Il pastore Marco Scolastici: una yurta sull’Appennino ed un ritorno consapevole alle origini .

Una yurta sull’Appennino e tanta pazienza sono stati gli ingredienti di un ritorno consapevole alle origini e ad un mestiere antico, quello del pastore. Dopo aver vissuto in prima persona il terremoto del centro Italia ed il Covid-19, Marco Scolastici ha acquisito sempre più consapevolezza dell’importanza della natura, del suo lavoro all’aria aperta e delle piccole produzioni locali. Sui Sibillini, a Macereto, l’Azienda Agricola Scolastici è attiva con metodo biologico da oltre vent’anni con all’interno un caseificio che quest’anno festeggia le nozze d’argento. Marco, all’interno dell’azienda di famiglia, si occupa di allevamento e di trasformazione con la volontà di adeguarsi al ciclo della natura senza cercare di forzare i suoi tempi. Tutto è controllato dall’interno, in un’ottica di reale economia circolare: dall’alimentazione degli animali all’allevamento di pecore, cavalli e vacche, dalla lavorazione di prodotti caseari fatta solo con latte autoprodotto alla cura di uno spaccio aziendale dove le persone possono vedere direttamente anche la realtà aziendale. Ogni cosa, perciò, è necessariamente guidata dalla trasparenza e dalla volontà di fare le cose come si sono sempre fatte in una sorta di patto di rispetto con la natura e con l’ambiente. Perché alla fine Marco si sente anche una sentinella, si impegna ogni giorno per mantenere integra la terra che gli regala i suoi frutti e per valorizzarla anche nei momenti di grande difficoltà.

Il lavoro del pastore è uno dei più antichi, nulla ormai si può più inventare. Marco però è convinto che sia possibile farlo in modo innovativo: la consapevolezza del passato permette di osservarlo per reinventarsi il futuro e questo è quello che permette di fare la differenza a lungo termine. L’idea di tornare alle origini è riflessa anche nella scelta di allevare la pecora sopravvissana, una razza resistente, rustica e poco produttiva ma con un latte più sapido e più ricco organoletticamente (viene prodotto anche un pecorino a latte crudo, inserito come presidio Slow Food). Questa scelta gli ha anche permesso di riscoprire la magia della lana che da rifiuto è diventata la scintilla per un progetto in fieri di produzione di capi di abbigliamento su prenotazione, con le tecniche delle signore del luogo appassionate di ferri.  
In tutto questo, l’attesa è il concetto chiave: dal bisnonno che da aiuto-pastore è diventato proprietario di un’azienda alla pratica di transumanza trasversale del passato che ha legato in un rapporto simbiotico i Sibillini alla Maremma laziale, facendo spostare la famiglia Scolastici a Tarquinia. Dal ritorno ai Sibillini del padre a quello di Marco, convinto a rimanere anche dopo il fatidico terremoto del 2016. Una yurta e tanta pazienza sono stati gli ingredienti di un ritorno consapevole e arricchente al mestiere più antico di sempre.

L’emergenza Covid-19 ha colpito in prima persona Marco, che è stato contagiato dal virus. In questa circostanza sfortunata ha capito l’importanza del suo lavoro fatto all’aria aperta, la centralità della gioia nel poter respirare a pieni polmoni. Il poter tornare al lavoro, quindi, è stato un passo importante sia dal punto di vista personale che per l’azienda che, alla fine, non ha subito in modo troppo pesante le conseguenze di qualche chiusura forzata: anche senza vendita i prodotti caseari possono stagionare ed acquisire strati di complessità che li rendono ancora più interessanti. Qualcosa, secondo Marco, è cambiato anche nei rapporti interpersonali e nell’attenzione nei confronti di tutte quelle piccole produzioni locali che mettono al centro del loro lavoro la consapevolezza. Il legame di Marco con la natura è scandito dal tempo dell’amore, che è alla base di tutto. Si sente dalla sua voce, l’emozione nel parlare di quella che è la sua maestra e la sua compagna di vita, quel luogo dove si sente leggero e a suo agio. Per questo, nella voce di Marco, si sente solo ottimismo nei confronti del futuro: ci sono tantissime idee e tantissimi progetti da portare avanti e questo è uno stimolo enorme e un’ulteriore conferma che la strada intrapresa sia proprio quella giusta. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/10/pastore-marco-scolastici-yurta-appennino-ritorno-consapevole-alle-origini-piccoli-produttori-7/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Le giovani imprese vittime del sisma si mettono in rete

