Federico: “La persone con disabilità sono percepite come eterni bambini, ma vogliamo decidere per la nostra vita”

Per la prima intervista della sua rubrica This Abilità, la nostra Elena chiacchiera con un suo amico di lunga data, Federico Feliziani. Il tema sul piatto è l’autonomia, l’indipendenza vista non tanto dal punto di vista pratico, quanto piuttosto come una condizione morale necessaria perché venga garantita la dignità di ogni persona. Io e Federico ci conosciamo da quasi quindici anni e da quasi quindici anni ho sempre seguito da vicino le sue ambizioni e ascoltato i suoi ideali. Parlando di autonomia e indipendenza, mi fa entrare nel suo pensiero e inizia a raccontarmi la sua quotidianità.

Prima di arrivare alla scelta del suo progetto di vita indipendente però vorrei raccontarvi un po’della nostra amicizia, perché la parola autonomia abbiamo iniziato a conoscerla insieme, facendo esperienze che inevitabilmente ci hanno portati alle scelte che stiamo realizzando e vivendo oggi. Per anni ci siamo frequentati molto spesso abitando vicini e anche adesso che ognuno ha una propria casa e una routine molto ricca, la spaghettata in compagnia, un film al cinema o un aperitivo insieme non ce li toglie nessuno. Se dovessi ricordarmi l’inizio della nostra amicizia lo collegherei sicuramente alla Città Eterna: andammo un weekend alla scoperta di Roma a bordo del camper della mia famiglia durante le festività pasquali. Mi ricordo che la prima cosa che mi colpì di Federico furono i capelli bianchi, perché nella mia vita li avevo visti solo alle persone anziane e non riuscivo a capire come mai un ragazzo, mio coetaneo, potesse già averli. Mi piacevano molto, li trovavo magici.

«É albino», mi spiegò mia mamma. Non feci altre domande, ma da quel giorno imparai una parola nuova che mi sembrava fosse appena uscita da un mondo fantastico e dissi: «Wow! Lui non invecchierà mai!».

Inizialmente non parlavamo tantissimo io e Federico, ma ci capivamo a gesti ed eravamo in sintonia su moltissime cose – tranne sui tortellini ordinati in un ristorante tipico romano durante la nostra vacanza – e dopo quei giorni passati insieme ai nostri genitori, vivendo a stretto contatto, iniziammo a vederci sempre più spesso e a capirci sempre meglio. Avevamo moltissime cose da dire al mondo!

Federico è nato a Bologna nel 1993 e dopo una sofferenza neonatale ha riportato difficoltà nel linguaggio e nel movimento. Ha conosciuto da subito le sue particolarità e ha iniziato a prenderle per mano convivendoci, facendo compromessi e impegnandosi laddove pensava di poter superare i propri limiti. La formazione più importante gli è arrivata al liceo quando, grazie a due professori, ha capito di cosa si volesse occupare nella vita: temi sociali e politici.

