Petrolio nell’Artico, prove di catastrofe ambientale

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Un gruppo di ricerca composto da alcuni scienziati finlandesi sta conducendo uno studio per comprendere gli effetti di un disastro petrolifero nell’Artico, dove insistono numerose trivellazioni offshore. L’intenzione è comprendere a fondo gli effetti di uno sversamernto di greggio intrappolato sotto la superficie della banchisa artica:

“Uno sversamento di greggio in queste regioni rappresenta un problema molto difficile. […] Lastre di ghiaccio spesse mezzo metro se vengono spezzate si mischiano sempre più con il petrolio. Per questo stiamo cercando una procedura per utilizzare nella bonifica anche le eliche del rompighiaccio opportunamente indirizzate”

ha spiegato Rune Hogstrom, direttore delle operazioni di ricerca. Il riscaldamento globale e il progressivo scioglimento dei ghiacci infatti ha incentivato nuove trivellazioni in zona artica e quindi la questione prevenzione è sempre più pressante: quando il greggio viene disperso nel mare viene solitamente aspirato in superficie o bruciato con l’impiego di materiali chimici, ma nell’Artico le squadre di recupero potrebbero essere costrette a fare i conti con un’oscurità totale, violente tempeste e grandi lastroni di ghiaccio alla deriva. Con la melma petrolifera che si mischia con il ghiaccio spezzato dal rompighiaccio.

Fonte: ecoblog.it

Sala lancia l’allarme: “Nel 2040 il mare dell’Artico senza ghiaccio in estate”

Global Warming Imapcts On Australian Antarctic Territory

Enric Sala, esploratore del National Geographic, scienziato ed ecologista catalano, è giunto a Mosca per alcuni colloqui con la Società geografica russa, un’istituzione strategica sin dai tempi degli zar. Nel curriculum dell’esploratore spagnolo ci sono immersioni tra gli squali e sbarchi su isole inesplorate, ma soprattutto una missione speciale nella Terra di Francesco Giuseppe, un arcipelago situato a Nord della Russia (mare di Barents). L’esploratore si dice preoccupato per le sorti della calotta artica, la cui superficie si sta progressivamente assottigliando:

“Il ghiaccio si sta ritraendo e secondo le proiezioni nel 2040 non ci sarà più mare ghiacciato in estate. E questo riguarderà non solo gli orsi polari, ma anche chi vive nell’Artico. E potremmo aver conseguenze disastrose per il clima, con eventi atmosferici estremi. Perché quello che succede nell’Artico, non resta solo nell’Artico. Per questo è così importante che noi, comunità internazionale compiamo dei passi decisivi per prevenire il degrado di questo ambiente cruciale per tutti”.

Fonte:  Askanews

 

Gli Stati Uniti autorizzano le trivellazioni nell’Artico

Ancora una volta l’amministrazione Obama conferma il proprio appoggio ai colossi petroliferi: la Shell potrà trivellare nell’Artico

Il Governo americano ci ha ripensato e ha deciso di tornare sui suoi passi autorizzando le trivellazioni nell’Oceano Artico della Shell, una scelta che ha sollevato numerose polemiche e contro cui le associazioni per la difesa dell’ambiente si battono da tempo. La direttrice generale dell’agenzia federale incaricata della gestione degli oceani ha assicurato che Shell dovrà rispettare elevatissimi standard nelle attività di trivellazione alla ricerca di petrolio e gas e il Dipartimento dell’Interno ha assicurato che i bisogni di sussistenza e le tradizioni culturali degli abitanti dell’Alaska saranno salvaguardati. Curtis Smith, portavoce della Shell negli Stati Uniti, ha spiegato che le operazioni di trivellazione cominceranno in estate e che nelle prossime settimane la compagnia petrolifera si preparerà per essere all’altezza delle richieste dell’amministrazione Usa. Il programma di Shell ha subito numerose frenate nel corso degli anni: nel 2012 Shell aveva ottenuto l’autorizzazione, poi revocata nello stesso anno. Nel 2013 stesso copione. Ovviamente le associazioni ambientaliste si ritrovano una volta ancora sul piede di guerra e mettono in guardia prospettando gli scenari di un eventuale incidente nel mare Artico: secondo le ong green l’impatto sarebbe ancora più devastante rispetto a quello dell’incidente avvenuto dopo l’esplosione della Deepwater Horizon, nel 2010. Nel dicembre 2014 Obama aveva bloccato le trivellazioni nella Bristol Bay, una svolta che era stata accolta come l’inizio di un giro di vite alle piattaforme off shore. Una scelta illusoria, visto che ora la sua stessa amministrazione ha avallato le trivellazioni nell’Artico. Ancora una volta, il profitto prima di tutto.Ghiaccio-artico-coperto-da-acqua-586x382

