Nasce il primo servizio di pronto soccorso per animali nel territorio di Sanremo. Un volontario ha voluto ampliare il progetto nato sette anni fa a Savona: da oggi le ambulanze veterinarie raggiungeranno ogni animale in difficoltà della Liguria di ponente ed effettueranno tutte le manovre di primo soccorso. Proprio come i soccorritori delle nostre ambulanze.
Imperia – Una chiamata con una richiesta di aiuto e parte immediatamente un’ambulanza a sirene spiegate. Questo accade ovunque a tutte le persone colte da un malore, ma in Liguria anche agli animali in difficoltà.
IL PROGETTO AMBULANZE VETERINARIE
Ambulanze Veterinarie Italia nasce nel marzo 2014 a Carcare, in provincia di Savona, e oggi si sta espandendo in tutto il nord Italia. Assicurare a ogni animale in difficoltà un primo soccorso salvavita e il trasporto immediato verso una struttura veterinaria è l’obiettivo dell’associazione savonese, che da pochi giorni ha attivato un servizio anche a Sanremo.
«Ho costituito quest’associazione inizialmente per cavalli e grandi animali, ma nel tempo il lavoro s’è ampliato soprattutto agli altri, sia domestici che selvatici», spiega Jimmy Dotti, presidente dell’associazione, che da gennaio 2021 si dedica a tempo pieno a questa attività.
«Il recupero dei selvatici è purtroppo una nota dolente in tutta l’Italia, dove scarseggiano anche i CRAS – Centri di Recupero Animali Selvatici. In Liguria poi il recupero è affidato alla Polizia Provinciale, che non ha le forze sufficienti per essere capillare». Proprio per questo sono così importanti i servizi paralleli come Ambulanze Veterinarie.
La nuova ambulanza di Sanremo
Non solo pronto intervento. Oltre alla gestione delle situazioni di emergenza, il servizio di ambulanze veterinarie è disponibile anche per trasporti programmati: «Siamo anche a disposizione di chiunque fosse sprovvisto di un mezzo e avesse bisogno per il proprio animale di un servizio di trasferimento da casa verso il centro veterinario per visite, cure o terapie».
COME APRIRE UNA NUOVA SEDE
Dalla nascita dell’associazione nel savonese, a macchia d’olio, sono arrivate richieste da Torino, Varese, Novara, Biella e adesso sono dieci le sedi attive, con tre nuove aperture a Vercelli, Casale Monferrato e Borgo Sesia. «Aprire le sedi però è piuttosto complesso: non basta l’ambulanza, ci vogliono soprattutto organizzazione e persone all’altezza di questo lavoro», sottolinea Dotti. Anche perché gli interventi sono i più svariati, dal cinghiale investito in autostrada al rottweiler incastrato in una cancellata.
«In questo senso, i volontari devono essere ben preparati, perché si tratta di un’attività pericolosa». Ecco perché ogni aspirante “soccorritore” deve frequentare un corso apposito di primo soccorso veterinario, curato dallo staff dell’associazione. Le altre skills? Capacità organizzativa e carisma, per una buona gestione del gruppo volontari.
L’iter per l’apertura di una nuova sede prevede innanzitutto la presentazione del progetto alle istituzioni e, a seguire, la raccolta contatti di tutti gli aspiranti volontari. Dopo il corso di formazione, che dura circa un mese e mezzo, al team di neo-volontari che concludono il percorso formativo viene consegnata un’ambulanza e la nuova sede riceverà supporto da parte della sede centrale per almeno un anno.
«Le spese sono tantissime – precisa Dotti – e non esiste nessun tipo di convenzione pubblica attiva, per questo chiediamo ai privati che hanno bisogno del servizio un rimborso spese di 1 €/km, mentre al di sotto dei 20 chilometri l’offerta è libera».
LA RICERCA DI VOLONTARISU SANREMO
«Stiamo cercando volontari che ci aiutino a portare avanti questo sogno». A Sanremo, Gilles Giglio, il volontario che gestisce il nuovo servizio nella provincia di Imperia, ha scelto come ambulanza una Panda, piccola e capace di arrivare ovunque e di coprire tutto il territorio. Al posto del bagagliaio c’è una barella, realizzata su misura per il veicolo, essenziale per mettere in sicurezza gli animali quando non riescono a muoversi.Sollevare e trasportare un animale ferito non è semplice, per questo è necessario disporre di tutti gli strumenti utili ad assicurare il benessere dell’animale fino alla destinazione, senza causargli traumi o fratture. Quello di Ambulanze Veterinarie è un servizio che aiuta gli animali, ma dà un valido supporto anche a chi degli animali si prende cura ogni giorno. Chi ha voglia di mettersi in gioco?
Salvati dal più triste dei finali, da allevamenti, da stabulari o da maltrattamenti, tanti animali fortunati possono vivere la loro intera vita in un contesto naturale, in linea con le loro necessità etologiche. Si chiama Il Quadrato Luminoso ed è un rifugio in cui a prendersi cura di animali salvati da sfruttamento e sofferenza ci sono tanti volontari e il fondatore, Matteo Manetti, che abbiamo intervistato per farci raccontare la storia dell’associazione. Sulle alture di Genova, a Montoggio, nel territorio della Valle Scrivia, sorge un luogo che irradia pace. Qui si respira un’atmosfera intrisa di un rispetto profondo e universale: verso la vita, verso il prossimo e nei confronti di tutte le forme in cui la vita si manifesta a noi. “Il quadrato luminoso” è un rifugio per tanti animali che qui si riscattano da anni di sfruttamento, all’interno di luoghi in cui ogni vita ha un prezzo. Gli animali “da reddito” – capre, pecore, tacchini, galline, conigli, anatre, cavie –, che vivono in genere un quarto degli anni che vivrebbero naturalmente, al rifugio hanno la possibilità di riscoprire la serenità, circondati da amore e rispetto.
LA STORIA
Nato nel 2015, per accogliere 28 cavie salvate dalla vivisezione, il rifugio si è ampliato e ha recentemente cambiato sede per divenire ciò che è oggi. «Volevamo creare un luogo di connessione, tra l’uomo e la natura, dove far incontrare esseri umani ed esseri animali, dove poter ritrovare, in qualche modo, le proprie radici e quella relazione con i propri fratelli di altre specie che tanti hanno dimenticato». Così Matteo Manetti, il fondatore, descrive Il quadrato luminoso.
Salvati dal più triste dei finali, da allevamenti, da stabulari o da maltrattamenti, tanti animali fortunati possono vivere la loro intera vita in un contesto naturale, in linea con le loro necessità etologiche. Si chiama Il Quadrato Luminoso ed è un rifugio in cui a prendersi cura di animali salvati da sfruttamento e sofferenza ci sono tanti volontari e il fondatore, Matteo Manetti, che abbiamo intervistato per farci raccontare la storia dell’associazione. Sulle alture di Genova, a Montoggio, nel territorio della Valle Scrivia, sorge un luogo che irradia pace. Qui si respira un’atmosfera intrisa di un rispetto profondo e universale: verso la vita, verso il prossimo e nei confronti di tutte le forme in cui la vita si manifesta a noi. “Il quadrato luminoso” è un rifugio per tanti animali che qui si riscattano da anni di sfruttamento, all’interno di luoghi in cui ogni vita ha un prezzo. Gli animali “da reddito” – capre, pecore, tacchini, galline, conigli, anatre, cavie –, che vivono in genere un quarto degli anni che vivrebbero naturalmente, al rifugio hanno la possibilità di riscoprire la serenità, circondati da amore e rispetto.