Così, finite le scuole superiori, si è iscritto a Scienze Politiche conseguendo una laurea triennale. Nel frattempo la sua vita si svolgeva in più luoghi e facendo svariate attività, dallo stare sul palco come componente di una compagnia teatrale allo scrivere una raccolta di poesie; dall’essere redattore per una testata locale al diventare consigliere comunale di Sasso Marconi: ruolo che svolge tutt’ora dopo la rielezione due anni e mezzo fa.Nel 2008 ha deciso di aprire un blog che è diventato subito un prezioso biglietto da visita in grado di scalfire quel velo di pregiudizio dato dall’apparenza. Attualmente si occupa di cronaca politica per un sito di cultura e società nato nel 2019. Nonostante la sua vita super impegnata, ci siamo sempre riusciti a ritagliare, anche a distanza, dei momenti per raccontarci le nostre giornate e discutere di temi che ci toccano da vicino e toccano le “nostre” ruote. Uno di essi, probabilmente il più ricorrente negli anni, è stato sempre quello dell’autonomia. Iniziammo a fare dei weekend insieme per essere pronti al famigerato “dopo di noi”. La nostra amicizia la conoscevano i nostri educatori e i servizi che ci seguivano e proprio per questo ci venne proposto di iniziare un percorso dove passare insieme del tempo per capire se fossimo stati compatibili nel diventare coinquilini con le nostre potenzialità. Questo percorso durò svariati anni fino all’idea di proporci di andare a vivere insieme anche durante la settimana. Pur trovandoci molto bene decidemmo, con la nostra autodeterminazione e la nostra testa “dura”, di far capire a chi gestiva questo servizio che volevamo essere indipendenti e i nostri progetti per il futuro erano diversi e personali per entrambi nonostante il nostro bel rapporto. Fede ama seguire la politica e stare spesso da solo a godersi la tranquillità casalinga, mentre io amo poco la politica, ma mi piace molto avere gente intorno e uscirei quasi ogni sera. Non è stato facile far capire questo concetto a chi ci stava intorno perché quando si parla di vita indipendente e sei una persona con disabilità si tende a far andare bene a molti la risposta che in realtà può andare bene a una sola persona, scavalcando le scelte e i gusti che invece per ognuno possono essere diversi. Noi però non ci facemmo convincere e andammo per la nostra strada. Federico è stato uno dei miei primi amici a lasciare il nido ed andare a vivere da solo, facendo una scelta di vita indipendente, personalizzata e autogestita. Mi sono fatta raccontare nei dettagli il suo percorso. L’ho fatto perché penso che una scelta come quella di Federico debba essere raccontata. Una possibilità che lui si è costruito è diventata una risposta possibile. Mi auguro che si possa sempre più parlare d’indipendenza, perché è un passo che può compiere anche chi non sarà mai totalmente autonomo. Una scelta da coltivare per far crescere nuove opportunità.

Quando hai scelto di andare a vivere da solo? Come hai pensato di strutturare il tuo progetto di vita?

La decisione è arrivata dopo diversi anni, nel corso dei quali ho partecipato a diversi progetti di autonomia proposti dai Servizi: momenti in cui veniva simulata la vita quotidiana nella quale mi veniva chiesto di provare a svolgere faccende quotidiane, dall’apparecchiare al preparare i pasti. Grazie a questi progetti, portati avanti insieme ad alcuni amici, ho potuto verificare quali fossero le mie abilità, molte delle quali nascoste dal fatto di vivere con i miei genitori e quindi in una situazione confortevole. Ormai tre anni e mezzo fa, al termine dell’ultimo di questi percorsi, ebbi la possibilità di utilizzare un appartamento accessibile e nel paese dove sono cresciuto. Così con il supporto dei servizi educativi arrivai a costruire un progetto individuale di vita indipendente. Un progetto ricco di obbiettivi da raggiungere: dal fare la spesa al sistemare la casa essendo io l’unico inquilino. Siamo partiti con dieci ore di intervento educativo a settimana con tre accessi a settimana, per poi ridurre progressivamente la presenza degli educatori arrivando, adesso, a quattro ore a settimana.

Un’esperienza che avrebbe dovuto durare sei mesi sta proseguendo ancora oggi, nello stesso appartamento in cui ho conseguito sempre più autonomie. Il prossimo passo, in parte già in atto, sarà delegare quelle mansioni che non riesco a gestire da solo trovando le persone giuste che mi possano supportare.

Cosa significa per te indipendenza?

Nel corso del tempo è cambiato molto il mio concetto d’indipendenza: penso non ci si debba soffermare tanto sull’indipendenza pratica, poiché essere indipendenti non significa farsi la lavatrice da soli per capirci. Essere indipendenti significa soprattutto avere autonomia nelle scelte, decidere per la propria vita senza cercare approvazione dagli altri.

Spesso le persone con disabilità sono percepite come eterni bambini: percezione talmente dominante che molte volte ho finito per crederci. Invece no: dobbiamo essere ragazzi e adulti che progressivamente si stacchino dalla costante approvazione altrui. È un obbiettivo su cui sto ancora lavorando, ma credo sia la vera essenza dell’indipendenza, l’elemento di cui si ha davvero bisogno preparandosi a una vita senza genitori.