Fonte:  Le Monde

Disastro petrolifero in Thailandia: “il prossimo, dove sarà?”

Sabato scorso 50 mila litri di greggio sono fuoriusciti da un oleodotto al largo della provincia di Rayong, nell’est della Thailandia. “È ora di fermare la follia delle estrazioni petrolifere, in Thailandia come nell’Artico. E come nel Mediterraneo”.disastro_petrolifero_thailandia

C’è un solo colore nelle immagini che Greenpeace ha commissionato al fotografo Roenggrit Kongmuang e che documentano le operazioni di ripulitura della spiaggia di Ao Phrao a Ko Samed, nella provincia thailandese di Rayong: il nero. Dopo il disastro petrolifero avvenuto sabato nel Golfo di Thailandia soccorritori, volontari locali e personale della PTT Global Chemical hanno raggiunto una delle spiagge più ambite dal turismo internazionale per avviare le operazioni di ripulitura. Sono oltre 50 mila i litri di petrolio greggio che si sono dispersi in mare, 20 chilometri a sud est della zona industriale di Map Ta Phut, per una perdita da un oleodotto operato dalla PTT Global Chemical Public Company.disastro_petrolifero__thailandia

È ora di fermare la follia delle estrazioni petrolifere, in Thailandia come nell’Artico. E come nel Mediterraneo: le nostre coste sono assediate da decine di richieste per la ricerca di poche gocce di petrolio che all’Italia basterebbero per poche settimane. Ma un disastro, anche modesto, in poche ore causerebbe un danno che le foto thailandesi documentano benissimo. In Italia, Greenpeace ha già scritto al ministro dell’Ambiente per informarlo delle minacce delle trivellazioni in arrivo, ma non ha ottenuto alcuna risposta.

Fonte: il cambiamento

L’Artico è un bene comune e occorre un trattato internazionale per salvarlo da petrolieri e militari

Occorre un trattato artico che protegga la regione polare dagli appetiti dei petrolieri e dei militari. L’Artico è un bene comune perchè i suoi ghiacci proteggono il clima temperato quale noi lo conosciamo oggi.Artico-Greenpeace-586x389

Questa performance artistica è stata realizzata qualche settimana fa da< Greenpeace: un mosaico di un migliaio di fotografie è stato portato fino al polo Nord dagli attivisti con una settimana di trekking come parte del progetto Save the Arctic. L’artico deve essere salvato, non c’è dubbio; i suoi ghiacci rappresentano una sorta di “patrimonio climatico” che è un bene comune di tutta l’umanità. L’enorme perdita estiva dei ghiacci polari rappresenta infatti una minaccia per la stabilità delle correnti a getto e quindi del clima delle correnti temperate. Esiste infatti una crescente evidenza sperimentale del legame che sussiste tra la riduzione del ghiaccio estivo e l’aumento dei fenomeni climatici estremi quali siccità, inondazioni e ondate di freddo/caldo. Difendere il poco ghiaccio che è rimasto dovrebbe quindi essere una sorta di imperativo categorico per tutte le persone dotate di ragione. Non è questo il caso dei militari USA che nella loro roadmap parlano di rischi e opportunità legati all’apertura di nuove rotte navali nell’Artico. Non si sta parlando naturalmente di rischi per il clima, ma di rischi geopolitici o economici, cioè di non arrivare abbastanza in fretta ad accaparrarsi il petrolio artico (1). Il massimo dell’apertura mentale dei militari è invocare una cooperative partnership tra gli stakeholders artici (USA, Russia, Canada, Norvegia e Danimarca) per spartirsi le risorse. No signori, l’artico non appartiene ai paesi confinanti (2), ma a tutta l’umanità. Occorre un trattato internazionale, come da tempo chiedono i Verdi Europei, per proteggere la calotta del mondo dagli appetiti minerari e militari, in modo analogo a quanto si è fatto per l’Antartide oltre cinquant’anni fa.