LA STORIA
Nato nel 2015, per accogliere 28 cavie salvate dalla vivisezione, il rifugio si è ampliato e ha recentemente cambiato sede per divenire ciò che è oggi. «Volevamo creare un luogo di connessione, tra l’uomo e la natura, dove far incontrare esseri umani ed esseri animali, dove poter ritrovare, in qualche modo, le proprie radici e quella relazione con i propri fratelli di altre specie che tanti hanno dimenticato». Così Matteo Manetti, il fondatore, descrive Il quadrato luminoso.
«Naturalmente non è una fattoria didattica – sottolinea Matteo –, infatti al momento vengono ospitate 13/14 specie diverse di animali all’interno di spazi che abbiamo creato appositamente per loro – non gabbie! –, rispettando l’etologia di ogni ospite, ma è tutto in divenire perché non si può prevedere chi farà parte di questa grande famiglia. Le richieste che arrivano sono tantissime, ma purtroppo non possiamo accogliere tutti, altrimenti imploderemmo». L’obiettivo, invece, è quello di dare la giusta cura e attenzione a tutti. Per questo motivo, l’associazione fa anche “vetrina” agli annunci di animali in cerca di casa: grazie alla rete di rifugi, di cui fa parte, quando arriva una richiesta di aiuto per un maiale, un asino, una mucca, si crea subito un tamtam per riuscire a trovare chi possa accogliere l’animale in difficoltà.
LA GESTIONE
Dal punto di vista economico, l’associazione si autoalimenta. «Organizzando eventi riusciamo a raccogliere ciclicamente fondi, ma ci sostentiamo molto anche grazie a donazioni una tantum o alle adozioni a distanza dei nostri animali, utili a coprire soprattutto le spese veterinarie».
«Naturalmente non è una fattoria didattica – sottolinea Matteo –, infatti al momento vengono ospitate 13/14 specie diverse di animali all’interno di spazi che abbiamo creato appositamente per loro – non gabbie! –, rispettando l’etologia di ogni ospite, ma è tutto in divenire perché non si può prevedere chi farà parte di questa grande famiglia. Le richieste che arrivano sono tantissime, ma purtroppo non possiamo accogliere tutti, altrimenti imploderemmo». L’obiettivo, invece, è quello di dare la giusta cura e attenzione a tutti. Per questo motivo, l’associazione fa anche “vetrina” agli annunci di animali in cerca di casa: grazie alla rete di rifugi, di cui fa parte, quando arriva una richiesta di aiuto per un maiale, un asino, una mucca, si crea subito un tamtam per riuscire a trovare chi possa accogliere l’animale in difficoltà.
LA GESTIONE
Dal punto di vista economico, l’associazione si autoalimenta. «Organizzando eventi riusciamo a raccogliere ciclicamente fondi, ma ci sostentiamo molto anche grazie a donazioni una tantum o alle adozioni a distanza dei nostri animali, utili a coprire soprattutto le spese veterinarie».
Conoscere questa realtà durante gli “open day” permette di incontrare gli ospiti, entrando in punta di piedi nei loro spazi e osservarli mentre si relazionano l’uno con l’altro. Il “tour” tra i recinti è un album di storie: Matteo sa raccontare il vissuto di ognuno di loro, ne descrive le sensazioni, i caratteri e persino i gusti. Si alternano così fotogrammi di un passato in condizioni terribili alle immagini del presente, in cui sono liberi di esprimere la propria personalità. Parla degli animali come individui, ne racconta la vita emozionale e sociale: «Sono loro che ci insegnano che siamo tutti uguali, perché siamo tutti abitanti della Terra e siamo tutti collegati gli uni agli altri. Ed è proprio questo il motore che ci ha portati a costruire il rifugio».
E conclude: «Abbiamo bisogno di braccia, per la gestione quotidiana del rifugio, distribuire i pasti e pulire i recinti, per esempio, ma abbiamo, soprattutto, bisogno di sorrisi: se ne avete, questo è un buon posto dove portarli».
“Grazie vita, per le infinite forme in cui ti manifesti in mezzo a noi. Che i nostri occhi siano sempre pronti a vedere, le nostre braccia ad accogliere, le nostre mani a donare, i nostri cuoriad amare”.
Sara De Santi e Sonia Signorini si occupano di relazioni tra animali umani e tra l’essere umano e altre specie e collaborano nell’ambito del progetto “Col resto di due”. In questa serie di articoli condivideranno con noi alcune riflessioni su questo macrotema. Nella prima uscita analizzano la situazione attuale, sottolineando la necessità di cambiare paradigma e scardinare il rapporto asimmetrico – oggi ampiamente diffuso – fra il cane e la sua figura umana di riferimento. Nell’ultimo anno sono cambiate molte cose. Sono cambiate abitudini e certezze, è cambiato il modo in cui guardiamo al futuro e anche quello in cui consideriamo il passato. Ciò che definivamo “normalità” è risultato essere un concetto labile e volatile. Ne sentivamo parlare dei cambiamenti in atto, in relazione al clima, alle evoluzioni sociali, alle necessità di specie e ambienti, eppure restavano voci di nicchia, fino a quando una pandemia ci ha coinvolti tutti.
Stanno avvenendo anche cambiamenti culturali importanti: diamo più rilevanza alle emozioni in svariati ambienti, al benessere interiore, alla meditazione, si parla di relazione in più modalità. La connessione tra la responsabilità e la consapevolezza di sé e dell’altro, nell’ambiente in cui si vive, inizia a divenire evidente. La comunicazione tra l’essere umano, il mondo animale e quello vegetale ci mostra l’importanza di un cambiamento nei modelli di interscambio e di relazione. Per questo io e la mia amica e collega Sonia abbiamo ideato il progetto “Col resto di due”, attualmente attivo come pagina social, dove condividiamo osservazioni e considerazioni nate dalla nostra esperienza sul campo e dai nostri studi. Il nostro intento è quello di spostare l’attenzione dal pensiero lineare e utilitaristico a quello divergente e collaborativo, in particolare nella relazione con la diversità. Ci occupiamo di relazioni tra animali umani e tra l’essere umano e altre specie. In questo ambito, che ha visto una fortissima evoluzione negli ultimi anni, c’è un’urgenza che diventa sempre più chiara: la necessità di cambiare paradigma. È da questa necessità che nel primo di questi articoli a due voci che andremo a scrivere, oggi vogliamo partire: la necessità di cambiare paradigma o forse semplicemente di non averne affatto, convinte che sia questa la strada da intraprendere per ritrovare la nostra vena animale e poter riconoscere quella altrui.
Ma cosa significa “cambiare paradigma”? Il paradigma è un modello di riferimento a cui ci affidiamo quando parliamo di un determinato argomento, è un termine di paragone. Ad oggi in ambito animale sono innumerevoli i paradigmi a cui ci affidiamo e di cui abbiamo bisogno. Ci servono per decodificare comportamenti, per dare spiegazioni, finanche per creare proiezioni. La necessità di circoscrivere, di mettere etichette che in qualche misura ci rassicurano, ci fanno riconoscere un legame e sentire in sintonia con altre specie. È questo il primo passo verso la gabbia mentale in cui non solo releghiamo gli altri animali, ma in cui releghiamo anche noi stessi, le nostre emozioni, il nostro ruolo. Ed è proprio il ruolo che assume un’importanza non secondaria nel nostro modo di relazionarci con gli animali non umani. La cinofilia è un esempio illuminante di come la ricerca del ruolo determini il modo di vivere il cane. Addentrandoci, neanche troppo, in questo mondo si può arrivare a pensare che il cane esista grazie a noi, dimenticandoci invece che sulla terra la maggior parte dei cani vive liberi, senza una figura umana di riferimento.
