Spreco di cibo in aumento: nel 2030 verranno perse 66 tonnellate al secondo

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È quanto emerge dal rapporto del Boston Consulting Group (BCG). La quantità di cibo che viene sprecata ogni anno nel mondo aumenterà di un terzo entro il 2030, quando saranno perse o gettate via 2,1 miliardi di tonnellate di alimenti

La quantità di cibo che viene sprecata ogni anno nel mondo aumenterà di un terzo entro il 2030, quando saranno perse o gettate via 2,1 miliardi di tonnellate di alimenti, pari a 66 tonnellate al secondo. È quanto emerge dal rapporto del Boston Consulting Group (BCG), multinazionale statunitense di consulenza di managemen, in cui si dice che la risposta globale allo spreco alimentare è frammentata e inadeguata e che il problema sta crescendo ad un ritmo allarmante.
“Mentre stiamo sviluppando le nostre soluzioni la portata del problema continua ad aumentare”, ha affermato Shalini Unnikrishnan, partner e managing director di BCG. “Man mano che la popolazione cresce rapidamente in alcune parti del mondo industrializzate, come in Asia, anche il consumo cresce altrettanto rapidamente” e di conseguenza lo spreco: “Dove la ricchezza cresce le persone chiedono più cibo e più cibo diverso, che non viene coltivato localmente. Ciò aumenterà la perdita e lo spreco”. Il rapporto suggerisce la creazione di un marchio di qualità ecologica, simile a quello delle campagne del commercio equo, che incoraggi i clienti ad acquistare da aziende impegnate nel ridurre gli  scarti. Le stime attuali dicono che ogni anno vengono sprecate 1,6 miliardi di tonnellate di cibo per un valore di circa 1,2 milioni di dollari, circa un terzo del cibo prodotto a livello globale. Tutto questo mentre 815 milioni di persone nel mondo (il 10,7% della popolazione globale) soffre di denutrizione cronica secondo i dati FAO relativi 2016, e senza dimenticare che i rifiuti alimentari e le perdite hanno anche un peso ambientale notevole, visto che determinano l’8% delle emissioni globali di gas serra, sempre secondo la FAO. Come detto sono i paesi che si stanno industrializzando e che hanno una popolazione in crescita quelli soggetti ai maggiori aumenti dello spreco di cibo, anche a causa di inefficienze nell’utilizzare appieno la produzione già presente, come quella dei piccoli agricoltori locali. Mentre nei paesi in via di sviluppo i rifiuti si generano soprattutto durante i processi produttivi, nei paesi ricchi i rifiuti sono causati principalmente dalla grande distribuzione e dai consumatori, che buttano via il cibo perché ne hanno acquistato troppo o perché non soddisfa gli standard estetici. Anche le promozioni dei supermercati e la mancanza di informazioni accurate hanno contribuito allo spreco, dice il rapporto. Alcune aziende stanno sperimentando iniziative di riduzione dei rifiuti, ma secondo il BCG non sono sufficienti. La creazione di un marchio di qualità ecologica potrebbe incoraggiare le aziende a lavorare di più in tal senso, anche se è l’azione dei governi che disincentiva troppo poco lo spreco alimentare.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Rinnovabili, nei primi due mesi del 2018 installazioni in aumento

