli affidamenti diretti (art. 15, comma 1 lettera b);
  • l’incentivo ai processi di aggregazione (art. 15, comma 1 lettera e);
  • la possibile rivisitazione al ribasso dei contratti di servizio (art. 14, comma 1 lettera l) punto 1);
  • la possibilità di commissariamento per le aziende in disavanzo che di fatto sancirebbe l’esautorazione dell’ente locale nella definizione dei piani di rientro (art. 14, comma 1 lettera h);
  • la definizione delle modalità di fallimento delle aziende pubbliche (art. 14, comma 1 lettera a).

Passo dopo passo, si torna indietro. Il Governo Renzi intende costruire la nuova Italia attraverso le vecchie privatizzazioni. Costruiamo insieme una campagna contro le privatizzazioni e i monopoli privati, per una gestione pubblica e partecipata dell’acqua e dei beni comuni».

Fonte: ilcambiamento.it

Trivelle, incenerimento senza limiti, beni comuni svenduti e cemento senza regole: lo Sblocca Italia è legge

L’ex vicepresidente della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, ha definito il decreto Sblocca Italia «eversivo». Intellettuali, politici e movimenti lo hanno definito «una minaccia per la democrazia». Il decreto è stato convertito in legge la notte del 5 novembre scorso, dopo che il Governo ha posto per due volte la fiducia. Un’imposizione che ha tutto il sapore del “regime di Stato”.italiaapezzi

«Questo provvedimento costruisce un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l’incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare le bonifiche. E rilancia con forza i processi di privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali»: sono le parole con cui il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua commenta il decreto convertito in legge. Il Forum si è mobilitato a fianco degli operai che a Bagnoli hanno protestato il 7 novembre scorso contro «un atto che smantella le garanzie per un governo democratico del territorio, promuovendo l’assalto a risorse ambientali e beni comuni». Renzi se l’è data a gambe; doveva essere a Bagnoli quel giorno ma si è ben guardato dall’affrontare la folla, che si è scontrata con le forze dell’ordine con scene cui si sperava di non dover più assistere. Il Forum lancia un suo appello: «La lotta continua sui territori con cittadini, Regioni ed enti locali per evitare la devastazione dei mari italiani, del territorio e la mercificazione dei beni comuni». «Lo Sblocca Italia è solo un ulteriore favore fatto alle lobbies – spiega il Forum – Alle lobby dei rifiuti, incrementando l’incenerimento; a quelle dell’acqua, incentivando le privatizzazioni; a quelle del cemento, deregolamentando il settore; a quelle del petrolio, favorendo nuove trivellazioni come in alta Irpinia, nel Sannio, nei golfi di Napoli e di Salerno». Domenica 9 novembre sono scesi nelle piazze d’Italia anche gli attivisti del Movimento 5 Stelle: «Con questo provvedimento – dicono – si consegneranno le nostre coste ai signori delle trivelle, che potranno senza troppi pensieri scavare la terraferma e i fondali marini per la ricerca di petrolio. Noi diciamo stop alle trivellazioni!