Se guardiamo i dati da questa prospettiva c’è da domandarsi se davvero siano i cani ad avere bisogno di noi o se, al contrario, siamo noi ad avere la necessità di riconoscerci nella figura che il cane ci dà l’opportunità di esprimere: padre-padrone, guida, leader, coach, capobranco, madre e così via. Una figura di cui ci appropriamo con la forza e che lascia l’altro senza possibilità di reale rifiuto perché il rifiuto diventa automaticamente ai nostri occhi un problema – aggressività, fobia, iperattività o altro – da risolvere in fretta, possibilmente da altri, da smontare e in ultima istanza da allontanare, andando ad alimentare tutta quella mal gestione e quel mercato infame del più becero volontariato che alimenta cani viaggianti su e giù per l’Italia e riempie i canili. E allora, forse, la sfida più grande e più urgente diventa distruggere vecchi paradigmi, che hanno la colpa di ricondurci a modelli di riferimento troppo vicini alle abitudini di un’epoca che ha perso contatto con la propria animalità. Riconoscere e accettare quello che è sotto ai nostri occhi senza averne timore, senza incatenarlo ai nostri bisogni, affiancandolo invece, alla scoperta dell’altro e di noi stessi, in una convivenza che si contamina ed evolve senza violenze fisiche ed emozionali.
Presentato il report di Legambiente: 34.648 reati accertati nel 2019, alla media di 4 ogni ora. Un incremento del +23.1% rispetto al 2018. Campania, Puglia, Sicilia e Calabria le regioni dove si commettono più illeciti, in Lombardia più arresti
Il “virus” dell’ecomafia non si arresta né conosce crisi. Nel 2019 aumentano i reati contro l’ambiente: sono ben 34.648 quelli accertati, alla media di 4 ogni ora, con un incremento del +23.1% rispetto al 2018. In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, con 5.549 reati contro l’ambiente, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria (prima regione del Sud come numero di arresti). E, come ogni anno, in queste quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa si concentra quasi la metà di tutti gli illeciti penali accertati grazie alle indagini, esattamente il 44,4%. La Lombardia, da sola, con 88 ordinanze di custodia cautelare, colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato in 19,9 mld di euro per il solo 2019, e che dal 1995 a oggi ha toccato quota 419,2 mld.
A spartirsi la torta, insieme ad imprenditori, funzionari e amministratori pubblici collusi, sono stati 371 clan (3 in più rispetto all’anno prima), attivi in tutte le filiere: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare.
È questa la fotografia scattata dal Rapporto Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia, realizzato da Legambiente, con il sostegno di COBAT E NOVAMONT, che ha analizzato i dati frutto dell’intensa attività svolta da forze dell’ordine, Capitanerie di porto, magistratura, insieme al lavoro del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, nato dalla sinergia tra Ispra e Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Il volume, edito da Edizione Ambiente, a cui hanno collaborato giornalisti e ricercatori, come Rosy Battaglia, Fabrizio Feo, Toni Mira e Marco Omizzolo, è stato presentato questa mattina attraverso la formula del talk on line in diretta streaming sulle pagine fb di Legambiente e La Nuova Ecologia. Il lavoro di ricerca, analisi e denuncia è stato dedicato quest’anno al consigliere comunale Mimmo Beneventano, ucciso dalla camorra il 7 novembre del 1980, antesignano delle battaglie di Legambiente contro l’assalto speculativo e criminale a quello che è oggi il Parco nazionale del Vesuvio; e a Natale De Grazia, il capitano di corvetta della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria scomparso 25 anni fa, il 12 dicembre del 1995, mentre indagava sugli affondamenti delle cosiddette navi “dei veleni” nel mar Tirreno e nel mar Ionio. Una vicenda ancora oscura su cui Legambiente chiede con forza che si faccia piena luce, anche grazie alle nuove iniziative assunte dal ministero dell’Ambiente, per quanto riguarda la ricerca di navi affondate al largo delle coste italiane, e dalla Commissione parlamentare Ecomafia proprio sulla morte di De Grazia. A lui è dedicato anche il webinar dal titolo “Il Capitano Umano” organizzato oggi pomeriggio, ore 17.30, in diretta streaming sulle pagine fb di Legambiente, La Nuova Ecologia, Lavialibera e Libera. La presentazione del Rapporto Ecomafia 2020, moderata da Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente, ha visto la partecipazione di: Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente, Sergio Costa, ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Federico Cafiero De Raho, Procuratore nazionale antimafia, Alessandro Bratti, direttore generale ISPRA, Stefano Vignaroli, presidente della Commissione d’inchiesta sulle attività illecite, Luca Briziarelli, vicepresidente della Commissione d’inchiesta sulle attività illecite, Rossella Muroni, vicepresidente della Commissione Ambiente Camera dei deputati, Chiara Braga, Commissione Ambiente Camera dei deputati, Silvia Fregolent, Commissione Ambiente Camera dei deputati, Andrea Di Stefano, responsabile progetti speciali Novamont.
La presentazione di oggi è stata anche l’occasione per l’associazione ambientalista per che è fondamentale completare il quadro normativo di contrasto all’aggressione criminale ai tesori del nostro Paese a partire dall’approvazione dei seguenti provvedimenti legislativi: il ddl Terra Mia, che introduce nuove e più adeguate sanzioni in materia di gestione illecita dei rifiuti; i regolamenti di attuazione della legge 132/2016 sul Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente; il disegno di legge contro le agromafie, licenziato dal governo nel febbraio di quest’anno e ancora fermo alla Camera; il disegno di legge contro chi saccheggia il patrimonio culturale, archeologico e artistico del nostro paese, approvato dalla Camera nell’ottobre del 2018 e ancora fermo al Senato, l’approvazione dei delitti contro la fauna per fermare bracconieri e trafficanti di animali, promessa che si rinnova da oltre venti anni ed ancora in attesa che Governo e Parlamento legiferino.