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Secondo i dati di Anie Rinnovabile le nuove installazioni di fotovoltaico, eolico e idroelettrico sono cresciute del 3% rispetto al 2017. Le regioni che hanno registrato il maggior incremento in termini di potenza sono Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna e Umbria. Nei primi due mesi del 2018 secondo i dati di Anie Rinnovabile le nuove installazioni di fotovoltaico, eolico e idroelettrico raggiungono complessivamente circa 107 MW (+3% rispetto al 2017). Si conferma il trend mensile del fotovoltaico che con i 27,9 MW connessi a febbraio 2018 raggiunge quota 60,1 MW complessivi (+17% rispetto allo stesso periodo del 2017). In calo invece il numero di unità di produzione connesse (-12%). Gli impianti di tipo residenziale (fino a 20 kW) costituiscono il 60% della nuova potenza installata nel 2018. Le regioni che hanno registrato il maggior incremento in termini di potenza sono Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna e Umbria, mentre quelle con il maggior decremento sono Basilicata, Campania e Valle d’Aosta. Le regioni che hanno registrato il maggior incremento in termini di unità di produzione sono Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Umbria e Veneto, mentre quelle con il maggior decremento sono Basilicata e Valle d’Aosta. Da segnalare l’attivazione a gennaio di un impianto fotovoltaico da 2,5 MW in Emilia Romagna in provincia di Modena. Risulta complessivamente in calo l’eolico che nei primi due mesi del 2018 raggiunge quota 23,1 MW (-45% rispetto allo stesso periodo del 2017). Per quanto riguarda la diffusione territoriale, la maggior parte della potenza connessa (99%) e’ localizzata nelle regioni del Sud Italia. Da segnalare l’attivazione a febbraio di un impianto eolico da 22 MW in Basilicata in provincia di Potenza. Positivo l’inizio dell’anno per l’idroelettrico che con i 21,7 MW di gennaio e soli 1,8 MW di febbraio si raggiunge quota 23,4 MW complessivi (+133% rispetto ai valori registrati nei primi due mesi del 2017). Si registra invece un decremento per le unita’ di produzione (-74%). Le regioni che hanno registrato il maggior  incremento di potenza nei primi mesi del 2018 rispetto all’anno precedente sono Lombardia e Trentino Alto Adige. Da segnalare  l’attivazione a gennaio di un impianto idroelettrico da 21,4 MW in Lombardia in provincia di Milano.

Fonte: ecodallecitta.it

Energia, ENEA: aumentano consumi finali e produzione elettrica ma anche emissioni di CO2

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È uno scenario complesso quello delineato da ENEA per i primi tre mesi del 2017, con un sensibile peggioramento dell’indice ISPRED che misura la transizione del sistema energetico nazionale sulla base di sicurezza, prezzi e andamento della CO2. Segnali di ripresa per il sistema energetico nazionale con l’aumento di consumi finali di energia (+1,7%) e produzione elettrica (+6,4%) ma, allo stesso tempo, criticità emergenti sul fronte della sicurezza, dei prezzi e delle emissioni di anidride carbonica. È uno scenario complesso quello delineato dall’Analisi Trimestrale ENEA relativa ai primi tre mesi del 2017, con un sensibile peggioramento (-10% su base annua) dell’indice ISPRED che misura la transizione del sistema energetico nazionale sulla base di sicurezza, prezzi e andamento della CO2.

“L’inverno 2016/2017 – spiega Francesco Gracceva, l’esperto ENEA che ha coordinato l’Analisi – ha fatto emergere alcune fragilità del nostro sistema energetico che negli ultimi anni erano state sottovalutate e mostrato come la transizione energetica continui a presentare aspetti problematici. Le nostre simulazioni così come quelle di ENTSO-E, l’Associazione europea dei gestori delle reti elettriche, evidenziano che nel corso dell’estate potrebbero verificarsi problemi di adeguatezza, in particolare nel Centro-Nord, qualora si verificasse un mix di condizioni estreme con alte temperature, bassa produzione da fonti rinnovabili non programmabili e bassa idraulicità”.