Foto di Sergio Marchioni

Si parla sempre più spesso del “Dopo Di Noi” ma penso sia importante concentrarsi sul “Durante Noi”. Che proposte metteresti in campo per parlare di questo tema – la vita indipendente – e per far sì che entri sempre di più nella quotidianità in cui viviamo diventando per tutti una reale possibilità?

Credo sia complesso trovare un nome alle cose, ma “Dopo di Noi” suggerisce secondo me una prospettiva sbagliata. Nasce cioè dal dilemma che attanaglia i genitori di persone con disabilità che, immaginando un futuro senza la loro presenza, sono preoccupati per la vita dei figli. Questa idea è totalmente fuorviante perché a essere sbagliata è la prospettiva: il “Dopo di Noi” suggerisce il prendere in considerazione le speranze dei genitori. In quel “noi” c’è l’errore perché il futuro sarà vissuto dai figli e non dalle loro famiglie: quindi sarebbe bene cambiare radicalmente prospettiva ponendo al centro le opinioni delle persone con disabilità e non quelle dei loro genitori.

Può sembrare un dettaglio, ma è sostanza. Pensiamo ad esempio se iniziassimo a pensare al “Dopo di Voi” o al “Durante voi”. Cambierebbe qualcosa? Sì, cambierebbe il soggetto degli interventi: non sarebbero più le risposte alle preoccupazioni dei genitori ma delle risposte alle ambizioni personali dei figli. Cambierebbe profondamente l’approccio al tema suggerendo ad esempio come le persone con disabilità non saranno eterni figli, ma persone che devono trovare una loro indipendenza secondo i loro principi, le loro esperienze e le loro ambizioni. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/federico-persone-disabilita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Nuove batterie che triplicano l’autonomia delle auto elettriche

I ricercatori dell’Università di Waterloo hanno messo a punto la tecnologia litio-metallo che triplicherà le percorrenze.http _media.ecoblog.it_6_6b9_auto-elettriche-cop

Dall’Università di Waterloo arriva una possibile soluzione per il principale problema delle auto elettriche: la capacità delle batterie e la conseguente autonomia. Questa soluzione si chiama litio-metallo ed è nei cassetti dei ricercatori già da qualche anno. Ma c’erano grossi due problemi a usarla: il rischio di esplosione della batteria e la tendenza del litio metallo a corroderla. I ricercatori Quan Pang, Xiao Liang, Abhinandan Shyamsunder, e Linda Nazar dell’Università di Waterloo sono riusciti a rilverli entrambi. Con un metodo molto economico: aggiungendo un composto di fosforo e zolfo alla soluzione elettrolitica della batteria a litio-metallo. “Cercavamo un modo semplice e scalabile per proteggere il litio-metallo: con questa soluzione abbiamo semplicemente aggiunto un composto chimico ed ha funzionato“, spiega Pang.

I risvolti pratici di questa scoperta avranno a che fare con la vita quotidiana dei possessori delle future auto elettriche: si potranno percorrere anche 600 chilometri con una normale batteria, di costo e dimensione paragonabile a quelle che oggi garantiscono una percorrenza di 200 chilometri. Il triplo nello stesso spazio e con lo stesso costo.

Ciò vorrà dire poter realizzare batterie economiche, sicure e che durano a lungo, che danno alle persone molta autonomia in più per i loro veicoli elettrici“, conclude Pang.

Fonte: ecoblog.it

Quale futuro per le batterie elettriche?

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Lo ripetiamo spesso: il limite principale di un’auto elettrica era e resta l’autonomia, oltre che i tempi di ricarica. Ma oltre a questo ripetiamo spesso anche che, in un futuro molto prossimo, lo sviluppo di nuove tecnologie porterà le case automobilistiche a superare questa sfida brillantemente.

Quale è il futuro delle batterie elettriche?

A fare un po’ il punto della situazione è il blog Car and Driver, che ricorda come attualmente le batterie elettriche di ultima generazione sono tutte, o quasi, agli ioni di litio. E, con ogni probabilità, queste saranno lo standard almeno per il prossimo decennio: la sfida è oltremodo aperta e ricercatori e sviluppatori sono alla ricerca di soluzioni innovative per aumentare la capacità, la resistenza e la velocità di ricarica delle batterie. Una soluzione è un polimero, ve ne abbiamo già parlato più volte, sviluppato da un gruppo di ricerca universitario in Gran Bretagna e da un altro negli Stati Uniti, ma non è l’unica.