“I dati e le storie presentati in questa nuova edizione del rapporto Ecomafia 2020 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – raccontano un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord, nell’era pre-Covid. Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata. Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, perché le mafie in questo periodo di pandemia si stanno muovendo e sfruttano proprio la crisi economica e sociale per estendere ancora di più la loro presenza”. “Per questo – continua Ciafani – è fondamentale completare il quadro normativo: servono nuove e più adeguate sanzioni penali contro la gestione illecita dei rifiuti, i decreti attuativi della legge che ha istituito il Sistema nazionale protezione ambiente, l’approvazione delle leggi contro agromafie e saccheggio del patrimonio culturale, archeologico e artistico, una forte e continua attività di demolizione degli immobili costruiti illegalmente per contrastare la piaga dell’abusivismo, l’introduzione di sanzioni penali efficaci a tutela degli animali e l’accesso gratuito alla giustizia per le associazioni che tutelano l’ambiente. Noi non faremo mancare il nostro contributo per arrivare entro la fine della legislatura all’approvazione di queste riforme fondamentali”. L’efficacia degli anticorpi – Oltre alle denunce dei cittadini, alle attività svolte da forze dell’ordine, Capitanerie di porto e magistratura, si conferma la validità di provvedimenti legislativi, spesso faticosamente approvati, come la legge sugli ecoreati (68/2015) e quella contro il caporalato, la 199/2016. Con il primo provvedimento, entrato in vigore a fine maggio del 2015, l’attività svolta dalle Procure, secondo i dati elaborati dal ministero della Giustizia, ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse. Grazie alla legge sul caporalato, nel 2019 le denunce penali, amministrative e le diffide sono state complessivamente 618, contro le 197 del 2018 (+313,7%) e sono più che raddoppiati gli arresti, passati da 41 a 99. Le aziende agricole sono quelle più coinvolte ma i controlli sui cantieri edili effettuati dal Comando carabinieri tutela del lavoro stanno rivelando un’illegalità sempre più diffusa, con 2.766 reati, 3.140 persone denunciate e 32 sequestri. Le piaghe da sanare – Anche nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale: sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. A guidare la classifica per numero di reati è la Campania, con 1.930 reati, seguita a grande distanza dalla Puglia (835) e dal Lazio, che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica, scavalcando la Calabria. Per quanto riguarda le inchieste sui traffici illeciti di rifiuti: dal primo gennaio 2019 al 15 ottobre del 2020 ne sono state messe a segno 44, con 807 persone denunciate, 335 arresti e 168 imprese coinvolte. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna. Oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi) che secondo le stime utilizzate dall’Istat nell’ambito del Bes (l’indicatore del Benessere equo e sostenibile), resta su livelli intollerabili per un paese civile: quella, provvisoria, del 2019 è del 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.
“La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione”.
Una particolare attenzione dovrà essere dedicata agli investimenti in appalti e opere pubbliche, soprattutto nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, anche alla luce delle ingenti risorse in arrivo dall’Europa attraverso il Next generation Eu. “I dati che pubblichiamo in questo Rapporto – aggiunge Fontana – dimostrano come in tutti i casi di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose (29 quelli ancora oggi commissariati, dei quali ben 19 sciolti soltanto nel 2019) il principale interesse dei clan è proprio quello di condizionare gli appalti di ogni tipo, dalla manutenzione delle strade alla gestione dei rifiuti. Un fenomeno che s’intreccia con quello della corruzione”. A crescere è, non a caso, anche il numero di inchieste sulla corruzione ambientale, quelle rilevate da Legambiente dal primo giugno 2019 al 16 ottobre 2020 sono state 134, con 1.081 persone denunciate e 780 arresti (nel precedente Rapporto le inchieste avevano toccato quota 100, con 597 persone denunciate e 395 arresti). Il 44% delle inchieste ha riguardato le quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso, con la Sicilia in testa alla classifica (27 indagini). Da segnalare, anche in questo caso, il secondo posto della Lombardia, con 22 procedimenti penali, seguita dal Lazio (21). Nella Terra dei Fuochi, nel 2019 sono tornati a crescere di circa il 30% rispetto al 2018 i roghi censiti sulla base degli interventi dei Vigili del fuoco, arrivati quasi a quota 2.000. Preoccupanti anche i dati sugli incendi boschivi scoppiati nella Penisola: nel2019 sono andati in fumo 52.916 ettari tra superfici boscate e non, con un incremento del 261,3% rispetto al 2018. I reati accertati sono stati 3.916, con una crescita del 92,5% sull’anno precedente. Il 50,3% dei reati si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, dove è andato in fumo il 76% del territorio percorso dal fuoco a livello nazionale, con la Calabria (548 reati) in cima alla classifica. Tra le altre piaghe da sanare,anche quella dei reati contro gli animali. Parliamo di 8.088 reati, più di 22 al giorno, con 7.046 persone denunciate, 2.629 sequestri effettuati e 39 arresti. Legambiente stima che i fatturati illegali legati a queste attività ammontino a 3,2 mld di euro l’anno.
Sul fronte agromafie, nel 2019 aumentano del 54,9% i reati penali e gli illeciti amministrativi in questo settore. Crescono gli arresti (193 quelli eseguiti lo scorso anno, +22,2%), i sequestri (+12,3%, a quota 11.975), le sanzioni, sia penali che amministrative (59.036, con un incremento del 24,6% rispetto al 2018). Un’attenzione particolare meritano i risultati dei controlli effettuati contro l’utilizzo illegale di pesticidi e altri prodotti chimici, compresi quelli messi al bando perché cancerogeni, come hanno rivelato recenti inchieste giornalistiche: 268 i reati penali e gli illeciti amministrativi contestati, 162 persone oggetto di denunce e diffide, 23 sequestri e 216 sanzioni penali e amministrative emesse. Per quanto riguarda le archeomafie, nel 2019 sono significativamente in crescita le denunce (1.730 contro le 1.526 del precedente Rapporto), le persone arrestate (73, più del doppio del 2018), i sequestri, 640, con un aumento del 238,6% rispetto a quelli del 2018 ma il dato più significativo è quello che riguarda le opere e i reperti recuperati grazie al lavoro delle forze dell’ordine: ben 905.472, con una crescita del 1.397,7% rispetto al 2018. Infine il Rapporto descrive le illegalità sulla gestione di Pneumatici fuori uso (PFU), buste di platica e gas HFC. Le stime, elaborate sulla base delle conoscenze acquisite grazie alle attività svolte dall’Osservatorio flussi illegali di pneumatici e pneumatici fuori uso, fanno oscillare i flussi di pneumatici messi illegalmente in commercio tra le 30.000 e le 40.000 tonnellate annue, con il mancato versamento del contributo ambientale per circa 12 milioni di euro e un’evasione dell’Iva di circa 80 milioni di euro. Uno scenario confermato dalle segnalazioni raccolte attraverso la piattaforma di whistleblowing “Cambio pulito”, attraverso 361 denunce con 301 società, italiane e straniere, segnalate per la vendita illegale di pneumatici, dall’online al dettaglio. Secondo l’Osservatorio di Assobioplastiche, nel nostro paese vengono commercializzate circa 23.000 tonnellate di buste usa e getta fuori legge, per un valore complessivo di 200 milioni di euro. In media, su 100 buste in circolazione 30 sarebbero completamente fuori norma. Non si tratta soltanto di quelle di plastica ma anche di buste “pseudo-compostabili”: nel corso degli ultimi 5 anni il tasso di non conformità verificato dai laboratori Arpa si è attestato intorno al 60%. Infine, il mercato parallelo e illegale di gas HFC ammonterebbe nel 2019 in Europa ad almeno 3.000 tonnellate. In termini di impatto ambientale, questo commercio illecito può essere valutato in circa 4,7 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, pari alle emissioni generate dall’utilizzo medio annuale di 3,5 milioni di automobili di ultima generazione. Secondo l’EFCTC si tratta, con ogni probabilità, soltanto della punta dell’iceberg. Con la presentazione del Rapporto Ecomafia 2020 si concludono i sette incontri tematici organizzati da Legambiente con istituzioni, imprese e associazioni per individuare le migliori proposte per il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo italiano dovrà presentare in Europa entro aprile 2021.
Davide e Matteo sono due amici accomunati dallo stesso amore per il proprio territorio, le colline genovesi, con la voglia di sporcarsi le mani con la terra, recuperando terreni abbandonati, curando gli animali e ricercando la tipicità dei prodotti agricoli. ORTOBEE è una neonata rete agricola, aperta a gennaio di quest’anno, sulle alture di Genova, che fonde le tradizionali buone pratiche nella cura degli animali e della terra con le modalità d’acquisto del mondo di oggi: i prodotti sono naturali e, per dimostrarlo, ogni passaggio della filiera produttiva viene documentato, da ancora prima della messa a dimora della piantina, perché viene certificata persino la provenienza dei letami utilizzati per concimare i terreni. E poi, il cesto di prodotti viene settimanalmente consegnato sullo zerbino di casa, ordinato con un messaggio Whatsapp.
