Orizzontale: gli architetti che rigenerano lo spazio pubblico e creano comunità.

La rigenerazione urbana degli spazi pubblici è un processo che si costruisce insieme, con la sperimentazione sul campo e la partecipazione attiva degli abitanti. È questa la filosofia che guida il lavoro di Orizzontale, collettivo di architetti che a Roma porta avanti progetti innovativi di riqualificazione cittadina che mettono al centro la condivisione e le relazioni umane, grazie anche all’utilizzo di laboratori di autocostruzione e di partecipazione attiva. Quella che vi raccontiamo oggi è la storia di Orizzontale, collettivo (pluripremiato) di architetti nato a Roma nel 2010 e che ha fatto dell’architettura, e della progettazione partecipata sul campo, strumenti di indagine transdisciplinare che accorciano le distanze tra il professionista (l’architetto) e le persone che vivono la città e i luoghi. Transdisciplinare perché gli interventi di Orizzontale non si limitano alla progettazione architettonica: l’essenza del collettivo è la collaborazione con altre realtà lavorative e professionali, come ad esempio artisti, comunicatori, fotografi, sociologi e psicologi, allo scopo di riattivare gli spazi comuni e contribuire a processi di rigenerazione urbana che mettano al centro l’abitante dei luoghi.

Il team di Orizzontale

Insieme a Marika Moscatelli, mia carissima amica romana architetto (e molto più ferrata di me su questi temi), li abbiamo incontrati nella loro sede al Quartiere Pigneto, che è anche la zona dove hanno mosso i loro primi passi ancora studenti, attraverso i primi progetti sperimentali di architettura temporanea sul territorio. Il collettivo (ricordiamo i nomi: Jacopo Ammendola, Juan Lopez Cano, Giuseppe Grant, Margherita Manfra, Nasrin Mohiti Asli, Roberto Pantaleoni, Stefano Ragazzo) sin dai tempi dell’Università è accomunato da alcuni principi che qui proveremo a tracciare. Per cominciare la progettazione degli spazi pubblici, vero centro d’interesse e motore conoscitivo di Orizzontale, non può essere calata dall’alto ma deve trasformarsi in un processo condiviso, in cui coinvolgere direttamente e pro-attivamente i cittadini che vivono quei luoghi, per riavvicinarli ad essi. Lo riassume bene Margherita Manfra: «Il tema centrale per noi è trovare nuovi modi di abitare lo spazio pubblico e nuovi sistemi di collaborazione, per cercare di ricreare legami di comunità e reinventare delle modalità nuove per stare insieme negli spazi collettivi, accorciando le distanze tra il professionista e i cittadini che vivono lo spazio». Come si fa? Ce lo spiegano nel video che racconta la loro storia.

L’aiuto più importante lo fornisce l’architettura temporanea, lo strumento di indagine e di azione utilizzato nei vari progetti di Orizzontale: all’interno di un determinato spazio pubblico, che può essere una piazza o qualsiasi altro luogo, si testano insieme alle persone coinvolte i possibili usi e destinazioni future dell’ambiente, costruendo insieme oggetti, opere o costruzioni appunto temporanee o non per forza definitive, che si adattano di volta in volta alle esigenze di chi abita il luogo. «L’uso temporaneo ci aiuta a capire come le persone faranno uso di una piazza, ad esempio – ci spiega Margherita – e di conseguenza se questa piazza può avere un indirizzo di ulteriore funzionalizzazione, lo facciamo con una sperimentazione sul campo. La partecipazione significa abitare questo spazio per vedere che tipo di utilizzo dargli».

Se ci si pensa bene, è una forma di progettazione che ribalta i canoni tradizionali cui siamo abituati: con Orizzontale la progettazione di uno spazio non viene calata dall’alto, all’insaputa di chi poi vive quel luogo, ma diventa un vero e proprio bene comune da sperimentare e costruire insieme. «Le architetture leggere ci permettono così di rispondere in maniera anche repentina a dei cambiamenti durante il processo realizzativo dell’opera – spiega Roberto Pantaleoni – ma soprattutto vogliono sperimentare possibili usi dei luoghi in cui interveniamo, in modo tale da poter programmare anche modificabilità future del progetto».

La dinamica di coinvolgimento dei cittadini ricalca modalità che abbiamo spesso visto in giro per l’Italia documentando diversi progetti innovativi e originali: una forma di diffidenza iniziale «che quasi sempre si trasforma in grande entusiasmo quando si cominciano a vedere i primi risultati. Le persone che inizialmente dubitavano del progetto le ritrovi a darti una mano, anche solo nel portarti una merenda o in altre dinamiche umane di relazione diretta con le persone che poi abitano i luoghi dove vai ad intervenire. Che sono la committenza reale a cui ci ispiriamo».

I laboratori e l’autocostruzione

Già, ma come si coinvolgono le persone in questo processo? Uno degli strumenti sono i laboratori di autocostruzione, parte integrante dei vari interventi di Orizzontale. Le persone partecipano all’idea, ma ci mettono anche la faccia e le mani lavorando attivamente alla costruzione dei luoghi.

«Noi solitamente differenziamo i cantieri di costruzione in due differenti modalità – ci spiega Giuseppe Grant – che chiamo “Cantiere di Costruzione” e “Cantiere Didattico di Costruzione”. Solitamente nel primo tipo di cantiere sono richieste competenze più approfondite rispetto al materiale o agli attrezzi che usiamo, mentre nei Cantieri Didattici prevediamo una maggiore sperimentalità».

Allo scopo di avvicinare le persone alla costruzione, che nel caso di Orizzontale si attua soprattutto grazie al legno, Orizzontale organizza dei corsi di formazione che prevedono un graduale inserimento all’utilizzo degli attrezzi, per portare poi tutti i partecipanti, alla fine del laboratorio, a possedere una minima competenza di utilizzo di tutte le attrezzature. «Per noi questa modalità di collaborazione diventa anche lo strumento per apprendere più che per insegnare – ci racconta Roberto Pantaleoni – dato che in alcuni progetti ci è capitato di collaborare con alcuni cittadini che avevano delle professionalità specifiche nella costruzione, da cui abbiamo imparato molto».

Gli scarti

Elemento fondamentale dell’esperienza di Orizzontale è anche il rapporto con lo scarto, non solo materiale e urbano ma anche legato all’immaginario. Sin dall’inizio della sperimentazione del collettivo, i luoghi spesso dimenticati dalle grandi trasformazioni e dalle pianificazioni centralizzate («non dimentichiamoci che noi siamo cresciuti umanamente e professionalmente durante gli anni dell’edificazione di giganteschi centri commerciali e di quartieri ad essi collegati», ci ricorda Roberto), i “rifiuti urbani” rappresentati da spazi residuali mai utilizzati, sono il cuore dei vari interventi.

«Il tema del rifiuto ce lo portiamo dentro fin dai nostri esordi – ci spiega Giuseppe Grant – Abbiamo fatto confluire le risorse che la città ci dava, in termini di residui e di scarti. Queste risorse sono diventate fondamentali per impostare il nostro lavoro, che poi si basa principalmente sul dare una risposta architettonica che partiva da pratiche più vicine alla performance, all’arte pubblica, con piccoli interventi di natura temporanea che però ci permettevano di mettere in sinergia queste risorse che la città ci dava in termini di scarti materiali, materiali di riciclo, spazi abbandonati, usi dimenticati della città. Tutto questo ci ha dato la possibilità di reinterpretare il luogo che abitiamo, sia come abitanti che come professionisti».

Concludo questo articolo con il suggerimento di guardare con i vostri occhi alcuni dei lavori di Orizzontale, che vengono mostrati anche nel video e che ben condensano la visione che guida questo progetto.

Iceberg

L’Argo – Perestrello 4.0

Costruire Largo Milano, all’interno del Progetto ZAC

Per ascoltare l’intervista integrale clicca qui.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/10/orizzontale-architetti-rigenerano-spazio-pubblico-creano-comunita-io-faccio-cosi-304/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Celacanto Bene Comune: la rigenerazione dei luoghi che crea una nuova comunità.