Ioni di litio solidi

Questa soluzione prevede un elettrolita ceramico solido in sostituzione dell’elettrolita liquido all’interno delle celle agli ioni di litio. Questo rende la batteria non infiammabile, più resistente nel tempo al normale deperimento e sopratutto raddoppia la quantità di energia che può essere immagazzinata. Le prestazioni delle batterie a stato solido migliorano anche con il calore, eliminando la necessità di raffreddamento a liquido: tuttavia soffre un po’ le basse temperature e inoltre l’elettrolita ceramico necessita di una protezione, facendo così aumentare il peso complessivo della batteria.

Batterie metal-air

Si tratta di una tecnologia particolare che unisce la funzione di batteria elettrica classica con quella di un motore a scoppio, pompando all’interno di una cella metallica (in litio ma sempre più spesso in zinco) l’ossigeno per avviare una reazione chimica elettrica. È una tecnologia molto leggera in termini di peso e che può immagazzinare fino a 10 volte la quantità di energia delle normali batterie agli ioni di litio. I cicli di ricarica di questo tipo di batterie non sono molti, la tecnologia è piuttosto nuova e è ancora impossibile capire bene che tipo di mercato potrà avere in futuro.

Riduzione dell’ossidazione di flusso

L’energia in questo caso viene immagazzinata all’interno di due elettroliti liquidi che generano elettricità attraverso il pompaggio di questa nelle celle della batteria. Tuttavia in questo caso molti esperti temono che serviranno serbatoi di stoccaggio troppo grandi.

Fonte: ecoblog.it

Luca Gianotti: viaggiare a piedi per trovare (anche) se stessi

Vivere il territorio a ritmi lenti e in profondità, conoscere l’altro e guardarsi dentro. È questa l’idea ispiratrice della Compagnia dei Cammini, associazione che lavora per diffondere la cultura del camminare nel nostro Paese, proponendo viaggi a piedi in aree mediterranee.

“Ho iniziato poco dopo l’adolescenza, e in breve tempo ho scoperto i benefici del camminare. È nata così una passione che oggi occupa un posto centrale nella mia vita”. Comincia così il racconto di Luca Gianotti, coordinatore della Compagnia dei Cammini, nata dalla precedente esperienza de “La Boscaglia” e in linea con la sua filosofia ed i suoi valori. L’associazione propone viaggi a piedi, anche in compagnia degli asinelli, viaggi in barca a vela con trekking e viaggi di Deep walking con esperienze di meditazione camminata. Ogni anno, inoltre, viene organizzata la camminata evento “Compagni di Cammino” , che lo scorso anno ha condotto le guide ed i viandanti sui passi della Sicilia virtuosa  e che il prossimo novembre sbarcherà in Puglia, terra generosa e in gran fermento.1781950_611358848934048_1249352089_n

Per la Compagnia dei Cammini fare turismo responsabile significa rispettare la natura, non inquinare, tutelare la salute, valorizzare l’economia solidale, preferire il cibo biologico, naturale e locale. A differenza di molti tour operator che propongono tra i servizi il trasporto dei bagagli dei viaggiatori, chi viaggia con la Compagnia dei Cammini porta con sé soltanto uno zaino. “Lo zaino – spiega Luca Gianotti – ti fa sentire libero, puoi fermarti in ogni momento, dormire in tenda o sotto le stelle, anche se molte volte le persone fanno fatica ad entrare in contatto con il loro lato più selvatico. Inoltre, camminare con soli 6-7 chili sulle spalle che contengono tutto il necessario per viaggiare anche per un mese ti fa acquisire la consapevolezza, una volta tornati a casa, della quantità di cose di cui ci circondiamo e di quanto queste non servono e non ci recano felicità”. Spesso chi decide di mettersi in cammino intraprende il viaggio da solo ma in breve tempo si crea un legame forte con gli altri viandanti. “Il camminare – ci spiega Gianotti – ha il potere forte di creare il gruppo: spesso si arriva da soli e ci si mette in gioco, ma in due o tre giorni condividendo emozioni, fatiche e momenti positivi si crea subito il gruppo che, per il periodo del viaggio, diviene una sorta di organismo vivente a se stante. Così come per il benessere di un corpo ogni parte deve essere in salute, allo stesso modo per generare disarmonia in un gruppo basta che una sola persona non stia bene”.10730773_766484063421525_6649220928142959151_n

