Sviluppo sostenibile: la top ten del traffico marittimo

Sette dei dieci porti con il maggior traffico commerciale sono in Cina. I dati relativi al trasporto marittimo delle merci decretano, se ancora ce ne fosse bisogno, l’assoluta supremazia degli scali asiatici, di quelli cinesi in modo particolare. Dai mercati asiatici a basso costo del lavoro si arriva a quelli occidentali o, comunque, extra-asiatici pronti ad accogliere i frutti dell’economia globale. I costi ecologici (ben descritti dal video di apertura di Steve Cutts) sono sotto gli occhi di tutti: qualche giorno fa la Nrdc ha lanciato allarme relativamente all’inquinamento provocato dalle navi a Shanghai. Un allarme piuttosto tardivo per una città di 23,5 milioni di abitanti, più cauti dei quali sono costretti a camminare per strada con una mascherina. L’unità di misura del volume di trasporti è il numero di container che hanno due misure standard di 2,44×2,59×6,10 metri e di 2,44×2,59×12,20 metri. A Shanghai, città leader a livello globale, transitano ogni anno 33,6 milioni di container pari al 5% del volume globale di movimentazioni. Con “appena” un milione di container in meno Singapore (32,6 milioni) è seconda. La differenza fra le due città è data dal fatto che a Shanghai vivono 23,6 milioni di persone, mentre a Singapore 5,6 milioni (il che equivale a circa 6 container di merci per ogni abitante…). Sul terzo gradino del “podio” c’è Shenzhen, fino a pochi decenni fa un piccolo borgo di pescatori, oggi terzo porto al mondo, con una popolazione di 10,5 milioni di abitanti. Il quarto posto è di Hong Kong che a oltre quindici anni dall’“handover” continua a essere uno scalo strategico con 22,3 milioni di container movimentati ogni anno. La top ten è tutta quanta asiatica con bene sette città cinesi (Ningbo-Zhoushan, sesta, Qinghdao, settima,Guangzhou, ottava, Tianjin, decima) una coreana (Busan, quinta) e una degli Emirati Arabi Uniti (Dubai). Considerando che ogni anno sono circa 670 i milioni di container movimentati nei porti di tutto il mondo, i sette porti cinesi della top ten rappresentano, da soli, oltre il 20% dello scambio complessivo su scala globale, con Shanghai che – come accennato in precedenza – accatasta sulle navi commerciali un ventesimo delle merci spostate attraverso le vie marittime.

I porti commerciali più trafficati del mondo

  1. Shanghai 33,6 milioni di container
    2. Singapore 32,6 milioni
    3. Shenzhen 23,3 milioni
    4. Hong Kong 22,3 milioni
    5. Busan 17,7 milioni
    6. Ningbo-Zhoushan 17,4 milioni
    7. Qingdao 15,5 milioni
    8. Guangzhou 12,8 milioni
    9. Dubai 13,5 milioni
    10. Tianjin 13 milioniImmagine-620x467

Fonte: Nrdc
Infografica | Nrdc

Nel 2014 la crescita del fotovoltaico si sposterà in Asia

Nel 2013 la maggiore crescita del fotovoltaico si è registrata in Asia, soprattutto in Cina e Giappone e la tendenza dovrebbe continuare anche nel 2014. Il trend positivo dovrebbe incoraggiare anche la diffusione di nuove tecnologie.