Ma non solo. Il forte aumento della produzione interna di elettricità e la ripresa della domanda di gas per usi finali hanno determinato il secondo incremento trimestrale consecutivo delle emissioni di CO2  (+2,8%), che quest’anno potrebbero raggiungere livelli simili a quelli del 2013. Nello specifico, dall’Analisi emerge che nel primo trimestre 2017, i consumi di energia primaria sono tornati a crescere (+0,9%), trainati dal forte aumento dell’utilizzo di gas (+9%), mentre i consumi finali sono aumentati dell’1,7%, con un +3% nel civile, per effetto delle condizioni climatiche e un +2% nell’industria per la ripresa della produzione. In crescita anche la produzione elettrica nazionale (+6,4%) con una quota di termoelettrico pari al 73% del totale (con punte del 77% a gennaio), un livello che non si registrava da un decennio. In sensibile calo l’import di elettricità (-29%) anche se in misura minore rispetto al -60% del IV trimestre 2016. Questo insieme di elementi ha determinato un periodo transitorio di forti rialzi dei prezzi sulla borsa elettrica, fino a 94 euro/MWh di media giornaliera nella zona Nord a gennaio. Una dinamica simile ha coinvolto il sistema gas, dove i picchi di domanda vicini ai massimi storici (425 Mm3) hanno indotto i decisori a raccomandare un aumento delle importazioni con un impatto sui prezzi che, sempre a gennaio, sul mercato all’ingrosso italiano sono stati di quasi 4€/MWh più alti rispetto al resto d’Europa. Di fatto, nel caso in cui non fossero completamente disponibili tutti i punti di entrata nella rete nazionale, la copertura di picchi eccezionali di domanda potrebbe risultare problematica. Tre fattori hanno determinato questo scenario: il forte calo delle importazioni di elettricità (con un picco di -68% a gennaio) per il fermo temporaneo di parte degli impianti nucleari francesi tra fine 2016 e inizio 2017; la scarsa idraulicità che ha determinato una diminuzione della produzione idroelettrica che prosegue ormai da due anni; la progressiva sostituzione del carbone con gas, un trend iniziato nel 2016. Questi tre elementi hanno spinto la ripresa del ruolo del gas che nel I trimestre 2017 ha segnato + 18% dopo il +27% del IV trimestre 2016.

“Nel breve-medio periodo sarà importante capire in che misura i fattori congiunturali che hanno determinato le criticità degli ultimi mesi possano divenire strutturali. Le prospettive incerte del parco nucleare francese, la possibilità che i cambiamenti climatici già in atto abbiano effetti di lungo termine sull’idraulicità come anche sui picchi di caldo estivo, la possibilità che si verifichino nuovamente punte invernali della domanda di gas vicine ai massimi storici costituiscono altrettante ragioni per ritenere che la seconda eventualità non possa essere esclusa a priori”, conclude Gracceva. Il nuovo numero dell’Analisi Trimestrale ENEA contiene anche una valutazione della dinamica del peso dell’energia sui costi dell’industria italiana, da cui emerge, tra le altre cose, che la crisi economica sembra aver portato a un peggioramento della posizione relativa dell’industria italiana energy intensive.

Per l’Analisi Trimestrale completa clicca qui

Fonte: ecodallecitta.it

 

Inquinamento idrico in aumento nelle grandi città

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Uno studio pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences lancia l’allarme sull’aumento della contaminazione dei bacini idrici nei quali si approvvigionano le grandi città. Fra il 1900 e il 2005 i sedimenti rilevati nei bacini idrici urbani sono aumentati del 40% a fronte di un + 47% dei livelli di fosforo e un + 119% dei livelli di azoto. Le due principali cause di questo incremento sono l’agrochimica e l’aumento della popolazione. Il 90% dei bacini idrici da cui le città prese in esame (300 con più 750mila abitanti) dipendono per l’approvvigionamento di acqua potabile evidenzia livelli di contaminazione da sostanze chimiche e da accumulo di sedimenti decisamente allarmanti. L’aumento della tossicità sta facendo lievitare i costi di trattamento e depurazione delle acque che sembrano destinati a raggiungere una fase altamente critica quando, nel 2050, la popolazione della Terra raggiungerà i 10 miliardi di abitanti.

Dal 1900 al 2005 la popolazione mondiale è quintuplicata, mentre le aree riservate ad agricoltura e allevamento sono rispettivamente triplicate e raddoppiate. L’agricoltura e gli allevamenti intensivi non solo hanno moltiplicato la richiesta d’acqua, ma hanno incrementato l’immissione negli ecosistemi e nelle falde idropotabili di fosforo azoto. Da oggi al 2050 la popolazione urbana dovrebbe aumentare di 2,5 miliardi di persone rendendo sempre più complicata la reperibilità dell’acqua.