Il decreto Sblocca Italia in realtà è uno Sfascia Italiache non farà altro che affondare il paese, in questo caso, in un mare di petrolio. Il governo di Matteo Renzi ha deciso di tendere una mano alle compagnie petrolifere. A tutti i progetti di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi in terraferma ed in mare, si vuole attribuire carattere di interesse strategico e di pubblica utilità, finanche a considerarli urgenti e indifferibili. Si cancella così, con un colpo di mano, la competenza autorizzativa che la nostra Costituzione riserva alle Regioni». Un’analisi puntuale del provvedimento la si trova nell’e-book di Altreconomia, che potete scaricare cliccando qui: “Rottama Italia”. Emerge chiaramente come il decreto incentivi e finanzi la realizzazione di infrastrutture pesanti (autostradali ma anche energetiche), porti all’estremo la deregulation in materia edilizia, fomenti la privatizzazione dei beni demaniali, scommetta sui combustibili fossili, affossi i meccanismi di controllo istituiti dallo Stato nell’interesse pubblico. Massimo Bray, già ministro dei Beni culturali del governo Letta e oggi parlamentare del Pd, afferma: «Siamo di fronte all’ennesimo intervento emergenziale, derogatorio ed eterogeneo con cui si bypassa il dibattito parlamentare». E parla di una «erosione delle competenze parlamentari», e di un governo come «dominus incontrastato della produzione normativa». Nel suo intervento nell’e-book Salvatore Settis, archeologo e già direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, spiega in che modo lo Sblocca-Italia introduca un meccanismo radicale, «sperimentandolo (per cominciare) con la costruzione di nuove linee ferroviarie: l’Ad delle Ferrovie è Commissario straordinario unico e ogni eventuale dissenso di una Soprintendenza può essere espresso solo aggiungendo ‘specifiche indicazioni necessarie ai fini dell’assenso’», affermando «così implicitamente che qualsiasi progetto, pur con qualche aggiustamento, deve sempre e comunque passare». Alle Regioni, inoltre, è negata la possibilità di effettuare le procedure di Valutazione d’impatto ambientale (Via)per le «istanze di ricerca, permessi di ricerca e concessioni di coltivazione [di idrocarburi]», la cui competenza passa al ministero dell’Ambiente. «L’obiettivo è snellire il tempo delle autorizzazioni ed evitare impedimenti dai territori» scrive Pietro Dommarco, richiamando anche l’incostituzionalità delle “pacchetto energetico” dello Sblocca-Italia, che estromette gli enti locali dai processi decisionali. Dice Tomaso Montanari, storico dell’arte dell’Università di Napoli e curatore del volume: «Vogliamo un Paese che sappia distinguere tra cemento e futuro. E scelga il futuro». Mai come ora, dunque, è l’ora della mobilitazione; i cittadini possono organizzarsi, protestare, fare sentire a loro voce, la loro presenza, la loro indignazione. E’ il momento di schierarsi.

Fonte: ilcambiamento.it

Paolo Cacciari e la decrescita: occorre un cambiamento radicale

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Il secondo viaggio nell’Italia che Cambia è iniziato da pochi giorni quando io e Andrea facciamo tappa a Mestre per presentare il nostro progetto. Siamo stati invitati da Paolo Cacciari, giornalista, scrittore ed esponente del pensiero della Decrescita. Lo intervistiamo dopo la conferenza al “Plip”, il locale che ci ha ospitato e che mentre parliamo si trasforma da pratica sala conferenze in accogliente ristorante. Il video che vi proponiamo ben riassume quanto emerso dalla conversazione con Cacciari: la consapevolezza della drammatica crisi sistemica che stiamo vivendo; la speranza che se ne esca costruendo un nuovo modo, cambiando paradigma e gettando le basi per una società diversa e migliore; la concezione della decrescita come scelta e non come imposizione, una scelta che può essere fatta da esseri umani liberi e non da persone soggiogate da crisi e debiti; la fiducia nella teoria dei beni comuni che stanno sviluppando, tra gli altri, Paolo Maddalena e Ugo Mattei e che porterebbe ad una riforma della Costituzione che vada a trasformare ed innovare alla radice il nostro Paese. Pensieri e parole mai banali che vanno ascoltati ed interiorizzati.

 

Buona visione!

Fonte: italiachecambia.org

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Marco Bersani, dai movimenti per l’acqua alla riscoperta dei beni comuni

Dopo il referendum sull’acqua pubblica il concetto di “bene comune” ha cominciato a pervadere la comunicazione, superando la favola che ci è stata raccontata per anni del “privato è bello”. Così Marco Bersani di Attac Italia ha spiegato uno dei cambiamenti culturali fondamentali introdotto dai movimenti per l’acqua.

Attac fa parte di una rete internazionale, nata in Italia nel 2000, e composta da attivisti ben formati e informati. Una delle prime iniziative per cui si era mobilitata è stata la realizzazione di una legge di iniziativa popolare sulla tassazione delle transazioni finanziarie. Dopo aver raccolto oltre 200 mila firme la proposta è arrivata in parlamento diventando, molto tempo dopo, qualcosa di estremamente diverso dal progetto iniziale.acqua_pubblica_forum2

