Nativa e le B Corp: così è nato il business che può cambiare il mondo

Si può fare business ottenendo, oltre che un valore economico, anche un impatto positivo nel mondo, in termini di rigenerazione ambientale e giustizia sociale. Un approccio agli affari che premia le imprese e rappresenta la chiave di volta per cambiare e salvare il mondo. Ne abbiamo parlato con Eric Ezechieli, cofondatore di Nativa, la prima B Corp e Benefit Corporation in Europa. Oggi l’Italia ha una leadership mondiale in questo settore. Ci sono interviste che realizzi al primo colpo e altre che rimandi per settimane, mesi, anni. Quella con i fondatori di Nativa e il mondo delle B Corp, nella mia avventura di giornalista, fa parte del secondo gruppo.  È  da almeno quattro anni, infatti, che mi ripromettevo di organizzare questo incontro, ma per un motivo o per l’altro era sempre stato rinviato. Ed eccomi finalmente giunto nella sede milanese di questa società. Siamo ad aprile 2019 e dopo una breve attesa incontro Eric Ezechieli, cofondatore con Paolo Di Cesare, di Nativa. Ci sediamo e iniziamo subito a parlare. Lui è un fiume in piena e tanto sono preso dall’ascoltarlo che non mi accorgo che la mia telecamera ha un difetto nella messa a fuoco. Ma tant’è, ormai è fatta.

Parliamo. Parliamo di B Corporation e aziende B Corp, di criteri di sostenibilità, di rischio greenwashing e capitalismo giunto ad un bivio, di Fridays for future e cambiamenti sistemici. Ci interroghiamo sul futuro del mondo, sulle nostre possibilità (come specie umana) di sopravvivere, sul ruolo dell’Italia in questo momento storico. Rimango colpito, mentre lo ascolto, dalle molteplici similitudini tra il suo e il nostro approccio: cambiamento sistemico, approccio transizionista, voglia di fare grandi salti e necessità di fare piccoli passi, difficoltà a distinguere cosa sia lavoro e cosa non, in una passione che tutto travolge. Eric e “i suoi” vogliono cambiare le imprese, le aziende, quelle con gli azionisti. Come in molti sanno, una SPA da statuto deve rispondere appunto agli azionisti e quando dico rispondere, intendo produrre utili. Idem le SRL per i loro soci. Produrre utili. Punto. Ad oggi il modello economico delle più grandi aziende del mondo (e anche di gran parte di quelle medie e piccole) ha questo come primo, e spesso unico, obiettivo.  

Produrre utili. A che prezzo? “Non importa – sembra affermare una voce invisibile – Taglia personale, inquina, investi in speculazioni finanziarie, non interrogarti sui diritti delle donne, non migliorare la qualità della vita dei lavoratori”. Produci utili. E allora qualcuno ha cominciato ad interrogarsi e ha pensato di misurare l’impatto di ogni azienda e di inserire nello statuto di ogni società la sostenibilità sociale e ambientale. Può sembrare un gesto puramente simbolico, e forse in alcuni casi lo sarà anche, ma come vedremo può essere l’avvio di una piccola o grande rivoluzione. Lo statuto di un’azienda, infatti, guida le azioni e le scelte dei management. Se questi “devono” rispondere ad un unico dictat, fare utili, non hanno alcuno strumento per cercare di realizzare politiche di altro genere, ma se tra i loro compiti “statutari” c’è la sostenibilità ambientale, l’etica del lavoro, il sociale e così via, ecco che iniziano ad avvenire piccoli miracoli. Ci si interroga sulle filiere, sugli investimenti, sulle scelte interne ed esterne, sui modelli produttivi e così via. Si entra in transizione. Ci si attiva, si cambia. Si entra a far parte dell’Italia che Cambia, insomma. Ma facciamo un passo indietro e andiamo ad ascoltare la storia di Eric e della sua Nativa. Nativa nasce nel 2012 e fu la prima B Corp e Benefit Corporation in Europa. Oggi occupa circa 15 persone tra Roma e Milano e accompagna le aziende che decidono di intraprendere il percorso per diventare una B Corp o una Società Benefit fungendo da catalizzatore di cambiamenti tesi a progettare futuri sostenibili.

Ma cosa significa essere una B Corp?

Essere una B Corp (Certified B Corporation) significa intraprendere un cammino di sostenibilità sociale e ambientale partendo dall’analisi del proprio impatto sulla società e sul pianeta. Oggi, infatti, la maggior parte delle aziende consuma più risorse di quante ne produce e non è quindi rigenerativa, bensì estrattiva. Per cercare di invertire questa rotta il primo passo consiste nel misurare le proprie attività usando un protocollo che si chiama b impact assessment, uno standard usato oggi in tutto il mondo da oltre 150.000 aziende. “Quando vai a misurare – mi spiega Eric – ti trovi a comprendere se stai creando un valore economico a discapito di un valore sociale e ambientale o lo stai creando rigenerando la società, la natura, la biosfera. Purtroppo oggi moltissime aziende non perseguono il valore sociale e ambientale anche perché la legge non glielo impone… Le B Corp nascono invece esattamente con questa intenzione”. In un mondo ideale, mi confida Eric, un’azienda dovrebbe poter distribuire utili solo se prima ha dimostrato di essere rigenerativa e di non danneggiare ambiente e società. Le B Corp, inoltre, hanno mostrato in questi anni una particolare resilienza. Quando ci sono crisi, infatti, hanno una tenuta migliore perché fondano il proprio business su un modello più radicato sul territorio, sulla fiducia delle persone e così via. Caratteristiche che abbiamo incontrato nella maggior parte delle aziende raccontate dal nostro giornale!

B Corp e Benefit Corporation (o Società Benefit)

Abbiamo visto come la B Corp sia una tipologia di impresa che ha come obiettivo quello di rigenerare la società, la natura, la biosfera nonché di condurre un’attività economica che generi un profitto risolvendo problemi ambientali e sociali. L’obiettivo è creare business orientati ad essere primariamente fonti di rigenerazione. Per ottenere questi obiettivi (e salvare il mondo) secondo questo approccio occorrono due passaggi: 

1) La misurazione degli impatti: come anticipato, grazie al protocollo b impact assessment si può “scansionare” a 360 gradi un’azienda per capire se sta creando valore economico sociale e ambientale per la società. Le aziende che creano più valore di quanto ne “consumino” si possono qualificare come B Corp certificate dopo aver superato un percorso di verifica, validazione e certificazione svolto dalla non profit che ha sviluppato il modello: B Lab. Per essere certificati occorre ottenere almeno 80 punti su una scala di 100. 

2) Il secondo passaggio è legato allo stato giuridico dell’impresa. Fino ad oggi, secondo i codici civili e le leggi vigenti in tutto il mondo, lo scopo unico di una società di capitali è stato distribuire dividendi agli azionisti. Ambiente e persone, di conseguenza, non sono mai rientrati negli scopi statutari di un’azienda. Le Benefit Corporation (chiamate in Italia Società Benefit), invece, non solo devono misurare gli impatti e generare valore, ma devono anche avere una forma giuridica che ti consenta di creare un impatto positivo sia per gli azionisti che per gli altri portatori di interessi (un nuovo scopo giuridico, quindi, con una specifica forma d’impresa oggi disponibile in Usa, Italia e altri paesi). Eric Ezechieli definisce questo strumento un “nuovo sistema operativo per il capitalismo” che consente alle aziende di diventare portatrici di rigenerazione! 