Nell’Appennino colpito dal terremoto del 2016, grazie al progetto di Fondazione Edoardo Garrone e Legambiente le giovani imprese locali fanno rete attraverso nuove forme di imprenditorialità che uniscono sostenibilità ambientale e innovazione. “Ricostruire fiducia” è infatti il tema scelto per l’ultima edizione di “ReStartApp per il centro Italia”, incubatore temporaneo di impresa per il rilancio dell’economia appenninica. Supportare le giovani imprese di Lazio, Marche e Umbria, che, nel contesto di forte discontinuità e incertezza creato dal terremoto del 2016, vedono e vogliono cogliere l’opportunità di reinventarsi e riposizionarsi sul mercato, rivitalizzando l’economia del territorio appenninico. È questa la scommessa di Fondazione Edoardo Garrone e Legambiente, che insieme hanno realizzato ReStartApp per il centro Italia. Il progetto ReStartApp per il centro Italia – a cui hanno dato il loro patrocinio le Regioni Umbria, Lazio e Marche e Fondazione Symbola – ha coinvolto nel 2018 oltre 30 aziende delle aree del cratere, principalmente imprese agricole, agroalimentari, di allevamento, turistiche e di artigianato. In un anno e mezzo di lavoro sul territorio, nell’ambito di 8 coaching individuali e dell’avvio di 3 laboratori per la creazione di reti d’imprese, si sono svolti 84 incontri e oltre 600 ore di formazione professionale e consulenza, per fornire supporto e strumenti concreti in diversi ambiti: dal controllo di gestione alla ricerca di nuovi business e mercati, fino al marketing e alla comunicazione.

Gruppo di giovani imprenditori delle Marche

Tra i risultati del progetto, l’avvio di due progetti di rete – Amatrice terra Viva nel Lazio e Rizomi, Terre fertili in rete nelle Marche – finalizzati alla sperimentazione di nuove forme di collaborazione imprenditoriale e alla nascita di nuove attività e sinergie sul territorio. Amore per la terra, sostenibilità ambientale, tradizione e innovazione, sinergia, agricoltura di qualità e valorizzazione dei prodotti tipici, sono le parole chiave alla base di questi due progetti che guardano al futuro dell’Appennino e delle sue comunità. Nel Lazio ReStartApp per il centro Italia ha affiancato una rete già costituita, l’associazione Amatrice Terra Viva, nata nel 2018 su iniziativa di 12 imprenditori tra Amatrice e Accumoli e sostenuta da Alce Nero, storica azienda del biologico italiana, con l’obiettivo di creare una filiera bio capace di valorizzare la cultura cerealicola locale attraverso la coltivazione di grani antichi. Nelle Marche, invece, ha preso forma Rizomi, Terre fertili in rete, progetto che coinvolge oggi 5 aziende agricole, un laboratorio di cosmesi e uno di trasformazione di erbe officinali: giovani imprese di prima generazione, nate dopo il 2013, che condividono la scelta di tornare alla terra con un approccio di autoimprenditorialità. Il fine è quello di innescare un processo virtuoso che metta in comune conoscenze, informazioni, risorse, strumenti e prodotti, all’insegna di un’agricoltura organica e rigenerativa, basata sulla combinazione di pratiche tradizionali e moderne conoscenze scientifiche.

