Una Casa delle erbe per imparare dalle piante a coesistere e relazionarsi

La Casa delle erbe della Locride è un luogo dove al recupero di un’antica casa di agricoltori è stato affiancato un profondo studio delle piante per la creazione di un giardino. Lo scopo? Imparare a relazionarsi e a coesistere, ispirandosi alla natura. La creatrice di questo luogo ci accompagna a visitarlo e ci racconta il futuro che immagina qui.

Reggio CalabriaCalabria – Autenticità, relazioni, coesistenza. Sono queste tre parole che tornano spesso nel mio dialogo con Marò D’Agostino – architetto e artista – quando mi parla della Casa delle erbe della Locride, che lei stessa ha ideato e continua tuttora a nutrire. Ma cosa c’entrano questi tre vocaboli con una casa delle erbe? Qual è la relazione fra un luogo immerso nel verde e le persone che lo attraversano?

Andiamo per gradi. La Casa delle erbe di cui stiamo parlando è un luogo che si trova nelle aree interne della Locride, vicino al paese Antonimina e alle pendici dell’Aspromonte. Quando sei lì, in alto vedi le rocce delle montagne, in basso due ruscelli che confluiscono in un fiume e racchiudono l’area. Il verde cresce rigoglioso tutto intorno con sfumature che cambiano in base alle piante, ai fiori e agli alberi.

Questo posto è una casa antica e nuova allo stesso tempo, ma è anche un giardino, un luogo di condivisione e uno spazio per l’arte. «La Casa delle erbe nasce nel 2003, quando ho capito che dovevo dedicarmi a ciò che sentivo come più giusto, e rappresenta oggi il mio manifesto professionale di architetto che si è opposta in tutti i modi al consumo del territorio», racconta Marò, che da anni gestisce la Galleria Arkè di Locri, dove ha ospitato numerose mostre artistiche. Il suo è un cambiamento nel cambiamento: dopo vent’anni a Roma è tornata a Locri, dove si è dedicata all’arte e alla galleria. E, dopo ancora, è risalita ancora di più verso le origini: quelle dei suoi nonni. «Ho deciso di recuperare questa vecchia casa di famiglia, che era il luogo dove i miei nonni venivano per i lavori legati all’autoproduzione: qui facevano di tutto, dai tessuti con la ginestra ai saponi ai prodotti agricoli».

«Ho rimesso a posto la casa secondo la mia visione di architetto: riusando ciò che già c’era e creando il nuovo sempre in coerenza con il contesto». Al recupero della casa Marò affianca uno studio approfondito delle piante che la abitano: «Ogni pianta che c’è qui è stata studiata e posizionata con profonda cura, ricerca e amore», mi racconta fin dall’ingresso, quando mi spiega che ci troviamo nel “giardino secco”, che si chiama così perché sarà in grado, nel giro di alcuni anni, di alimentarsi in autonomia.

Oltre il giardino secco si scende verso una parte di bosco bagnata dal ruscello e si arriva poi in radure più pianeggianti che fanno da anfiteatro naturale. L’ultima parte è quella attorno alla casa, costellata da alberi di frutto dei tipi più disparati: dagli ulivi mediterranei alla feijoa brasiliana. Ovunque – se ne contano più di cento – ci sono i roseti della casa, che Marò ha disseminato in tutte le aree.

«Questo è quello che io intendo per giardino: un luogo della creatività e della relazione, dove possono abitare piante diverse e coesistere fra loro, pur nelle differenze», mi spiega Marò, aggiungendo che sta portando avanti da anni uno studio sul giardino calabrese e sulle sue specificità. «In questo senso per me è un ecosistema dove anche gli esseri umani possono relazionarsi in questo modo fra di loro, ispirandosi alla natura che li circonda».

Un altro dei punti fondamentali di questo luogo è infatti la creazione di comunità. La Casa delle erbe della Locride non è un luogo chiuso, a sé stante, ma è aperto e attraversato: è un posto in cui si impara dalle piante e dove allo stesso tempo si conosce il territorio, dove si apprende la storia naturale e sociale che ha percorso questi luoghi e si riprendono i fili di una memoria che in molti hanno perso.

In questi anni infatti – sin da quando l’ha inaugurata, nel 2017 – Marò ha organizzato incontri, escursioni sulla montagna, momenti di convivialità e condivisione, come incontri legati alla conoscenza delle erbe e dei loro usi o laboratori didattici per bambini e ragazzi legati all’arte e alla musica. «Non c’è mai l’obiettivo di produrre qualcosa, ma piuttosto di condividere e creare delle relazioni attraverso alcuni saperi e pratiche. Mi ritengo una custode di quelle conoscenze che avevano i miei nonni, con cui sono cresciuta e da cui sono sempre stata affascinata».

È il ritorno a qualcosa di autentico, che «già c’è dentro di noi ma da cui ci hanno separati» e che non è soltanto un sapere teorico o pratico, ma anche una diversa modalità di guardare alla vita e alle relazioni, basate sulla condivisione e su ciò che è necessario. La Casa delle Erbe stessa rappresenta questa visione: l’essenzialità della casa, la cooperazione fra piante diverse che comunicano fra di loro e accolgono “le straniere”, i ruscelli che scorrono e infrangono una visione lineare del tempo. Il risultato? Una bellezza immanente, che già parla da sé.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/casa-delle-erbe-piante/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Orti Generali: il bene comune rigenerato che diventa orto collettivo e impresa sociale.