La società Benefit deve specificare esattamente in che modo va a creare questi benefici e deve rendicontare questi impatti, utilizzando il protocollo segnalato prima. È importante precisare che assumere questa forma giuridica non comporta sgravi fiscali o altri vantaggi economici. È uno strumento le cui ricadute, quindi, sono “esclusivamente” sociali e ambientali. Il rischio di greenwashing, però, è sempre dietro l’angolo. Secondo Eric, questo è fortemente limitato proprio dall’assenza di vantaggi fiscali nel modello e, inoltre, l’adozione nel proprio statuto di determinati obiettivi misurabili, potrebbe portare alla denuncia dell’azienda inadempiente che andrebbe controllata dal garante per la concorrenza essendoci gli elementi di “condotta sleale”.  

Il protocollo b impact assessment (disponibile on line gratuitamente e utilizzabile da chiunque) è molto vasto e misura impatti su persone, ambiente, comunità, lavoratori, nonché la trasparenza, i sistemi di governance e il business model. In realtà, non esiste un unico protocollo, ma anzi ci sono più di 150 modelli che variano con dimensioni, area geografica, settore di appartenenza e così via, consentendo a chi aderisce di confrontare le proprie performance con altre aziende di settore che stanno facendo percorsi analoghi.

Summit 2018 delle B Corp

Un avvio difficile… e poi una leadership mondiale!

Quando Eric e Paolo hanno deciso di fondare Nativa come Benefit Corporation hanno redatto uno statuto ispirato a quello americano. Nel luglio 2012, quindi, lo hanno presentato alla Camera di Commercio e… sono stati respinti perché “illegali” avendo costruito un soggetto che non aveva come unico scopo quello di distribuire dividendi. Loro non si sono arresi e al quinto tentativo la camera di commercio li ha accettati “per sfinimento” ma senza che esistesse un ordinamento giuridico in cui potessero davvero rientrare. A quel punto, hanno deciso di attivarsi e grazie anche ad un Senatore, Mauro Del Barba, sono riusciti a far riconoscere il modello di Società Benefit in Italia. Il gruppo di lavoro si costituì nel 2014 e scrisse un disegno di legge che, dopo circa 14 mesi, fu approvato. Dal 1 gennaio 2016 l’Italia è quindi diventata il primo tra gli stati sovrani ad avere una legislazione che riconosceva questo status d’impresa. Oggi, il modello di Benefit Corporation esiste in 34 Stati degli USA, in Italia, in Colombia e Perù e ci sono altri 15 Stati che si stanno ispirando alla legislazione italiana, soprattutto in America Latina. L’Italia ha quindi una leadership mondiale in questo settore ed è il Paese in cui stanno nascendo più B Corp certificate (circa 100 hanno ottenuto la registrazione mentre oltre 2000 si stanno misurando) e Società Benefit (più di 300: da piccole aziende e start up a grandi aziende e multinazionali).

Il modello capitalista deve cambiare

“Per me non si dovrebbe più poter concepire un business che non abbia al centro la rigenerazione ambientale e sociale – mi spiega Eric -. Quando inizi a ragionare in questi termini diventa quasi inconcepibile che un’azienda possa trarre profitti avendo generato impatto negativo a persone o natura. Un’azienda dovrebbe poter distribuire utili solo se non ha causato danni ad ambiente e persone! Siamo ad un punto di non ritorno. O il modello capitalista diventa rigenerativo o… Un modello che sistematicamente danneggia la società non può continuare nel futuro. I limiti ci sono. Se non si autoriforma il sistema, interverranno dei fattori che porteranno all’eliminazione di questo modello. Non va certo dimenticato che il modello capitalista ha portato una fetta di mondo ad emanciparsi da fame e miseria, ma oggi il modello deve cambiare. È giunto al capolinea! Le B Corp rappresentano una delle evoluzioni più forti di questo modello e dimostrano che cambiarlo è possibile anche in modo esponenziale. Ecco perché vedo il ruolo di Nativa come quello di un catalizzatore utile ad accelerare questa trasformazione”.

Le Nazioni Unite e il B Lab

L’ONU, due anni e mezzo fa, ha chiesto a B Lab di collaborare per sviluppare uno strumento utile per misurare il progresso delle aziende rispetto ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030. Questo sarà pronto entro fine 2019. A quel punto, l’ONU proporrà la diffusione di questo strumento a tutte le aziende del mondo.

B Corp ed EBC (Economia per il Bene Comune)

Eric Ezechieli ritiene che ci siano moltissimi elementi di sinergia e allineamento tra i due movimenti. La matrice di EBC viene più dal mondo dell’associazionismo e dell’impresa sociale, quella di B Corp più dal business classico. Ma i due strumenti sono complementari. “Con i rappresentanti di EBC abbiamo iniziato a scambiare alcune idee – conferma Eric – ma ora vogliamo incontrarci per approfondire. Quando ho sentito parlare Christian Felber mi sono ritrovato! Diciamo praticamente le stesse cose”.

Il cambiamento dipende da noi

“Mi occupo di sostenibilità da quando ho 14 anni – conclude il cofondatore di Nativa – studiavo i modelli del MIT che già mostravano i rischi ambientali e sociali a cui saremmo andati incontro e pensavo che gli adulti avrebbero aggiustato le cose. Si sapeva già tutto… Poi passavano gli anni e non cambiava quasi niente. Ho quindi deciso di dedicare la mia vita al cambiamento. Oggi le trasformazioni (e i problemi e le sfide) stanno accelerando in modo esponenziale. Diventa quindi fondamentale agire tutti insieme e in modo rapido per contrastare questi processi. Il modello vigente, che è quello estrattivo, non ha nessuna possibilità di funzionare in futuro! L’Italia, da questo punto di vista, è all’avanguardia nel mondo […]”. 

Ho tagliato volutamente il finale di questa intervista perché vi invito a guardare il video che trovate all’inizio di questo articolo. Nell’ultimo minuto riassume quanto da anni cerchiamo di raccontare con il lavoro di Italia che Cambia. Nonostante il racconto ossessivamente negativo dei media e dei luoghi comuni siamo all’avanguardia nel cambiamento. Un’avanguardia mondiale. Che facciamo, ci attiviamo anche noi?

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/nativa-b-corp-business-puo-cambiare-mondo-io-faccio-cosi-248/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni#

Rapporto PEFC 2017: più di 1000 aziende in Italia gestiscono legno e carta in modo sostenibile. Certificati 745.559 ettari di boschi e foreste.