I giovani imprenditori dell’azienda Bosco Torto

Quello che Fondazione Garrone e Legambiente lanciano con ReStartApp per il centro Italia è un messaggio forte e chiaro: per contrastare lo spopolamento di questi territori occorre soprattutto ridare impulso all’economia locale, sostenendo chi ci vive e lavora scommettendo su produzioni agricole e agroalimentari tipiche, biologiche e di qualità, turismo sostenibile, commercio, artigianato e sulle bellezze paesaggistiche di queste aree. Un mix unico di risorse e produzioni che rappresenta un fattore competitivo insostituibile sui mercati. Non dimentichiamo che se l’Italia è il Paese con la più grande ricchezza e varietà di prodotti agroalimentari distintivi, cioè con indicazione geografica, è anche grazie all’Appennino, che – stando ai dati dell’Atlante dell’Appennino realizzato nel 2018 dalla Fondazione Symbola – dà un contributo rilevante: il 42% del totale nazionale; oltre 25mila le aziende che li producono, per un valore economico stimato in oltre 2 miliardi di euro, il 15% del totale nazionale DOP e IGP. Inoltre, le imprese appenniniche sono quasi 1 milione, il 17,2% del totale nazionale, attive principalmente nel commercio, nell’agricoltura, nella silvicoltura e pesca, nelle attività manifatturiere, e nel turismo e ristorazione. Dalle imprese dell’Appennino viene prodotto il 14% del valore aggiunto nazionale, pari a 202,9 miliardi di euro, e il 16% del bestiame allevato in Italia.

“Dal 2014, con i nostri incubatori ReStartApp e ReStartAlp, ci occupiamo concretamente del rilancio dei territori montani e marginali attraverso lo sviluppo di nuove economie e puntando sul talento dei giovani – racconta Alessandro Garrone, presidente di Fondazione Edoardo Garrone – Dal dialogo con Legambiente, che grazie alla sua capillarità territoriale sin dall’inizio è stata operativa accanto alle imprese colpite dal sisma, abbiamo intuito che la nostra esperienza poteva essere messa efficacemente a servizio di quei giovani imprenditori che, nonostante le difficoltà di sempre e la grave discontinuità dei danni del terremoto, volevano continuare a dare vita all’economia della loro terra.

Il Pastificio Leopardi

Per questo abbiamo studiato una formula che potesse rispondere in modo puntuale alla loro esigenza di reinventarsi, cercando un nuovo punto di partenza, nuovi strumenti, nuovi modelli di business, nuovi mercati da intercettare e collaborazioni strategiche con altri imprenditori. È anche grazie al nostro supporto che oggi le realtà, che con Legambiente abbiamo affiancato per oltre un anno e mezzo, sono in grado di continuare il lavoro iniziato insieme. È un grande risultato, che ci conferma anche il successo del nostro format: originale, flessibile e capace di generare impatti positivi e tangibili in tutti i contesti in cui lo decliniamo”.

“A quasi tre anni dal sisma – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – sono ancora tante le difficoltà quotidiane che ogni giorno cittadini e produttori locali si trovano ad affrontare, anche a causa di una burocrazia lenta e macchinosa e di una ricostruzione che fatica a decollare. Quello che serve è un cambio di passo al quale devono seguire azioni concrete per ridare, soprattutto a chi ha deciso di rimanere in questi territori, più fiducia nel futuro. Il progetto che abbiamo realizzato insieme alla Fondazione Garrone e che unisce l’esperienza della Fondazione con quella della nostra associazione ambientalista – da sempre vicina e operativa nei territori terremotati – vuole contribuire a dare una mano proprio in questa direzione, coinvolgendo anche il settore imprenditoriale locale e aiutando le imprese a fare sinergia e rete in una chiave sempre più sostenibile e innovativa. Perché aiutare il tessuto imprenditoriale dell’appennino ferito dal sisma, significa contribuire anche al rilancio economico ed occupazionale di una delle zone più belle d’Italia, che oggi rischia di spopolarsi e di andare incontro ad una desertificazione produttiva”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/06/giovani-imprese-vittime-sisma-rete/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Maurizio Carucci degli Ex Otago racconta l’Appennino che resiste

Dal palco di Collisioni, il noto festival di Barolo, il frontman degli Ex Otago Maurizio Carucci ha presentato il suo progetto per la valorizzazione dell’Appennino: un documentario che racconta un pezzo di mondo spesso dimenticato ma che oggi assume un valore inestimabile grazie alla tenacia e alla creatività di uomini e donne portatori di nuove e rivoluzionarie progettualità.  