Dal recupero partecipato e sostenibile di una vecchia casa cantoniera di Tricase, in Puglia, ha preso vita il Celacanto Bene Comune, un laboratorio permanente di cittadinanza attiva gestito dall’associazione Coppula Tisa, da anni impegnata nel contrasto all’abbandono e per la cura del territorio. Insieme a Carla Quaranta e Geremia de Giuseppe, co-ideatori del progetto, vi raccontiamo la storia di questo luogo di aggregazione e officina di creatività e formazione. Per raccontarvi la storia di oggi vorremmo partire dal termine abbandonare, che tra le varie interpretazioni deriva dal francese antico abandonner, che starebbe a significare ‘lasciare del tutto libero’. A primo impatto la matrice del termine è solo positiva, se scendiamo nel dettaglio sappiamo che l’abbandono porta con sé conseguenze disastrose. Il termine Cura invece, come ci ricorda Don Franco Barbero, “nella sua forma più antica in latino si scriveva coera ed era usata in un contesto di relazioni di amore e di amicizia”.
Aggiungiamo altri spunti: abisso e luce. Sono due termini che si collegano al Celacanto, un pesce primordiale che è considerato una sorta di fossile vivente delle profondità marine ma che, allo stesso tempo, per alcuni ricercatori sarebbe una sorta di anello di congiunzione tra gli esseri marini e quelli umani, essendo dotato di pinne pettorali molto somiglianti, come funzionalità, a quelle di un polso umano. Celacanto Bene Comune è anche il nome di uno spazio, sede dell’Associazione Coppula Tisa di cui vi abbiamo già raccontato la storia, che la sua co-ideatrice Carla Quaranta definisce “un laboratorio permanente di cittadinanza attiva” e che rappresenta una storia che contiene molti dei punti di riferimento a cui si ispira Italia che Cambia.

Si trova a Marina Serra, nel comune di Tricase in provincia di Lecce, a ridosso del mare, ed è una ex casa cantoniera successivamente abbandonata e rimasta nel degrado e fino al 2002. «Quando, insieme ai volontari dell’Associazione Coppula Tisa, ci siamo accorti di questo spazio, fuori c’era l’erba alta oltre due metri» puntualizza Geremia de Giuseppe (che tutti chiamano Geri), anche lui co-ideatore del Celacanto Bene Comune. «Gradualmente abbiamo ripulito e sistemato l’area, abbiamo chiesto alla Provincia di Lecce di poterla utilizzare e l’abbiamo completamente recuperata, anche grazie alla partecipazione ad un bando,  provvedendo anche al suo accatastamento».
Dall’abbandono alla cura, dagli abissi alla luce appunto. Si è trattato di un’operazione di rigenerazione urbana partecipata a tutti gli effetti. Una volta vinto il bando, il Celacanto come primo gesto ha cominciato ad ospitare delle persone, provenienti da realtà amiche del territorio e non solo, per arredare e abbellire lo spazio. «Per realizzare il progetto di valorizzazione di questo immobile – puntualizza Geri – abbiamo proposto una serie di attività di residenza e laboratoriali, dedicati soprattutto al riuso del legno. Abbiamo così ospitato dei ragazzi che hanno vissuto qui insieme e hanno progettato gli elementi di arredo».
La valorizzazione del luogo dimostra così l’anima e il motivo che ha spinto Coppula Tisa a creare il Celacanto: «Non è solo la nostra sede, ma un laboratorio di costruzione della comunità e di iniziative collettive che pone le sue basi sul valore dell’ospitalità» spiega Carla Quaranta. L’iniziativa principale per rendere il Celacanto il laboratorio partecipato che è diventato è la Gallery della Cittadinanza Attiva: si tratta di una sorta di contenitore di iniziative che hanno caratterizzato la nascita del Celacanto e che proseguono ancora oggi.

«È una galleria di esperienze e di buone pratiche che le associazioni del territorio rappresentano principalmente ai ragazzi delle scuole, prossimi alla maggiore età, ma anche direttamente alla cittadinanza con un incontro finale organizzato apposta – ci spiega Geri – Si tratta di un processo partecipativo, all’interno del quale noi vogliamo osservare le dinamiche che si innescano intorno alla tematica territorio-ambiente, insieme a dieci partner, che sono Associazioni del territorio, ognuno dei quali ha selezionato una tematica del loro ambito di interesse. Successivamente noi ospitiamo i ragazzi qui al Celacanto la mattina, le associazioni fanno il racconto delle loro esperienze, raccontando direttamente ai ragazzi la loro attività sul territorio.  I ragazzi sono molto interessati nell’ascoltare questo racconto, costruito in maniera assolutamente informale. La Gallery si completa con un incontro tematico insieme alla comunità, per ragionare sulla tematica scelta dalle associazioni partner di concerto con noi». Una sorta di casa comune per le associazioni del territorio, che possono così confrontarsi su diverse tematiche e concordare azioni comuni da intraprendere insieme; anche noi di Italia che Cambia, ospiti del Celacanto a Dicembre 2019, abbiamo avuto il piacere di partecipare ad una tappa della Gallery, insieme a Daniela Palma e Luciana Lettere di Map For Walking e a Clean Up Tricase, che potete vedere in questo video. Altre iniziative che vanno nella direzione della costruzione di un laboratorio partecipato sono quelle della Ciclososta insieme alla realtà Salento Bici Tour, dell’Accoglienza e quella del riciclo creativo.

Le aree di interesse del Celacanto non si fermano però solo alla problematiche legate ai rifiuti, all’ambiente e alla cura dei luoghi, ma spaziano anche vero l’agricoltura naturale e la tematica del cibo. Da poco tempo, superata l’emergenza sanitaria da Covid-19, sono ripresi I Mercatini al Celacanto: una volta a settimana viene organizzato al Celacanto un mercatino a chilometro zero, con alcuni dei produttori che fanno parte della rete “Salento km0”.
«Questo territorio sta vivendo due fenomeni apparentemente in contrasto tra loro: un ritorno dei giovani alla terra e una forte emigrazione  verso l’estero – spiega Carla – Noi, grazie a queste organizzazioni di microeconomia e di economia circolare, cerchiamo di valorizzare il ritorno dei ragazzi e di combattere l’abbandono della nostra terra. L’unico modo per tutelare il territorio è sottrarlo all’abbandono. Il ritorno ad un’idea di agricoltura sostenibile è il miglior antidoto per i fenomeni che abbiamo denunciato come associazione Coppula Tisa nel corso di questi anni. Il mercatino è una delle riposte ideali, una politica di prevenzione rispetto all’abbandono, che sia di rifiuti o che sia collegato allo spopolamento».
Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/celacanto-bene-comune-rigenerazione-luoghi-crea-nuova-comunita-io-faccio-cosi-293/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Clean Up Italia: la rete dei cittadini che ci liberano dai rifiuti abbandonati

Clean Up Italia è una rete informale comprendente circa sessanta associazioni in Italia, composte da quei gruppi di persone che si prodigano attivamente per la rimozione di rifiuti abbandonati nell’ambiente. Gabriele Vetruccio ne è uno dei fondatori, insieme a Gianluca Parodi. In questo articolo e nel video al suo interno, ci spiega le caratteristiche di questa rete e l’esperienza di Clean Up Tricase, il gruppo pugliese di cui Gabriele fa parte. Ha un sapore beffardo, in queste ore, scrivere questo articolo e montare il video che vedrete qui sotto. Per raggiungere Tricase, comune salentino situato nel Capo di Leuca, abbiamo fatto un viaggio molto lungo da Roma: in queste ore di quarantena forzata rimpiango (fortemente!) questi momenti che abbiamo vissuto. È stato un lungo viaggio, ma ripagato completamente dalla scoperta di un gruppo di persone splendide: quello di Clean Up Tricase e la realtà che ci ospita, lo spazio “Celacanto Bene Comune” del quale vi racconteremo nelle prossime settimane. Il motore di questo incontro è stato Gabriele Vetruccio, che oltre a essere il Presidente di Clean Up Tricase è il co-fondatore, insieme a Gianluca Parodi, della rete nazionale Clean Up Italia.

«Io ho un’abitudine – ci racconta Gabriele – che è quella di fare il bagno al mare tutto l’anno. Ogni volta che andavo, raccoglievo ogni giorno la stessa quantità di rifiuti. Tramite un post Facebook, proposi un incontro pubblico nella quale parteciparono i primi membri della rete di Clean Up Tricase. Probabilmente questo stesso bisogno credo sia alla base della creazione delle altre realtà territoriali, così come le differenti problematiche legate al tema dei rifiuti nei diversi territori italiani».