Da subito Davide e Matteo hanno deciso di sposare un approccio agricolo di tipo naturale, quindi i vari tipi di ortaggi seguono la stagionalità, rispettando i periodi di crescita di ogni prodotto. Mentre chiacchieriamo vedo arrivare Romeo, Giulietta e Apollo, seguiti da Filomena, Sandra, Honey, Happy e Bahamas. «Anche il nostro modo di tosare l’erba è completamente naturale – sorridono – come vedi, pecore e capre ci aiutano a tenere sempre pulito il terreno e noi, in cambio, offriamo grandi spazi da brucare e tutte le attenzioni di cui hanno bisogno».
«Quello che cerchiamo di trasmettere a chi si avvicina a noi è che i prodotti belli non sono necessariamente buoni, per questo le uova le inseriamo nei box esattamente come le raccogliamo, così come le insalate, per esempio, che vengono raccolte mezz’ora prima della consegna: il gusto è sicuramente autentico e poi mangiare prodotti di stagione apporta al proprio organismo gli esatti nutrienti di cui necessita».
Le loro pagine social sono molto seguite e raccontano i loro valori e la vita nell’orto: «Documentiamo praticamente ogni nostra azione sui social perché vogliamo che le persone che ordinano i nostri cesti sappiano esattamente cosa mangiano, come vivono le nostre galline, libere e all’aria aperta, con cosa concimiamo la terra, come imbottigliamo l’olio, come trattiamo le arnie e come potiamo le piante». Così si scopre che molti dei loro frutti nascono da alberi antichi, presenti nel nostro territorio da molti anni, a volte trascurati e non valorizzati o come funzionano gli alveari.
Tra i progetti futuri, è nell’aria l’idea di dare vita a una rete di collaborazioni con altri “farmer” come loro, in modo da allargare la produzione e far fronte a alle numerose richieste di questi mesi. Più nel breve termine, OrtoBee si sta preparando a creare due nuovi pollai utilizzando esclusivamente il metodo di allevamento del Rapace di Beano, un ragazzo di Udine che sta portando avanti una vera “rivoluzione della gallina”, che pensa innanzitutto al suo benessere, trattando questi animali come tali e non come macchine per produrre uova. Ogni uovo ha la sua particolarità, così come ogni gallina ha le sue tipicità e un proprio carattere. E così, la loro voglia di cambiamento investe ogni aspetto di questa realtà agricola, giovane e innovativa.
Una vera e propria comunità educante composta da formatori, genitori e bambini dai tre ai quattordici anni che in questa “scuola” crescono a contatto con gli animali e con la terra, imparando sin da piccoli l’importanza della cura e della responsabilità. Quella che vi raccontiamo oggi è la storia della Soffitta di Bastiano, un progetto di educazione parentale proposto vicino Faenza. Responsabilità. Partecipazione. Relazione. Dare forma alle esperienze. Rapporto con gli animali e con la terra. Sono questi alcuni dei concetti chiave de La Soffitta di Bastiano, progetto di educazione parentale creato e sviluppato dell’Associazione “Il Telaio – Intrecci di Idee”, che ha inglobato molte delle attività di interventi assistiti con gli animali (anche con persone anziane e disabili) dell’Associazione “Zebra Gialla”, ampliandone il raggio di azione. Siamo nella campagna faentina, specificatamente a Pieve Cesato, nella sede de La Soffitta di Bastiano. È appena finito il quarto convegno annuale degli amici di Armonie Animali, dove abbiamo conosciuto Roberta Ricci e Valerio Donati, promotori del progetto de La Soffitta di Bastiano e ospiti come relatori del convegno. Mentre si avvicina un tramonto dai colori soffici e vellutati mi raccontano di questa esperienza.
La Soffitta di Bastiano, che deve il nome al protagonista del libro ‘La storia infinita” di Michael Ende, è un progetto di educazione parentale che ospita bambini dai tre ai quattordici anni. È nato dall’esigenza di un gruppo di genitori, spinti dalla necessità di un modello pedagogico diverso rispetto a quello della scuola tradizionale. Si basa sull’attenzione alla persona e alla sua responsabilità, affidandosi ad una equipe educativa di professionisti di estrazione diversa, che insieme ai genitori si assumono la co-responsabilità nel garantire l’istruzione e l’educazione necessaria ai bambini’. Si arriva ad un totale di circa quaranta bambini che finito l’anno, accompagnati dagli insegnanti, sostengono un esame di verifica presso la scuola pubblica vicino, affinché si possa verificare il raggiungimento degli obiettivi educativi previsti anche dalla Costituzione Italiana. La scuola (anche se Valerio e Roberta non la chiamano così, non essendo un istituto paritario) si trova in una struttura scelta dall’Associazione Il Telaio, composta da numerose aule interne per le attività ‘tradizionali’ e da un giardino esterno con delle stalle. Il rapporto con gli animali è una delle attività fondamentali della scuola: «Abbiamo creduto che questa possibilità di esperienza di contatto tra umano e animale fosse un valore aggiunto nel percorso educativo dei bambini», ci racconta Roberta Ricci.
Gli animali sono soprattutto opportunità di scoperta e per molti bambini sono anche un’occasione di scoprirsi capaci e competenti nell’affrontare piccole attività insieme a loro. Sono compagni di viaggio diversi da noi umani ma allo stesso tempo con molti aspetti emozionali molto vicini ai nostri. I bambini sentono questa somiglianza e allo stesso tempo questa diversità che è arricchente nella relazione con loro».
Anche il rapporto con la terra e la natura è un aspetto centrale del progetto: «I ragazzi escono spesso, sia i più piccoli che i più grandi, sia per giocare che per prendersi cura, ognuno per quello che può dare, degli spazi esterni – ci spiega Valerio Donati – Tra i lavori previsti nella scuola c’è anche quello di curare un orto, che impegna soprattutto i bambini più grandi».
Animali e orto sintetizzano il rapporto che il progetto vuole dare all’esperienza concreta, non solo astratta. Le attività come il cucito, il ricamo, la costruzione di oggetti in legno, la modellazione della cera e dell’argilla che i bambini mettono in pratica qui sono volte ad un obiettivo: produrre e creare situazioni che danno forma all’esperienza.
Quando non sono all’esterno, i bambini seguono in classe le lezioni dove si affrontano le materie più ‘tradizionali’. Anche in questo, l’esperienza assume un ruolo fondamentale, unita al racconto: «La trasmissione orale è il nostro veicolo principale, noi raccontiamo ai bambini quella che è l’esperienza che l’umanità ha compiuto nel suo percorso – insiste Valerio – e approfondiamo le varie tematiche, spesso attraverso il dettato o tramite alcuni componimenti che i bambini stessi fanno, oppure ancora attraverso un’elaborazione verbale o teatrale, e arriviamo a conoscere meglio quello che sono i contenuti di una materia».