Maurizio Carucci – camminatore, contadino e frontman della band genovese Ex Otago – ha scelto il palco di Collisioni per presentare il progetto di un nuovo documentario, attualmente in lavorazione, intitolato AppenninoPOP. Viaggio in Val Borbera tra vini, temporali e rivoluzioni possibili.

Durante il weekend (6/7 luglio) che il festival di Barolo dedica ogni anno alla letteratura e alla musica in collina, Carucci ha spiegato come è nata l’idea di raccontare la Val Borbera, terra incastonata fra quattro regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna). Terra selvaggia e “remota” in cui ha scelto di vivere e lavorare, dedicandosi all’agricoltura comunitaria e alla produzione di vino naturale.  

“L’idea di AppenninoPOP – spiega Carucci – nasce dalla voglia di raccontare un pezzo d’Italia antichissimo e dalla bellezza straordinaria, ma troppo spesso dimenticato, abbandonato e addirittura deriso: l’Appennino. Mi piacerebbe ridisegnare l’idea che la gente ha di questi posti, anche perché in questo momento storico potrebbero fungere da laboratorio per tracciare nuove strade a livello economico e sociale”.

Maurizio Carucci con segnaletica CAI (foto di Elisa Brivio)

Il documentario narrerà un viaggio lento, un cammino fatto di incontri con chi lavora la terra, con chi ha scelto di “resistere” e abitare l’Appennino, e con chi si batte per salvaguardarne la bellezza.  

Sarà un’indagine leggera e appassionata su un pezzo di mondo dimenticato, da cui sono scappati in molti, ma che oggi assume un valore inestimabile grazie alla tenacia e alla creatività di uomini e donne portatori di nuove e rivoluzionarie progettualità. Un’avventura che Carucci non compirà da solo: “Ho avuto la fortuna di incontrare tre persone straordinarie che si occupano di cinema e fotografia: Elisa Brivio (producer e co-autrice), Cosimo Bruzzese (regista) e Eugenio Soliani (social media manager). A loro ho raccontato la Val Borbera, i suoi monti, i bar deserti in autunno, la neve, i narcisi. In sostanza, compatibilmente con le vigne e i concerti, faremo un viaggio in Appennino che diventerà un docufilm”. 

La chiave della narrazione sarà il POP, stile che per sua natura riesce a raggiungere un pubblico vasto, senza però tradire le proprie radici autentiche e popolari: “Ci piacerebbe portare le tematiche dell’Appennino alla gente comune. Il progetto contiene la parola POP non a caso. Diciamo che il pop è uno strumento che utilizzeremo per avvicinare un pubblico nuovo e giovane a problematiche cruciali quali lo spopolamento, la fragilità del territorio, l’abbandono. Ma anche per offrire concreti spunti per possibili ritorni”

Il regista Cosimo Bruzzese con Maurizio Carucci (foto di Eugenio Soliani)

 A Collisioni Carucci – dopo la proiezione in anteprima del teaser del documentario, con musica originale da lui firmata – ha presentato anche la campagnacrowdfunding del progetto. La raccolta, attiva fino al 31 dicembre 2019 sulla piattaforma Produzioni dal basso, è essenziale per coprire i costi di produzione del docufilm. L’idea è quella di coinvolgere trasversalmente tutti coloro che, abitanti dell’Appennino o cittadini, vogliano partecipare al progetto con un piccolo o grande contributo. Anche le ricompense per i partecipanti saranno pop: si va dalla cartolina spedita dalla Val Borbera alla Polaroid con dedica di Carucci, dalla maglietta con il logo AppenninoPOP alla FestaPOP con proiezione del docufilm e dj set.