Gabriele ci introduce così alla scoperta di Clean Up Italia, una rete informale e virtuale che si prefigge di accogliere al suo interno tutti quei gruppi di persone che si prodigano attivamente per la rimozione di rifiuti abbandonati nell’ambiente. Provenienti da diverse parti d’Italia, le circa sessanta associazioni attive nella rete, tramite una pagina Facebook e un gruppo Whatsapp, si scambiano così informazioni, conoscenze ed esperienze e si attivano con i propri membri per ripulire i luoghi invasi dai rifiuti, per valorizzare alcune aree delle città e dei paesi abbandonate al degrado e soprattutto per sensibilizzare i cittadini ad agire piuttosto che a subire questa pratica criminale nei territori.

«Anziché cercare di trovare scusanti, abbiamo deciso di passare all’azione e Clean Up Italia è il contenitore di tutte queste realtà che hanno in comune questa visione», ci spiega Gabriele. «L’obiettivo è unire le forze, mantenendo ognuno la propria indipendenza organizzativa, per essere più incisivi anche a livello nazionale riguardo le possibili soluzioni dal basso per risolvere il problema dei rifiuti abbandonati».

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Le linee guida: spinta dal basso e Bene Comune

A Tricase ci accoglie e conosciamo una parte attiva degli oltre cento iscritti alla rete Clean up locale. Una parte di attivisti del gruppo, solitamente ogni due domeniche del mese, si riunisce per andare a pulire un’area, precedentemente individuata, dove ci sono dei rifiuti abbandonati. Oppure per riqualificare una parte del paese che versa in stato di malora. Inoltre, Clean Up Tricase incontra le scuole e la cittadinanza per sensibilizzare costantemente su questo tema.

L’intervento di pulizia, solitamente, viene comunicato anticipatamente all’amministrazione comunale, ma Gabriele ci tiene a specificare un messaggio che è molto importante anche per la rete nazionale: «Non ci interessa sopperire ad una mancanza di tipo amministrativo: anche quando ci arrivano delle segnalazioni da parte dei cittadini riguardo probabili interventi da effettuare, noi solitamente rispondiamo loro di creare un gruppo, che si prende poi la responsabilità di intervenire in prima persona. Noi forniamo tutto l’aiuto di cui la nostra rete è capace: l’obiettivo è che l’iniziativa porti alla responsabilità delle persone, non che si deleghi tutto a noi per poi non agire».

Questo perché uno degli obiettivi principali di ogni gruppo che fa parte della rete di Clean Up è quello di educare le persone alla scoperta del valore del Bene Comune: «Il fatto che solitamente si pulisca fino alla soglia della propria casa, disinteressandosi della strada antistante, significa che non abbiamo ben chiaro il concetto di Bene Comune. La strada è di tutti noi, quello che ci circonda è di tutti, è nostro dovere lasciare pulito». Il gruppo di Clean up Tricase è oggi un gruppo molto variegato, sia in termini di età (si va dai venti ai settantacinque anni) che in termini di status sociale.

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«L’obiettivo, oltre all’espansione della nostra rete al quale stiamo lavorando costantemente, è quello di far capire alle persone che, oltre all’Istituzione, non esiste solo la lamentela ma anche la possibilità di cambiare le cose, impegnandosi con responsabilità in prima persona per risolvere i drammi legati all’abbandono dei rifiuti. Bisogna recuperare la cultura della Bellezza e, se ci focalizziamo solamente sulla paralisi che a volte sembrano dimostrare le amministrazioni in alcune aree delle nostre città, viene meno il nostro ruolo di cittadinanza attiva e, peggio ancora, il problema rimane. È un nostro punto fisso: la promozione delle attività di rimozione rifiuti dei singoli gruppi, al fine di stimolare la partecipazione locale delle rispettive iniziative».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/04/clean-up-italia-rete-cittadini-ci-liberano-dai-rifiuti-abbandonati-io-faccio-cosi-286/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Una valle in azione per il suo bene comune

Basta delegare: la responsabilità è di tutti e di ciascuno e per attuare un concreto cambiamento è necessario che ognuno agisca in prima persona perseguendo il bene comune e partendo dal proprio territorio. È da questo presupposto che nasce l’associazione Progetto Valtiberina che dal 2015 promuove iniziative concrete utili ai cittadini e allo sviluppo qualitativo di questa valle tra Toscana e Umbria. Cittadinanza attiva, partecipazione, processo dal basso, concretezza, organizzazione, ispirazione alle buone pratiche, animazione territoriale, passione, responsabilità. Sono tanti gli ingredienti che rendono Progetto Valtiberina  un esempio del cambiamento positivo in atto nei territori del nostro Paese. In questa valle, territorio unito dalla conformazione geografica, da tradizioni e sentire comune dei suoi abitanti, ma diviso tra Toscana e Umbria, a fine 2015 è nata l’associazione Progetto Valtiberina che ha preso vita da un’idea di tre amici con vite e competenze diverse ma uniti dalla necessità di fare qualcosa, dalla comprensione che non si potesse solo lamentarsi e delegare l’intervento sul territorio.

“Non può esistere una comunità se non c’è una cittadinanza che si fa carico di intraprendere delle azioni”, afferma il presidente dell’associazione Massimo Mercati, che incontriamo a Sansepolcro durante il Festival dei Cammini di Francesco, uno degli eventi pubblici più importanti e partecipati promosso dall’associazione. 

“Prima di tutto – prosegue Mercati – è stato importante dare un significato, perché nessuna rete può esistere se non all’interno di una dimensione di significato chiara”. Un significato che l’associazione ha trovato, ampliando il confronto ad un primo gruppo di persone interessate, nel concetto di crescita qualitativa, che sia al contempo economicamente valida, ecologicamente sostenibile e socialmente equa. Tre livelli che possono apparire in contrapposizione ma che invece possono autoalimentarsi. 

“Per fare tutto questo è necessario creare una rete che venga spinta e sostenuta dai cittadini stessi e che sia concreta, che si sviluppi cioè in progetti concreti. Da qui il nome Progetto Valtiberina. Durante il primo evento che abbiamo organizzato, dal titolo ‘Economia Politica’, Stefano Zamagni ci introdusse a questo concetto fondamentale di sussidiarietà circolare: ci ha detto in qualche modo perché eravamo nati”.

L’obiettivo è quindi quello di identificare dei valori condivisi che possano orientare concretamente lo sviluppo della valle all’insegna del bene comune, principi chiave per i quali battersi, superando anche la dicotomia tra pubblico e privato.

Oggi sono circa 150 gli iscritti all’associazione, un soggetto aggregatore che cerca di analizzare i problemi, filtrare le informazioni e promuovere progetti concreti nel segno di un orientamento chiaro e senza compromessi, in nome della responsabilità di tutti e di ciascuno. Una realtà che sviluppa progetti che vengono dai bisogni dei cittadini/soci, dall’analisi delle problematiche. Uno strumento partecipativo che rende l’associazione una sorta di ponte e stimolo verso le istituzioni, capace di fare sintesi e arrivare alla realizzazione di progetti concreti utili ai cittadini e allo sviluppo qualitativo del territorio

“Questo comporta anche un coinvolgimento degli enti, delle istituzioni, delle imprese. A volte totalmente collaborativo, a volte invece ci sono posizioni diverse. Vogliamo che il nostro agire non sia neutro ma che vada in una direzione ben chiara”.

Per realizzare tutto questo l’associazione si è data organizzata in gruppi di lavoro, tavoli di approfondimento tematici: dall’agricoltura alla scuola, dallo sviluppo della città a quello economico, dal turismo allo sport. Chi si avvicina all’associazione aderisce alla sua ricca e chiara carta dei valori, individua l’area tematica che più gli interessa, quella su cui vorrebbe dare il proprio contributo e si inserisce nel gruppo di lavoro. “Ognuno dei tavoli propone dei progetti, i responsabili devono stendere un budget, il comitato li approva e poi si procede alla realizzazione”.

L’approfondimento delle tematiche avviene attraverso l’apporto volontario personale e di competenze dei partecipanti ai tavoli e attraverso il coinvolgimento di esperti di settore di livello nazionale e internazionale, promuovendo convegni di approfondimento e dibattito pubblico. Spesso incontri e spettacoli sono l’ispirazione dei progetti dell’associazione: “Ogni evento è legato a delle azioni. Dall’incontro con Fritjof Capra e Luca Mercalli su agricoltura e cambiamento climatico, è poi partita un’azione che ha portato all’approvazione a Sansepolcro e in altri comuni di un nuovo regolamento sull’utilizzo dei fitofarmaci”. Un altro progetto in cui si è impegnata l’associazione relativo alla prevenzione sismica è divenuto una best pratice a livello nazionale, dimostrazione che dai territori si può stimolare un cambiamento più ampio. La realizzazione del protocollo d’intesa per favorire interventi di messa in sicurezza dell’abitato urbano per prevenire il rischio sismico, nato dall’idea del ‘Gruppo Tutela del Territorio’ di Progetto Valtiberina, è stata possibile mettendo le persone attorno ad un tavolo a ragionare di bisogni, problemi e soluzioni, persone che hanno interesse e possibilità di agire: cittadini, amministrazioni, associazioni di categoria, istituti di credito. 