Fonte:  Pnas

 

Le energie rinnovabili e la green economy non basteranno a salvarci

In tempi di crisi si fa un gran parlare di energie rinnovabili e di green economy; ma sono davvero la soluzione che salverà il pianeta? I consumi aumentano a dismisura anche in paesi che hanno complessivamente miliardi di abitanti; quale green economy potrà mai stare dietro a simili livelli produttivi, a ritmo così forsennato?

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Che si producano milioni di prodotti inutili con le fonti fossili o con il solare, sempre prodotti inutili saranno e quello che si guadagna ambientalmente o energeticamente da una parte, lo si perde dall’altra. Per quanto sia certamente meglio utilizzare il solare piuttosto che il petrolio, comunque si sprecano preziose risorse non rinnovabili per produrre qualcosa di inutile. Pensiamo alle automobili; si fa un gran parlare dell’auto elettrica come se fosse la soluzione magica. Ma ve le immaginate centinaia di milioni di auto elettriche di quante risorse ed energia hanno bisogno per essere prodotte? Risorse che non sono di certo rinnovabili, perché quello che c’è dentro ad un’auto ha poco di rinnovabile. A meno che non la si voglia fare tutta di legno, ma allora non è più un automobile ma un carretto e serve il cavallo, difatti è lì che andremo a finire se non fermiamo la follia della crescita. Inutile poi diminuire il consumo di carburante per automobile se poi ogni anno le vetture aumentano sempre di più e vanificano il risultato ottenuto dal minor consumo. Per sostenere con la green economy la crescita che fa felici industriali e governanti, dovremmo lastricare l’intero pianeta di pannelli solari e nemmeno basterebbe; pannelli solari che a loro volta hanno bisogno di materiali ed energia per essere prodotti, materiali che spesso non sono rinnovabili. Per quante fandonie si possano raccontare per poter continuare a vendere qualsiasi cosa, fortunatamente dai limiti terrestri non si scappa. La vera green economy e l’uso delle energie rinnovabili hanno senso solo se si mette in discussione la crescita e se per ogni prodotto ci si chiede se veramente è utile e quale è il suo grado di rinnovabilità. A certi nuovi convertiti, a cui non è mai interessato nulla dell’ambiente, importa maggiormente il portafoglio; lo dimostra in Italia il boom del fotovoltaico che spesso è stato solo speculazione. Il fotovoltaico fra le energie rinnovabili è quella che ha il rendimento minore ed è la meno interessante da un punto di vista ambientale. Ha molto più senso coibentare la casa con materiali naturali, quelli sì rinnovabili; e con quelli si abbassano drasticamente i consumi di riscaldamento e raffrescamento fino quasi a eliminarli del tutto, come per le case passive. Sono tanti coloro che hanno installato pannelli fotovoltaici nella propria casa o azienda e hanno continuato a consumare come e più di prima; in questo caso più che green economy si tratta di stupid economy. Agire così non ha senso e ha solo arricchito imprenditori senza scrupoli che si sono buttati sul fotovoltaico esclusivamente perché rendeva; poi gli stessi li vedi andare in giro in mega SUV, Maserati o Ferrari, che in quanto a protezione ambientale e risparmio energetico sappiamo bene essere il top. Per quanto ci si possa illudere o mettersi adesso questa copertina trasparente della green economy, non si scappa: è la crescita il problema e finchè quella non sarà messa in discussione e accantonata, non ci saranno rinnovabili o green economy che tengano. Anche le multinazionali dell’energia, dopo aver inquinato tutto l’inquinabile, si stanno buttando sulle rinnovabili ma dal punto di vista centralizzato, cioè l’energia ce la devono comunque vendere loro, mica ci dicono di renderci autonomi, che è invece la peculiarità principale delle energie rinnovabili stesse. Le risorse sono finite, inutile prenderci in giro; tutto quello che si produce deve essere attentamente vagliato per fare in modo che sia rinnovabile o comunque, se si utilizzano risorse finite, occorre fare in modo che i prodotti si possano riparare, riciclare, rendendone la vita più lunga possibile: l’esatto contrario di quello che dice il dogma del PIL, che per crescere ha assolutamente bisogno di usa e getta a ritmo continuo e più le discariche aumentano e più il PIL gioisce. Ma verrà un giorno, non molto lontano, che malediremo i sacerdoti del PIL mentre ci ritroveremo a scavare nelle discariche per trovare materiali preziosi che nel tempo della follia consumistica avevamo così stupidamente buttato per fare ingrassare industriali e politici senza scrupoli.