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/07/maurizio-carucci-ex-otago-racconta-appennino-che-resiste/

L’amore per la Natura diventa un lavoro. La storia di Gianluca

Da piccolo amava esplorare la Natura del suo giardino di casa; dopo la scuola ha continuato studiarla all’università; oggi Gianluca Maini ha trasformato la sua passione in un lavoro. Ha lasciato la città, si è trasferito in Appennino e lavora come guida ambientale, facendo ciò che ama e avvicinando tante persone al mondo naturale.  Sin da piccolo Gianluca ha avuto la passione per la Natura e per gli esseri che la abitano, manifestando la volontà di esplorarla, conoscerla meglio, entrare in contatto profondo ed empatico con essa. Crescendo ha dato corpo a questa passione, che adesso è diventata anche il suo lavoro. Non solo! Vuole trasmettere il suo amore per l’ambiente anche alle giovani generazioni, facendo scoprire loro l’Appennino, che da qualche anno è diventato la sua casa.gianluca-1

Quand’è stato che hai sentito il “richiamo della Natura” e cosa ti ha spinto a trasferirti in montagna e dedicarti all’ambiente naturale?

Fin da piccolo ho avuto un contatto diretto con l’ambiente naturale e i suoi abitanti, sperimentando ogni giorno e ampliando via via le mie esplorazioni: dal giardino di casa all’Appennino tutto sommato il passo è breve se sei curioso! Da questa passione è scaturita la voglia di studiare per bene l’oggetto della mia curiosità: mi sono laureato a Bologna in Scienze Biologiche, specializzandomi con una laurea magistrale in Scienze Naturali. Pian piano ma inesorabilmente, testardamente e con un po’ di fortuna, è nato anche il mio lavoro, fatto di spostamenti e appostamenti, di bambini e adulti, di valli e crinali: il trasferimento in montagna è venuto di conseguenza, per comodità e innamoramento del luogo di lavoro.

Ci puoi parlare delle proposte delle settimane verdi, che proponi anche in collaborazione con Destinazione Umana?

Andiamo particolarmente orgogliosi delle nostre Settimane Verdi: nate dalla passione e dalla competenza di alcuni nostri soci, prima tra tutti Melania, permettono di far vivere ai ragazzi il contatto più autentico con l’ambiente. È un contatto talvolta severo, che avviene però in totale sicurezza; è un contatto autentico, che fa emozionare, divertire e rinsaldare i rapporti tra i partecipanti. Le attività sono tante e diverse, adatte a tutti, ma hanno un filo conduttore: la vita nell’ambiente naturale, per crescere camminando insieme. Autonomia e socializzazione a braccetto con divertimento e ambiente salutare: rafting, orienteering, campi tendati, avventure notturne…ce n’è per tutti i gusti!gianluca-3

Secondo te è importante avvicinare i ragazzi e i bambini al mondo naturale, magari anche in maniera leggera e giocosa?

Sicuramente: come dicevo l’ambiente naturale insegna tanto e in tempi come oggi, sovraccarichi di tecnologia, aiuta a ritrovare le cose autentiche, cui non siamo più abituati. Dalla curiosità per ciò che ci circonda alla volontà di socializzare, senza dimenticare la salubrità dei crinali: si gioca ma si cresce!

Se dovessi suggerire a un “cittadino” di trascorrere un po’ di tempo in montagna, cosa gli diresti per convincerlo?

Non sono sicuro sia la cosa migliore raccontare qualcosa. Spesso si ha in mente la montagna alpina: conosciuta, turistica e accogliente. Bisognerebbe portarlo su, appassionarlo, raccontargli in loco le storie degli anziani, fargli sentire e osservare gli animali, fargli assaggiare i prodotti del bosco: incredulo di avere un tesoro a pochi chilometri dalla città, sono convinto che tornerebbe!