“Ci siamo occupati anche di promuovere la carta etica dello sport, mettendo sempre insieme, momenti di approfondimento, spettacoli, divulgazione”. Adesso l’impegno di Progetto Valtiberina è nella costituzione di una sezione young, per coinvolgere i giovani “di cui non conosciamo bisogni e linguaggio”, perché possano incidere nella loro realtà e costruire il futuro che desiderano nella loro comunità.

Intervista: Daniela Bartolini e Daniel Tarozzi
Riprese: Daniel Tarozzi
Montaggio: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/12/valle-azione-bene-comune-io-faccio-cosi-234/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Festa dell’Altra Velocità: per il futuro che è già presente

Dal 29 giugno al 1 luglio ad Avigliana, in Piemonte, un nuovo appuntamento per supportare le connessioni fra i soggetti che operano nel cambiamento e fra essi e il grande pubblico delle persone in transizione. Un programma in via di definizione attraverso la progettazione partecipata e tuttavia già ricco di temi. Si chiama Altra Velocità ed è una festa completamente nuova, dedicata a persone e gruppi portatori di esperienze di cambiamento, di alternative possibili, di un futuro che – sebbene ignorato dai media tradizionali – è già presente. Ideato e organizzato da un gruppo di associazioni operanti nel consumo critico, nella comunicazione, nell’agricoltura contadina e nell’accoglienza ai migranti, l’evento si svolgerà dal 29 giugno al 1 luglio prossimi ad Avigliana, in Val di Susa (TO). Altra Velocità (e la sua versione francese Autre Vitesse) nasce dalle numerose esperienze che, in Italia e in Europa, stanno da tempo lavorando per costruire una società orientata al bene comune e al rispetto dell’ambiente piuttosto che all’incremento delle ricchezze materiali di pochi. Alcune di queste esperienze hanno semplicemente scelto di ritrovarsi e di invitare le altre a raggiungerle.

Ci saranno laboratori, incontri tematici ed escursioni divisi in tre filoni: il benvivere, ossia dove vogliamo andare; le alleanze, ossia insieme a chi; e gli strumenti, ossia come vogliamo muoverci. Saranno presentati i progetti attivati negli ultimi anni orientati alla promozione di stili di vita sostenibili e al bene comune. Oltre ai progetti italiani, tuttavia, vi sarà una nutrita partecipazione di esperienze analoghe francesi (non a caso la festa ha un titolo bilingue).festa-altra-velocita-futuro-presente-1528278749

Una 3 giorni che si pone l’obiettivo, da un lato, di celebrare il lavoro svolto dalle diverse reti ed organizzazioni, e dall’altro di mostrare a tutti, operatori e curiosi, la strada da seguire per i prossimi passi. Si parlerà di patti di filiera, co-produzioni, sistemi comunitari di scambio, Piccola Distribuzione Organizzata (PDO), agricoltura sostenuta dalla comunità (CSA), comunicazione partecipata, facilitazione, rapporto tra salute e alimentazione, integrazione. Sarà inoltre presentata la campagna per una legge che riconosca l’Agricoltura Contadina. E, come sempre accade in questo tipo di eventi, ci sarà spazio anche per l’intrattenimento: musica, danza, teatro, cinema e anche attività per bambini.

Molto interessante il metodo adottato per la definizione dei contenuti. Il programma è pensato come un grande laboratorio di progettazione partecipata: viene costruito insieme, con il contributo costante di chi, semplicemente, sceglie di esserci. Una lavagna interattiva in evoluzione segnala gli argomenti proposti, i gruppi attivi, le attività e i collegamenti ai progetti comuni in partenza. Insomma, un work in progress in cui il processo è interessante quanto il risultato, almeno a giudicare dai temi confermati fin qui e dai loro curatori:

1) Co-produzioni e CSA > A cura di Le Galline Felici
2) Strumenti per sistemi di credito > A cura di RETICS
3) PDO > A cura di RES.TO. Partecipano: produttori Locali, DISOTTO, OLTREfoodCOOP, RES Italia
4) Aspetti fiscali per associazionismo dei produttori > A cura di RES.TO
5) Incontro con realtà del territorio > A cura di Scenari di futuro
6) Il valore del cibo > A cura di LoFaccioBene
7) Laboratorio reti contadine> A cura di REES Marche. Partecipano: Rete dei Semi Rurali, Mais, ASCI ed ARI.
8) Laboratorio sui sistemi di credito > A cura di RETICS
9) Gas e salute > A cura di RES.TO
10) Ingredienti per il futuro > A cura di Rete di Reti
11) Comunicazione integrata (compresa quella nelle scuole) > A cura di Le Galline Felici – IRIS
12) Laboratorio su comunicare senza marketing > A cura di Smarketing
13) Laboratorio sulla facilitazione (da confermare) > A cura di Alekoslab
14) Integrazione migranti > A cura di REES Marche. Partecipa Refugees Welcome
15) Intelligenza collettiva > A cura di Usines a gas
16) Laboratorio di autoformazione sul Bilancio del Bene Comune > A cura di IRIS
17) Viaggiare > A cura di Compagnia dei Cammini
18) Attività con bambini e adolescenti > A cura di Praticare il futuro

Le organizzazioni che partecipano e promuovono la festa sono indicate qui di seguito (altre si stanno man mano aggiungendo): Worcup!, Etinomia, Galline Felici, Usine-a-gas (Cortocircuiti francesi), GAStorino, RES.TO (Rete Gas Torino Ovest che comprende i Gas Almese, Alpignano-Pianezza, dal Bass, Arcoiris, Buttigliera, Cavagnetta, Valmessa e Trana), REES Marche, Gas Chiomonte, Gas Pinerolo Stranamore, Praticare il futuro, Gas Avigliana, Solidarius Italia, Iris, Fairwatch, Social Business World, comune-info, LoFaccioBene, Scenari di Futuro, Smarketing, Alekoslab, Genuino Valsusino, Rete di Reti (Associazione Decrescita, Bilanci di Giustizia, Federazione per l’Economia del Bene Comune, Italia che Cambia, Movimento Decrescita Felice, RES Italia, RIVE e Terra Nuova insieme ad altre reti e organizzazioni), Giovani in Vita, Compagnia dei Cammini e Rete Gas Varese.

Le informazioni sulla festa e il programma saranno a breve online sul sito (al momento in costruzione) www.altravelocita.info. Per il momento è attiva la pagina Facebook dell’evento, al quale si può già iniziare a registrarsi, e la mail altravelocita@socialbusinessworld.org.

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/festa-altra-velocita-futuro-presente/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

“Il suolo diventi un bene comune”

In occasione della Giornata mondiale del Suolo, le associazioni riunite nel coordinamento #Salvailsuolo chiedono all’Europa il pieno riconoscimento di questa preziosa risorsa come bene comune da proteggere in quanto garantisce la sicurezza alimentare, la conservazione della biodiversità e la regolazione dei cambiamenti climatici. Immaginate una nazione di medie dimensioni, come l’Ungheria, il Portogallo o la Repubblica Ceca. Ora immaginate l’intera area di quella nazione ricoperta da cemento e asfalto: è grossomodo la superficie di suoli agricoli che negli ultimi 50 anni è stata “consumata” da insediamenti e infrastrutture nei 28 paesi dell’Unione Europea. Il suolo continua ad essere consumato a una velocità allarmante, nonostante la crisi che affligge il settore delle costruzioni in molti Paesi. Ogni anno, 1000 km2 di aree coltivate vengono cancellate da nuovi edifici. Allo stesso tempo, il mercato europeo delle materie prime alimentari è sempre più dipendente dalle importazioni da paesi terzi, dove l’agricoltura intensiva spinge milioni di piccoli agricoltori ad abbandonare i loro campi e a migrare verso le aree suburbane. Si tratta di una contraddizione evidente per un’Unione Europea che è nata con l’obiettivo di assicurare con la propria agricoltura la sicurezza alimentare per tutti i cittadini e, ora, sta cercando di gestire flussi rilevanti di migranti provenienti dall’Africa subsahariana, dove molti campi sono coltivati per le imprese europee.handful-of-soil

Il consumo di suolo è solo la punta di un iceberg, il suolo in Europa deve affrontare molte minacce e danni: oltre 250.000 siti sono pesantemente contaminati, quasi la metà dei terreni agricoli sono minacciati dalla riduzione della sostanza organica e gli equilibri ecologici dei sistemi naturali vengono compromessi, decine di milioni di ettari soffrono gli effetti dell’erosione e del dissesto idrogeologico, e la desertificazione avanza in molti paesi del Mediterraneo, rendendo le coltivazioni sempre più sensibili alla siccità e ai cambiamenti climatici.