Fonte: ilcambiamento.it

Frodi alimentari quasi quadruplicate dall’inizio della crisi

Due italiani su tre ammettono di essere preoccupati per la salubrità dei cibi e chiede un inasprimento delle pene per chi commette frodi alimentari. La crisi ha fatto esplodere il fenomeno delle frodi alimentari. Coldiretti ha condotto un’indagine in base ai dati raccolti dai carabinieri dei Nas sulle frodi alimentari rilevate nei primi nove mesi dell’anno dal 2008 al 2014. Non si tratta di una scelta causale, visto che la crisi, in Italia, arrivò proprio nell’ottobre 2008. Ebbene in sei anni, dal 2008 la 2014, le frodi scoperte dai Nas hanno subito un incremento del 277%. Dai cibi scaduti a quelli etichettati in maniera fraudolenta, dai cibi low cost a quelli in cattive condizioni igienico-sanitarie o privi di tracciabilità, il cibo italiano, in virtù della sua qualità unanimemente riconosciuta, fornisce ampi margini di guadagno a chi decide di sfruttarne la fama in maniera illegale.La crisi, con la conseguente esigenza, per molte famiglie, di un contenimento della spesa ha favorito questo tipo di reati che, secondo Coldiretti, sono

particolarmente odiosi perché si fondano sull’inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono costretti a risparmiare sugli acquisti di alimenti.

Secondo un’indagine di Coldiretti/Ixè, due italiani su tre (il 65%) ha paura a tavola perché ritiene che la crisi abbia fatto aumentare i rischi alimentari, mentre il 2% degli intervistati dichiara di esserne stato vittima. Di fronte al moltiplicarsi dei casi di frode e contraffazione alimentare, quasi due italiani su tre (il 57%) chiedono che venga sancita la sospensione dell’attività.72551783-586x387

Fonte:  Coldiretti

© Foto Getty Images

Sud America, l’aumento del prezzo dell’oro accelera la deforestazione

Uno studio pubblicato dalla rivista Environmental Research Letters dimostra gli effetti devastanti dell’estrazione dell’oro. Il prezzo dell’oro aumenta e ciò comporta un aumento della deforestazione in Amazzonia e in altre foreste del Sud America. È questo quanto emerge da uno studio sull’impatto ambientale dell’industria mineraria compiuto dalla rivista Environmental Research Letters. Nonostante il picco del prezzo dell’oro nsia stato raggiunto nel 2011, la sua quotazione attuale resta doppia rispetto alla media degli ultimi trent’anni. Per i garimpeiros i rischi sono inferiori ai possibili benefici e, negli ultimi anni, i minatori artigianali hanno dato vita a una nuova corsa all’oro affollando aree protette e foreste tropicali. L’analisi dei dati satellitari effettuata dai ricercatori dell’Università di Puerto Rico ha permesso di quantificare in 1680 kmq la porzione di foresta cancellata fra il 2001 e il 2013 ovverosia in un periodo di tempo che ha visto crescere il prezzo dell’oro di cinque volte. Nella seconda metà di questo periodo, ovverosia negli anni della crisi occidentale, il tasso di distruzione è raddoppiato perché la crisi economica e l’instabilità finanziaria hanno generato una “fame” di oro dovuta da una parte all’utilizzo come bene-rifugio, dall’altra all’utilizzo come materia prima per soddisfare la richiesta di gioielli proveniente dalle economie emergenti di Cina e India. Anche se, in termini di superficie, la deforestazione dovuta all’attività estrattiva è di gran lunga inferiore a quella causata dall’agricoltura, dall’allevamento e dal disboscamento illegale a fini commerciali, l’estrazione dell’oro è la più devastante dal punto di vista ambientale perché utilizza cianuro, mercurio e arsenico, contaminando le fonti d’acqua e rallentando la ricrescita della vegetazione. Le quattro aree principali dell’estrazione in Sud America sono: il sud est dell’Amazzonia in Perù, il Tapajós – Xingú in Brasile, la Guyana e la regione di Valle Magdalena – Urabá. La zona più “affollata” di garimpeiros è quella di Itaituba, nel bacino Tapajós, nella quale si stima operino circa 200mila persone. In termini percentuali, la produzione di oro in Sud America è cresciuta più velocemente della produzione mondiale, passando dalle 2445 tonnellate del 2000 alle 2770 tonnellate del 2013.113280193-586x390