Orti Generali è un progetto di rigenerazione urbana di un’area in stato di semi-abbandono nel quartiere Mirafiori, a Torino. Oggi è uno spazio che offre centosessanta orti con la possibilità di coltivare, in gruppo o in famiglia, come associazione o individualmente ed imparare, con corsi di formazione teorica e pratica, attività e laboratori, alcuni dei temi legati all’agricoltura biologica, all’orticoltura e ai lavori rurali. Abbiamo incontrati uno dei co-fondatori del progetto, Matteo Baldo, che ci ha raccontato tutti i dettagli del progetto. In questo preciso momento in cui vi scrivo, nella sede di Orti Generali in Strada Castello di Mirafiori a Torino, la temperatura è di -1°C, ma quella del terreno è di un 1°C. Non c’è bisogno di annaffiare, ma si potrebbe zappare. L’umidità del terreno è di circa il 21%. Va bene, lo ammetto: sto cercando un modo originale per iniziare il racconto della storia di Orti Generali, un progetto di rigenerazione urbana che ha permesso il recupero comunitario di un parco fluviale, sulle rive del torrente Sangone, precedentemente in stato di semi-abbandono. Oggi su questa superficie sono stati assegnati a persone e famiglie circa centosessanta orti, di diversa grandezza, destinati all’autoproduzione. All’interno di Orti generali esiste inoltre un orto collettivo, che viene coltivato insieme ai volontari del quartiere, i cosiddetti Ortolani Solidali.

Lo spazio non è riservato ai solo esperti di orticultura: lo staff di Orti Generali assiste e forma tutte e tutti coloro che vogliono cominciare ad autoprodursi il proprio cibo, senza l’utilizzo di sintesi chimica ed esclusivamente in biologico. È anche per questo che all’interno dell’area è presente un polo didattico dove seguire corsi di formazione, frequentati anche dalle scuole che visitano l’area, e dove vengono distribuiti materiali informativi di vario tipo per imparare tutte le conoscenze necessarie ad una buona coltivazione. Altro pilastro di Orti Generali, come avete letto all’inizio di questo pezzo, è l’innovazione tecnologica: a disposizione degli ortolani c’è una centralina che rileva diversi parametri come meteo, umidità, temperatura locali, e aziona all’occorrenza un impianto di irrigazione centralizzato per tutti gli orti. I dati sono pubblici e a disposizione di tutte e tutti: lo scopo è ridurre al minimo lo spreco di acqua per l’irrigazione.
Orti Generali è nato da un’idea dell’Associazione Coefficiente Clorofilla, oggi Orti Generale APS, ed è curato da Stefano Olivari e Matteo Baldo. È nato da un’idea di Isabella Devecchi e grazie al prezioso aiuto di Marco Bottignole.

Immagini di copertura di Umberto Costamagna e Federica Borgato

La rigenerazione: il recupero

Facciamo un passo indietro: siamo nel quartiere Mirafiori, periferia sud di Torino. Luogo simbolo del “boom economico” (dal 1951 al 1971 Mirafiori Nord passò da 18.700 a 141.000 abitanti), conosciuta perlopiù per la presenza degli stabilimenti Fiat, è attraversata dal Torrente Sangone e sta vivendo un graduale processo di trasformazione strutturale e sociale, proprio e soprattutto a causa dell’abbandono produttivo della casa automobilistica. Una costante di questo quartiere sono sempre stati gli orti spontanei: appezzamenti di terra che, più o meno legalmente, venivano coltivati dagli abitanti del quartiere. Orti Generali sorge infatti ispirandosi ad un precedente progetto di ricerca chiamato “Miraorti”, progetto di ricercazione e sperimentazione nato nell’Ottobre del 2010 allo scopo di “riflettere sulle future trasformazioni dell’area di Mirafiori sud, lungo il torrente Sangone, attraverso un percorso di progettazione partecipata del territorio” e nasce con l’obiettivo di costruire un modello di impresa sociale per la trasformazione e la gestione di aree agricole residuali cittadine. Il progetto di ricerca è così confluito in un modello più attuativo, quello di Orti Generali. La riflessione gira attorno ad un tema fondamentale e ce la spiega Matteo Baldo, uno dei co-fondatori di Orti Generali: «Molti degli orti di questa area erano abusivi e i terreni intorno versavano in condizioni di abbandono, con la presenza di numerosi rifiuti e oggetti abbandonati. Quando siamo arrivati qui, a Maggio del 2018, abbiamo avviato una bonifica perché erano presenti tonnellate di materiali impropri. Questo processo si è potuto attuare grazie al fondamentale aiuto dei volontari di quartiere, e questo processo ha poi favorito il dialogo con gli ortolani per l’utilizzo di materiali il più possibile naturali per la costruzione e la coltivazione degli orti».

La struttura: non solo orti

Oggi Orti Generali esiste anche grazie ad un bando di concessione della Città di Torino. I centosessanta orti sono stati assegnati a chiunque ne abbia fatto richiesta, ma una precedenza è stata data alle ragazze e ai ragazzi al di sotto dei trentacinque anni, «categoria che abbiamo protetto riservandogli trentacinque orti con un contributo agevolato, perché uno degli obiettivi di Orti Generali è diffondere alle nuove generazioni i principi dell’autoproduzione – spiega Matteo – ma non ci siamo dimenticati di quelle famiglie e le persone che sono in difficoltà economica, che noi chiamiamo gli Ortolani Solidali. A fronte di un contributo simbolico, queste persone sono il cuore pulsante di Orti generali perché diventano parte dello staff, gestendo insieme a noi il verde pubblico e tutte le necessità dello spazio. Aiutiamo e veniamo aiutati grazie al senso di responsabilità di ogni persona». 

Le assegnazioni degli orti sono state velocissime perché la partecipazione delle persone è stata sin da subito molto sentita, tanto che oggi Orti generali sta riflettendo per ampliare e adibire un’altra area del Parco per la costruzione di nuovi appezzamenti coltivabili. All’interno di Orti Generali, come potete vedere anche dal video sopra, è presente una vera e propria fattoria con pecore e galline, un orto collettivo le cui eccedenze vengono redistribuite grazie al progetto “Mirafiori Quartieri Solidali” alle famiglie in difficoltà. Inoltre possiamo trovare un bistrot con un chiosco per mangiare e un’area ludica: «Sono presenti alcune sdraio, nel quale le persone possono rilassarsi e godersi il paesaggio. Lo abbiamo voluto perché, nel passato, le persone che non potevano permettersi di partire per le vacanze al mare venivano qui, sul Torrente Sangone, a trascorrere alcune ore in relax. E’ un aspetto che non vogliamo perdere», racconta Matteo. 