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Superato il traguardo delle 1.000 aziende certificate PEFC in Italia, segnando un +8% rispetto al 2016. Alla fine del  2017 risultano  certificati PEFC 745.559,04 ettari di foreste e boschi: al primo posto le aree del Trentino Alto Adige, con gli ettari gestiti dalla Provincia Autonoma di Bolzano e dalla Provincia Autonoma di Trento. Il 2017 in Italia si è chiuso con un grande risultato per la certificazione forestale: sono infatti ben 77 (+8% rispetto al 2016) le nuove aziende in Italia che hanno scelto di certificare la propria attenzione all’ambiente con lo standard PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes).  Si è quindi superato il traguardo delle 1.000 aziende certificate PEFC in Italia, per un totale di 1.005 che hanno scelto di dimostrare a tutti i consumatori di avere un’attenzione forte all’ambiente e in particolare al modo in cui viene gestito il patrimonio forestale italiano.
Il Triveneto è l’area con più aziende virtuose in Italia, con Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia ai primi tre posti (rispettivamente con 236, 183 e 174 aziende certificate PEFC); la medaglia di “legno”, decisamente appropriata vista il contesto, alla Lombardia con 121 aziende di trasformazione con la tracciabilità fino al bosco d’origine. Le segherie, il commercio, edilizia e carpenteria, mobilio, editori e tipografie sono le categorie con maggiori aziende certificate (fanalino di coda, ma di grande rilevanza, i prodotti forestali non legnosi, come miele, funghi, sughero, oli essenziali).

Nel 2017 certificati 745.559,04 ettari, al primo posto Bolzano

Secondo i dati del PEFC Italia, sul territorio italiano sono 745.559,04 gli ettari gestiti in maniera sostenibile attestati dalla certificazione PEFC. In particolare, aumentano i pioppeti certificati che, con 340 nuovi ettari, hanno portato la superficie totale a 4.690,90 ettari.

A livello geografico, l’area a maggior certificazione è quella gestita dal Südtiroler Bauernbund – Unione Agricoltori di Bolzano (con 300.899,70 ettari, il 40,3% del totale PEFC italiano), seguita dall’area gestita dal Consorzio dei Comuni Trentini – AR Trentino (con 258.566,72 ettari, il 34,6%) e da quella gestita dall’UNCEM in Friuli Venezia Giulia (con 81.913 ettari, il 10,9%). Seguono poi le superfici forestali certificate della Lombardia, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Basilica, Umbria e Veneto.

Certificazione: impegno etico e strumento di marketing per la green economy

“Siamo orgogliosi che sempre più aziende abbiano i requisiti per ottenere il marchio di certificazione di Catena di Custodia PEFC, che garantisce la sostenibilità di tutta la filiera della lavorazione dei prodotti di origine forestale, tra cui carta e legno”, spiega Antonio Brunori, segretario di PEFC Italia.

La Catena di Custodia è un sistema di tracciabilità a livello aziendale, utilizzato per tutte le fasi di lavorazione e distribuzione di legno e carta, che attesta che il sistema di registrazione del flusso della materia prima applicato dall’impresa soddisfa i requisiti stabiliti dallo schema di certificazione ed esige che la materia prima forestale non provenga da fonti controverse (es: abbattimento illegale o in aree protette) possa entrare nella catena dei prodotti certificati.

“La certificazione di ‘Catena di Custodia’ della propria azienda – conclude Brunori – rappresenta non soltanto un impegno etico nei confronti dell’ambiente, ma anche uno strumento di marketing, di differenziazione rispetto ai concorrenti e di comunicazione positiva verso il consumatore”.unnamed2

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Chi è PEFC Italia

PEFC Italia è un’associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale. Il PEFC è un’iniziativa internazionale basata su una larga intesa delle parti interessate all’implementazione della gestione forestale sostenibile a livello nazionale e regionale. Partecipano allo sviluppo del PEFC i rappresentanti dei proprietari forestali e dei pioppeti, organizzazioni ambientaliste, dei consumatori finali, degli utilizzatori, dei liberi professionisti, della ricerca, del mondo dell’industria del legno e dell’artigianato. Tra i suoi obiettivi si segnala quello di migliorare l’immagine della selvicoltura e della filiera foresta–legno-carta, fornendo di fatto uno strumento di mercato che consenta di commercializzare legno, carta e prodotti della foresta derivanti da boschi e impianti gestiti in modo sostenibile.

 

Fonte: – agenziapressplay.it

 

A Torino autobus scontati e bike e car sharing agevolato per le aziende

Il progetto “Smart Mobility” prevede uno sconto sugli abbonamenti ai mezzi pubblici e facilitazioni per il car sharing. E’ dedicato alle aziende.http _media.ecoblog.it_a_abd_a-torino-autobus-scontati-e-bike-e-car-sharing-agevolato-per-le-aziende

La città di Torino fa un passo avanti verso un sistema di mobilità integrata, alternativo all’auto di proprietà: è stato infatti presentato il progetto “Smart Mobility“, che prevede una serie di agevolazioni per le aziende e i loro dipendenti che fanno uso di autobus pubblici, bike sharing e car sharing. Le aziende che aderiscono a Smart Mobility, in pratica, possono godere di uno sconto sul prezzo degli abbonamenti agli autobus urbani GTT o degli altri mezzi pubblici torinesi sottoscritti per i propri dipendenti. I dipendenti, invece, possono avere sconti e agevolazioni (come il pagamento rateale in busta paga) sull’uso del car sharing e del bike sharing. Smart Mobility è dedicato alle aziende sia pubbliche che private e, al momento, partecipano 50 aziende con oltre 9.500 abbonamenti agevolati. Tra le aziende che aderiscono, da citare nomi del calibro di Ikea, Rai, Allianz, Camera di Commercio di Torino e Università degli Studi di Torino.
E’ una richiesta che viene dai cittadini e risponde alla domanda di poter disporre di servizio di mobilità facile, integrato e conveniente: caratteristiche indispensabili – spiega l’assessore alla Viabilità e ai Trasporti, Maria Lapietra – per un’offerta di trasporto in città adeguata soprattutto alle esigenze di chi deve muoversi per studio e per lavoro. Permettere, a chi deve spostarsi, di organizzare il proprio viaggio unendo un tratto in treno, in metropolitana o in bus ad altri fatti a bordo di un auto del car sharing o pedalando in bicicletta, porta benefici a tutta la collettività“.

L’iniziativa Smart Mobility è stata ideata e realizzata in sinergia da GTT (Gruppo Trasporti Torinese, Che a Torino gestisce gli autobus urbani, i collegamenti con l’aeroporto e il sistema ferroviario metropolitano), To Bike e Car2Go.

Fonte: ecoblog.it

Good Energy Award 2016. Le aziende e i progetti sostenibili premiati a Milano

Giunto alla 7° edizione, il Good Energy Award premia quattro progetti unici nel loro genere, dalla carta derivata dai fagioli, alla domotica green: vincono Lucaprint Group, Coop Lombardia, Acea Pinerolese Industriale e Almadom.us386242_1

Lucaprint Group per la categoria IndustriaCoop Lombardia per il TerziarioAcea Pinerolese Industriale per la Pubblica Amministrazione e Public Utilities e Almadom.us per la categoria Start-up, sono i vincitori della settima edizione del “Good Energy Award”.