Fonte: The Guardian

© Foto Getty Images

Raee, Ecodom: “Nel 2014 sale la raccolta dei rifiuti elettrici ed elettronici”

Nell’anno passato il consorzio ha avviato a riciclo 45.139 tonnellate di ferro, 2.166 tonnellate di alluminio, 1.775 tonnellate di rame e 7.839 tonnellate di plastica, evitando l’immissione in atmosfera di oltre 850.000 tonnellate di anidride carbonica. La Lombardia si conferma anche quest’anno la regione più virtuosa, seguita da Toscana,Veneto, Emilia Romagna e Piemonte; fanalino di coda, il Molise381560

75.900 le tonnellate di RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, come frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, forni e cappe) trattate, nel corso del 2014, da Ecodom – il principale Consorzio Italiano per il Recupero e il Riciclaggio degli Elettrodomestici. Un’attività che ha consetito il riciclo di ben 45.139 tonnellate di ferro, 2.166 tonnellate di alluminio, 1.775 tonnellate di rame e 7.839 tonnellate di plastica, evitando l’immissione in atmosfera di oltre 850.000 tonnellate di anidride carbonica (CO2). I dati 2014 evidenziano, rispetto all’anno precedente, un sostanziale aumento (pari a circa 6,8 punti percentuali) dei RAEE trattati dal Consorzio, non omogeneo però nei diversi Raggruppamenti: la crescita è stata infatti del +0,3% per il Raggruppamento R1 (che comprende frigoriferi e condizionatori), che ha totalizzato 35.100 tonnellate; del +13,3% per R2 (lavatrici, lavastoviglie, cappe, forni, scalda-acqua), con 40.300 tonnellate; e infine del +2,7% per R4 (come piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo, informatica, apparecchi di illuminazione), con 500 tonnellate di RAEE trattate. Straordinario risulta anche quest’anno il beneficio per l’ambiente derivante dal lavoro di Ecodom: oltre alla riduzione della quantità di CO2 immessa in atmosfera, le materie prime seconde (ferro, alluminio, rame e plastica) ottenute dal riciclo delle 75.900 tonnellate di elettrodomestici trattati quest’anno, hanno consentito un risparmio di oltre 78.200.000 kWh di energia elettrica rispetto a quanto necessario per estrarre materiale “vergine”. Anche per quanto riguarda la logistica, Ecodom ha mantenuto nel 2014 risultati eccezionali: su un totale di 35.473 ritiri dalle isole ecologiche effettuati nel corso dell’anno, soltanto in 12 casi non sono stati rispettati i tempi di intervento concordati tra il Centro di Coordinamento RAEE e ANCI, con un livello di servizio superiore al 99,97%. A livello territoriale, anche nel 2014 la Lombardia si conferma essere la regione più virtuosa in base ai RAEE gestiti da Ecodom: sono state 15.821 le tonnellate di apparecchiature trattate, con 15.455.000 kWh di energia risparmiata e 154.400 tonnellate di CO2 non immesse nell’atmosfera. Al secondo posto della speciale graduatoria della regioni virtuose stilata da Ecodom si piazza la Toscana (con 7.798 tonnellate di RAEE gestiti, corrispondenti a 7.495.000 kWh di energia risparmiata e 72.660 tonnellate di CO2 non immesse nell’atmosfera), seguita dal Veneto (con 7.551 tonnellate di RAEE gestiti), dall’Emilia Romagna (con 7.407 tonnellate) e dal Piemonte (con 5.878 tonnellate di rifiuti trattati). «Rispetto al 2013, la quantità dei RAEE che abbiamo gestito quest’anno – dichiara Giorgio Arienti, Direttore Generale di Ecodom – è cresciuta del 6,8%. Complessivamente, Ecodom ha trattato 75.818 tonnellate di RAEE, pari a circa il 32% dei rifiuti elettrici gestiti da tutti i Sistemi Collettivi in Italia. Un risultato molto importante, che ci ha permesso di ottenere un notevole beneficio per l’ambiente, evitando l’immissione in atmosfera di oltre 850.000 tonnellate di CO2, pari alla quantità di anidride carbonica assorbita in un anno da un bosco esteso quanto la provincia di Lecco, e determinando un risparmio energetico di oltre 78.200.000 kWh di energia elettrica, corrispondenti al consumo energetico annuo di oltre 60.000 persone».