“L’Europa ha il dovere di preservare la sua più importante risorsa naturale: il suolo” Questo è l’appello dei promotori della ICE – Iniziativa dei Cittadini Europei’People4soil’, promossa in Italia dal Coordinamento #salvailsuolo (ACLI, Coldiretti, FAI, INU, Legambiente, Lipu, Slow Food e WWF) a cui aderiscono 90 organizzazioni nazionali. La ICE è una petizione ufficiale alla Commissione europea, a cui si chiede di istituire e di sviluppare un quadro giuridico vincolante, fissando principi e regole da rispettare da parte di ciascuno Stato membro. Ad oggi, non vi è alcun riconoscimento legale per i servizi ecologici, sociali ed economici che i suoli sono in grado di fornire ai cittadini europei, né obiettivi vincolanti, ad esempio atti a conseguire la bonifica di terreni contaminati, o la salvaguardia dei serbatoi di carbonio, o la prevenzione del consumo di suolo. Questa situazione è esattamente quello che il coordinamento #Salvailsuolo vuole cambiare. Le prime 25.000 firme sono state già raccolte in Italia sul sito ufficiale della petizione. Tutti i cittadini e le cittadine europee adulte possono firmare, basta una carta d’identità. I promotori sottolineano che “Abbiamo due obiettivi molto impegnativi da raggiungere: raccogliere un milione di firme entro settembre 2017, e ottenere il pieno riconoscimento del suolo come bene comune da proteggere, per il benessere dei cittadini europei”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/12/suolo-diventi-bene-comune/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Ecovillaggio San Cresci: diventare grandi e ritornare alla terra!

Dall’idea di un’imprenditrice milanese, che ha deciso di cambiare vita, è nato il progetto dell’ecovillaggio San Cresci, nel comune di Borgo San Lorenzo, poco distante da Firenze. L’obiettivo? Creare un nuovo modello di comunità, dove lo stile di vita è sano e di alta qualità, sostenuto dai valori di solidarietà, condivisione, rispetto per l’ambiente e ogni forma di vita.

Non è da tutti prendere tutti i risparmi di una vita e metterli nella realizzazione di un sogno di alti valori, rivoluzionario e controcorrente; come non è da tutti, dopo una vita di successo imprenditoriale ed economico, rendersi conto che si è solo una pedina di uno scenario fatto apposta per distruggerti. Forse ci si arriva quando si ha quella sensazione di poter avere materialmente di più, ma qualsiasi roba verghiana tu possa accumulare non ti appaga lasciandoti affamato dentro.Tenuta-strada-e-villa

Nel Mugello, 35 chilometri fuori Firenze, presso Borgo San Lorenzo, si sviluppa il progetto San Cresci

Allora benvivere diventa la parola d’ordine. Appassionata da sempre di filosofia antroposofica steineriana, l’imprenditrice milanese Roberta Zivoli decide di vendere tutto e fondare il più grande eco-villaggio d’Italia con la missione principale di mettere al centro l’uomo. È mentre guarda Obama che parla di sostenibilità in televisione che ha un’illuminazione, e pensa: «Ma guarda questi americani che vengono a parlarci di sostenibilità quando qui da noi è dal 1800 che siamo ecosostenibili».

«Ho capito tante cose», dice Roberta, «ho lavorato tutta la vita venti ore al giorno per avere la casa al mare, in montagna e poter frequentare certi ambienti e non mi sono accorta che qui in città siamo topi. Beviamo diossina, respiriamo polveri sottili cardiotossiche e mangiamo roba coltivata male e piena di chimica. Quando ho compreso che noi che viviamo nelle città facciamo il gioco di qualcuno che ci vuole distruggere sono stata male. Sono andata da mio marito e gli ho detto: “Ho capito cosa faremo da grandi”».

E Bruno Dei, il compagno di una vita insieme, non poté che darle ragione e seguirla anche in questa nuova avventura. Partecipano a un bando d’asta dell’università di Firenze e si aggiudicano la tenuta San Cresci, un territorio incontaminato di 657 ettari nel comune di Borgo San Lorenzo a 30 chilometri a nord della capitale toscana, con boschi, terreni coltivabili, una ventina di sorgenti d’acqua potabile e una vena termale di acqua sulfurea, una villa medicea con la sua fattoria e otto case coloniche.

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Il Centro San Cresci è il progetto pilota, ma già in cantiere c’è in programma di recuperare altri borghi abbandonati nei dintorni

Diventerà il futuro Centro San Cresci, un modello di comunità con circa quattrocento residenti dove lo stile di vita è sano e di alta qualità, come dovrebbe essere in ogni angolo del mondo: sostenuto da solidarietà e alti valori, rispetto per l’ambiente e ogni forma di vita, condivisione, riciclo, riuso, energie rinnovabili, agricoltura biologica, senza sprechi né inquinamento. Il progetto San Cresci prevede una rivisitazione evolutiva di ogni fase del ciclo della vita dalla nascita al distacco dal corpo. Ci sarà una casa della nascita naturale per non vivere più il parto come una malattia; una casa della salute naturale dove si applicheranno tutte le forme più avanzate di medicina non convenzionale; un albergo termale; una scuola all’avanguardia e, a conclusione di una vita attiva, una casa della migliore età dove gli anziani potranno essere amati e rispettati come archivi storici di cultura e saggezza e non come suppellettili inutili da rottamare in una RSA. Ogni neonato riceverà in eredità un ettaro di terreno per diritto di nascita, perché possa essere d’incentivo a ritornare alla cultura dell’agricoltura e della terra, e a questo proposito Roberta lancia un allettante invito: «Venite a ben vivere in un mondo rurale. La campagna chiama, se no ci portano via la vita. Ci autodistruggiamo senza accorgercene alimentando quel mostro che sono le città». Il progetto non è per niente utopistico: ad oggi la maggior parte delle abitazioni sono state assegnate e le famiglie residenti arrivano da tutta Italia: Milano, Piacenza, Napoli, Vasto, Firenze, Roma.

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«Siamo i ripopolatori di San Cresci», scoppietta orgogliosa Roberta, «la mia missione è di lasciare alle generazioni future una possibilità di vita sana. Non lasciamo in eredità ai nipoti né appartamenti né conti in banca. Non vogliamo essere corresponsabili della loro autodistruzione. C’è il libero arbitrio e loro possono fare quello che vogliono ma noi offriamo loro un’alternativa di valori più alti».

Hanno pensato a tutto: all’acqua, alle terme, all’energia, che verrà autoprodotta con pannelli solari e biomassa prodotta dai boschi. La villa La Quiete sarà il centro culturale di accoglienza per i visitatori esterni con un ristorante che servirà menù vegetariano, vegano e tradizionale del Mugello e sarà rifornito da colture autoprodotte e frutti dell’orto cresciuti in permacultura e con tecniche biodinamiche. La cappelletta diverrà un centro conferenze per la diffusione di saperi all’avanguardia, e il resto lo offre già la natura: i tre tigli secolari della villa regalano ombra profumata in un’aria che è davvero un piacere respirare, la vista è impagabile e inconfondibilmente toscana, col suo susseguirsi di morbidi seni su cui un gigante pagherebbe per riposarsi; e il succo di fiori di sambuco autoctono, con cui mi danno il benvenuto i volontari Filippo e Andrea, assegnati a catalogare tutte le erbe spontanee, è un’ambrosia dai poteri straordinari che risveglia sensi sopiti da un tempo ormai perso dalla nostra memoria. Ti fermi al ciglio della strada e tutto ciò che vedi intorno fa parte del podere San Cresci. Questo riserva un raro privilegio ai San Cresciani che potranno dire con orgoglio: “Tutto ciò che vedi un giorno sarà tuo!”, ma solo se saprai difenderlo come Roberta e il suo team stanno dimostrando oggi. Il Centro San Cresci è il progetto pilota, ma già in cantiere c’è in programma di recuperare altri borghi abbandonati nei dintorni per dare la possibilità a chi vive in città di tornare in campagna per un buon vivere, perché Grandi, in tutti i sensi, e secondo la filosofia di Roberta, lo si possa diventare tutti. Il progetto San Cresci è finanziato dalla Fondazione Europea Cammino Futuro Onlus www.fecf.eu , alla quale è possibile devolvere il proprio 5 per mille, senza che costi nulla e investendo sul futuro.