La sostenibilità culturale e sociale

In Orti generali, oltre al tema dell’agricoltura sana e delle tecniche e tecnologie adatte a realizzarla, è centrale l’aspetto della comunità. Il primo orto nato dentro Orti Generali è un orto sinergico, nato dalla bonifica di un orto precedente. Spiega Matteo che «ciò è successo grazie alla collaborazione con il Servizio Dipendenze dell’Asl locale, che ha permesso l’arrivo qui di persone che sono state protagoniste di percorsi riabilitativi e di ortoterapia». Uno dei risultati è stato appunto “SOS Orto” (così chiamato dagli stessi partecipanti a questi percorsi), l’orto sinergico che è divenuto anche un’aula didattica per chi voglia capire come realizzarlo. «Siamo diventati anche un contenitore di tante iniziative e tanti progetti diversi – spiega Matteo – e con il Dipartimento di Biologia dell’Università di Torino abbiamo sviluppato un progetto sugli impollinatori, per divulgare la loro importanza e facilitare la convivenza fruttuosa tra insetti e uomini. Con il Dipartimento di Agraria abbiamo approfondito le tematiche legate agli Impollinatori e abbiamo inoltre sviluppato un filone di informazione legato all’inquinamento e al rapporto tra coltivazione e aree urbane. Abbiamo ottenuto dati scientifici per capire quali sono le barriere naturali per evitare che lo smog contamini le nostre colture».
All’interno di Orti Generali è presente anche un apiario, sviluppato insieme ad un’Associazione chiamata “Parco del Nobile”, che da anni fa didattica legata agli orti e che permette agli ortolani di Orti Generali di avvicinarsi al mondo dell’apicoltura e di produrre anche una piccola quantità di miele.

Ci allontaniamo e ci salutiamo con Matteo, dopo il nostro lungo incontro durato più di un’ora, con una riflessione generale sul senso del progetto: «Il minimo comune denominatore di tutte queste attività è poter partecipare ad un processo di costruzione e rigenerazione del bene comune, che metta al centro della propria azione la condivisione e la partecipazione. Tutti, indipendentemente dal livello di contributo, possono fare qualcosa per cambiare le sorti di un luogo».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/orti-generali-bene-comune-rigenerato-diventa-orto-collettivo-impresa-sociale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’autoproduzione è alla portata di tutti e può cambiare la vita!

Autoprodurre può migliorare il benessere individuale e quello della propria comunità, comporta notevoli benefici per l’ambiente e risparmio economico per la famiglia. Ne abbiamo parlato con Lucia Cuffaro, una delle maggiori esperte in Italia di autoproduzione e divulgatrice di stili di vita ecologici e ideatrice la Scuola dell’Autoproduzione online.

L’autoproduzione può rappresentare una porta d’ingresso verso un cambiamento generale del proprio stile di vita, in termini di autosufficienza, consumo critico, prevenzione e promozione della salute, creazione di reti e comunità, relazioni di vicinato e messa in pratica di piccole e grandi azioni di sostenibilità. In altre parole, autoprodurre può migliorare la vita ed è alla portata di tutti. Ne ho parlato con Lucia Cuffaro, una delle maggiori esperte in Italia di autoproduzione e divulgatrice di stili di vita ecologici, con semplicità. Dal 2012 conduce la rubrica eco di Unomattina in Famiglia in diretta su Raiuno, ha scritto numerosi libri e ideato il portale di formazione a distanza EcoSapere che propone al suo interno la Scuola dell’Autoproduzione online, un percorso di vita dedicato a chi vuole acquisire maggiore consapevolezza e benessere.

Lucia Cuffaro, una delle maggiori esperte in Italia di autoproduzione

Lucia, cos’è per te l’autoproduzione?

Tutto parte dal riconsiderare il proprio stile di vita, anche rispetto al contesto sociale in cui viviamo, basato sul consumismo e l’acquisto di prodotti che non ci servono e danneggiano l’ambiente e la nostra salute. In questo senso l’autoproduzione significa per me riprendere la tradizione ma adattandola in chiave moderna. Non si tratta di un ritorno al passato ma di capire quello di cui abbiamo bisogno e trovare il modo più semplice e divertente per realizzarlo. Autoprodurre vuol dire recuperare il saper fare e tendere verso l’autosufficienza.

Da dove iniziare per intraprendere un percorso verso l’autosufficienza?

Il principio di tutto non è il fai da te ma l’assunzione di consapevolezza rispetto al nostro benessere e all’impatto ambientale del trasporto delle merci, degli imballaggi e delle sostanze con cui vengono realizzati i prodotti. In questo senso è fondamentale la lettura delle etichette. Solo in un secondo momento, dunque, si comincia ad autoprodurre.

Che ambiti riguarda la pratica dell’autoproduzione?

L’autoproduzione riguarda cibo e bevande, detersivi e igienizzanti per la casa, cosmetici, prodotti per la cura del corpo e per l’igiene di adulti e bambini, cosmesi e rimedi per la salute, giardinaggio e cura delle piante, ortaggi e fiori. Tendenzialmente si tratta di un’autosufficienza legata all’autoproduzione di ciò che è necessario. Questo è un concetto fondamentale: bisogna eliminare ciò che non ci serve e spesso crea una concatenazione di bisogni. Per fare un esempio: compro uno shampoo, quello shampoo contiene MEA, TEA O DEA, ovvero una serie di ingredienti che possono far diventare i capelli grassi o con forfora, allora compro un prodotto specifico per capelli grassi, che a sua volta può indebolire i capelli, e allora acquisto qualcosa contro la caduta dei capelli… e così via in un circolo vizioso che non è basato sul benessere delle persone ma che crea dipendenza dal mercato e determina sì un aumento del Pil ma arricchendo settori ad alto inquinamento. Autoprodurre acquista dunque una profonda valenza politica.

Per te il concetto di autoproduzione è profondamente legato a quello di semplicità. Perché?

Quando quindici anni fa mi sono approcciata all’autoproduzione alcune cose erano più difficili rispetto ad oggi. Il mio obiettivo è quello di renderla semplice, divertente, veloce anche per chi ha poco tempo, alla portata di tutti e condivisibile, anche in un’ottica di abbattimento dei costi, con un risparmio in casa fino al 70%. Una volta che compri una materia prima, infatti, la puoi utilizzare per realizzare tantissime cose incrociando pochi ingredienti. In altre parole, l’autoproduzione è una scelta di felicità!