Il mondo del fotovoltaico evolve rapidamente e il suo baricentro si sta spostando sempre di più verso l’Asia. Se nel 2012 Europa e Nord America contavano per l’80% della potenza degli impianti installati, lo scorso anno la quota è scesa a poco più del 60%. Nel 2013 la crescita maggiore si è registrata infatti in Cina, Giappone e Tailandia, con tassi annui superiori al 100% in tutte  le tre nazioni. IN Europa, Germani, Italia e Francia hanno invece mostrato una contrazione rispetto al 2012. Per il 2014 i tassi saranno più modesti, ma comunque allineati alla media mondiale di un + 20%. Complessivamente, ci si aspetta che nel 2014 nella zona Asia-Pacifico verranno installati oltre 23 GW di nuovi impianti, oltre il 50% del totale mondiale. Dopo un paio di anni di difficoltà, i principali produttori di solare (concentrati in Asia) stanno tornando a fare profitti e a recuperare i costi di investimento. Questo permetterà anche di iniziare a sviluppare nuove tecnologie, come il taglio del policristallo con filo diamantato e soprattutto la diffusione di moduli di silicio di tipo n, meno sensibili alla degradazione indotta dalla luce. Sorprende un po’ la previsione di SolarBuzz di un +20% per l’Italia nel 2014, che dovrebbe essere dovuto essenzialmente ai benefici economici indotti dall’autoconsumo. A fine febbraio 2014 l’Italia disponeva di 17,6 GW di potenza fotovoltaica installata, la seconda nel mondo dopo la Germania. Con questi numeri, una crescita del 20% ci porterebbe tranquillamente sopra i 20 GW.

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Fonte: ecoblog.it

In bicicletta attraverso l’Asia per raccontare tradizioni e conflitti

In bicicletta partendo dalla foce del Danubio e attraversando l’Asia alla caccia di immagini, suoni e parole: è l’impresa cui si accingono Daniele Giannotta ed Elena Stefanin. Al loro progetto hanno dato anche un nome, Cycloscope, «per raccontare contraddizioni e conflitti, tradizioni ed evoluzioni culturali, meraviglie naturali e disastri ambientali nelle ex repubbliche dell’Unione Sovietica».viaggio_asia