Fonte: ecodallecitta.it

Milano, in costante aumento i ciclisti in città. L’ultimo censimento di Fiab Ciclobby

L’ associazione milanese di ciclisti e la società Polinomia hanno reso noti i risultati di due rilevazioni sulla presenza dei ciclisti nelle strade di Milano. Il censimento Fiab, relativo ai passaggi all’interno della cerchia dei navigli in una giornata lavorativa, documenta un aumento del 3%. Le misurazioni effettuate da Polinomia, che consentono di rilevare l’andamento a livello cittadino, evidenziano invece una crescita pari al 21% sul dato dell’anno precedente381477

Nella sede del Negozio Civico di ChiamaMilano, la storica associazione milanese di ciclisti e la società Polinomia hanno reso noti i risultati di due rilevazioni che, con metodologie differenti, danno visibilità alla crescente presenza dei ciclisti nelle strade di Milano. Il censimento di Fiab Milano Ciclobby, relativo ai passaggi all’interno della cerchia dei navigli in una giornata lavorativa, ha impegnato più di ottanta volontari con quasi venti postazioni di rilevamento lungo l’intero arco della giornata. I dati di quest’anno confermano la tendenza all’aumento del numero di passaggi registrati, ormai consolidata dal 2007. Quest’anno il dato cresce del 3% con un aumento del 26% negli ultimi 8 anni e del 56% rispetto al 2003, anno di inizio delle rilevazioni.  Le misurazioni effettuate da Polinomia, effettuate con metodologie differenti e che consentono di rilevare l’andamento a livello cittadino, evidenziano invece una crescita decisamente più robusta, pari al 21% sul dato dell’anno precedente. I conteggi di cordone rivelano una sempre più elevata concentrazione dei passaggi nelle ore di punta, segno evidente di un uso quotidiano destinato agli spostamenti casa-lavoro: nella mezz’ora che va dalle 8,30 alle 9,30 il flusso dei ciclisti risulta più che raddoppiato, rispetto al dato di inizio e fine mattinata. La stessa specializzazione si nota rispetto agli itinerari: nella quattro direttrici più frequentate (Venezia, Vittoria, Beltrami e Correnti) si concentra ad esempio più del 35% del traffico ciclistico in ingresso in centro. Anche nel rilevamento effettuato in corso Buenos Aires del modal split (il rapporto percentuale sull’uso dei diversi mezzi di trasporto) si constata che la bicicletta rappresenta quasi il 14% dei passaggi registrati. I due dati dimostrano come il ciclista scelga sempre la strada più breve e diretta per muoversi dal centro alla periferia. Grazie alla collaborazione con il Comune di Milano e Amat, Agenzia Mobilità Ambiente Territorio, è stato possibile mettere in relazione i passaggi dei ciclisti all’interno della cerchia dei navigli con quelli registrati dalle telecamere di Area C. Circa il 20-30% dei ciclisti che entrano dentro la cerchia dei bastioni restano fuori dalla cerchia dei navigli. In conclusione Valerio Montieri del Gruppo Tecnico Fiab Milano Ciclobby e Alfredo Drufuca di Polinomia concordano : “I dati indicano chiaramente come siano necessari sia interventi diffusi sull’intero territorio comunale con un