Come spiegato nel video, l’equipe educativa che segue i bambini è formata da vari educatori di estrazione diversa, che però si riconoscono in una visione comune, elaborata e approfondita durante le riunioni settimanali che l’Associazione fa con loro. Il valore della relazione e della responsabilità si amplia anche al rapporto con i genitori, tutt’altro che spettatori passivi di questa esperienza educativa, come spiega Roberta nell’intervista. «Il concetto è chiaro e si lega ad un altro nostro obiettivo fondamentale: la costruzione di una Comunità, educativa e non, responsabile delle proprie scelte e azioni»
Il WWF ha dichiarato che oltre un miliardo di animali potrebbero essere stati uccisi direttamente o indirettamente dagli incendi in Australia. Un olocausto, una perdita gigantesca di biodiversità, la distruzione irreparabile.
Il WWF ha dichiarato che oltre un miliardo di animali potrebbero essere stati uccisi direttamente o indirettamente dagli incendi in Australia. Un olocausto, una perdita gigantesca di biodiversità, la distruzione irreparabile di zone incontaminate poichè da settembre a oggi sono bruciati 8,4 milioni di ettari in tutta l’Australia, una superficie pari a quella dell’Austria. E laddove il fuoco non è riuscito a ucciderli gli animali, verranno abbattuti migliaia di cammelli per impedire loro di abbeverarsi alle riserve di acqua rimaste. Nelle fiamme che non accennano a placarsi, a oggi sono morte 25 persone e sono bruciate almeno 2 mila case. Il fumo degli incendi è visibile fino in America Latina dove una nube ha coperto il cielo in Cile e Argentina. E in Nuova Zelanda le nevi e i ghiacciai si sono coperti di cenere, aumentando con ciò l’assorbimento del calore dai raggi solari che non vengono riflessi a sufficienza e quindi aggravando ancora di più la situazione. Purtroppo ancora una volta ci tocca registrare di avere tristemente ragione: non solo si verifica quello che noi disperatamente diciamo da sempre ma ciò accade in maniera ancora più disastrosa di quello che ci si attendeva. Eppure c’è ancora chi taccia gli ambientalisti di essere catastrofisti, esagerati ed estremisti. Andatelo a dire in Australia, enorme girone dantesco in preda alle fiamme che l’uomo non sa più come affrontare. Quello stesso piccolo, arrogante distruttore e completamente folle uomo che crede che con la sua tecnologia risolverà qualsiasi problema. Dov’è in Australia la fantastica tecnologia che tutto può? Come mai tutta la mirabolante intelligenza artificiale unita, che ci dovrebbe mandare pure su Marte, non è in grado di fare niente, nemmeno di salvarci sulla terra? Come mai tutte le techno corporation informatiche che ci inondano di prodotti strabilianti, facendo stratosferici profitti, non risolvono il problema con le loro bacchette magiche tecnologiche in grado di farci credere dai nostri scintillanti cellulari che ormai possiamo qualsiasi cosa? Dove sono gli Elon Musk, gli eredi del mitico Steve Jobs dello “Stay hungry, stay foolish” che tanti uomini e donne rampanti affascina, dove è il re Mida Zuckerberg con le sue montagne di miliardi. Perché non risolvono il problema? Sarà perché a prescindere da quello che si racconta su questi personaggi edulcorandoli, non hanno altro obiettivo che il profitto. E quando non c’è altro che quello, la natura, la sopravvivenza umana è l’ultima delle preoccupazioni, anzi è la vittima sacrificale. E così nemmeno gli Dei tecnologici possono fare nulla e un intero continente è in fiamme alimentate da temperature che hanno sfiorato i 50 gradi, conseguenza diretta dei cambiamenti climatici.
Ma chi sono i responsabili di questa apocalisse? I governanti australiani ma anche chi li ha votati in un impeto suicida e ovviamente i media che sono in gran parte in mano al multimiliardario Rupert Murdoch, australiano anch’esso e convinto negazionista. E perché negano i cambiamenti climatici? Perché l’Australia è il primo esportatore mondiale di carbone e gas e fra i maggiori produttori di emissioni climalteranti pro capite. Quindi venendo anche in questo caso prima di tutto il profitto, la vita degli esseri viventi è solo un incidente di percorso, da mandare in fumo appunto. E mentre c’è chi fa profitti, il paese brucia, muoiono persone, animali, piante in una tragedia che in maniera perversa alimenterà ancora di più i cambiamenti climatici ed eventi del genere, così come avviene ormai da anni anche in California, patria tra l’altro dei famosi Dei tecnologici informatici di cui sopra. Tutto questo in un paese come l’Australia che anche solo con la tecnologia solare applicata ovunque potrebbe alimentarci mezzo mondo e dare lavoro a milioni di persone; altro che carbone e gas! Quello stesso gas che è ancora il perno del Piano energetico nazionale del Paese del sole ovvero l’Italia e mica vorremmo essere più intelligenti degli australiani e puntare sul solare, per carità, non sia mai… Ancora una volta si conferma la profonda stupidità dell’uomo che si autodistrugge da solo portandosi dietro tutto e tutti, nonostante abbia a portata di mano le soluzioni per risolvere ogni problema. Chissà di cosa avranno bisogno ancora gli australiani e gli umani in genere per capire che si stanno scavando la fossa. A quanto pare non serve nulla, nemmeno la famosa pedagogia delle catastrofi di Latouchiana memoria, perché è di sicuro più importante seguire il gossip sui giornali di Murduch piuttosto che preoccuparsi della propria sopravvivenza e quella dei propri cari. E alle prossime elezioni, gli australiani voteranno pervicacemente gli stessi? Fino allo sterminio finale? Molto probabile.
Oggi l’Australia, domani il mondo intero, sarà il caso di darci una mossa? Chissà? Ma aspettiamo ancora un po’, facciamo qualche altra inutile conferenza sul clima, discutiamo ancora con i negazionisti pagati dalle multinazionali dei fossili, accapigliamoci fra i partiti per ridicole questioni, tanto c’è tempo, andiamo avanti tranquillamente, non sta succedendo nulla di serio.
Nello stomaco del capodoglio spiaggiato due
giorni fa a Cefalù, in Sicilia, è stata trovata molta plastica. “Bisogna intervenire
subito per salvare le meravigliose creature che lo abitano”. Lo afferma
Greenpeace pronta a salpare insieme a The Blue Dream Project per monitorare lo
stato di salute dei nostri mari. A pochi giorni dalla partenza di una spedizione di ricerca, monitoraggio,
documentazione e sensibilizzazione sullo stato dei nostri mari, organizzata
insieme a The Blue Dream Project, Greenpeace diffonde le immagini di quanto è
stato ritrovato nello stomaco del capodoglio spiaggiato due giorni fa
sulle coste della Sicilia.
«Quello che è stato
trovato due giorni fa sulla spiaggia di Cefalù era un giovane capodoglio di
circa sette anni appena. Come si può vedere dalle immagini che diffondiamo, nel
suo stomaco è stata trovata molta plastica. Le indagini sono appena iniziate
e non sappiamo ancora se sia morto per questo, ma non possiamo certo far finta
che non stia succedendo nulla», dichiara Giorgia Monti, responsabile campagna
Mare di Greenpeace Italia.
«Sono ben cinque
i capodogli spiaggiati negli ultimi cinque mesi sulle coste italiane. Nello
stomaco della femmina gravida ritrovata a marzo in Sardegna sono stati trovati
addirittura 22 kg di plastica. Il mare ci sta inviando un grido di allarme, un
SOS disperato. Bisogna intervenire subito per salvare le meravigliose creature
che lo abitano».