Elena Stefanin e Daniele Giannotta sono una coppia di trentenni; il loro progetto si chiama Cycloscope e  nasce dall’idea di un “ciclo di cicli” «perchè sia solo il primo di una lunga serie». Si tratta di un viaggio in bicicletta dalla foce del Danubio attraverso l’Asia Centrale alla ricerca di immagini, suoni e parole: una serie di reportage che racconti contraddizioni e conflitti, tradizioni ed evoluzioni culturali, meraviglie naturali e rischi ambientali delle ex Repubbliche Sovietiche. «Ognuno dei dieci reportage che gireremo tratterà di un tema specifico, legato al territorio che attraverseremo – dicono – Il viaggio partirà dalla Romania, dove il 10% della popolazione è composta da cittadini rom. Rom e Sinti sono la più numerosa minoranza europea, tra i 10 e i 12 milioni di persone. Non hanno uno stato, non ne hanno mai voluto uno. La loro storia, o meglio la loro diaspora, ha avuto origine in India intorno all’anno 1000: è stata ed è ancora un continuo susseguirsi di rifiuto e persecuzioni. Una volta arrivati in Europa ha avuto inizio una lunga serie di violenze legalizzate (in tutti i paesi europei, nessuno escluso): venivano marchiati a fuoco, impiccati, “uccidere uno zingaro” non implicava nessuna sanzione ed anzi, si veniva incoraggiati a farlo. Fino ad arrivare al Porrajmos, il “divoramento”, il genocidio compiuto nei campi di concentramento della seconda guerra mondiale che si concluse con lo sterminio di un numero imprecisato di Rom e Sinti, dai 500.000 a un milione e mezzo.  In Romania i Rom continuano a vivere ai margini della società. Siamo curiosi anche di incontrare  i rom di Buzescu, un piccolo paesino di 4.500 abitanti nella regione della Valacchia, 100 chilometri ad est di Bucarest. Qui vivono quasi solo Rom ricchi (quindi in realtà non molti), Buzescu viene descritto un po’ da tutti come il regno del kitsch anche se in realtà le case sì, sono kitsch, ma mettono allegria». «Per quanto riguarda le tematiche ambientali ci occuperemo dell’evaporazione del Lago Aral, una delle più grandi tragedie ambientali del pianeta, ma della quale la maggior parte delle persone è all’oscuro. Il lago Aral è stato, da tempo immemorabile e fino a pochi anni addietro, il quarto lago del mondo per superficie, adesso è quasi uno stagno. Negli anni ’40 il governo sovietico decise di deviare i suoi principali affluenti, l’Amu Darya e il Syr Darya allo scopo di irrigare la circostante regione desertica nel tentativo di incrementare la coltivazione di riso, cereali e cotone. Il lago Aral cominciò ad evaporare negli anni ’60 perdendo una media di 50 cm di acqua all’anno. Questo imprudente esperimento ha generato negli anni inaspettati cambiamenti climatici, gravi problemi per la salute della popolazione e devastato la robusta economia della regione, basata sulla pesca. Nel 2007 la portata del lago fu quantificata come ridotta del 90% rispetto a quella originale. Visiteremo questa regione durante il nostro viaggio, cercando di dare il nostro piccolo contributo alla visibilità di questa tragedia». Elena e Daniele non si fermeranno qui. «In Kazakhstan andremo anche alla ricerca di ciò che rimane della secolare cultura nomade, ormai quasi estinta. Sotto il governo di Stalin, tra il 1928 ed il 1931, i nomadi kazaki, che costituivano la maggior parte della popolazione, sono stati costretti a diventare coltivatori. Questi tentativi ebbero il solo effetto di far morire di fame il bestiame e di far scappare i nomadi. La carestia si generalizzò nell’autunno 1931, facendo iniziare le fughe di massa della popolazione verso altre regioni dell’URSS e verso la Cina. In due anni, tra 1931 e 1933, la popolazione del Kazakhstan era diminuita di più di 2 milioni di persone (su una popolazione totale di 6,5 milioni). Oggi, circa l’1% della popolazione del Kazakhstan conduce ancora uno stile di vita nomade. Indagare e comprendere le antiche tradizioni nomadi e le loro evoluzioni sarà l’obiettivo del nostro reportage».