Questo il verdetto della Giuria del Premio ideato da Bernoni Grant Thornton che seleziona quelle aziende che hanno avuto il coraggio di investire in un mercato innovativo, non tradizionale, in modo responsabile verso l’ambiente, l’economia e il territorio. Le premiazioni si sono stamani, lunedì 26 settembre, a Milano. Il Premio è realizzato con il contributo di BOSCH e COIMA Image, entrata di recente nel panel degli sponsor, con il supporto scientifico del Ministero dell’AmbienteANDAF (Associazione Nazionale direttori amministrativi e finanziari), Asseprim (Federazione Nazionale Servizi Professionali per le Imprese), Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di MilanoUniversità degli Studi di Trento,Università degli Studi di MilanoTrentino SviluppoFiper (Federazione Italiana produttori di energia da fonti rinnovabili).

Non è stato semplice individuare i vincitori – ha dichiarato Stefano Salvadeopartner di Bernoni Grant Thornton – tantissimi dei progetti proposti erano eccellenti e ciò non può che farci piacere, perchè significa che sono molte ormai le realtà italiane votate al risparmio energetico e al sostenibile. E’ incredibile come con idee originali, ma spesso molto semplici nella realizzazione, si possa fare tanto, risparmiando energia e creandone di nuova attraverso canali alternativi”.

Un riconoscimento speciale non profit è andato al Comitato Giovani della commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, per il progetto “Unesco nelle scuole all’insegna della sostenibilità”, finalizzato a rendere le nuove generazioni maggiormente consapevoli dell’importanza del nostro patrimonio culturale e naturale.  Vincitrice della categoria Industria è Lucaprint Group (Pianezze San Lorenzo – Vicenza) grazie al progetto Crush Fagiolo. Lucaprint opera nel settore grafico cartotecnico da più di sessant’anni e si colloca tra le prime 10 cartotecniche italiane. Il Gruppo ha progettato e prodotto un innovativo imballo realizzato con un cartoncino Favini chiamato Crush Fagiolo; un cartone ecologico prodotto con gli scarti di lavorazione di legumi non utilizzabili per l’alimentazione umana in parziale sostituzione di cellulosa da albero. Una produzione che ha permesso una riduzione di utilizzo del 15% di cellulosa vergine, un utilizzo del 30% di fibra riciclata da post-consumo, una riduzione del 20 % di gas ad effetto serra, un utilizzo del 100% di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili per le attività produttive svolte in tutta la filiera. Si è invece aggiudicato il premio nella categoria Terziario, Coop Lombardia (Milano) per il progetto“dall’olio all’olio”. L’olio alimentare di frittura o utilizzato per conservare gli alimenti è riciclabile al 100%; dopo un processo di rigenerazione può essere utilizzato per svariati prodotti: cogenerazione di energia elettrica e termica, produzione di biodiesel per trazione, lubrificanti, asfalti e bitumi, collanti, mastici e saponi industriali. Il progetto “dall’olio all’olio” di Coop Lombardia (di cui ECO aveva già scritto) è rivolto ai consumatori, soci e clienti ed è finalizzato a realizzare il recupero e riciclo presso la rete di vendita in contenitori dedicati. Il nome del progetto prende spunto dal fatto che parte dei ricavi derivanti dal riciclo dell’olio, vengono devoluti a ”Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” per recuperare o piantare nuovi uliveti nei terreni confiscati alle mafie. Nella categoria Pubblica Amministrazione e Pubbliche Utilities ha vinto invece Acea Pinerolese Industriale (Pinerolo – Torino) per il progetto del Polo Ecologico Integrato. Acea Pinerolese Industriale SpA è un’azienda multiutility che opera nel settore di gestione del ciclo integrato delle acque, della distribuzione del gas metano, della raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti. La società ha progettato e attualmente gestisce un innovativo impianto di trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), denominato Polo Ecologico Integrato. Il Polo attualmente riceve 60.000 t/anno di FORSU e 20.000 t/anno di frazione verde, con le quali produce 17 GWh/anno di energia elettrica, oltre 18 GWh/anno di energia termica e 6.000 t/anno di compost di qualità. La multiutility pinerolese ha contribuito alla realizzazione della filiera di produzione del combustibile per alimentare la Fiat Panda Biomethair sviluppata da CRF, Centro Ricerche Fiat.

Tra le “giovani speranze”, ovvero la categoria Start up, vince Almadom.us (Milano) per il progetto Domoki. Lanciata dal venture incubator Digital Magics nel maggio 2015, Almadom.us ha creato un nuovo sistema di home automation chiamato Domoki che, inserendosi all’interno delle scatole elettriche e sostituendo gli interruttori di casa, controlla luci, termostati, prese, tapparelle, valvole e anche altri oggetti connessi a internet. Domoki è in grado non solo di monitorare i consumi energetici di ogni singolo dispositivo ma anche di intervenire attivamente, ad esempio spegnendo le luci nelle stanze vuote, ottimizzando gli orari di accensione degli elettrodomestici e regolando l’intensità delle luci rispetto alla luce ambientale. Inoltre Domoki può fungere anche da termostato smart; grazie all’intelligenza artificiale a bordo può migliorare ulteriormente il risparmio energetico dei proprietari di casa. Stime del Politecnico di Milano hanno quantificato il risparmio nell’ordine del 20%, cioè tra 300 e 700 euro l’anno per un appartamento di 100mq.

La Giuria del Good Energy Award 2016 è stata presieduta da Maurizio Fauri (Professore di Sistemi Elettrici per l’Energia presso l’Università di Trento e Presidente Polo Tecnologico per l’Energia di Trento) e composta da: Fabrizio Adani, (Presidente Gruppo Ricicla – D.I.S.A.A. Università degli Studi di Milano),Enzo Argante (Reteconomy Sky), Alessandro Beda (Vice Presidente Sodalitas), Romolo Biondi (Direttore vendite Cross Selling Robert Bosch), Gabriele Boccasile (U.O. Politiche Agroambientali e Servizi alle Imprese – Regione Lombardia), Gianmarco Bocchiola (Partner Coima Image), Alberto Dossi (Presidente Gruppo Sapio), Federico Gianni (Consigliere Asseprim), Jacopo Giliberto (giornalista de Il Sole 24 Ore),Karin Mahl (Responsabile relazioni esterne Fercam SpA), Andrea Mazzolari (Ricercatore Università di Ferrara – Associato CERN di Ginevra), Giovanni Riva (Componente del comitato tecnico scientifico FIPER) e Rosanna Volpe (CFO Fondo Italiano d’Investimento Sgr).