Vuoi dire che l’autoproduzione rende felici?

È proprio così. Chiunque autoproduce ha come effetto collaterale un profondo senso di soddisfazione legato alla riscoperta della manualità, qualcosa di innato che nella nostra società è andato scomparendo per via dell’automazione di molti processi. L’autoproduzione, come l’orticoltura o il giardinaggio, risponde quindi al nostro desiderio ancestrale di creare con le mani, tocca delle corde molto profonde e porta con sé bellezza e appagamento.

A chi si rivolge la Scuola dell’Autoproduzione e come funziona?

La scuola è rivolta a chi vuole intraprendere un percorso facilitato verso l’autoproduzione e trovare una comunità con cui confrontarsi e percorrere questa strada. L’obiettivo del corso è di imparare a far da sé tutti i prodotti di uso comune, permettendo a chiunque di sperimentare e apprendere in modo veloce e produttivo. Chi si iscrive ha accesso illimitato e per sempre ad un portale facile da usare con 40 lezioni, sia da pc, tablet che da cellulare. Ogni video è accompagnato da una dispensa, un quiz divertente per fissare i concetti ed alcuni approfondimenti. In aggiunta a ciò periodicamente si possono seguire anche le lezioni aggiuntive in cui approfondisco alcuni temi o tratto argomenti di attualità (anche in questo caso i video rimarranno a disposizione per sempre). Si tratta di un percorso di formazione in continuo aggiornamento: laddove acquisisco nuove conoscenze e sperimento nuove pratiche aggiorno le lezioni ed i materiali e chi si iscrive ha accesso a vita e la possibilità di essere sempre seguito da me. Per questo la classe di studenti è limitata ad un certo numero di persone, anche per creare un legame profondo e diretto.

Credi che negli ultimi tempi ci sia un interesse maggiore nei confronti dell’autoproduzione?

Sì, riscontro un interesse enorme verso l’autoproduzione, il saper fare e anche verso la prevenzione. Ci si è resi conto, infatti, che autoprodurre comporta anche un miglioramento della salute, tenendoci lontani da sostanze tossiche e in alcuni casi cancerogene che si trovano in commercio.

L’autoproduzione è alla portata di chi ha poco tempo libero?

Assolutamente sì! Ci vuole molto meno tempo ad autoprodurre che ad acquistare tutti i prodotti che riempiono le nostre case. Per capire basti pensare che solo sciogliendo in 800 ml di acqua una sola sostanza, 200 g di acido citrico, si possono realizzare ben quattro diversi prodotti per la casa: brillantante, ammorbidente, decalcificante e anticalcare. Dunque basta comprare una tantum e magari in condivisione con altri grandi quantità di acido citrico per averlo poi sempre alla portata di mano quando occorre per realizzare con molta praticità i vari prodotti. Si tratta quindi di un’ottimizzazione che deriva da una buona pianificazione. La scuola dell’autoproduzione va proprio in questo senso: rendere facile l’autoproduzione per chi ha poco tempo, non sa come risparmiare, come ridurre gli imballaggi, sostenere i piccoli produttori e non inquinare. Una vera e propria guida al consumo critico e alla consapevolezza, prima ancora che all’autoproduzione stessa.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/06/autoproduzione-portata-tutti-puo-cambiare-vita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Matteo Cereda: «Orto bio: chi ben comincia è a metà dell’opera»

Abbiamo intervistato Matteo Cereda, l’ideatore della web community “Orto da coltivare” che conta tantissimi interessati e contatti e che fornisce suggerimenti concreti per chi si accinge a tenere un orto per l’autoproduzione alimentare, fenomeno in nettissima crescita.

Matteo Cereda è ideatore e fondatore della web community “Orto da coltivare”, nata nel 2014 e oggi una delle più ampie e attive tra quelle che forniscono consigli alle tantissime persone che anche in città si ritagliano il loro pezzetto di terra, che sia nel giardino di casa o nell’appezzamento assegnato dal Comune o nelle aiuole collettive, per ricavare vegetali da portare in tavola. È anche co-autore, insieme a Sara Petrucci, del libro “Ortaggi insoliti” (Terra Nuova Edizioni).

Lo abbiamo intervistato.

Quanto è aumentato negli anni secondo te il fenomeno dell’orto per l’autoproduzione? È un trend tuttora in crescita? Noti un costante aumento della sensibilità in proposito?

«Posso senz’altro dire che c’è un interesse crescente. Per esempio, la mia community “Orto da coltivare” ha avuto una crescita costante di lettori. E ciò può essere dovuto sia a un aumento di attenzione per questo tipo di scelta, sia alla maggior propensione a cercare informazioni sul web rispetto a questo argomento. Di certo noto un aumento della sensibilità verso metodi di coltivazione sostenibili; per fortuna oggi c’è consapevolezza rispetto ai rischi che comportano i pesticidi e chi coltiva per passione e per autoconsumo è particolarmente attento a non utilizzare veleni. In quest’ultimo periodo con il lockdown è letteralmente esploso l’interesse per la coltivazione, che per molti è stata una boccata d’aria. Penso che chi ha sperimentanto in queste settimane la gioia del lavorare la terra conserverà anche in futuro questa passione».

Come si comincia se si è agli inizi? Come si prepara un’area da coltivare in città e quali requisiti deve avere o quali interventi di base vanno fatti?

«Il discorso è senz’altro lungo e ci possono essere diversi approcci. Consiglio prima di tutto, come insegna la permacultura, di partire dall’osservazione del terreno e in generale dell’area verde, per capire esposizione solare e tipo di suolo e da qui partire a progettare il proprio orto urbano. Il requisito base è avere un appezzamento che riceva luce diretta, se non per tutto il giorno comunque per un buon numero di ore. L’accesso all’acqua invece non è discriminante, si può pensare di raccogliere quella piovana. A livello di interventi, dopo aver pulito il terreno si parte con la preparazione del suolo, che può essere la classica vangatura, anche se ci sono metodi alternativi, come la realizzazione di bancali proposti dall’agricoltura sinergica».