«In Georgia andremo a conoscere una particolare tecnica tradizionale di viticoltura. Nel 2006 il governo russo ha posto l’embargo sull’importazione dei vini georgiani e moldavi. Il mercato russo rappresentava circa l’85% dell’esportazione vinicola. L’embargo russo, che dietro futili motivazioni igieniche cela in realtà ragioni politiche, ha messo in ginocchio la produzione del più antico vino del mondo. Da qualche anno, anche grazie al presidio di Slow Food e al lavoro di diversi enti locali, si punta di nuovo sui metodi tradizionali di vinificazione, a rischio di estinzione. Principale caratteristica di questi metodi è l’utilizzo di vasi interrati in terracotta (Qvevri) nei quali viene fatta fermentare tutta la vinaccia insieme al mosto. La macerazione può arrivare fino a sei mesi. I vini georgiani così prodotti risultano tutti diversi poiché racchiudono le caratteristiche del luogo in cui sono stati prodotti. Oltre al vino, cercheremo di approfondire un altro tema dal forte impatto ambientale, la produzione di energia idroelettrica. In particolare della centrale idroelettrica Khudoni : il progetto prevede la costruzione di una diga ad arco in cemento dell’altezza di circa 200 metri, situata circa 34 km a monte della diga Enguri, nei piani la Khudoni HPP avrà una capacità di 700 MW, con una produzione di 1,7 miliardi di kw, sarà inoltre completata da una serie di altre centrali idroelettriche a monte, anch’esse sul fiume Enguri. Secondo i calcoli del governo, la costruzione della Khudoni HPP incrementerebbe del 20% la produzione elettrica del paese, per un costo di 1,2 miliardi di dollari ed una durata dei lavori di 5-6anni. Sembra un progetto impressionante che potrebbe produrre letteralmente tonnellate di energia pulita, ma è questa energia davvero pulita? Qual è il prezzo e chi lo pagherà? Il progetto Khudoni non è una idea nuova. Fu bloccato dalle ong nei primi anni 1990, tra questi un ruolo importante è stato giocato da Green Alternative. Secondo questa associazione il progetto Khudoni è un’opera ad alto rischio di disastro ecologico, intensifica la devastazione di foreste e di habitat della fauna selvatica, la perdita di popolazioni di specie fluviali e il degrado dei bacini imbriferi a monte, a causa della inondazione della zona serbatoio in una delle regioni montuose più straordinarie della Georgia. La parte superiore del bacino del fiume Enguri combina foreste sub-alpine e praterie, ambienti rocciosi e tundra alpina. La zona è ben conosciuta per la sua fauna endemica. Questa include diverse specie forestali di uccelli, una comunità di grandi rapaci e uccelli. Stambecchi, camosci, orsi bruni, lupi, linci, caprioli e cinghiali sono abbastanza comuni. L’impatto cumulativo delle centrali Khudoni, Enguri e Tobari avrà effetti negativi sulla qualità delle acque, sulle esondazioni naturali e sulla composizione della fauna fluviale. Se questo non fosse ancora abbastanza, il progetto “richiede il reinsediamento di un certo numero di villaggi unici (tra cui Khaishi), il sito di Khudoni si trova a Zemo Svaneti (Alta Svanezia), una zona di bellezza unica. Preservata dal suo lungo isolamento, la regione caucasica dell’Alta Svanezia è un eccezionale esempio di paesaggio montano, constellato da decine di villaggi medievali e case-torri. Il villaggio di Khaishi comprende ancora più di 200 delle proprie rinomate ed inusuali costruzioni, utilizzate nella storia sia come abitazioni, che come postazioni di difesa contro gli invasori che hanno afflitto la regione in epoca medievale e precedenti. La regione Zemo Svaneti è entrata a far parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1996. Il numero di villaggi da inondare sarebbe 14, patrie di 769 persone, 524 ettari di terreno, mentre in uno studio preliminare banca  mondiale le persone da “ricollocare” sarebbero più di 1600. Il processo di reinsediamento è legato ad un altro problema, la controversia sulla proprietà della terra. Secondo la burocrazia georgiana la maggior parte di queste terre non appartengono ufficialmente a nessuno, il governo ne ha quindi disposto il trasferimento agli investitori per la cifra simbolica di 1 USD. Si tratta di più di 1500 ettari di terreno, tra cui terreni agricoli, boschi, strade, infrastrutture, eccetera. Secondo Tabula, dopo aver raggiunto un accordo con il governo della Georgia, Trans Electrica ha deciso di restituire queste terre alla popolazione, aiuterà la gente del posto a registrarle, a spese della società stessa, e solo allora inizierà con l’acquisizione dei terreni. A tal fine, la società ha assunto una società canadese , RePlan. Ad oggi tutto questo è ancora unicamente un proclama». Elena e Daniele chiedono però l’aiuto di chi, come loro, vuole saperne di più. «La realizzazione di questo progetto non è semplice, richiede molto lavoro di documentazione e anche risorse economiche. Per ora abbiamo trovato due sponsor, Extrawheel, che ci fornirà i rimorchi per le biciclette, e l’officina di riparazione bici Pedalando, che si occuperà di preparare le biciclette per il viaggio. Per chiunque volesse contribuire alla nostra avventura c’è la nostra pagina di crowdfunding».