Fonte: ecodallecitta.it

 

Inquinamento: Pechino chiude 2500 aziende

China Daily Life - Pollution
Pechino continua a essere sotto assedio: l’inquinamento atmosferico continua e il governo cinese avrebbe deciso, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Xinhua, di combattere le polveri sottili chiudendo, entro la fine dell’anno, 2500 aziende che con la loro attività compromettono la qualità dell’aria. La cappa grigio-giallastra in cui è immersa Pechino non si dirada e l’aria irrespirabile ha già fatto scendere in piazza migliaia di manifestanti. La situazione è di emergenza cronica: le autorità consigliano ai cittadini di limitare le uscite. A dicembre era stato lanciato per ben due volte l’allarme rosso per l’inquinamento atmosferico che ha decretato misure di sicurezza come la chiusura delle scuole, sabato 9 gennaio 2016 il Ministero dell’Ambiente cinese ha avvertito che una pesante cappa di smog avrebbe avvolto la capitale, la provincia dell’Hebei e la vicina Tianjin. Nell’anno appena conclusosi il livello medio di PM2.5 a Pechino è stato di 80,6 microgrammi per metro cubo, una concentrazione 1,3 volte superiore alla media nazionale. Nonostante il taglio del consumo di carbone in programma e la chiusura delle industrie più inquinanti le misure messe in campo dalla Cina potrebbero non essere sufficienti a centrare gli obiettivi di qualità dell’aria la cui deadline è fissata per il 2030.

Fonte: Xinhua

Con il carpooling aziendale risparmiate in 3 mesi 30 tonnellate di CO2

In occasione della chiusura della Settimana Europea della MobilitàJojob, l’innovativo servizio di carpooling aziendale che agevola gli spostamenti casa-lavoro, fa il punto sui km condivisi e sulle tonnellate di CO2 risparmiate nell’ultimo trimestre dalle aziende che hanno attivato il servizio. Ottimi i risultati di FindomesticUnicoop FirenzeYOOX GroupIstituto Italiano di Tecnologia e Amazon.unnamed

Più di 150.000 chilometri certificati4.700 viaggi condivisi30 tonnellate di CO2 risparmiate. Questi i numeri ottenuti nell’ultimo trimestre da Jojob, l’innovativo servizio di carpooling aziendale che agevola gli spostamenti casa-lavoro, diffusi in occasione della chiusura della Settimana Europea della Mobilità.
In un anno di attività, il portale di carpooling tra pendolari è riuscita a coinvolgere oltre50 aziende, tra cui Unicoop Firenze, Heineken, Findomestic e Auchan: complessivamente Jojob ha offerto un’alternativa di trasporto nei tragitti tra la propria abitazione e il luogo di lavoro ad oltre 50.000 dipendenti in Italia. Con Jojob infatti i dipendenti della stessa azienda o di aziende limitrofe possono condividere l’auto per gli spostamenti casa-lavoro attraverso un innovativo servizio che certifica i viaggi e i risparmi ambientali ottenuti. I lavoratori possono beneficiare di un concreto risparmio economico, di un’effettiva riduzione dei tempi e dello stress, di un’alternativa ai mezzi pubblici in caso di scioperi, ritardi o imprevisti, e di possibili benefit aziendali a fronte dell’impegno ecologico. Contemporaneamente, le aziende adottano una soluzione di mobilità equa e sostenibile che gli consente di ottenere certificazioni ambientali, energetiche e di Social Responsibility. Tra le aziende più attive e attente agli spostamenti sostenibili sulla propria piattaforma, Jojob segnala Findomestic che a Firenze nell’ultimo trimestre ha coinvolto oltre 1.000 dipendenti, ottenendo l’adesione al carpooling di 361 persone. YOOX Group invece ha attivato il servizio per le sedi di Bologna e Milano e si conferma come l’azienda di grandi dimensioni con il più alto tasso di adesioni degli ultimi tre mesi, con ben il 41% di dipendenti che utilizza il servizio. Il record di CO2 risparmiata va a Unicoop Firenze con quasi 3 tonnellate in 3 mesi, mentre Amazon guida la classifica dei percorsi certificati con oltre 1.400 viaggi completati. All’Istituto Italiano di Tecnologia spetta invece il primato in termini di chilometri percorsi: più di 32.000. I premi più golosi sono stati invece quelli di Gnammo, il portale di Social Eating che offre agli utenti della rete l’opportunità di organizzare eventi culinari di Home Restaurant, che ha premiato i carpooler più virtuosi con cene speciali all’insegna della sharing economy. “L’impegno profuso da queste aziende è stato eccezionale indice di sensibilità verso la mobilità sostenibile in rapida diffusione in Italia”, commenta Gerard Albertengo, CEO di Bringme, azienda ideatrice di Jojob. “La soddisfazione più grande è vedere come queste modalità di condivisione, risparmio e rispetto dell’ambiente vadano ad estendersi in maniera sempre più capillare e concreta”. Saranno tante infatti le aziende che nei prossimi mesi sceglieranno la mobilità sostenibile e si affideranno a Jojob per promuovere il carpooling aziendale: Brembo, dimostrando grande impegno e sensibilità, ha ufficializzato l’avvio del servizio per la totalità della sue sedi, coinvolgendo gli stabilimenti di Stezzano, Mapello e Curno con oltre 3.000 dipendenti. Nella Capitale, Bnp Paribas con la sede BNL sta progettando l’attivazione del servizio, mentre su Milano è in valutazione l’avvio del servizio presso la sede di Zurich. Il sistema COOP rafforza la sua presenza con l’adesione di COOP Consorzio Nord Ovest, che sta attivando il servizio su tutte le sue sedi presenti in Liguria, Lombardia e Piemonte. Si aggiunge infine il Comune di Abbiategrasso, che ha confermato l’attivazione del servizio per i dipendenti comunali e garantito la convenzione a commercianti e aziende del territorio comunale. Roberto Cingolani, Direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, afferma: “Per noi che siamo attivamente coinvolti nelle tematiche relative alla sostenibilità e all’utilizzo delle tecnologie per migliorare la qualità della vita, non può che essere una soddisfazione vedere come internamente l’utilizzo di Jojob sia stato accolto con entusiasmo, migliorando la vita di chi lavora nel nostro Istituto e aiutando l’ambiente”. Lorenza Ciacci, Direttore Marca Comunicazione e Pubblicità di Findomestic, dice: “Findomestic ha consolidato negli ultimi anni una cultura ambientale nell’assoluta convinzione che il rispetto dell’ambiente sia un valore fondamentale per indirizzare lo stile di vita di ciascuno verso un futuro ecologicamente più sostenibile. Il fatto che i dipendenti di Findomestic abbiano aderito con entusiasmo all’iniziativa Jojob testimonia come il tema della sostenibilità aziendale sia ormai diffuso nella cultura aziendale”. Emanuele Granziero, Assessore alla Viabilità del Comune di Abbiategrasso (MI), dichiara: “Il Comune di Abbiategrasso nell’ambito delle politiche di mobilità sostenibile che sta attuando negli ultimi due anni ha deciso di aderire a questo innovativo servizio di carpooling (già molto sviluppato in Europa) per gli spostamenti casa-lavoro sia per i propri dipendenti comunali che per tutte le aziende del territorio ed i cittadini che vorranno aderire all’iniziativa. Un ulteriore passo per la tutela dell’ambiente, che guarda alla nuova mobilità, il benessere del cittadino-lavoratore ed anche di risparmio economico. Un progetto all’avanguardia in continuità con le nostre politica di mobilità sostenibile che si riassumono nel motto pensare globalmente ed agire localmente”.
Chi è Jojob