Quali sono i principali consigli per chi vuole ricavare il massimo da piccoli o piccolissimi appezzamenti, senza ricorrere alla chimica tossica, ai fertilizzanti artificiali o una impropria forzatura dello sfruttamento del suolo? Consociazioni, rimedi naturali, pacciamatura, ecc?

«Un orto piccolo si può sfruttare al meglio con una progettazione efficiente, che permetta di coltivarlo tutto l’anno e di avere le piante vicine tra loro senza che si danneggino. Per fare questo occorre scegliere i giusti periodi di semina, avvalersi di un semenzaio e privilegiare il trapianto alla semina diretta in campo. Altri consigli che mi sento di dare sono sfruttare le consociazioni favorevoli e impiegare piccoli tunnel e coperture di tessuto non tessuto per prolungare il periodo utile riparando le piante dal gelo. Ma si potrebbe proseguire all’infinito: l’agricoltura è fatta di moltissimi accorgimenti».

Fino a quanto si può risparmiare per una famiglia, secondo le tue stime, se si coltiva un piccolo orto per l’autoproduzione e l’autoconsumo?

«Un orto può essere impostato perché non costi praticamente nulla: si può fare con attrezzi semplicissimi (vanga, zappa, rastrello), si può autoprodurre compost e recuperare acqua piovana, preservare la semente e propagare le piante in proprio, realizzare macerati vegetali per la difesa dai parassiti. In questo modo il risparmio è pari al valore di tutta la verdura prodotta e qui dipende dalle dimensioni e dalla tecnica, ma è comunque una voce rilevante in un bilancio famigliare. C’è da dire però che se l’approccio non è attento alle spese e quindi si comprano attrezzi motorizzati, prodotti per la cura, piantine in vivaio è facile anche che non ci sia un risparmio apprezzabile rispetto all’acquisto di verdura a poco prezzo dal supermercato. Bisogna però considerare anche la diversa qualità dei frutti di un’agricoltura intensiva e di quelli di un’attenta produzione naturale». 

Fonte: ilcambiamento.it

Agricoltura indoor: come coltivarsi il cibo anche senza spazi esterni

Coltivare al coperto, sfruttando anche spazi interni, ottenendo cibo nutriente e vitale anche quando non si hanno spazi esterni o magari quando la temperatura fuori è troppo rigida. Sì, si può fare. Proseguiamo nei nostri consigli pratici per l’autoproduzione e l’autosufficienza grazie alla collaborazione di Alessandro Ronca, direttore scientifico del Parco dell’Energia Rinnovabile.

Agricoltura indoor: come coltivarsi il cibo anche senza spazi esterni

Coltivare al coperto, sfruttando anche spazi interni, ottenendo cibo nutriente e vitale anche quando non si hanno spazi esterni o magari quando la temperatura fuori è troppo rigida. È quanto si mette in pratica ormai da tempo anche al PeR, il Parco dell’Energia Rinnovabile, e quanto fa anche nella sua abitazione Alessandro Ronca, che del PeR è direttore scientifico.

La coltivazione dei vegetali indoor può rivelarsi un ottimo modo per assicurarsi comunque buon cibo di produzione domestica.

«Noi al PeR possiamo usufruire anche di spazi esterni, ma siamo assolutamente consapevoli dell’utilità e dell’importanza di poter allestire e condurre in maniera efficiente e produttiva anche spazi indoor» spiega Ronca.

Proseguiamo dunque oggi con la nostra serie di suggerimenti e dimostrazioni pratiche su come perseguire obiettivi di autosufficienza e autoproduzione domestica, grazie proprio alla collaborazione del PeR e di Alessandro Ronca.

Perché quello attuale è veramente il tempo dell’autoproduzione! È il momento di acquisire finalmente quella consapevolezza che ci conferma che non dobbiamo per forza dipendere in tutto e per tutto dall’esterno e da ciò che ci arriva.

Seguite dunque Alessandro Ronca in questo video, vi mostrerà come fare!

Fonte: ilcambiamento.it

È tempo di autoproduzione: ecco come ottenere germogli freschi e nutrienti

Sì, questo è veramente il tempo dell’autoproduzione. Perché si viene limitati nei movimenti, ma anche per acquisire finalmente quella consapevolezza che ci conferma che non dobbiamo per forza dipendere in tutto e per tutto dall’esterno e da ciò che ci arriva. Impariamo allora a fare in casa i germogli, un ottimo cibo, fresco e nutriente.

È tempo di autoproduzione: ecco come ottenere germogli freschi e nutrienti

Sì, questo è veramente il tempo dell’autoproduzione. Perché si viene limitati nei movimenti, ma anche per acquisire finalmente quella consapevolezza che ci conferma che non dobbiamo per forza dipendere in tutto e per tutto dall’esterno e da ciò che ci arriva. Iniziamo oggi con una serie di suggerimenti e dimostrazioni pratiche sull’autoproduzione alimentare domestica e sull’autosufficienza energetica, per la quale ci avvaliamo della collaborazione del PeR, il Parco dell’Energia Rinnovabile, e del suo direttore scientifico, Alessandro Ronca.

Impariamo allora a fare in casa i germogli, un ottimo cibo, fresco e nutriente.

Saper far germogliare in modo giusto e corretto i semi per poi gustarli freschi, in insalata o nelle preparazioni varie in cucina è utilissimo. Ed è un modo, appunto, per autoprodurre cibo nutriente e vitale!

In questo video, Alessandro Ronca, direttore scientifico del PeR, il Parco dell’Energia Rinovabile, ci spiega come fare per ottenere ottimi germogli pronti da consumare, alimento da utilizzare in caso d’emergenza (magari chissà, visti i tempi, se siete a corto di cibi freschi…) ma anche da far rientrare, volendo, nella consuetudine. Al PeR, oltre a sperimentare, insegnare e applicare il risparmio e l’autosufficienza energetica, si affinano e e si insegnano anche le tecniche dell’autoproduzione alimentare e domestica.

Per informazioni: https://www.per.umbria.it/

Fonte: ilcambiamento.it

Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie

Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. E ora con l’emergenza coronavirus manca anche chi raccoglie. Cosa mangeremo?

Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie

Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. Nel settore primario (sarà un caso che si chiama così?) agricolo che determina la nostra sopravvivenza lavora una percentuale ridicola di lavoratori, se paragonata agli altri settori. E come se ciò non fosse già molto pericoloso, si tratta in grandissima parte di una agricoltura che dipende totalmente dalle fonti fossili. Basta una qualsiasi crisetta di approvvigionamento e ci ritroviamo alla fame. Questo perchè i nostri decisori politici sono così lungimiranti che per rendere le cose ancora più eccitanti, hanno deciso di farci dipendere energeticamente per più del 75% dall’estero e dai combustibili fossili. Qualsiasi cosa succede o decide chi all’estero ha la mano sui nostri rubinetti energetici, noi siamo spacciati. E per non farci mancare proprio nulla in fatto di rischio, l’agricoltura dipende molto dalla manodopera di persone che spesso vengono da paesi esteri e per questo più facilmente sfruttabili. Con la cosiddetta emergenza coronavirus, mancano o sono bloccati molti dei lavoratori che raccolgono gli alimenti nei campi, soprattutto in un periodo come quello primaverile/estivo che, per chi pensa che il cibo cresca direttamente negli scaffali dei supermercati, è fondamentale. Improvvisamente si è scoperta la dipendenza da quei lavoratori che qualcuno vorrebbe ributtare a mare quando fa comodo per avere voti elettorali ma che poi sono quelli senza i quali i raccolti delle campagne sono a rischio. E quei lavoratori fanno comodo anche alle aziende prive di scrupoli, alle mafie, ai caporali, ai supermercati e al consumatore perché senza di loro, che lavorano pesantemente per qualche spicciolo l’ora, non potremmo comprare il cibo a prezzi irrisori.

La nostra politica ora si è accorta che lasciare marcire il cibo nei campi potrebbe essere un problemino che nessun supermercato può risolvere. Quindi si cercano come sempre soluzioni di corsa che non possono che essere delle non soluzioni dove vige l’improvvisazione e l’ipocrisia. Si invocano sanatorie, regolarizzazioni temporali o fisse, anche per quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra che ci servono per raccogliere gli alimenti. Oppure si invocano i lavoratori rumeni che però sembra ci stiano facendo il gesto dell’ombrello, visto che non si può prima creare il panico, fare scappare tutti, chiudere in casa la gente e poi quando fa comodo, chiedere l’aiuto di chi si è terrorizzato. Altri vogliono mandare nei campi quelli che percepiscono il reddito di cittadinanza o i disoccupati in genere. Ottima idea ma se ci mandiamo i nostri ariani italici (ammesso che ci vogliano andare), mica possiamo dare loro qualche spicciolo all’ora come percepiscono ad esempio quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra; mica li possiamo fare vivere ammassati nelle baracche, senza acqua, senza servizi igienici, senza nulla; mica li possiamo trattare come bestie nei furgoni del trasporto della mafia e dei caporali. Qualche diritto e una paga dignitosa gliela si deve pure garantire, se non altro perché sono appunto della nostra stessa razza ariana italica e assai difficilmente accetterebbero le condizioni disumane che invece non ci turbano se sono sottoposte ai non italici.

Ma se succede tutto questo, poi gli alimenti quanto ci verranno a costare? Di sicuro non il poco che costano adesso grazie proprio a chi viene sfruttato in maniera vergognosa. E chi sarebbe poi disposto a pagare quel cibo il giusto prezzo?

In questa fase suggerirei a gente come Salvini di combattere la sua personale battaglia del grano e di andare lui a torso nudo modello Papeete a raccogliere gli alimenti nei campi, magari nel sud Italia, così da dare il buon italico/padano esempio alle masse. Lo faccia come campagna elettorale anche solo per un mesetto di seguito, farà un figurone.

Oppure ora mi rivolgerei a tutti i fanatici invasati della supertecnologia chiedendogli di mandare eserciti di droni e robot vari a raccogliere nei campi in un attimo tutto quello che serve e consegnarcelo direttamente sull’uscio di casa. Immagino che sia tecnicamente fattibilissimo, non costi nemmeno nulla e così risolviamo tutti i problemi. Attendo istruzioni in merito dai suddetti fanatici, anzi mi chiedo come mai non ci sia già una task force che stia risolvendo la situazione nel tempo di un click. Ma chissà, forse se si aggrava il problema si deciderà di accelerare la fine dell’emergenza corona virus perché senza mangiare si muore davvero come mosche.

In ogni caso la soluzione per non ritrovarsi più in simili assurde e pericolose situazioni è ritornare a coltivare la terra ovunque sia possibile e per favore non si tiri fuori la solita insostenibile scusa che i terreni costano, perché per farsi almeno un orto, non servono di certo ettari. Inoltre ci sono gli usi civici e ovunque terre incolte, abbandonate, di chi non sa cosa farci e che possono essere chieste in affitto, in comodato d’uso, ecc. Poi ci sono gli orti collettivi comunali, di quartiere, di circoscrizione e se non ci sono, fondateli voi. Queste sono tutte strade percorribilissime senza essere ricchi o spendere chissà quali soldi.

Quindi è bene aumentare l’autoproduzione e per il resto si può acquistare direttamente dai piccoli produttori biologici locali che sono strangolati dalla grande distribuzione, quella che ci dicono che ci sta salvando, quando l’unica cosa che sta facendo sono affari giganteschi. Per fare ciò è possibile anche creare o rivolgersi ai gruppi di acquisto collettivo che sono sparsi in tutta Italia e che da anni fanno un lavoro prezioso come ad esempio qui dalle nostre parti è molto attivo il gruppo storico di acquisto collettivo Pulmino contadino . Sempre in questa ottica si può guardare all’attività encomiabile di strutture come il movimento wwoof che supporta da sempre proprio il mondo agricolo di prossimità. Ma queste sono solo alcune delle tante soluzioni a portata di mano per qualsiasi persona di buona volontà.