Il principio di base da cui parte Attac è la consapevolezza che i poteri forti stanno “finanziarizzando” tutto, inglobando non solo i mercati ma la vita stessa delle persone. Il punto di partenza doveva essere dunque quello di sottrarre i beni comuni da questo processo onnivoro e l’acqua era uno di quei beni. “La nostra forza”, spiega Bersani, “è stata quella di riuscire a parlare con l’intera società, facendo sentire tutti coinvolti”. Dall’esperienza dei movimenti per l’acqua Bersani ha imparato che il “fare rete” è fondamentale ma difficile, per questo non bisogna mai dare nulla per scontato. Una strategia per unire i movimenti senza il rischio che uno fagociti l’altro, è quella di trovare gli elementi comuni all’interno di ogni singola vertenza per rafforzare la battaglia di ogni movimento. Dopo la vittoria del referendum e l’affermazione del concetto di bene comune, “i poteri forti hanno imposto il paradigma che il nostro unico problema è il debito e che non ci sono i soldi”, a questo Bersani e gli attivisti di Attac rispondono che se la crisi è di tutti i cittadini allora tutti devono partecipare alla discussione sulle soluzioni per uscirne. Allo stesso modo, se il debito è pubblico i cittadini devono avere la possibilità di accedere ai documenti necessari per capire in cosa consiste il debito e chi lo ha creato. Parlando, ad esempio, dei costi lievitati per la costruzione della Metro C a Roma, ognuno dovrebbe essere messo nelle condizioni di capire perché un chilometro di metro nella nostra capitale costa circa ventitré volte di più della costruzione di un chilometro di metro ad Amburgo. La consapevolezza degli individui è insomma un aspetto fondamentale per restituire nelle mani dei singoli la capacità di azione che trent’anni di deleghe ai poteri forti hanno atrofizzato.bersani

“Dobbiamo riappropriarci degli spazi della democrazia”, aggiunge Bersani, “per affermare il paradigma che si esce dalla crisi in un modo diverso da quello imposto dalla finanza”. Parla di un’economia solidale e di una riconversione ecologica che abbia alla base una pianificazione condivisa dei processi necessari per scardinare il modello liberista. “Porto l’esempio della Fiat: perché restare attaccati al dogma che l’azienda debba produrre solo veicoli privati” – si chiede – “quando potrebbe produrne per la mobilità pubblica?”.  È chiaro che si tratta di un processo lungo, ammette Bersani, come un’erosione carsica che alla fine porta al successo cui hanno condotto i movimenti per l’acqua. “Uno degli elementi che ci ha imposto il modello liberista”, continua, “è l’attenzione al prodotto piuttosto che al processo, ma a mio avviso è proprio il processo il momento fondamentale su cui concentrare l’attenzione.” Il risultato straordinario raggiunto durante la campagna referendaria è stato infatti quello di ottenere il coinvolgimento e l’interessamento di una fetta di popolazione normalmente esclusa o disinteressata. Fa sorridere e riflettere il racconto di Bersani, quando parla della mail di un’anziana signora di 86 anni, chiusa in una casa di riposo, che ai tempi della campagna aveva scritto una mail agli attivisti per esprimere la sua vicinanza a loro e alla causa dell’acqua bene comune.jpg_azione3web

La totale inadempienza ai risultati plebiscitari del referendum è stata l’ennesima riprova della perdita di democrazia nel paese. La strada per riconquistarla inizia dalla riappropriazione degli spazi e da un forte radicamento locale, per questo è necessario ripartire dalle realtà che operano sul territorio. Indebolire e gradualmente far sparire gli enti locali è un modo per indebolire la democrazia diretta: se il potere viene centralizzato e allontanato è più facile che subentri la rassegnazione nel cittadino. “Credo che gli attivisti debbano muoversi secondo il principio di una lenta impazienza, cioè l’impazienza come consapevolezza dell’inaccettabilità dello stato attuale delle cose, ma rimanendo coscienti della lentezza dei tempi necessari per il cambiamento.”

Elena Risi

Fonte: italiachecambia.org

Municipio dei Beni Comuni, il sindaco di Messina scrive al sindaco di Pisa

Il sindaco di Messina Renato Accorinti scrive una lettera al sindaco di Pisa Marco Filippeschi in merito all’esperienza di liberazione di spazi comuni denominata “Municipio dei Beni Comuni”, ora conclusasi per la decisione del Tribunale di Pisa che ha predisposto il sequestro dell’ex-colorificio toscano.ex_colorificio_pisa

Egregio Sig. Sindaco di Pisa, spero di avere presto l’occasione, in un periodo così difficile per il nostro Paese, di venire in Toscana per incontrarla e conoscerla personalmente: da tempo le nostre due città sono unite da un prezioso vincolo umano, offerto dalla folta comunità di messinesi – studenti, lavoratori, intellettuali – che ha abitato e abita tutt’ora tra i bei lungarni della città da lei amministrata