Il servizio JOJOB di Bringme è un innovativo servizio di carpooling aziendale, nato con l’obiettivo di agevolare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti di aziende limitrofe. JOJOB è costituito da una piattaforma web e da un’applicazione mobile. Ogni utente, dopo essersi registrato su www.jojob.it, potrà visualizzare su una mappa la posizione di partenza dei propri colleghi e dei dipendenti di aziende limitrofe alla propria, mettersi in contatto e condividere l’auto nel tragitto casa-lavoro. Con l’applicazione mobile, l’unica in grado di quantificare la reale Co2 risparmiata dopo ogni tragitto percorso in car pooling, ogni passeggero potrà certificare il tragitto effettuato, ottenendo punti trasformabili in sconti da utilizzare in locali, ristoranti, bar e palestre convenzionate, sia a livello nazionale che locale.

Fonte: agenziapressplay.it

Convertire le aziende alla sostenibilità? Terra Institute spiega come fare

Il marketing dovrà davvero lavorare per migliorare il mondo. Ne sono convinti gli specialisti di Terra Institute, un centro che offre per tutti i rami d’impresa, soluzioni e consulenze rivolte alle aziende che vogliono modificare il proprio orientamento rendendolo più sostenibile e meno impattante sull’ambiente. In sintesi, Terra Institute aiuta i suoi clienti a riconvertire le proprie aziende rendendole più sostenibili.

“Vivere e lavorare in modo sostenibile è più bello! – afferma Evelyn Oberleiter, di Terra Institute – C’è bisogno di cambiare, e sono necessari degli ‘accompagnatori’ ai processi di trasformazione. Vogliamo accelerare un cambiamento di sistema e accompagnare le aziende ad essere parte della soluzione e non più del problema”. A chi si rivolge Terra Institute? “Vogliamo accompagnare le persone che si rendono conto dell’entità della crisi attuale: stiamo vivendo una crisi sociale molto forte, una crisi delle risorse naturali, crisi personali e spirituali. Non crediamo che l’uomo intenzionalmente volesse portare avanti questo sfruttamento e determinare la crisi di oggi, ma è successo così. Il modo in cui sono state fatte le cose ha portato a questi effetti. La domanda che ora ci poniamo è: come possiamo riconnetterci a tutto e trovare un modo di lavorare che faccia bene a noi stessi ma anche alla società, all’ambiente e all’economia? Le alternative ci sono, ma ci vuole un cambiamento totale nel modo di vedere e sentire”.10299921_960197394020414_4252154818147902206_n

Secondo Terra Institute, il marketing deve essere basato sul valore, sulle alleanze, su una visione comune. “Lavoriamo anche sulla tipologia di organizzazione, per un passaggio da una struttura gerarchica ad una circolare basata sulla collaborazione. Deve esserci una visione comune. Bisogna rendersi conto che ogni organizzazione è una rete, è come un organismo vivente”.

“Ci chiamano – ci spiega Evelyn Oberleiter – le aziende che si rendono conto dell’importanza della sostenibilità e vogliono essere guidate in un processo di conversione, che necessariamente sarà graduale. Si può iniziare dal passaggio da un fornitore ad un altro, da un cambiamento nei processi di produzione, da nuovi modelli di business ad una particolare attenzione nell’uso dei materiali, in un’ottica di risparmio e riutilizzo di tutte le risorse impiegate”.

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“I prezzi di tutte le risorse stanno aumentando e la quantità diminuisce, questo vuol dire che non abbiamo scelta: deve esserci un cambiamento nella realizzazione dei prodotti”. Le aziende, in un’ottica di cambiamento del sistema, possono essere parte della soluzione e non rappresentare più il problema. Terra Institute riceve moltissime richieste. “Un numero crescente di imprenditori si sta aprendo a questa logica, sempre più persone vogliono fare qualcosa che abbia un senso. Prima lavoravamo solo nel mondo ‘tedesco’. Ora vogliamo puntare sempre di più sull’Italia, dove c’è più solidarietà. Negli ultimi due anni ho visto un grande aumento di consapevolezza negli abitanti dell’Alto Adige. Cerchiamo di applicare il modello della sostenibilità anche alla nostra azienda. Tra le tante scelte, ad esempio, ci muoviamo in aereo il meno possibile. Vivere e lavorare in modo più sostenibile rende la vita più piacevole e gioiosa”.

fonte: italiachecambia.org

Dai cambiamenti climatici ai disastri naturali, ecco l’ambiente nel sondaggio Ipsos Mori 2014

Global Trends 2014 è il sondaggio globale di Ipsos Mori che analizza diversi temi, tra cui anche l’ambiente. Ecco i risultati su ciò che si pensa nel mondo di cambiamenti climatici, tasse e ricicloglobal-trends-2014

E’ una grande e ambiziosa indagine statistica globale quella appena presentata da IPSOS MORI e che prende in considerazione le risposte raccolte su un campione di intervistati nel settembre del 2013. Tra i tanti argomenti sottoposti c’è anche l’ambiente. Ecco di seguito le domande e le risposte, davvero sorprendenti in tanti casi. Gli argomenti spaziano dai disastri naturali, ai cambiamenti climatici (con qualche trabocchetto per gli scettici del clima) al riciclo. Le risposte tracciano profili complessi ma anche una grande voglia di parlare di ambiente.

Ambiente e disastri naturaliipsos-mori-ambiente-disastri-naturali

La prima domanda che riguarda l’ambiente è stata fatta a 16030 adulti on line, di cui 1000 in Gran Bretagna (il campione è il medesimo per tutte le domande):

Stiamo andando verso i disastri ambientali se non cambiamo le nostre abitudini rapidamente?

Ebbene, i cinesi ne sono convinti per il 97 per cento degli intervistati a fronte degli più scettici americani che pensano sia possibile appena per il 57 per cento. Gli Italiani invece ci credono per l’84 per cento, con Francia (75 per cento), Spagna (70 per cento), Belgio (73 per cento), Germania (75 per cento) e Svezia (65 per cento); più scettica la Polonia (59 per cento) con Gran Bretagna (59 per cento).

Troppa confusione sull’ambienteipsos-mori-confusione-ambiente

 

La domanda è complessa e richiede una risposta di pancia:

Sono stanco di questo trambusto intorno all’ ambiente

Curiosamente i più stanchi sono i brasiliani (55 per cento) che evidentemente dopo i Mondiali Brasile 2014 consumati tra disastri ambientali di ogni genere inclusa la sempre più rapida deforestazione amazzonica che è costata la vita a 20 ambientalisti, si dicono oltre il limite di sopportazione sulle questioni ambientali. Gli italiani si dicono stanchi per il 19 per cento, confermando un grande interesse verso le questioni ambientali mentre solo gli indiani (51 per cento) condividono il sentimento di stanchezza con i brasiliani.