Fondamentale è dunque la consapevolezza delle persone riguardo al tipo di esperienza che si apprestano a vivere. Per questo motivo lo staff della Compagnia dei Cammini ritiene importante entrare in contatto diretto con coloro che sono interessati ai viaggi, al fine di avere un confronto sulle aspettative e motivazioni di ognuno. Inoltre, sul sito dell’associazione è disponibile un decalogo  scritto da Luca Gianotti che ben riassume la filosofia del camminare. Prima regola? Liberarsi dalle ansie della quotidianità e lasciarle a casa. Soltanto così, infatti, è possibile scoprire il vero valore del cammino: l’incontro con il territorio, con gli altri viandanti, con le persone che vivono nei luoghi in cui si cammina… e con se stessi.10404240_715338328536099_2352555457413100082_n

Il viaggio a piedi, così inteso, costituisce anche un’occasione di ricerca interiore, guidati dalla bellezza del silenzio, dai suoni della natura, dai rumori dei propri passi e respiri. In questo senso, come evidenzia Luca Gianotti, la riscoperta del Cammino di Santiago di Compostela ha segnato una svolta epocale. “Negli ultimi anni si è ampliato il numero di persone che si mettono in cammino ed è aumentato il bisogno interiore di camminare per capire se stessi, oltre al mondo che ci circonda. Soprattutto per noi occidentali, più irrequieti e meno abituati alla meditazione, il cammino diventa così anche uno strumento per compiere un lavoro spirituale”.10614331_772983172771614_3057065503897482961_n

Come ha scritto Luca Gianotti nel libro “L’arte del camminare”, “camminare lento significa saper vivere il presente senza fretta, godersi il cammino fermandosi a osservare un fiore o a scambiare due parole con un contadino, sapendo che siccome abbiamo la tenda con noi, e qualche cibo di scorta, possiamo anche far tardi, nessuno ci aspetta, non corriamo nessun rischio. Per questo i cammini in completa autonomia, in libertà, nei quali il nostro zaino diventa la nostra casa, nei quali abbiamo con noi la tenda, i viveri, il necessario, sono i più terapeutici. Possiamo fermarci quando vogliamo”.

Visualizza La Compagnia dei Cammini sulla Mappa dell’Italia che Cambia

Il sito de La Compagnia dei Cammini

Fonte:italiachecambia.org

La scarsa mobilità e autonomia dei bambini italiani. Lo studio in italiano

Dopo i precedenti interventi, pubblichiamo “La mobilità autonoma dei bambini in Italia”, la ricerca condotta da Alfredo Alietti, Daniela Renzi, Monica Vercesi e Antonella Prisco dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del CNR. Emerge un cambiamento generazionale epocale perché quasi tutti i genitori di oggi, all’età dei loro figli, si recavano a scuola a piedi. Lo studio ha promosso il gruppo internazionale “La città dei bambini” che lavora per incentivare la mobilità autonoma dei bambini.