Greenpeace e The
Blue Dream Project monitoreranno per tre settimane i livelli di inquinamento
da plastica in mare, in particolare nel Mar Tirreno Centrale. Una
spedizione di ricerca che si concluderà in Toscana l’8 giugno, in occasione
della Giornata mondiale degli oceani. In occasione della conferenza stampa di
presentazione del tour, che si terrà martedì 21 maggio alle ore 11 presso la
Sala conferenze Lega Navale di Ostia, i ricercatori del Dipartimento di
Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova,
centro di riferimento per le autopsie sui grandi cetacei spiaggiati lungo le
coste italiane, presenteranno un report preliminare sullo spiaggiamento dei
cetacei in Italia, con un focus proprio sui capodogli e la plastica.
Abbiamo intervistato Monica Pais, veterinaria
della clinica veterinaria Due Mari di Oristano e animatrice, insieme ad un eroe
a quattro zampe, di Effetto Palla, una Onlus in grado di cambiare la vita a
migliaia di animali e a molti umani. Il lavoro decennale ha avuto un’improvvisa
impennata con la pubblicazione di una foto su Facebook…
“Io sono una
veterinaria e lavoro in una clinica ad Oristano. Nella nostra clinica vengono
seguiti e curati anche animali randagi, recuperati in stato di grande
difficoltà. Tra questi il cane che chiamammo Palla: per promuovere le adozioni
di questi animali dopo averli curati, abbiamo creato una pagina Facebook. Il giorno in cui scoprimmo
l’effetto Palla… andammo a dormire con 26 mila like alla pagina e ci
siamo svegliammo con 186 mila!”.
A parlare è Monica
Pais, animatrice del progetto Effetto Palla e della Clinica
Veterinaria Duemari. Dopo averne sentito tanto parlare, la intervistiamo lo
scorso dicembre a Cagliari, durante la fiera Scirarindi. Monica è
una donna decisa, entusiasta, che ci racconta con un pizzico di incredulità la
sua straordinaria vicenda.
Effetto Palla è una
Onlus nata a marzo 2016 con l’obiettivo di soccorrere e dare nuova vita agli
“animali di nessuno”. Nasce grazie a una meticcia di pitbull, Palla
ovviamente, che ha disegnato il primo pezzo dell’opera. Ma torniamo al
gennaio 2016, quando viene ritrovata la cagnolina nelle campagne di Oristano,
in Sardegna. Il giovane animale viene recuperato in condizioni disperate: ha la
testa deformata a causa di un laccio di nylon di 15 cm di circonferenza stretto
intorno al collo, che la fa soffrire da mesi, chissà quanti. Un supplizio che,
giorno dopo giorno, per un cane nei primi mesi di vita, può portare addirittura
alla decapitazione. Fortunatamente, nella stessa città sarda, c’è la Clinica
Veterinaria Duemari, che cura, oltre agli animali di proprietà, i randagi
feriti e trova loro una casa. La clinica, così, nella figura della dottoressa
Monica Pais, si adopera per salvare la cagnolina con un’operazione delicata. E
ci riesce. Guarisce e viene chiamata dai suoi salvatori Palla, come a
rimarcare, ora con un sorriso, la sua deformazione. “I nomi che diamo agli
animali che curiamo – racconta Monica – sono onomatopeici e legati al tipo di
trauma che hanno riportato. Non so perché questa storia abbia bucato più delle
altre, noi non ce lo aspettavamo minimamente. Quando Palla è arrivata sembrava
un cartone animato riuscito male. Era tenerissima, era brutta ma si poteva
guardare, era una Cenerentola diventata principessa.”
Nella clinica di
Monica lavorano dieci veterinari. La nostra struttura, nata dieci anni fa, ha
sempre curato anche animali randagi, siano feriti o in gravi condizioni. “Sono
randagi certificati da una qualunque autorità – spiega Monica –, abbiamo una
piccola convenzione che dovrebbe pagare il primo soccorso. Noi poi, a titolo
volontaristico, portiamo avanti tutto l’iter successivo dell’adozione”.
Ecco perché la pagina Facebook della clinica “riveste un
ruolo fondamentale: permette ai nostri ‘pazienti’ di essere conosciuti nei
social, aumentando così la possibilità di essere adottati. Attualmente, il
nostro portale online è una sorta di rivista che racconta tutte le
(dis)avventure dei nostri animali e, dopo Palla, anche altri sono diventati
famosi su internet e negli altri media. Le pubblicazioni sul web sono
quindi decisive per le loro prospettive: noi li curiamo ed evitiamo che vadano
in canile, ma il loro futuro, per essere roseo, dipende dai nuovi
padroni”. La clinica, in quanto centro di recupero di fauna selvatica,
non cura solo cani e gatti, ma un ampio target di animali, dalle tartarughe
marine alle rondini. Ora, per fortuna, accanto alla Clinica troviamo la Onlus.
“Ci pesa avere la clinica piena di animali – ci ricorda Monica – vogliamo
quindi portare il progetto fuori dalla nostra struttura”. Per questo la
Onlus finanzia iniziative per la comunità e gli animali. Il
requisito fondamentale è che questi devono avere benefici diretti agli animali
stessi, ma spesso riguardano anche noi umani. Ad esempio, in Brasile stanno
aiutando le persone che vivono in alcune favelas a diventare assistenti
veterinari. In questo modo, il risultato è doppiamente virtuoso: alcuni umani
sono strappati alla miseria e, una volta formati, diventano portatori di cure
per gli animali delle stesse favelas. Il
successo della Onlus, dopo la pubblicazione della storia di Palla è
stato davvero dirompente. Effetto Palla, infatti, è diventata una delle Onlus
più grandi di Italia, tra le prime 160 su 45 mila. Ciò ha permesso a Monica e
al suo team di gestire cifre importanti, raccolte con il 5 per mille e
dirottate su randagi e progetti vari.
Corso per diventare
assistenti veterinari (Brasile)
Come tutti quelli
che hanno a che fare con animali in difficoltà, il rapporto con il
dolore diventa quotidiano: “Per noi è una sfida – confida Monica – ci sono
persone che non riescono a liberarsi del dolore, che assorbono le situazioni
pesanti che hanno nelle vicinanze. Per noi è una metafora: hai una vita che ti
permette di stare così a contatto con la morte che alla fine questa non ti fa
più paura”.
Mentre Monica ci
parla osservo dietro di lei i calendari che hanno realizzato. In copertina si
vede Palla che salta nel cerchio centrale del segno-simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Sempre in
copertina, non per caso, è anche riportata una citazione dall’ultimo libro
dell’artista biellese: “Per progredire nella formazione di una società evoluta
– questa la frase tratta da ‘Ominiteismo e demopraxia’
– è innanzitutto indispensabile stabilire un rapporto di pieno rispetto tra noi
e gli animali”. Le chiedo quindi cosa ci faccia Palla dentro il simbolo del
Terzo Paradiso. “Palla sta dentro il suo personale Terzo Paradiso. Da un lato
c’è la natura, la vicinanza con tutti gli esseri viventi; dall’altra parte, il
paradiso di Facebook, della tecnologia, degli arrivi su Marte; in mezzo lei,
che coglie tutto quello che riesce a mettere insieme”.
Concludiamo il
nostro incontro chiedendoci come mai la storia di Palla abbia avuto così
successo nell’immaginario delle persone. “Non lo so, ce lo chiediamo anche noi”
afferma Monica. “Forse, il motivo è da ricercare nel fatto che la gente ha
bisogno di modelli. A me il coraggio nasce dall’incoscienza. Quando mi
fanno i complimenti non capisco il perché. Ma quando mi chiedono cosa vedano
gli altri in Effetto Palla, mi dico che forse riconoscono ciò che loro per
primi vorrebbero fare. Si rendono conto che possono fare qualcosa anche loro,
entrare nell’Effetto Palla”.