Aziende e ambienteipsos-mori-attenzione-aziende-ambiente

La domanda è diretta e le risposte sono sorprendenti:

Le aziende non prestano sufficiente attenzione all’ambiente.

Ebbene sono proprio i cinesi a essere quasi totalmente d’accordo, almeno nel 93 per cento delle risposte; segue la Turchia (86 per cento) con Argentina e Italia che per l’83 per cento sono d’accordo con il fatto che le compagnie non siano attente all’ambiente. I giapponesi si dicono d’accordo per il 45 per cento il che lascia perplessi considerato che nel 2011 c’è stato il disastro di Fukushima nel 2011.

Il ricicloipsos-mori-riciclo

Qui non c’è una domanda ma un’affermazione:

Provo a riciclare per quanto posso

e si dice d’accordo il 92 per cento dei cinesi seguiti da canadesi e belgi (entrambi con 88 per cento), australiani (87 per cento) e poi da turchi, britannici e italiani (tutti all’86 per cento>). I meno virtuosi o forse i più onesti nelle risposte sono i giapponesi (65 per cento) e i russi (60 per cento) che probabilmente ammettono di non essere troppo attenti al riciclo.

Tasse e ambienteipsos-mori-ambiente-tasse

Veniamo alla nota dolente delle tasse con la domanda:

I governi usano la questione ambientale come scusa per aumentare le tasse.

Ne sono convinti il 73 per cento degli spagnoli e il 72 per cento dei francesi. Mentre appena il 44 per cento degli italiani lo pensa! Credo sia un dato sorprendente che ci dice quanto invece gli italiani siano consapevoli di cosa siano le tasse e di dove vadano a finire e di quanto sopratutto la questione ambientale nel nostro Paese sia ignorata.

Scettici se ci siete uscite fuoriipsos-mori-cambiamenti-climatici-scettici

Veniamo alla domanda che dovrebbe stanare gli scettici:

Anche gli scienziati sulla questione ambientale non sanno di che cosa stanno parlando

Ebbene i cinesi per il 75 per cento e i giapponesi per il 67 per cento ne sono convinti. Fa strano quel 58 per cento di tedeschi che crede che nemmeno la scienza abbia le idee chiare sulla questione ambientale mentre udite udite, appena il 36 per cento degli italiani è d’accordo. Ha fiducia nella scienza, almeno sulle questioni ambientali, il 55 per cento dei nostri compatrioti.

Cambiamenti climaticiipsos-mori-cambiamenti-climatici

 

Veniamo alla domanda cruciale sui cambiamenti climatici riservata agli scettici:

I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo sono un fenomeno naturale che si manifesta ciclicamente.

Ebbene ne sono convinti indiani (52 per cento con un 42 per cento che si dice non d’accordo), americani (52 per cento) e cinesi (51 per cento), ovvero gli stessi che a ogni conferenza sulle azioni da intraprendere per contrastare i cambiamenti climatici a livello globale fanno saltare gli accordi. Ora sappiamo bene perché.

Cambiamenti climatici causati dall’uomo

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Veniamo alla domanda trabocchetto:

I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo sono causati largamente dal comportamento umano.

Pazzesco, ma il 93 per cento dei cinesi si dice d’accordo a cui seguono l’84 per cento degli italiani e degli argentini. Restano scettici gli americani (54 per cento) e i britannici (64 per cento) e questa è la prova del nove del perché le Conferenze internazionali sul clima potranno fallire ancora per molti anni.

Global Trends 2014 è l’elaborazione di un ampio sondaggio condotto da Ipsos MORI: oltre16mila interviste condotte fra il 3 e il 17 settembre 2013, 20 paesi del mondo coinvolti, un “panel” statistico composto da un pubblico di cittadini e consumatori attivi sul web e fortemente connessi. Il progetto, molto ambizioso, fotografa lo stato dell’arte su una serie di comportamenti e tematiche di rilevanza mondiale (dall’ambiente alla salute, dall’attivismo politico ai brand). E si propone di lanciare il dibattito su quel che sarà in futuro.

Fonte: ecoblog.it

Condomini Efficienti: Comune, Legambiente e aziende insieme per il risparmio in bolletta

A Palazzo Marino l’assessore Maran, Poggio e Meggetto di Legambiente e i rappresentanti di HabitaMi, AssIRen e Condominio Classe A hanno lanciato “Patti chiari per l’efficienza energetica”, l’alleanza per la riqualificazione energetica e ambientale dei condomini. Sportelli informativi presso i CdZ per informare i cittadini378563

In questi giorni in cui l’area di Milano sta affrontando un’emergenza inquinamento, con valori del Pm10 che sono tornati a salire, in città parte l’importante campagna ‘Condomini Efficienti’. L’iniziativa, promossa da Legambiente e patrocinata dal Comune di Milano, ha l’obiettivo di promuovere la riqualificazione energetica degli edifici e diffondere buone pratiche per il risparmio energetico. Una famiglia milanese spende mediamente 1.500 euro all’anno per riscaldare la propria abitazione: con interventi importanti sull’edificio e cambiando l’impianto di riscaldamento è possibile, in molti edifici,risparmiare dal 30 al 60% sulla bolletta energetica (fino a 500/1000 euro all’anno). È possibile inoltre, fino alla fine dell’anno, detrarre dalle tasse il 65% in 10 anni dell’investimento per rendere più efficiente la propria abitazione. Con ‘Condomini Efficienti’, nei prossimi mesi, migliaia di condomini milanesi saranno informati sulle possibilità di risparmio energetico e, se decideranno di riqualificare le proprie case, potranno scegliere sulla base di preventivi chiari e tagli sui costi garantiti da aziende e professionisti che accettano di lavorare in base alle nuove norme (europee e nazionali) e all’accordo volontario ‘Patti chiari per l’efficienza energetica’, promosso dal Comune di Milano e sottoscritto da tutte le parti sociali e dall’associazione Legambiente.  La campagna muoverà i primi passi già durante la fiera “Fa’ la cosa giusta” in programma dal 28 al 30 marzo in Fiera Milano City, per poi attraversare concretamente tutti i quartieri di Milano, incontrando, condominio per condominio, tutte le famiglie interessate. “Questi giorni di emergenza ambientale devono essere colti come un’occasione importante per portare all’attenzione di tutti il tema della lotta all’inquinamento. Con‘Condomini Efficienti’ vogliamo offrire l’occasione a tutte le famiglie milanesi di risparmiare sui costi dell’abitare e ridurre inquinamento e consumi energetici”, ha dichiarato Barbara Meggetto, direttrice Legambiente Lombardia.  “L’investimento in risparmio di energia è tra i più promettenti e interessanti oggi in tutta Europa e la necessità di rendere più efficienti le abitazioni è ormai legge, in Europa come in Italia. Nell’arco dei prossimi trent’anni sarà obbligatorio metter mano a circa 40 mila condomini di Milano: quasi 1300 edifici all’anno. Si apriranno quindi cantieri da centinaia di migliaia di euro, dei veri e propri ‘cantieri verdi’ per risparmiare sull’energia, diminuire l’inquinamento e vivere meglio. Tutti cantieri in regola, con fattura detraibile: questa è vera green economy”. La campagna ‘Condomini Efficienti’ verrà attuata in collaborazione con gli Sportelli Energia che il Comune di Milano ha aperto in tutte le zone di Milano. Legambiente ha incontrato inoltre l’interesse e l’alleanza di tante società e professionisti: quelle coordinate nella grande campagna di HabitaMi, una importante rete d’impresa (Rete Irene) e il network Condomini Classe A. Grazie a loro si moltiplicheranno le forze, i banchetti, i gazebo e le occasioni di incontro con Legambiente e con gli Sportelli Energia del Comune di Milano. Sono previsti, inoltre, una ventina di incontri e spettacoli in tutta la città e una decina di iniziative di piazza in tutta Milano. Poi manifestazioni, eventi, seminari di approfondimento e studio.