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/05/ecovillaggio-san-cresci-diventare-grandi-ritornare-terra/

Il sindaco Renato Accorinti: “cambiamo Messina dal basso!”

Se provate a cercare su Internet una foto del sindaco di Messina, i risultati riporteranno le immagini di un uomo sempre in lotta per qualcosa: pace, free Tibet, no ponte, acqua pubblica. Secondo una recente statistica dell’istituto Piepoli, Renato Accorinti è uno dei sindaci del cambiamento più amati dai cittadini. Eletto alle amministrative del Giugno 2013, lo slogan della sua campagna elettorale è stato “Cambiamo Messina dal basso”, perché è dal basso che nasce la sua esperienza e il suo lungo cammino per il cambiamento.

Renato Accorinti è sempre stato un attivista convinto (e continua ad esserlo), battendosi per i diritti civili, per l’ambiente, per il pacifismo e per l’impegno contro la mafia. Per anni gli è stata proposta la candidatura ma ha sempre rifiutato. “Il potere per il potere non mi interessa”, spiega il sindaco, “quando mi sollecitavano a candidarmi sentivo che non si trattava di una proposta condivisa, ma della richiesta di un gruppo di persone più influenti di altre che decidono sulla maggioranza”. Quando ha avuto la percezione che l’esigenza veniva dal basso allora ha accettato.bandiera_pace

Renato Accorinti fa il sindaco “H25”, come ama dire, e descrive il suo impegno per Messina come quello di una madre nei confronti del figlio. Una dedizione e un’attenzione costanti e totalizzanti: il suo lavoro inizia alle 8 di mattina e termina a mezzanotte, ma non riesce a parlare di sacrificio perché la soddisfazione di fare qualcosa per il bene comune è superiore a tutto il resto. “Il mio obiettivo è quello di trasformare questa città da condominio a comunità, perché è importante sentire vicino a sé stessi ogni angolo di mondo”. Riconoscere che ogni cosa intorno a noi è un bene comune e capire l’importanza di ogni essere vivente che ci circonda diventano sensibilità fondamentali nel percorso di responsabilizzazione individuale che serve per mettere cura e attenzione in ogni gesto che rivolgiamo al mondo circostante. “Non voglio essere superficiale e dire che il fattore economico non conta perché so che non è così, ma penso che i tre fattori indispensabili per il cambiamento siano l’affetto, l’educazione e la cultura” argomenta il primo cittadino “se si applicano questi tre fattori si può cambiare qualunque cosa e in qualunque parte del mondo”. Da questa consapevolezza nasce la grande attenzione di Renato Accorinti per la scuola, dove ha lavorato per 39 anni come insegnante prima di diventare sindaco. Racconta dell’affetto che nutriva per i suoi alunni e della stima di cui godeva, ma soprattutto sottolinea l’importanza che ha sempre rivolto come educatore alla formazione dello spirito critico degli allievi. “Preferivo che mi contraddicessero con argomentazioni intelligenti piuttosto che mi venissero dietro come pecore: Renato non salva nessuno”, aggiunge, “solo insieme cambiamo e serve l’impegno di tutti.” La giunta Accorinti, insomma, tiene il disegno del mosaico ma ogni cittadino mette il proprio tassello e deve sentirsi responsabile dell’eventuale vuoto che può creare nella composizione.renat_accorinti

“Se è stata possibile la mia vittoria qui a Messina, vuol dire che il cambiamento può arrivare dovunque”, ironizza il primo cittadino facendo riferimento ai tanti problemi presenti nel tessuto sociale della città. Quando Accorinti si è insediato come sindaco circolavano soltanto 12 autobus in tutta Messina. Gli abitanti non erano più abituati a veder girare i mezzi pubblici per le strade ma in tre mesi la giunta è riuscita a metterne in circolazione 52, senza acquistare nuove vetture ma semplicemente riparando quelle che erano inspiegabilmente bloccate in officina da anni. “Quando i messinesi vedevano passare tanti autobus applaudivano per l’emozione!”.1526331_10202750092127911_2061657973_n

Lo Stretto di Messina

Nella gestione dei rifiuti l’ambizione è di raggiungere il traguardo dei “rifiuti zero”: in pratica l’amministrazione Accorinti sta cercando di smantellare e ricostruire tutto il settore per portare Messina da uno degli ultimi posti nella classifica delle città italiane, a livelli di raccolta differenziata virtuosi ed efficienti. Un importante ruolo per rivoluzionare il settore è stato affidato circa 10 giorni fa ad Alessio Ciacci, nominato dall’amministrazione Accorinti nuovo commissarrio liquidatore di Messinambiente, la società mista che per vent’anni ha gestito il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti e ormai al collasso. Dal 2007 al 2013 Alessio Ciacci è stato Assessore all’ambiente del Comune di Capannori, il primo comune in Italia ad aver aderito alla strategia internazionale “Rifiuti Zero”. A Ciacci, vincitore del premio “Personaggio Ambiente 2012”, è ora affidato il compito di traghettare Messinambienteverso la fase due. Il neo liquidatore sarà affiancato da uno staff di esperti, tra cui Raphael Rossi, professionista che da molti anni lavora in diverse città per la corretta gestione dei rifiuti e per l’etica nella pubblica amministrazione. Il percorso per “cambiare Messina” è senza dubbio impegnativo ma la giunta è ottimista e sta lavorando in questo senso. D’altronde, Accorinti ha allenato per tanto tempo i maratoneti e per questo è riuscito a capire il valore della pazienza: “il percorso è lungo”, conclude, “ma per arrivare al cambiamento bisogna lavorare costantemente e io continuerò a farlo sempre anche dopo la scadenza del mio mandato”.

Elena Risi

Fonte: italiachecambia.org

Clima bene comune

Abbiamo intervistato Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, che ha scritto recentemente, insieme all’economista Alessandra Goria, un libro sul problema dei cambiamenti climatici in atto e sulle possibili soluzioni che è possibile adottare a livello individuale e sociale per arginare il problema, e stabilizzarlo a un livello accettabile per la sopravvivenza prima di tutto dell’Umanità e poi del maggior numero di specie animali e vegetali del pianetaluca_mercalli_foto

Luca Mercalli insieme ad Alessandra Goria ha scritto recentemente un nuovo libro sul cambiamento climatico e le sue problematiche (Clima bene comune, Bruno Mondadori, 2013). Mercalli è un climatologo e affronta la questione sollevando il velo delle errate informazioni sul tema e proponendo soluzioni individuali, sociali e istituzionali per fermare la pericolosa mutazione dei climi. Gli scenari e gli impatti attuali e futuri descritti nel suo testo, tutti documentati secondo le più recenti acquisizioni della ricerca scientifica internazionale, sono impressionanti e lo sono tanto più alla luce dei costi che imporranno alle nostre società opulente e all’umanità intera, sia dal punto di vista economico che sociale e umano. Tuttavia è ancora possibile agire per tentare di arginare il problema se ci si orienta verso un altro modo di vivere, sia a livello individuale che sociale. Abbiamo chiesto a Luca Mercalli il suo punto di vista, chiedendogli anche di aprirci spiragli sulle soluzioni possibili per un cambiamento di rotta.

V.P. – La questione del cambiamento climatico è sempre più impellente e lo vediamo (parlo delle persone ecologicamente sensibili) ormai con i nostri occhi (non sono più teorie) “grazie” agli eventi climatici drammatici cui ogni tanto anche le nostre regioni sono sottoposte. La domanda iniziale però è questa: qual è secondo te la percezione reale della gente comune? A tuo parere il cosiddetto uomo della strada crede nella possibilità di fare qualcosa per arginare questo pericoloso disordine del clima?