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Negli scorsi giorni Eco dalle Città ha pubblicato alcuni interventi sul problema della scarsa autonomia e mobilità dei bambini italiani, confrontata con i “colleghi” inglesi e tedeschi, la cui mobilità si è pure fortemente ridotta negli ultimi decenni, per vari motivi. La ricerca che pubblichiamo è stata coordinata dal Laboratorio di Psicologia della Partecipazione infantile dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio Nazionale delle Ricerche e realizzata grazie al finanziamento della Provincia di Roma e della Provincia di Monza e Brianza, con il patrocinio di COMIECO (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo Imballaggi a base Cellulosica) e di FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta). Anche se dai dati emerge che la mobilità autonoma dei bambini aumenta con un significativo incremento in corrispondenza del passaggio dalla scuola primaria alla secondaria (11 anni), permane il fatto che in Italia il mezzo prevalente per accompagnare i figli a scuola sia l’auto. Il confronto tra le esperienze dei genitori e quelle dei figli evidenzia infatti un cambiamento per certi versi epocale. Quasi tutti i genitori all’età dei loro figli si recava a scuola a piedi, facendo lo stesso percorso dei loro figli e indipendentemente dall’età e dalla distanza dalla scuola. Oltre all’eccezionale dipendenza dall’automobile, dallo studio emergono altre peculiarità italiane:
– in Italia la scuola ha l’obbligo di consegnare il bambino che frequenta la scuola primaria al genitore e non permette che questo torni a casa da solo.

– un Paese con pochi bambini e tante auto: la popolazione italiana è innanzitutto caratterizzata da una percentuale molto contenuta di minori (17% della popolazione totale), da un tasso di fertilità tra i più bassi in Europa (1,3 figli per donna) e di conseguenza da un’elevata presenza di figli unici: il 46,5% delle coppie con figli ne ha uno solo, mentre il 43% ne ha due;

– il parco veicolare italiano (Automobile Club Italiano, 2009), in continua crescita dagli anni ’60,
è di 48.000.000 di mezzi, di cui circa 36.340.00 auto, con una media nazionale di 1,66 abitanti
per ogni auto.
 La stragrande maggioranza delle famiglie indagate ne possiede almeno 1 e una percentuale pari a più del 40% ne possiede due o più. Questo dato ci colloca nettamente al di sopra della media europea.
– riguardo il mezzo utilizzato per andare a scuola, il dominio dell’automobile rispetto alle altre modalità appare ancora più “preoccupante” se consideriamo che in Italia la distanza tra abitazioni e scuole primarie è nella stragrande maggioranza dei casi inferiore a 1 km.

– riguardo l’autonomia, l’Italia è al primo posto in Europa anche per numero di cellulari in rapporto alla popolazione, con una media di 1,5 cellulari per abitante. Nella fascia tra i 7 e gli 11 anni la percentuale di coloro che ne posseggono uno è del 62,4%.  Il gruppo internazionale dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR“La città
dei bambini”,
 nato a Fano (PU) nel 1991, ha assunto la promozione dell’autonomia dei bambini come uno degli obiettivi. Per avviare questo processo, il CNR propone da oltre un decennio l’iniziativa “A scuola ci andiamo da soli” che invita i bambini della scuola primaria ad andare a scuola e tornare a casa con i loro compagni e senza l’accompagnamento dei genitori. L’andare a scuola senza essere accompagnati dagli adulti deve essere solo l’inizio di un programma di restituzione della città ai bambini, che dovrebbero avere la possibilità di muoversi autonomamente nel loro quartiere.

Per maggiori informazioni: www.istc.cnr.it/group/ppi e www.lacittadeibambini.org

 La mobilità autonoma dei bambini in Italia [0,26 MB]

Fonte. Eco dalle città

Gli OGM avanzano in Europa. L’Italia può ancora scegliere?

La partita sull’ingresso degli organismi geneticamente modificati in Europa si sta giocando nei tribunali, più che nelle sedi democratiche, con un’accelerazione che interessa anche paesi da sempre contrari al transgenico come l’Italia. Ma esistono ancora spazi di mobilitazione contro gli OGM.