Mai come oggi credo sia davvero necessario che gli amministratori degli Enti locali interloquiscano e discutano, anche al di là degli steccati politici, dei problemi che la crisi economica sta creando ai nostri Comuni, così come delle risorse di democrazia e di impegno che è possibile attivare per creare nuovi circuiti di partecipazione. Ed è con questo spirito di profondo servizio verso una idea di democrazia davvero condivisa e verso una idea di giustizia sociale che con sempre più difficoltà riusciamo a vedere realizzata nelle nostre città, che ho abbracciato da qualche mese la difficilissima “professione” di sindaco di Messina. L’occasione di scriverle mi è data, purtroppo, dalla cattiva notizia ricevuta in queste ore, con la sentenza del Tribunale di Pisa con cui si predispone il sequestro immediatamente esecutivo del cosiddetto “ex-Colorificio” e la conclusione impietosa di quella straordinaria esperienza dei “beni comuni” denominata appunto“Municipio dei Beni Comuni di Pisa”. Seguo da tempo, e con grande interesse, le esperienze di pratica dei “beni comuni” che sono sorte negli ultimi tempi in Italia e nella Sua città in modo particolare: a mio avviso, e so di condividere in questo l’opinione di illustri giuristi quali Ugo Mattei, Paolo Maddalena e Stefano Rodotà, così come di un intellettuale di primo piano quale Salvatore Settis, e, più di recente, dello stesso Consiglio d’Europa, la capacità di gestione e di innovazione sociale, politica, ma anche economica, prodotta dal “Teatro Rossi Aperto” e, appunto, dal “Municipio dei Beni Comuni” costituisce un faro luminoso nel difficile percorso di creazione di una “terza via” tra privato e pubblico, così necessaria oggi alla società italiana e alle nostre città.no_sgombero_ex_colorificio

Da Pisa a Messina, da Roma a Napoli, a Venezia, interi spazi abbandonati da Enti Pubblici o da privati senza scrupoli sono stati recuperati e aperti nuovamente alle nostre comunità urbane dalla libera iniziativa e da settori di cittadinanza attiva: creando centri di aggregazione e di socialità laddove vigeva la sporcizia e l’indifferenza, i cittadini hanno riscoperto modi nuovi di stare insieme e di riscoprire il gusto di una democrazia non semplicemente formale, ma davvero concreta, partecipata. Conosco fin troppo bene le difficoltà che una Amministrazione pubblica ha oggi di fronte alle sperimentazioni di nuove pratiche di diritto, in special modo di quelle che toccano l’inviolabilità delle proprietà. È però anche vero che la nostra Costituzione dà a noi amministratori non soltanto un compito di semplice gestione contabile dell’esistente, ma di vera e propria direzione politica: e i“beni comuni” costituiscono oggi, da questo punto di vista, un terreno inaggirabile per chi, come noi, ha intenzione di rendere più ampie le maglie delle nostre democrazie locali, nel solco tracciato dai Padri Costituenti e dal sangue dei partigiani. Per troppo tempo, è venuta a mancare la percezione di quella utilità sociale della proprietà privata sancita dalla Costituzione: ecco, è di questa utilità che noi sindaci dobbiamo farci interpreti e garanti. Con la presente, intendo pertanto esprimerle, a nome mio e di tutta la Giunta della Città che mi onoro di rappresentare, Messina, il più profondo rammarico per la decisione con la quale il Tribunale di Pisa sottrae alla città di Pisa uno dei suoi “beni comuni”: col rispetto dovuto alle sentenze, mi auguro che si possa trovare una rapida soluzione per la continuazione di una esperienza di democrazia che tanto ha insegnato e tanto ha certo ancora da insegnare a tutti noi. Quando si spegne un fuoco di democrazia in una città non è solo quel fuoco a spegnersi, ma è l’intera città a essere un po’ meno luminosa: Pisa, con le sue esperienze di “beni comuni”, ha illuminato un po’ tutta l’Italia, ed è tutta l’Italia, l’Italia migliore, che oggi è vicina a lei e a tutta la tua città di Pisa. Per tornare a condividere, ancora, di nuovo, lo splendido percorso che Pisa, con il “Municipio dei Beni Comuni” e il “Teatro Rossi Aperto”, sta indicando a tutti noi.

Con i più cordiali saluti

(*) Renato Accorinti

(Sindaco di Messina)

Fonte: il cambiamento