L.M. – Innanzitutto va detto che il problema del cambiamento climatico è di una complessità enorme. Non si possono ad esempio trarre conclusioni generali da fenomeni locali e siamo costretti a fare i conti con molte incertezze. Tanto più che spesso ci sono concause dovute ad altri fattori. Nell’ultimo grave episodio alluvionale in Sardegna, il 18 novembre 2013, una parte consistente del problema è stato generato da un cattivo uso del territorio, da abuso edilizio e da una scarsa conoscenza delle norme di protezione civile più sicuramente una certa percentuale dovuta a una nuova strutturazione climatica, che tuttavia non siamo in grado di quantificare. In ogni caso, molti altri sintomi generali di cambiamento in atto li abbiamo già. L’aumento della temperatura del globo è infatti un fatto ormai inequivocabile, così come è accertato che ciò sia di origine umana. Il recente quinto Rapporto dell’ONU-IPCC sul clima effettua una diagnosi della tendenza termica all’aumento che non lascia dubbi in questo senso. E ci sono accadimenti importantissimi come la fusione dei ghiacciai e della banchisa polare che sono drammatici.

V.P. – Come mai, nonostante appunto concreti esempi di stravolgimenti stagionali ed eccessi di manifestazioni atmosferiche in molti luoghi del pianeta, i capi di stato e le istituzioni internazionali che dovrebbero essere i soggetti maggiormente coinvolti e artefici di piani difesa e di riconversione delle abitudini umane che concorrono al riscaldamento terrestre, si ostinano a negare, ignorare o a ridimensionare tali cambiamenti in atto? Alcuni sostengono che questi cambiamenti ci sono sempre stati, altri che non è colpa dell’uomo se ora si stanno verificando e altri ancora, seppure li ammettono e capiscono, di fatto non danno luogo ad azioni collettive concrete.

L.M. – Ci sono due grandi ostacoli che congelano qualsiasi percorso di cambio di direzione societario rispetto al problema del clima. Il primo è quello economico. C’è una lobby molto forte che preme a tutti i livelli per impedire che non ci siano penalizzazioni sul fronte del consumo energetico e della crescita economica. Il mercato del carbone e del petrolio è uno dei mercati più grandi al mondo con una potenza di fuoco e capacità di corruzione politica impareggiabile. Lo stesso Obama, un capo di stato di un paese di importanza fondamentale a livello mondiale, e che ha consapevolezza del problema, ha dimostrato di non avere possibilità di manovra perché la lobby dei petrolieri staunitensi è potentissima. Ma anche altri grandi paesi in via di sviluppo come l’India o la Cina non hanno alcun interesse a fermare la loro corsa, rimpallando semmai la questione agli stati occidentali che sono partiti prima e che hanno maggiori responsabilità nella faccenda. Il secondo ostacolo è invece di tipo culturale: l’uomo non è attento alle problematiche che si manifestano nel lungo termine. Se lo fosse, dovrebbe scommettere sulla credibilità della scienza e sul futuro, e in generale a nessuno interessa farlo. La metafora del fumo di tabacco e dei suoi effetti nocivi risaputi è assolutamente calzante. Anche in quel caso, nessuno o quasi si preoccupa del fatto che dopo vent’anni di fumo potrebbe sviluppare con grandissime probabilità un tumore al polmone e quindi tutti continuano a fumare, rischiando per un piccolo piacere sicuro oggi una grave ma incerta conseguenza domani. Allo stesso tempo, le lobby produttrici di tabacco fanno il loro lavoro per continuare a produrre e vendere in santa pace il loro prodotto. La stessa cosa avviene nel caso dei cambiamenti climatici e dell’uso irresponsabile delle energie fossili e quant’altro.

V.P. – Se non ci saranno azioni individuali e collettive per modificare questo andamento, cosa ci potremo aspettare e in che tempi?

L.M. – Sicuramente si tratta di un cambiamento epocale per la storia umana. Dalla metà di questo secolo in poi l’evoluzione climatica e ambientale entrerà in un territorio inesplorato dove tutto potrà capitare e si vedranno cose mai viste. Un adattamento di tutte le specie a quello che avverrà è impossibile. Batteri e insetti certamente si adatteranno meglio, ma per le altre specie ci saranno difficoltà notevoli. Ci vorrebbe un formidabile salto culturale di visione del futuro per arrivare a comprendere che stiamo scherzando col fuoco.

V.P. – Su questo giornale parliamo spesso del ruolo delle scelte individuali per un mondo migliore, ovviamente anche sul piano del riscaldamento del pianeta. Ma dal punto di vista istituzionale e sociale collettivo cosa pensi sia possibile fare? In generale hai delle proposte?

L.M. – Prima di tutto occorre prendere coscienza che una parte di cambiamento climatico ormai è in atto e non si può più invertire. Un aumento di un paio di gradi della temperatura media dell’atmosfera terrestre entro questo secolo è quindi irreversibile, con i suoi scompensi e mutamenti che stiamo vedendo e che vedremo ancor più nei prossimi anni. Tuttavia non fare più nulla per mitigare la situazione e continuare a spingere le emissioni climalteranti senza limite significa anche che potremmo andare verso un cambiamento equivalente a 5 gradi di aumento che sono moltissimi. Cinque gradi a livello globale significa che in certe aree si può arrivare a punte di 10 gradi di differenza rispetto al presente. Con conseguenze sull’agricoltura, sull’innalzamento del livello dei mari e quindi sulle migrazioni dei popoli di portata eccezionale. Un fronte su cui agire è sicuramente un’evoluzione tecnologica che ci porti a sganciarci dalle energie fossili e a puntare verso quelle rinnovabili per contenerci entro i 2-3 gradi, i quali, ripeto, sono purtroppo ormai assodati come futura situazione che dovremo vivere. Al momento, quindi, abbiamo questo spazio di manovra per non oltrepassare questo limite, che ha già i suoi notevoli problemi per l’equilibrio del pianeta, ma più si aspetta e più questo spazio si riduce. Proprio per questo ho pensato di scrivere questo libro a quattro mani insieme a una economista come Alessandra Goria. Occorre dare un messaggio forte che esistono linee di coesistenza con l’ambiente e socialità umane diverse anche dal punto di vista economico e che l’economia predatoria che oggi regge il pianeta, può cambiare. Anzi, sebbene non emerga, esiste già un’economia diversa, che potrebbe far fronte a queste problematiche e svelarci un percorso verso rapporti societari ed ecologici più equilibrati, più rispettosi del necessario e meno inclini al superfluo, più sobri nei consumi e più attenti verso il riciclo degli scarti. Queste sono le prospettive che illustriamo nel libro e che speriamo stimolino l’azione concreta di quante più persone e istituzioni possibili.

Fonte: il cambiamento

Clima Bene Comune - Libro
€ 16

Colloqui di Dobbiaco: etica e bene comune per il futuro dell’imprenditoria

Intraprendere la Grande Trasformazione. Questo il tema centrale dell’edizione 2013 dei Colloqui di Dobbiaco, ideati e organizzati da Hans Glauber al fine di proporre soluzioni concrete alle principali questioni ambientali. Da Paolo Cignini, un resoconto della sua partecipazione ai Colloqui, dove si è discusso in particolare del rapporto tra imprenditoria e bene comune.sostenibilita_ambientale1

Come sarà la società del futuro? Ci sarà sicuramente una società post-fossile, post-crescita, basata su una riscoperta del locale e sulla riduzione dei consumi: ma che caratteristiche avrà? E in questo nuovo contesto, che ruolo avranno gli imprenditori cosiddetti “virtuosi”? Con questi interrogativi, illustrati in apertura dall’ideatore e moderatore Karl-Ludwig Schibel, si è aperta l’edizione 2013 dei Colloqui di Dobbiaco, una serie di convegni e relazioni che cercano di proporre delle soluzioni concrete alle tematiche ambientali di maggior rilievo. Quest’anno il tema dei Colloqui, ideati da Hans Glauber nel 1985, sono stati incentrati sul tema “Intraprendere la grande trasformazione”; le discussioni tra i vari relatori e il pubblico, spesso discordanti e ricche di contenuti, hanno ruotato intorno a come continuare a produrre in maniera ecologicamente e socialmente sostenibile, senza per questo rinunciare ad un giusto profitto dalla propria attività imprenditoriale. Come ricordato dallo stesso Schibel all’apertura dei lavori, la società dei consumi nata alla fine del diciannovesimo secolo avrà una fine ma non è ancora chiaro da quale tipo di nuova civiltà sarà sostituita e quali saranno le nuove linee guida che la caratterizzeranno. Wolfgang Sachs, anche lui tra i curatori della rassegna, è dello stesso avviso. L’aspetto maggiormente interessante dell’edizione 2013 dei Colloqui, per chi come noi ha partecipato per la prima volta, è stata la forte presenza imprenditoriale tra il pubblico partecipante. Alcuni tra i più interessati di questi imprenditori erano di origine brianzola, e come sappiamo nella tabella dei luoghi comuni italiani, la figura dell’imprenditore brianzolo non ha un’ottima fama: testimonianza che la realtà è molto più complessa delle semplificazioni.dobbiaco