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Quando il 6 settembre la Corte di Giustizia europea si è espressa a favore della Pioneer Hl Bred Italia srl., dando torto al Ministero delle Politiche agricole italiano – che tentava di impedire l’ingresso nel territorio nazionale di linee pure ed ibride del mais Mon 810, già ammesse a livello comunitario dal 1998 -, molti hanno parlato di una sentenza storica per il rapporto tra il nostro Paese e gli organismi geneticamente modificati. Il Ministero giustificava, infatti, il rifiuto di far entrare in Italia il mais transgenico sulla base del fatto le regole sulla coesistenza tra semi OGM e tradizionali, previste dal nostro ordinamento, non fossero ancora state approvate. Ma secondo i giudici di Lussemburgo, con l’autorizzazione alla commercializzazione, e poi con l’iscrizione delle varietà derivate nel catalogo comune della Commissione europea, la Pioneer aveva già acquisito il diritto alla distribuzione in tutti paesi dell’Unione, Italia compresa. Sulla scorta di questa sentenza, altri operatori del settore si stanno mobilitando per farsi spazio nel mercato italiano. Un nuovo procedimento è stato introdotto davanti alla Corte di Giustizia europea proprio in questi giorni e questa volta riguarda non la libera circolazione dei semi OGM, ma la loro messa in coltura. La causa riguarda infatti una persona tratta in giudizio nel 2012 per aver coltivato in Italia sementi di mais geneticamente modificato, senza avere ottenuto la debita autorizzazione. Secondo il Tribunale di Pordenone, infatti, il via libera di Bruxelles riguarda la sola commercializzazione, mentre per la messa in coltura è necessaria l’autorizzazione della competente autorità nazionale, cui la normativa europea assegna il compito di regolare la coesistenza tra colture Ogm e colture tradizionali. Dall’altra parte, invece, si fa riferimento al caso Pioneer sostenendo che la Corte Ue non si sarebbe pronunciata sulla necessità di avere anche l’autorizzazione dello Stato membro per la messa a coltura.

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Per uscire da questa incertezza, il Tribunale penale di Pordenone ha deciso chiedere alla Corte Ue se un Paese dell’Unione – in questo caso l’Italia, ma vale anche per gli altri – sia libero di subordinare le coltivazioni di OGM ad autorizzazione per tutelare il principio di coesistenza, anche nel caso di varietà già iscritte nel catalogo comune europeo. La posta in gioco è altissima: se la causa dovesse dare torto al Tribunale di Pordenone, sdoganata la commercializzazione, si aprirebbe anche alla coltivazione di tutte le varietà geneticamente modificate già approvate a livello comunitario, senza passare per l’approvazione da parte dei singoli Stati. In attesa di conoscere cosa deciderà la Corte di Giustizia europea, esistono almeno tre strade percorribili per mandare un messaggio in difesa dell’agricoltura convenzionale e biologica e per chiedere più autonomia per i Paesi Ue in materia di OGM. Uno: partecipare alla consultazione pubblica sull’agricoltura biologica lanciata dalla Commissione europea e aperta online fino al 15 aprile; il sondaggio è aperto a tutti i cittadini e rispondendo alle domande sulla coesistenza con il transgenico si ha l’occasione per far sentire la propria voce.

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Due: dopo la sentenza che ha tolto di divieto di coltivazione del mais Mon810, diversi Stati europei hanno adottato la “clausola di salvaguardia” per bloccare le semine OGM; l’Italia non lo ha fatto, ma alcuni cittadini hanno avviato una raccolta firme per chiedere ai ministri delle Politiche Agricole e della Salute di seguire l’esempio degli altri paesi. Tre, di maggiore impegno e guardando a più lungo termine: il nuovo commissario europeo alla Salute Tonio Borg ha annunciato che tra le priorità del suo mandato c’è la ripresa del negoziato sulla revisione della procedura comunitaria di autorizzazione degli OGM, bloccato ormai da mesi. Secondo quanto riportato dal suo portavoce, Borg avrebbe già avviato i colloqui con gli Stati membri contrari alla proposta della Commissione Ue, in particolare con Gran Bretagna, Francia e Germania, e punterebbe a riavviare la discussione tra i 27 già nel corso della presidenza irlandese dell’Unione, che ha iniziato il suo turno a gennaio e lo terminerà alla fine di giugno. L’Italia si era già espressa a favore della proposta della Commissione, perché lascia più autonomia ai singoli paesi nel limitare o vietare l’ingresso di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Nei prossimi mesi è quindi importante fare sentire la propria voce – associazioni, produttori e singoli cittadini, ciascuno con i propri mezzi – perché il dibattito riparta effettivamente e perché l’autonomia dei paesi in questo campo venga riconosciuta.

Fonte: il cambiamento