miglioramento della sicurezza da attuare sia con la realizzazione di estese zone a moderazione del traffico che con la realizzazione di percorsi periferia-centro che consentano di far muovere grandi numeri di ciclisti in maniera efficiente”. Da parte dell’amministrazione comunale l’Assessore alla Mobilità e Ambiente,Pierfrancesco Maran ha sottolineato come “l’impegno dell’amministrazione in questi anni è stato di intervenire non solo nella direttrice verso il centro ma verso i nuovi centri di attrazione come il nuovo quartiere direzionale di Garibaldi”. Riguardo alla moderazione del traffico ha confermato la realizzazione della zona a 30 km/h del centro delimitato dalla cerchia dei navigli entro la primavera.
Da parte sua, Carlo Monguzzi, presidente della Commissione Mobilità del comune di Milano, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di creare alternative all’uso dell’auto e al lavoro anche culturale da fare all’interno delle scuole per promuovere l’utilizzo della bicicletta. Ha concluso i lavori Giulietta Pagliaccio presidente nazionale di Fiab – Federazione Italiana Amici della Bicicletta, riconoscendo l’importanza di Area C e chiedendo lo stesso coraggio propositivo nel perseguimento delle politiche a favore della ciclabilità in città.

 

 

 

Fonte: ecodallecitta.it

L’inquinamento aumenta il rischio di complicazioni in gravidanza

Uno studio pubblicato recentemente su Environmental Research ha portato nuovi elementi al dibattito su inquinamento atmosferico e gravidanza, confermando come l’esposizione agli agenti atmosferici inquinanti aumenti il rischio di malformazioni congenite.185469049-586x390

Uno studio pubblicato recentemente su Environmental Research ha portato nuovi elementi al dibattito su inquinamento atmosferico e gravidanza, confermando come l’esposizione agli agenti atmosferici inquinanti aumenti il rischio di malformazioni congenite. Lo studio è stato compiuto a livello nazionale per valutare le differenze fra il concepimento spontaneo e la procreazione assistita. Il team di ricerca ha analizzato i dati su 216.730 nati in Israele tra il 1997 e il 2004: sono stati presi in esame i dati relativi ai livelli di biossido di zolfo (SO2), particolato (PM10), ossidi di azoto (NOx) e ozono (O3) rilevati dalle stazioni di monitoraggio nel periodo dello studio. I dati sull’inquinamento sono stati messi in relazione con l’iter della gravidanza prendendo in esame i primi tre mesi e il decorso intero fino al parto. I ricercatori hanno scoperto che l’esposizione ai PM10 e ai NOx inquinanti durante la gravidanza ha portato a un aumento del rischio di malformazioni congenite, con difetti evidenti nel sistema circolatorio e negli organi genitali. I ricercatori hanno inoltre scoperto che, durante le procreazioni assistite, l’esposizione al biossido di zolfo e all’ozono aumenta il rischio di difetti congeniti. I ricercatori hanno quindi concluso che i risultati dello studio condotto sulle mamme israeliane conferma come l’inquinamento atmosferico possa creare problemi durante la gravidanza.

Fonte:  DNA