Cosa ti ha dato l’Appennino, come ha cambiato la tua vita?

L’Appennino è autentico, difficile e selvaggio. A livello pratico mi ha fornito un lavoro – assurdo no? Tutti scendono in città per cercarlo! –, a livello emozionale mi ha dato tutto ciò che difficilmente si ritrova in città. Passo per idealista, ma avere l’occasione di vedere l’aquila volteggiare sopra la testa quando esci la mattina di casa non è cosa da poco per me.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/06/amore-natura-diventa-lavoro-storia-gianluca/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Terremoti in Italia causati dalle estrazioni petrolifere? Il parere dei sismologi

Terremoti naturali o terremoti indotti da attività estrattive?

Daniela Patrucco ha intervistato per Scienza in Rete Aldo Zollo docente di Sismologia all’Università Federico II di Napoli e autore dello studio sulla sismicità indotta negli impianti geotermici. In pratica lo scienziato spiega come anche attività umane possano provocare terremoti, spesso percepiti solo da strumenti molto sofisticati. Causano terremoti la costruzione di dighe, la geotermia, l’estrazione di idrocarburi e lo stoccaggio di anidride carbonica. In Olanda, ad esempio lo sciame sismico che si verifica nella regione Nord est del Paese è causato dalle estrazioni di gas e per questo la NAM rimborsai i danni alle abitazioni ai cittadini. In Italia dubbi in merito allo sciame sismico causato dalle attività estrattive in Pianura Padana sono sorti dopo il terremoto de l’Aquila del 2009. Ma in Italia sembra ci sia timore rispetto ai terremoti indotti e nell’affrontare con studi la questione. Infatti come spiega Mario Mucciarelli docente del Dipartimento di Strutture, Geotecnica e Geologia Applicata dell’Università della Basilicata:sisma-594x350

Uno degli aspetti problematici emersi dalla ricerca è la carenza in questo ambito di studi e ricerche italiane.

E infatti ciò che manca è proprio uno studio completo che verifichi i casi di sismicità di volta in volta e di zona in zona. IN proposito Zollo dice a Daniela Patrucco:

In Italia esistono zone di giacimenti che sono fuori dalla catena appenninica, ad esempio la pianura padana, e poi esistono un gran numero di pozzi e giacimenti situati a ridosso della catena. L’ambiente tettonico dell’Appennino è un ambiente geologico adatto alla formazione di giacimenti di idrocarburi. La correlazione spaziale tra alcune zone dove si estrae il petrolio in Italia e le zone sismiche adiacenti è pertanto ovvia. Altrettanto ovviamente non possiamo dire, basandoci solo sulla prossimità tra siti di estrazione e zone sismiche, che l’estrazione di petrolio in Italia sia la causa dei terremoti. Molto banalmente si potrebbe ricordare che l’Italia è un Paese dalla storia sismica millenaria, mentre l’attività industriale petrolifera risale a poco più di 50-60 anni fa. Quindi la correlazione tra l’attività di estrazione petrolifera e la sismicità va verificata caso per caso considerando anche la corrispondenza temporale con le attività industriali in corso, non solo quella spaziale, e utilizzando strumenti di osservazione e dati ad alta precisione. Questo vale anche per il caso della sequenza di terremoti accaduti in Emilia nel Maggio 2012 che alcuni vorrebbero essere correlati all’attività estrattiva dell’ENI nell’area.

Ma ovviamente a tutto cià c’è da aggiungere il capitolo costi/benefici tant’è che Patrucco chiede:

A quando l’ingresso dell’Italia tra i “paesi avanzati” nella ricerca, controllo e prevenzione della sismicità indotta? I costi? Se le imprese non si accollano il costo della prevenzione e del monitoraggio, sarà la collettività a doversi far carico delle eventuali conseguenze. La sismicità indotta è un fatto assodato. Le sue conseguenze non sono sempre accertate ma non sono escluse.

Fonte: Scienza in Rete