(1) Spesso si sostiene che il mare artico contenga il 25% delle risorse di petrolio e gas ancora non esplorate. E’ una valutazione che manca di una buona base sperimentale e inoltre occorre capire quanto siano davvero estraibili queste risorse: gli incidenti che hanno costretto Shell a sospendere le trivellazioni nel mare di Beaufort dovrebbero insegnarci qualcosa.

(2) La Danimarca vorrebbe sedere al tavolo artico per il suo ex status coloniale in Groenlandia, ma la grande isola di ghiaccio è (purtroppo) abbastanza adulta per fare da sola.

Fonte: ecoblog

 

Allarme Artico, l’appello dell’ONU per la tutela dei ghiacci


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Secondo un rapporto pubblicato dall’ESA (l’Agenzia spaziale europea) il volume dei ghiacci nell’emisfero nord del pianeta è diminuito del 36% nei mesi autunnali e del 9% in quelli invernali.

Un secondo monito sui rischi correlati allo scioglimento dei ghiacci artici marini viene dall’Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente): nel suo rapporto annuale “Year Book 2013″ infatti le Nazioni Unite rilevano come la riduzione estiva della copertura di ghiaccio artica si sia intensificata, arrivando a perdere, nel 2007, fino a 3,4 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio.

Secondo l’Onu i rapidi cambiamenti nell’Artico rappresentano una minaccia seria per l’intero ecosistema ma, parallelamente, anche una nuova opportunità “di sviluppo” anche se, in questo caso, l’uso del termine “di profitto” è decisamente più appropriato: in base al rapporto Unep infatti lo scioglimento dei ghiacci rappresenta una facile via d’accesso al petrolio ed al gas, nonché alle risorse ittiche fino ad oggi protette dai ghiacci.

Il rischio dunque di una nuova “corsa all’oro”, denunciano le Nazioni Unite, per accaparrarsi le risorse naturali artiche, è più che concreto, con il conseguente impatto negativo che tali attività umane potrebbero avere sull’ecosistema dell’intero pianeta, già di fatto compromesso.

Il mea culpa del Direttore Esecutivo dell’Unep Achim Steiner è certamente un primo passo:

Il cambiamento delle condizioni ambientali nell’Artico sono stati un motivo di preoccupazione per un certo tempo, ma fino ad ora questa consapevolezza non si è tradotta in un intervento urgente. Quello a cui stiamo assistendo oggi è come lo scioglimento dei ghiacci stia spingendo una corsa alle risorse di combustibili fossili, risorse che per prime sono la causa di questo scioglimento

Secondo i dati raccolti dall’Us Geological Survey il 30% delle risorse naturali di gas e il 15% del petrolio ancora non rilevato si trova nella regione artica: giacimenti così importanti fanno gola già a compagnie come la russa Rosneft e la norvegese Statoil, ma anche nomi più altisonanti come la statunitense Exxon-Mobil sono inevitabilmente ingolosite da queste ingenti risorse; tali compagnie infatti si sono già dette, più volte in passato, pronte ad iniziare le perforazioni in aree “ice-free” ma non solo: diverse compagnie di trasporti marittimi hanno già adocchiato quelle aree che, secondo l’Onu, vedrebbero un incremento del “traffico” navale di oltre il 40%.

Un rischio che il Pianeta non può proprio correre.

Fonte: Unep