Diverse sono state le analisi e le soluzioni proposte, con un punto in comune: per i cambiamenti in corso e a venire servirà la collaborazione di tutti e non una dipendenza totale dai governi e dai poteri alti. In questo contesto, il ruolo degli imprenditori che mettono la sostenibilità ambientale e sociale al centro della loro attività diventa fondamentale per trovare delle soluzioni alle prossime sfide ambientali. Dopo questo principio di base, le questioni intorno alle quali si sono incentrate le maggiori discussioni sono state: come far conciliare le pratiche virtuose imprenditoriali con la sostenibilità economica? E soprattutto, come spingere i prodotti delle imprese “non sostenibili” fuori dal mercato? In questo, il geografo e scienziato della sostenibilità Daniel Dahm è sembrato il più critico: partendo dal fatto che dagli anni Settanta l’overshoot mondiale è stato superato sempre più presto, Dahm ha sostenuto che il drastico calo della produttività biologica del pianeta Terra dipende soprattutto da alcune attività imprenditoriali e da logiche legate al profitto ad ogni costo. Tutto questo si trasforma in un deficit enorme di beni collettivi a disposizione dell’umanità, che però allo stesso tempo si trasforma in un utile sempre più grande per l’impresa sfruttatrice. Dunque le imprese “esternalizzano”, scaricandoli all’esterno, i costi delle loro attività, privandoci di un futuro sereno; ma è proprio esternalizzando che, secondo Dahm, le imprese possono produrre una gran quantità di merci a prezzi più bassi, perché non esiste nessun sistema giuridico o legislativo in grado di far pagare a queste imprese il prezzo delle loro azioni, che paradossalmente diventano le uniche ad essere economicamente convenienti. C’è dunque un forte contrasto alla base tra il capitalismo odierno e il futuro della nostra umanità, che bisogna risolvere cambiando le leggi e le regole che disciplinano le attività imprenditoriali. La relazione di Christian Felber, autore e fondatore del ramo austriaco di ATTAC, è sembrata il naturale proseguimento di quanto detto da Dahm. Felber ha illustrato la sua soluzione ai problemi spiegati da Dahm, che si chiama “economia del bene comune”, un vero e proprio modello di economia alternativo all’economia di mercato capitalista e all’economia pianificata. In questo modello il bene comune non è qualcosa da esternalizzare come scarto indesiderato di un’attività volta solo al profitto economico, ma diventa lo scopo fondamentale di ogni iniziativa imprenditoriale.

Cinque valori di riferimento (dignità umana, solidarietà, equità, sostenibilità e democrazia) diventano le fondamenta del “bilancio del bene comune”, in base al quale ogni azienda può ottenere un punteggio fino a mille: quanto migliore è il suo bilancio del bene comune, tanti maggiori vantaggi potrà avere questa azienda virtuosa in termini di tasse più basse, crediti più agevolati e precedenza negli appalti pubblici. Così, anche da un punto di vista economico, i prodotti etici diventano più convenienti di quelli non etici, la crescita a tutti i costi non sarebbe la strategia principale di un’impresa così come sarebbe la collaborazione, e non la competizione a tutti i costi, a poter migliorare il bilancio comune di ognuna delle aziende.sostenibilita6

Una favola? Non proprio, dato che dal 2009 a oggi questo modello è sostenuto da più di seicento imprese in quindici paesi diversi e nel 2011 sessanta di queste hanno compilato il bilancio del bene comune. Il problema? Lasciare il contesto così com’è oggi, con leggi e costituzioni non applicate, non servirebbe a nulla: secondo Felber alcune Costituzioni degli Stati europei hanno già al proprio interno l’assunto fondamentale, cioè che l’economia dovrebbe avere come obiettivo il bene comune. La stessa Costituzione Italiana citata da Felber recita all’articolo 41 che l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale. Basterebbe dunque far applicare realmente i dettami costituzionali e non permettere invece l’incostituzionalità del profitto di pochi che danneggia l’utilità sociale. Ma una grande assente è sicuramente la politica, soprattutto quella dei governi: la sensazione dell’inazione legislativa rispetto a queste problemi ha messo tutti d’accordo i partecipanti. Nella brillante e amaramente ironica presentazione dell’imprenditore Gabriele Centazzo, presidente della Valcucine e autore del manifesto “Per un nuovo Rinascimento italiano”:, alcune slide realizzate molti anni fa mostravano caricature dei politici più conosciuti a livello nazionale: gli stessi di oggi, un simbolo di un rinnovamento finora in larga parte mancato. Centazzo ha illustrato la sua ricetta per cercare di dare una rotta a quella che lui ha chiamato “Nave Italia”, che si deve basare sulle due colonne della bellezza e della creatività, delle quali le Piccole e Medie imprese italiane possono farsi costruttrici e motori fondanti. Le due colonne però non potranno mai tenersi in piedi se alla base non esiste l’etica, spesso grande assente di questi anni nella politica, ma soprattutto nell’odierna finanza, che secondo Centazzo è una delle maggiori responsabili del caos odierno avendo perso completamente qualsiasi collegamento con l’industria reale, l’economia, il lavoro. Molto interessanti sono stati anche i continui rimandi di Centazzo alla Decrescita, considerata come una filosofia positiva da prendere comunque in considerazione come reazione forte al modello distruttivo dell’attuale società; una presa di posizione da parte di una figura imprenditoriale non è sempre così scontata. Stefan Schaltegger ha invece approfondito i concetti di sostenibilità ecologica e sociale come parte integrante degli obiettivi d’impresa. Secondo Schaltegger non esiste la sostenibilità totale: qualsiasi azione umana ha delle conseguenze ecologiche negative. Obiettivo futuro dell’imprenditoria e in generale dell’essere umano è cercare, a piccoli passi, di trasformare in meglio la nostra società verso un maggior rispetto dell’ambiente. Schaltegger è convinto però, al contrario di Centazzo, che siano i grandi a dover diventare i motori del nuovo cambiamento: se una grande impresa diventa più sostenibile, avrebbe una maggiore possibilità di incidere e cambiare le sorti del mercato rispetto all’azione del piccolo.bene__comune

Reinhard Pfriem, dopo aver ricordato che gran parte dei processi strutturali e culturali legati al capitalismo (si pensi ad esempio all’individualizzazione o alla commercializzazione) sono stati ai tempi sinonimo di emancipazione dall’oppressione e dallo sfruttamento, ha citato Henry Ford come chiave di questo paradigma. Ford è oggi ricordato come l’ideatore di una svolta anti-ecologica della mobilità collettiva, ma ai suoi tempi fu visto come un innovatore per aver permesso alle masse di poter acquistare un’automobile a prezzo contenuto. Secondo Pfriem oggi è dunque necessario cambiare dall’interno ilsistema di valori delle aziende, anche qui insistendo su modelli più sostenibili che possano farle cambiare in modo radicale ma senza alienarsi dal Mercato. A tal punto, molto interessanti anche i“Fish Bowl” mediati da Eva Lotz: tutto il pubblico partecipante ha potuto interagire e partecipare attivamente a un dibattito con alcuni imprenditrici e imprenditori portati come esempio di equilibrio di successo tra mercato e responsabilità, che hanno potuto illustrare i casi delle loro aziende storiche che operano nel locale (Lukas Meindl dell’omonima azienda calzaturiera di secolare tradizione, o Ander Schanck della catena di negozi biologici lussemburghese NATURATA), nel settore delle energie alternative (Federica Angelantoni di Archimede Solar Energy) o nel biologico (Valentino Mercati di Aboca Spa, leader nel settore agro-farmaceutico, e Alois Lageder responsabile dell’omonima azienda vitivinicola a vocazione biologico-dinamica). In sintesi, non sono emerse soluzioni concrete e valide per tutti dai tre giorni di dibattito: come detto in apertura, nessuno ha in mano soluzioni o ricette precostituite. Ma il beneficio del dubbio ha sicuramente favorito un aperto confronto tra tutti i partecipanti, una maggiore ricchezza d’informazioni alla fine dei lavori e una notizia importante e forse indiscutibile: esistono imprenditori consci del loro impatto e del loro ruolo sulle vite di tutti, che stanno cercando di mettersi in discussione per trovare una soluzione diversa rispetto a un mercato solo orientato al profitto. Ci è sembrata un’ottima notizia.

Fonte: il cambiamento