Fonte: il cambiamento

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Api in pericolo: tutta colpa delle vespe venute dall’Asia

In Spagna, la specie aliena di Vespe assassine rischia di mettere in pericolo la produzione di mieleapi

Scientificamente si chiama Vespa velutina, ma è comunemente nota come Vespa assassina. Da alcune settimane è diventata l’incubo per i produttori di miele spagnoli che con il suo arrivo potrebbero vedere compromesse le prossime produzioni del“nettare degli dei”. Il 19 settembre le vespe sono state avvistate per la prima volta a Gerona, in Catalogna. Originaria dell’Asia, questa specie di vespe ha ricevuto il poco apprezzabile appellativo di “assassina” per la voracità con la quale si nutre di api. A differenza delle sue simili, infatti, la vespa è un insetto carnivoro e la specie in questione ha dimostrato di essere particolarmente aggressiva e vorace. Di grandezza considerevole, questa vespa deve essere stata traghettata da un cargo proveniente dall’Asia e deve avere nidificato moltiplicandosi una volta giunta sul suolo europeo. Una delle sue peculiarità è la straordinaria capacità riproduttiva: si stima che nel nido trovato in Catalogna vi siano all’incirca 200 madri feconde e che ognuna di esse possa generare fino a 12mila esemplari. In novembre le vespe dovrebbero formare nuovi nidi e si alimenteranno di api. Gli apicoltori sono preoccupati poiché non vi è alcun predatore che possa “correggere” l’invasione delle vespe aliene. La globalizzazione ha le sue falle anche in natura e la mobilità umana propizia la mobilità di specie che fuori dal loro habitat sono fattori di caos e disequilibrio. Non è certo la prima volta che accadono episodi del genere. Negli scorsi mesi Ecoblog si è occupato dell’invasione di vongole provenienti dall’Asia che sta mettendo in serio pericolo l’ecosistema della parte italiana del Lago Maggiore. Anche in questo caso l’uomo ha fatto da traghettatore, portando in Europa una specie che rischia di compromettere un equilibrio costruito nel corso di millenni.

Fonte : El Pais

Energie rinnovabili: i Paesi emergenti scommettono sulla green economy

Secondo il Worldwatch Institute dal 2005 a oggi il numero di Paesi con investimenti consistenti nelle energie rinnovabili è passato da 48 a 127175646103-586x389

Paesi emergenti scommettono sulle energie rinnovabili, consci del fatto che le risorse fossili siano al capolinea o, quantomeno, inferiori a quelle di un Pianeta che galoppa verso gli 8 miliardi di abitanti. Secondo una ricerca del Worldwatch Institute dal 2005 a oggi il numero di Paesi con investimenti consistenti nelle energie rinnovabili è passato da 48 a 127, ma il dato più evidente è che sono soprattutto i paesi emergenti a scommettere sul futuro della green economy. Otto anni fa il 58% degli Stati che finanziavano le energie sostenibili erano in Europa e Asia centrale, nel 2013 i Paesi di queste due aree pesano solamente per poco più di un terzo del totale. Le sorprese vengono dall’Africa Sub-sahariana, con ben 25 stati che hanno fatti grandi investimenti per il passaggio alle energie pulite. C’è grande vivacità anche nell’area caraibica e nel Centro America (17 paesi) e fra Medio Oriente e Nord Africa (12 paesi). Europa, Nord America e Asia hanno invece subito una forte battuta d’arresto dovuta alla crisi economica che ha frenato gli incentivi. Le modalità con le quali i singoli paesi promuovono le energie rinnovabili vanno dal tax credit (sgravio fiscale sulla produzione energetica green) alle deduzioni, dal feed-in tariff (simile al nostro conto energia) e il renewable portfolio standard (l’obbligo per i produttori di ottenere determinate percentuali di energia da fonti rinnovabili). Ma la vera sfida per gli Stati e per le utilities è riuscire a integrare in maniera armonica e produttiva le vecchie fonti in esaurimento e le nuove in via di sviluppo in un unico sistema.