Per ulteriori informazioni: www.viviconstile.org

Fonte: ecodallecittà.it

 

8. È una mossa commerciale?

Dalle piccole imprese alle multinazionali, molte aziende sono alla ricerca di un modo per conservare o aumentare le proprie quote di mercato. 21

In un’epoca di concorrenza globale agguerrita, il perseguimento della sostenibilità suggerisce ben più di un «rinverdimento» dell’immagine aziendale e di un taglio dei costi di produzione. Potrebbe comportare lo sviluppo di nuovi rami di attività. L’invasione delle grandi scimmie probabilmente non compariva in cima alla lista dei rischi aziendali di Unilever. Eppure, il 21 aprile 2008, la sede centrale di Londra e gli uffici del Merseyside, di Roma e di Rotterdam di Unilever sono stati invasi dagli attivisti di Greenpeace travestiti da oranghi. Gli attivisti protestavano contro i danni provocati alle foreste pluviali tropicali in Indonesia dalla produzione di olio di palma, utilizzato in molti prodotti Unilever. A poca distanza dal blitz, l’azienda ha annunciato che entro il 2015 avrebbe utilizzato solo olio di palma proveniente da fonti «sostenibili». Da allora, l’azienda ha predisposto un piano per porre la sostenibilità al centro delle sue pratiche aziendali. Molteplici e svariati sono i motivi che potrebbero spingere una multinazionale ad adottare pratiche più sostenibili. Possono essere legati all’immagine aziendale di una società o all’immagine dei suoi marchi. Una richiesta di sostenibilità potrebbe anche provenire dagli investitori, magari poco inclini a dare il loro denaro ad aziende incuranti dei rischi del cambiamento climatico o non interessate a trarre vantaggio dall’ecoinnovazione. Karen Hamilton, vicepresidente per la sostenibilità di Unilever, osserva: «Non vediamo alcun conflitto tra crescita e sostenibilità. Anzi, a  chiedercelo è un numero sempre crescente di consumatori». Oppure, semplicemente, l’adozione di pratiche sostenibili può essere una mossa commerciale. Le aziende potrebbero acquisire un vantaggio competitivo e accrescere la propria quota di mercato. Potrebbero anche derivarne nuove opportunità commerciali per gli eco imprenditori innovativi che rispondano a una domanda di prodotti «verdi» in crescita. Karen aggiunge: «La sostenibilità comporta anche risparmi sui costi. Se possiamo ridurre gli imballaggi, possiamo ridurre il consumo energetico degli impianti, risparmiando denaro e aumentando la redditività».

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Dove cercare nuove idee

In virtù delle sue dimensioni, una grande multinazionale che introduce pratiche «verdi» può fare la differenza. Tenderà a spingere le aziende sue pari a fare altrettanto. Fondato alla vigilia del vertice di Rio del 1992 per dare voce al settore imprenditoriale, il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD, Consiglio mondiale delle imprese per uno sviluppo sostenibile) è una piattaforma istituita per promuovere la sostenibilità delle imprese. La relazione «Vision 2050» (Visione 2050) del WBCSD, elaborata in collaborazione con i maggiori esperti e dirigenti d’impresa, delinea le novità irrinunciabili che il settore delle imprese dovrebbe introdurre nei prossimi decenni per realizzare la sostenibilità globale. In altre parole, è un appello alla sostenibilità che viene dall’interno. I punti principali identificati dal WBCSD rispecchiano molti degli obiettivi dei responsabili politici: far sì che i prezzi di mercato includano i costi del danno ambientale; individuare soluzioni efficaci per produrre più cibo senza utilizzare più terreno o più acqua; porre fine alla deforestazione; ridurre le emissioni di carbonio a livello mondiale attuando la transizione verso l’energia verde; utilizzare l’energia in modo efficiente in tutti i settori, trasporti inclusi. Il Carbon Disclosure Project (CDP, Progetto di rivelazione del carbonio) è un’altra iniziativa intesa a promuovere la sostenibilità nel settore delle imprese. Si tratta di un’organizzazione no-profit nata allo scopo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e l’utilizzo di acqua da parte di imprese e centri urbani. Il CDP aiuta inoltre gli investitori a valutare i rischi d’impresa collegati all’ambiente, quali il cambiamento climatico, la scarsità d’acqua, le alluvioni e l’inquinamento, o semplicemente la carenza di materie prime. Soprattutto nel contesto dell’attuale crisi finanziaria, gli investitori rivestono un ruolo importante nel decidere quali aziende debbano sopravvivere.

Le soluzioni passepartout non esistono                  

Resta una domanda: in che modo un’azienda può tradurre la sostenibilità nella gestione d’impresa? Non esiste una soluzione valida per tutti, ma esistono numerosi servizi di supporto e di consulenza. Piattaforme dedicate alle imprese sostenibili, come il World Business Council for Sustainable Development e il Carbon Disclosure Project, assistono le imprese che intendono porsi all’avanguardia. Vi sono inoltre raccomandazioni più mirate, come gli orientamenti dell’OCSE per le imprese multinazionali allegati alla dichiarazione dell’OCSE sugli investimenti internazionali e le imprese multinazionali. Tali orientamenti enunciano norme e principi volontari per condurre attività d’impresa in modo responsabile destinati alle multinazionali operanti nei paesi che hanno aderito alla dichiarazione. Tuttavia, i regimi esistenti hanno perlopiù carattere volontario e sono generalmente considerati nel più ampio contesto della responsabilità sociale delle imprese. Non sono solo gli alti dirigenti delle diverse aziende a guidare la transizione verso le pratiche sostenibili. I governi e gli enti pubblici in generale possono assecondare le aziende creando regole uguali per tutti e prevedendo incentivi. Può darsi che travestirsi da orango non sia sempre necessario, ma i consumatori e la società civile possono lanciare un segnale forte al settore privato semplicemente facendo vedere che c’è un interesse per i prodotti rispettosi dell’ambiente. Karen conferma: «I governi e la società civile devono sicuramente lavorare insieme. Le imprese in particolare possono fare la differenza nelle catene di approvvigionamento transfrontaliere e, naturalmente, nell’ordine di grandezza con cui raggiungono i consumatori».

Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)