Fonte: ilcambiamento.it

Comunità energetiche: approvato l’emendamento nel MilleProroghe

C’è il sì alla nascita delle cosiddette “comunità energetiche” con l’approvazione nel decreto Mille Proroghe dell’emendamento che detta i criteri per la produzione e lo scambio di energia da fonti rinnovabili.

Comunità energetiche: approvato l'emendamento nel MilleProroghe

C’è il sì alla nascita delle cosiddette “comunità energetiche” con l’approvazione nel decreto Mille Proroghe dell’emendamento che detta i criteri per la produzione e lo scambio di energia da fonti rinnovabili.  L’approvazione è arrivata da parte delle commissioni Affari Costituzionali e Bilancio della Camera. Il testo votato promuove la creazione di comunità energetiche e di sistemi di autoconsumo da fonti rinnovabili. Si potranno valorizzare lo scambio di energia da fonti rinnovabili per utenze poste all’interno della rete di distribuzione (progetti locali) e la creazione di vantaggi per l’energia autoconsumata istantaneamente, in modo da spingere configurazioni capaci di soddisfare al meglio i fabbisogni e di integrare sistemi di accumulo e di mobilità elettrica, sistemi efficienti, riducendo così lo scambio con la rete e contribuendo alla stabilità del sistema.

I condomini potranno installare pannelli sui tetti per poi dividere l’elettricità prodotta e agli imprenditori di una determinata area sarà consentito avere un impianto unico, eliminando le barriere che fino a oggi impedivano di scambiare energia pulita, ad esempio, in un distretto produttivo. L’emendamento, firmato dal senatore M5S  Gianni Girotto, dovrebbe approdare in Aula, alla Camera, mercoledì. Si tratta di una misura che anticipa il recepimento della direttiva europea 2018/2001 dedicata alla promozione delle fonti rinnovabili e che promuove la creazione di comunità energetiche e di sistemi di autoconsumo da fonti rinnovabili. L’obiettivo è far diventare i cittadini ‘prosumer’ (produttori e consumatori).

LA FASE SPERIMENTALE

Per il momento, ci sarà una fase sperimentale nella quale sarà consentito installare impianti non superiori a 200 kilowatt di potenza (per la realizzazione delle configurazioni a bassa tensione), che dovranno entrare in esercizio dopo l’approvazione definitiva del Milleproroghe e con un limite di tempo (fino al 30 giugno 2021). Si prevedono incentivi non cumulabili con quelli già in corso per lo ‘scambio sul posto’, ossia chi immette energia in rete. Resteranno, invece, le detrazioni fiscali per gli impianti rinnovabili. L’energia prodotta potrà essere consumata subito, immessa in rete oppure ‘caricata’ in accumulatori ed essere usata in seguito.

“Finalmente sarà possibile produrre e scambiare l’energia pulita – ha commentato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – nei condomini e tra imprese, tra edifici pubblici e attività commerciali. In questo modo si apre la strada per progetti locali di impianti solari in autoproduzione ma anche per scambiare localmente l’energia in eccesso, con riduzione di sprechi e vantaggi tanto ambientali quanto economici per imprese, famiglie e comunità”.

Fonte:ilcambiamento.it

Lucia Cuffaro: “L’autoproduzione? La mia via per la felicità”

Attivista e presidente del Movimento per la Decrescita Felice, Lucia Cuffaro è da anni appassionata al mondo dell’autoproduzione, come scelta consapevole per un benessere fatto di semplicità. Autoproduce praticamente tutto e attraverso i suoi libri, un blog ed una rubrica in tv spiega agli altri come creare da soli ciò che serve. Ha lavorato tanti anni in Rai ed è sempre stata appassionata di ambiente, spreco, rifiuti, autoproduzione. Poi ad un certo punto lascia il lavoro a Report e inizia la sua vera vita: quella dell’attivista, impegnata all’interno del Movimento di Decrescita Felice di cui oggi è presidente e sui temi del riutilizzo e della decrescita felice. È Lucia Cuffaro, che parla dell’autoproduzione come del suo personale percorso di felicità, iniziato quando era bambina: “Credo sia iniziato quando i miei genitori, per potermi istruire ad uno stile di vita sobrio ed ecologico, mi comprarono una Barbie in costume da bagno, la più semplice di tutte”, ride Lucia. “Così ho iniziato a inventare abitini per la mia Barbie e a riutilizzare tutti i materiali possibili”.

Quando Lucia faceva ancora le elementari, forse non immaginava che la sua (auto)produzione di vestiti per la Barbie fosse già un segno di ciò che sarebbe successo. Ma così è stato. Da quando è piccola, infatti, tutta un’altra serie di fattori si è aggiunta a cementare il suo interesse iniziale e a farlo diventare passione: si è trasferita con la sua famiglia vicino Malagrotta, conoscendo così cosa significhi vivere vicino ad una discarica; ha frequentato l’Università del Saper fare del Movimento per la Decrescita Felice sotto consiglio di un amico; è venuta a contatto con realtà come la Città dell’Utopia a Roma che le hanno permesso di portare avanti questo percorso. Oggi Lucia autoproduce tutto: dal detersivo per la casa alle tinte per i capelli alla crema per il viso. È contenta di poter dire che non distingue più fra lavoro e attivismo: “Il lavoro non poteva essere un lavoro che mi portasse a casa lo stipendio e basta; io avevo bisogno di altro”, spiega Lucia, parlando di come fosse strano – agli occhi degli altri – la sua (volontaria) dimissione da “Mamma Rai”. “Ho lavorato con la Città dell’Utopia e man mano è arrivato il percorso con la decrescita felice: un attivismo sempre più presente, un appassionarsi in modo folle all’autoproduzione, al creare con le mani cose semplici che fanno bene a me, ai miei vicini, alla natura, che creano circolazione del denaro nel modo giusto che valorizza le piccole aziende. Poi mi sono presa un anno sabbatico, mi sono data all’associazionismo e mi sono impegnata anche per il mio quartiere a Malagrotta”.