Fonte:  Worldwatch Institute

 

Smog, in Asia è un killer più pericoloso della malaria

 

Secondo uno studio pubblicato dalla rivista Environmental Health Perspectives nelle aree ricche di smog e più inquinate dai metalli pesanti, nei paesi in via di sviluppo, i danni alla salute causati dall’inquinamento sono più gravi di quelli causati dalla malaria.237657295_3037b9915c_o-586x390

 

Lo smog fa male alla salute molto più che la malaria: lo studio di 373 siti in Indonesia, Filippine e India ha dimostrato, secondo i ricercatori della Icahn School of Medicine di New York, un’incidenza dell’inquinamento sulla salute umana ben più marcata dell’impatto che ha invece, nelle stesse zone del pianeta, la malaria. Che vivere circondati dall’inquinamento non sia esattamente il top per la nostra salute è stato dimostrato più volte, ultima ma non ultima (non fosse per il fattore geografico) con la mappatura dell’incidenza dello smog sulla qualità della vita dei cittadini milanesi, avviata e realizzata dal professor Luigi Bisanti, Direttore del Servizio di Epidemiologia dell’Asl di Milano. Che però l’inquinamento fosse più dannoso, nei paesi in via di sviluppo, della malaria è qualcosa che ha stupito in molti: degli 8,6 milioni di abitanti vicino ai siti di ricerca in Indonesia, India e Filippine, scrivono gli autori nello studio pubblicato sull’autorevole rivista Environmental Health Perspectives, circa 8 milioni soffrono di qualche malattia, disabilita’ o muoiono a seguito dell’esposizione costante all’inquinamento atmosferico: secondo gli studiosi due terzi di questi sono bambini o mamme in età fertile. Piombo, cromo e altri metalli pesanti, tutti fattori di incidenza su gravi malattie cardiovascolari e respiratorie, che sempre più spesso hanno conseguenze peggiori, sulla salute umana, della tanto temuta malaria; insomma, la malattia che ha infettato l’umanità negli ultimi 50mila anni è oggi battuta su tutta la linea da ciò che l’uomo ha prodotto negli ultimi 200 anni: il folle inquinamento. Di questo passo entro il 2050 la causa di morte principale su tutto il pianeta sarà l’inquinamento, per quella che qualcuno ha ribattezzato Airpocalypse: secondo alcune indiscrezioni non confermate in Cina è già la quarta causa di morte prematura.1,2 milioni di morti in Cina dal 2010: la stima fatta recentemente dal New York Times, riprendendo i dati dell’Oms, è spaventosa, ci figura un mostro più cattivo e spietato del nazismo. 1,2 milioni di morti. Il 40% del totale, sull’intera faccia della terra. Di questo passo potrebbero arrivare, sommando Cina ed India, a 3,6 milioni di morti all’anno nel giro di pochi anni.

Fonte. Ecoblog

Nuova Sars e aviaria: come nascono le pandemie che arrivano dall’Asia

Quali sono le dinamiche dei virus e in quali direzioni si muovono i ricercatori per scongiurare una pandemia globale? Dagli Stati Uniti un articolo che invita a mantenere alto il livello di guardia1445304141-586x391

