Spreco alimentare: quanto ci costa, come ridurlo

Il Waste Resources and Action Programme ha quantificato in 400 miliardi di dollari il costo annuale dello spreco alimentare1

Quanto cibo si spreca nel mondo? Secondo il Waste Resources and Action Programme il costo annuale dello spreco alimentare è di 400 miliardi di dollari, una cifra sulla quale occorrerà riflettere nell’Expo 2015 che si aprirà questa settimana, con il tema Nutrire il Pianeta. Per produrre tutto il cibo che viene buttato, specialmente nelle grandi città, occorre un territorio agricolo grande come tutto il Messico. In un interessante articolo pubblicato di recente dal World Resource Institute vengono delineati con precisione i confini del problema: sono soprattutto le grandi città a sprecare le maggiori quantità di cibo. E cibo sprecato significa inutili emissioni di carbonio, inutili deforestazioni e inutili prelievi d’acqua. Ci vuole un cambio di passo perché se i trend non subiranno un’inversione di rotta (mangiare meno, ma mangiare tutti) si rischia di dover aumentare la produzione alimentare del 70% entro il 2050. I costi non sono solamente finanziari, a essere disperso è anche il capitale ecologico: l’abbattimento delle foreste pluviali per far spazio alle colture dell’olio di palma sta facendo dell’Indonesia il più grande emettitore di carbonio al mondo. Nel 2010 il 13% delle  missioni di carbonio era connesso alle attività agricole e all’allevamento. Sprecare cibo significa inquinare inutilmente. Secondo la Royal Society sono tre i fattori per cui i consumatori delle economie sviluppate sprecano cibo: 1) a causa del basso costo del cibo rispetto al reddito disponibile, 2) a causa degli standard elevati per ciò che riguarda l’alimentazione, 3) per la mancata comprensione di ciò che sta dietro alla produzione alimentare. Sono soprattutto le grandi metropoli a stimolare lo spreco alimentare, vuoi perché i lavoratori urbani guadagnano più di quelli rurali, vuoi perché i consumatori sono fisicamente e mentalmente distanti dai contesti in cui il cibo viene prodotto. Entro il 2050 altri 2,5 miliardi di persone raggiungeranno le metropoli abbandonando le campagne. Fortunatamente in tutto il mondo stanno nascendo associazioni che si occupano di redistribuire il cibo prima che smetta di essere commestibile. Food Bank South Africa “salva” ogni anno più di 4000 tonnellate di cibo e distribuisce più di 14 milioni di pasti ai bisognosi delle metropoli del Paese. A Seul e nella Corea del Sud la politica ha imposto ai consumatori, alle organizzazioni e ai ristoranti di pagare per i loro rifiuti alimentari. Anche Hong Kong ha fissato, nel febbraio 2014, un ambizioso obiettivo: ridurre i rifiuti del cibo del 40% entro il 2022, rispetto ai quantitativi del 2011. Riuscirà l’Expo che si apre a Milano venerdì prossimo a portare un serio contributo al dibattito sulla questione? Certo è che la presenza di molte multinazionali che contribuiscono in maniera massiccia all’aumento degli sprechi alimentari e l’aggressione edilizia al suolo libero fatta per preparare l’evento non sono certo le migliori premesse per ragionare – sinceramente e in maniera costruttiva – sul nutrimento del Pianeta.

A Cambodian vendor (R) prepares food near a rubbish pile along a street in Phnom Penh on March 12, 2014.  Phnom Penh city's waste management, collection, transport and disposal efforts remain in poor condition, leading to environmental and health risks. AFP PHOTO/ TANG CHHIN SOTHY        (Photo credit should read TANG CHHIN SOTHY/AFP/Getty Images)

Fonte:  WRI

© Foto Getty Images

Un progetto di energia a basso costo per l’Africa

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Nelle regioni più remote dell’Africa, ambulatori e cliniche riescono ad alimentare i dispositivi medici e gli impianti di illuminazione solo per mezzo di generatori a gasolio, inquinanti e molto costosi. E senza contare il disagio imposto nei mesi invernali dall’assenza di sistemi per il riscaldamento dell’acqua. Di fronte a questa situazione pesante da sopportare, una startup fondata da un gruppo di studenti ed ex-allievi delMIT (Massachusetts Institute of Technology) ha creato un impianto solare a concentrazione integrato in unciclo di Rankine organico, un ciclo termodinamico che converte il calore in lavoro. Entriamo nel dettaglio. Il sistema fa uso di uno specchio parabolico per catturare la luce del sole e riscaldare un fluido termovettore, del comune liquido antigelo usato nei radiatori; questo a sua volta cede l’energia ad una sorta di condizionatore inverso. Invece di richiedere energia elettrica per pompare aria fredda da un lato e aria calda dall’altro, il sistema genera elettricità utilizzando la differenza di temperatura tra aria e fluido riscaldato.

Ma non è tutto, perchè il termovettore, al tempo stesso, è in grado di fornire calore e acqua calda. Basta aggiungere poi una fase separata di refrigerazione, ed ecco che come d’incanto si riesce a mettere in circolo anche aria fredda.

Forse ti potrebbe interessare anche: Un prototipo di questo sistema cheap è stato installato in una piccola clinica nel Lesotho, nella parte più fredda e meridionale del Continente. L’equipe del MIT sta però guardando oltre, il prossimo anno prevede di avere altri cinque sistemi pienamente operativi, presso strutture di ricovero e scuole. Al termine della sperimentazione, che durerà qualche anno, si potrà capire se davvero si sarà trovata la strada per  garantire elettricità pulita e a basso costo in  queste terre isolate. Per il momento possiamo dire che le premesse sono buone. L’elemento chiave del sistema è una turbina a espansione, impiegata per convertire il calore in elettricità. Il lavoro encomiabile dei ricercatori ha permesso di risolvere anche uno dei limiti più grandi del progetto, vale a dire la necessaria presenza di un operatore esperto incaricato di regolare temperature, pressioni e tensioni. Al posto delle braccia umane è stato sviluppato un sofisticato software di controllo automatizzato, il che riduce la manutenzione alla sola pulizia degli specchi, programmata ogni 6 mesi.

Fonte: tuttogreen