Da sette anni gestisce una rubrica televisiva su Rai1 che parla di decrescita felice. Proprio come a dire che tutto è circolare e ogni cosa si rimette al posto giusto nel momento giusto. “C’è un interesse sempre crescente legato al tema dell’autoproduzione e questo purtroppo lo si deve alle malattie che derivano dai prodotti per il corpo, per la casa e dagli alimenti che si trovano in commercio. Sta crescendo la consapevolezza che forse dobbiamo tornare alla semplicità”. Anche la comunicazione di ciò che si fa, di un mondo diverso, è possibile, soprattutto perché “la decrescita felice è un concetto di buon senso ma dirompente, ribelle, che da molti è ancora ostacolato”. 

Se adesso il suo impegno è legato principalmente al mondo dell’autoproduzione, non per questo Lucia si ferma qua: “Il prossimo obiettivo è quello di lavorare sempre di più per aumentare il mio tempo liberato. Sembra un controsenso, ma è questo: in realtà a me piace semplicemente fare attivismo e voglio che questa sia la parte predominante della mia vita: stare a contatto con persone che portano progetti legati a questo mi rende felice”. E alla tematica del riutilizzo e dell’autoproduzione aggiungere quella degli animali: “Sono tendenzialmente vegana, ma mi rende felice riuscire a mangiare solo cibo vivo e che non viene da tortura, per cui vorrei trovare il modo di comunicare questa mia felicità. Spesso chi parla di animalismo e veganismo lo fa in modo molto aggressivo, ma io penso che non possa essere quello il modo giusto di comunicare”.

E non è un caso che partecipi ogni anno a Scirarindi, il Festival indipendente Benessere, Buon Vivere e Sostenibilità in Sardegna, dove l’“l’energia è diversa, è quella di persone che partecipano e contribuiscono al cambiamento”. Qui si vede l’Italia che cambia, che per Lucia non è altro che “l’insieme dei progetti che creano bellezza sul territorio” e che, creando una propria personale “impalcatura di felicità”, contribuiscono al bene comune.

Intervista e realizzazione video: Paolo Cignini

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/lucia-cuffaro-autoproduzione-via-felicita-meme-16/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Il miglior reddito di cittadinanza è insegnare l’autonomia energetica e alimentare

La miglior politica per garantire il giusto benessere per tutti è educare i cittadini a risparmiare, autoprodurre e a liberarsi dei bisogni indotti dalla pubblicità. Allora sì, si può essere liberi e vivere dignitosamente senza essere schiavi di nessuno.

Si fa un gran parlare di reddito di cittadinanza, reddito universale o simili. Di per sé non è una idea sbagliata, infatti chi ha troppo poco deve avere di più e io aggiungo che chi ha troppo dovrebbe avere meno, anche perché quando si ha troppo lo si utilizza spesso male e sprecando. Comunque sia, tutto è sempre legato al reddito cioè ai soldi, che sono la pietra angolare di qualsiasi azione e ragionamento. Ma pensandoci bene, sono proprio i ragionamenti solo ed esclusivamente sui soldi che ci stanno portando all’autodistruzione. Quello che ieri era sufficiente per vivere dignitosamente,  oggi non lo è e domani lo sarà ancora meno; ma questo non accade solo perché i salari si contraggono e i prezzi crescono ma perché la pubblicità, ormai invasiva ovunque come mai lo è stata nella storia, crea costantemente bisogni indotti di cui magari nessuno prima sentiva l’esigenza. Poi, a forza di martellamenti, ci si convince che senza quegli oggetti si è poveri o non si è all’altezza. Se con i vari redditi elargiti dallo Stato l’obiettivo fosse veramente supportare quelli che hanno meno o sono in difficoltà, la prima cosa da fare sarebbe insegnare loro a ridurre le spese basilari, che sono il cibo e l’energia. Infatti, aumentando l’autonomia in queste direzioni si risparmiano tanti soldi e non si è in balìa di governi vari, che oggi fanno una cosa e domani faranno l’esatto contrario. Dare autonomia reale alle persone sarebbe esattamente come la famosa storiella che dice che è meglio insegnare a pescare a qualcuno piuttosto che dargli dei pesci. Quindi prima, durante o dopo il reddito di cittadinanza, si faccia formazione per aumentare l’autonomia delle persone. Però attenzione, perché se rendiamo più autonome le persone e di conseguenza più libere attraverso l’autoproduzione alimentare ed energetica, il prodotto interno lordo non aumenta (cioè non si “cresce”) e questo per la politica, che ancora crede all’impossibile crescita economica infinita in un mondo dalle risorse finite, è un grosso problema. Se bisogna sempre mostrare un segno più anche per sperare di poter essere rieletti, difficilmente si faranno azioni in tal senso. Eppure sarebbe una soluzione più duratura e utile per le persone, piuttosto dei vari redditi legati a questa o quella condizione. Essere poi più autosufficienti sia per gli alimenti che per l’energia potrebbe diventare anche un mestiere per chi usufruisse di questa specifica formazione.  Inoltre, visto che andiamo verso un futuro di scarsità di risorse e problemi di ogni tipo legati al loro sfruttamento indiscriminato, di continua produzione di rifiuti e aumento dell’effetto serra, sarà sicuramente importante avere maggiori opzioni su come sopravvivere di fronte ai prossimi grandi problemi. Sarebbe quindi assai utile stanziare una parte del reddito di cittadinanza per insegnare, a giovani e non, tecniche e metodologie preziose, cioè sostanzialmente fornire le “canne da pesca” o comunque strumenti per una maggiore autonomia. Ma chissà che non sia proprio l’autonomia che spaventa. Una persona autonoma pensa con la sua testa, non la si compra né la si ricatta facilmente, non si riesce a farle comprare tutte l’immondizia che propina la pubblicità e quindi diventa un potenziale disertore del consumismo, figura terribile e temutissima. Diventa una persona che intraprende una strada di libertà ed emancipazione, cioè la peggior figura per chi ci vede solo ed esclusivamente come consumatori pronti a spendere sempre di più, per cui i redditi di cittadinanza non basteranno mai e sarà sempre una corsa al rialzo a richiedere e dare più soldi; anche perché nel sistema attuale basato sulle disuguaglianze, i ricchi saranno sempre più ricchi, quindi per forza di cose sarebbe il caso di fermare la ruota.

Fonte: ilcambiamento.it