The Next Pandemic: Not if, but When. La prossima pandemia: non se, ma quando. Il titolo icastico, sintetico ed estremamente dirompente è del New York Times, la firma di David Quammen del National Geographic. L’articolo di Quammen prende spunto dalle relazioni provenienti dalla Cina e dal Medio Oriente su nuovi focolai di influenza aviaria(H7N9) e Sars per spiegare come le pandemie nascano nel più completo silenzio mediatico, coperte dal rumore di fondo della sovrainformazione. Quammen sottolinea come un fenomeno potenzialmente globale venga trattato solo ed esclusivamente su scala locale e così sulle vittime della nuova influenza aviaria si trovano notizie solo su organi di informazione cinesi, mentre ancora più rarefatti sono stati i post e gli articoli sul nuovo coronavirus parente della Sars. Quest’ultimo virus, scoperto a settembre, ha fatto registrare 33 casi: 18 di questi hanno avuto decorso fatale. Con un tasso di mortalità del 55% il Novel Coronavirus (nCov) ha un tasso di mortalità di poco inferiore all’ebola. Il coronavirus della Sars contagiò 8mila persone uccidendone il 10%, ovvio che con una mortalità così altra, i ricercatori dovranno accelerare i tempi sul NCov per scongiurare eventuali pandemie. La difficoltà nella creazione di strategie di contrasto è connessa alla natura estremamente proteiforme e mutevole dei coronavirus che hanno, per loro natura, una spiccata propensione alle mutazioni e alle ricombinazioni e anche la capacità di adattarsi rapidamente all’organismo ospitante. Questo è, forse, il dato più allarmante. Come nascono questi virus? Come arrivano all’uomo? I principali veicoli sono gli animali selvatici. Il 60% delle nostre malattie infettive è causato dal contatto fra l’uomo e animali che ospitano microbi conosciuti col nome di zoonosi. Secondo i ricercatori la Sars sarebbe stata originata dai pipistrelli e trasmessa all’uomo, probabilmente, attraverso un altro animale. Ai pipistrelli vengono attribuiti anche altri virus come Marburg,HendraNipah e Menangle, questo perché questi volatili oltre a essere predisposti ad accogliere i virus sono caratterizzati dalla predisposizione a  stare insieme e dal fatto di compiere ampi tragitti grazie alla possibilità di volare. Per quanto riguarda il nuovo coronavirus il suo “ospite serbatoio” deve essere ancora trovato, ma i ricercatori nelle prossime settimane analizzeranno con attenzione i pipistrelli arabi che visitano le piantagioni di datteri di Al Ahsa, vicino al Golfo Persico. Quammen invita alla consapevolezza, a non considerare i virus di Cina, Congo o Bangladesh come un problema esotico e distante, perché in un mondo globalizzato anche le malattie sono potenzialmente globali. Anche perché dopo i primi casi della nuova Sars dello scorso settembre l’Arabia Saudita viene costantemente monitorata da OMS e organismi competenti. Il viaggio alla Mecca che ogni ottobre attira milioni di pellegrini che rientreranno nei loro rispettivi Paesi non consente errori: il livello di guardia dovrà restare alto.

Fonte:  New York Times

 

Secondo un sondaggio globale, la preoccupazione per l’ambiente è ai minimi storici

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La preoccupazione per l’ambiente è ai minimi storici; lo rivela un sondaggio internazionale effettuato da GlobeScan nella seconda metà del 2012 in 12 tra le principali nazioni del pianeta. Il sondaggio non è stato fatto solo nei paesi occidentali, ma riguarda anche l’Asia, l’America Latina e in misura minore anche l’Africa. Solo una metà degli intervistati si dice “molto preoccupata” per l’inquinamento dell’aria, la perdita della biodiversità o il cambiamento climatico, con un calo di almeno il 10% rispetto a cinque anni fa. Un po’ maggiore, ma pur sempre in calo significativo, la preoccupazione per la qualità dell’acqua e l’esaurimento delle risorse naturali.

In particolare, la percezione della gravità dei cambiamenti climatici è crollata in seguito al fallimento del summit sul clima di Copenaghen nel 2009, prima nei paesi industrializzati e poi in quelli “in via di sviluppo”. Il segretario di GlobeScan così commenta i risultati del sondaggio: «Gli scienziati affermano che l’evidenza del danno ambientale è più forte che mai, ma i nostri dati mostrano che la crisi economica e la mancanza di leadership politica stanno facendo perdere la sintonia al pubblico. Essere meno preoccupati della crisi ambientale è paradossalmente un fattore che la aggrava, perché il ritardo nella percezione della drammaticità della situazione e nelle risposte conseguenti in alcuni casi può essere determinante. Il sondaggio è stato effettuato con interviste stradali o telefoniche a campioni di un migliaio di persone in tutti i paesi presi in considerazione.

Fonte: ecoblog