24 Milioni di italiani condividono la loro vita
con un compagno animale: un rapporto affettivo stretto e arricchente. Ma che
accade quando la vita di un amico animale volge al termine? L’eutanasia animale
è sempre davvero l’unica soluzione per evitare che soffrano? Quando ci lasciano
come affrontare un dolore che gli altri sembrano non capire? Ne parliamo con il
medico veterinario Stefano Cattinelli, tra i fondatori di Armonie Animali e
autore del libro “Tenersi per zampa fino alla fine”, pubblicato da Amrita
Edizioni. Stefano Cattinelli è un medico
veterinario, diplomato in Omeopatia veterinaria unicista ed esperto
nell’Antroposofia di Rudolf Steiner. Propone da anni un’alternativa
all’eutanasia, con un approccio empatico, che non solo aiuti l’animale, ma
anche la persona che gli sta accanto. Ha scritto molti libri su questi temi, è
tra i fondatori di Armonie Animali, si occupa di Floriterapia e conduce seminari di
Costellazioni Sistemiche Familiari per Animali. Lo abbiamo incontrato per
approfondire le riflessioni intorno ad un tema quanto mai spinoso: l’eutanasia
per gli animali.
Stefano, tra gli
altri, hai scritto con Daniela Muggia “Tenersi per zampa fino alla fine”, pubblicato da Amrita Edizioni. Di cosa parla questo
libro?
Il libro affronta
il momento più importante e più difficile della relazione tra una persona e il
proprio animale: quello in cui l’animale se ne va. Mi occupo di questo tema da
una ventina d’anni e sono molto sensibile all’argomento perché essendo un
veterinario so quanto sia importante il nostro ruolo in questa fase. La
professione che ho scelto, ha la grande responsabilità di consigliare gli umani
nella fase terminale di vita di un animale, cercando di capire quanto questo
soffra e come si possa affrontare l’inevitabile declino. Ho sempre vissuto con
difficoltà le prassi tradizionali che vedono un percorso precostituito per gli
appartenenti alla mia categoria; ho sempre provato una pesantezza che non
riuscivo a gestire. Quando mi trovavo a dover praticare o immaginare di
praticare l’eutanasia, capivo che l’animale non voleva me al suo fianco, bensì
il suo punto di riferimento esistenziale (una singola persona o un’intera
famiglia). Ho quindi sviluppato una consapevolezza crescente della sacralità
della morte: l’ingresso in questa dimensione richiede determinate qualità,
attenzioni e rispetto che sono ovviamente diverse dalla routine ambulatoriale
veterinaria. Mi sono impegnato a creare, quindi, anni fa un reale spazio sacro,
in cui ci si possa muovere secondo dinamiche molto più complesse di quelle che
razionalmente possiamo percepire: solitamente stacco il telefono e cerco di
aprire un dialogo a vari livelli con la persona che assiste l’animale, dando la
possibilità a quest’ultimo di spegnersi con i suoi tempi e le sue modalità,
differenti l’uno dall’altro. Credo infatti che ogni animale decida di andarsene
in modo assolutamente unico e “personale”. In venti anni, ho accompagnato
centinaia di “individui” e non c’è stato un caso uguale all’altro. Mi sono
quindi reso conto che più approfondivo questo percorso più il concetto di
eutanasia si allontanava. Mi sono trovato ad entrare in una fluidità
esperienziale unica. Ho notato che quando le persone si mettono davvero in
gioco durante il percorso di accompagnamento dell’animale, riescono a cambiare
il proprio ruolo nella relazione, vedendo poi – durante la fase finale –
l’animale diventare “guida” dell’umano.
Nel caso in cui un
animale soffra troppo, che tipo di percorso proponete?
È uno spazio
complesso dove ogni cultura propone la propria visione. In questo tipo di
esperienza possiamo vedere il dolore come parte di questa complessità. Per
quanto riguarda il dolore fisico dell’animale, si possono adottare cure
palliative che permettono di eliminare o ridurre al massimo il disagio fisico
dell’animale. Per quel che riguarda il dolore emozionale, frutto del legame
instaurato tra umano e animale, ci si sposta sul piano animico. Si possono
quindi utilizzare i fiori di Bach o mille altri rimedi analoghi. Infine, non va
dimenticato il dolore dell’umano, che ha un’influenza importantissima
sull’evolversi degli eventi. Il dolore umano non è esclusivamente legato a quel
singolo momento, ma appartiene a una storia biografica: quando l’animale entra
in relazione con l’essere umano, subentra in un momento preciso dell’esistenza
della persona, rispondendo a un bisogno di quest’ultima (lo si può comprendere
anche dal nome che viene affidato all’amico peloso o alla tipologia di animale
scelto) e tutto ciò inevitabilmente influisce, rafforzando ulteriormente il
vuoto che si crea quando l’animale se ne va. Vi sono diverse modalità di
reazione al distacco: c’è chi prende subito un altro animale con sé, e chi non
ne vuole più. Credo che la cosa migliore sia imparare a stare un po’ nel
dolore, prendere confidenza con tale esperienza e poi riuscire a guarire anche
rispetto alle proprie esperienze precedenti.
Chi vuole
avvicinarsi a questo genere di percorso, oltre a leggere il libro, cosa
può fare?
Propongo un
percorso sull’accompagnamento a Treviso (scopri di più) che dura tre
fine settimana e affronta tre temi fondamentali: il lasciare andare, il cambio
di ruolo e il saper entrare nella fluidità. Sono passaggi interiori che
preparano le persone ad essere più consapevoli nel momento del passaggio. A
questo proposito, vi racconto un aneddoto che mi è capitato un paio di giorni
fa: mi ha chiamato una ragazza che ha seguito questo percorso con me quattro
anni fa, raccontandomi che la sua cagnolina se n’era andata da qualche giorno.
Mi ha detto di aver fatto tutti gli esercizi imparati, di aver letto tutti i
miei libri ma quando poi si è trovata a dover gestire la situazione è entrata
nel panico, si è sentita sola. Con il passare del tempo, però, le si sono
attivate risorse che non sapeva di avere, che hanno permesso alla cagnolina di
andarsene via serena, accompagnata dalla proprietaria e dal suo compagno. Mi ha
raccontato che c’è stato un momento preciso particolare, probabilmente scelto
dalla coscienza della loro relazione, in cui se n’è andata nel migliore dei
modi.
Hai scritto questo libro con Daniela Muggia: come mai avete deciso di
scriverlo insieme e in che modo vi siete “completati a vicenda”?
È stata proprio
Daniela a contattarmi: attraverso il lavoro svolto dalla sua associazione (Associazione Tonglen onlus) per l’accompagnamento empatico di persone morenti,
lei e i suoi collaboratori con cui porta avanti le attività, avevano ricevuto
richieste di aiuto da parte di famiglie che avevano animali in fin di vita. Mi
ha proposto quindi di scrivere un libro insieme, ed è stata un’avventura
bellissima e difficilissima, essendo noi molto diversi. È nato così questo
testo che mi piace davvero molto: Daniela porta un contributo importante sulla
fisica quantistica, creando un legame con la dimensione scientifica e un
approfondimento sulle cure palliative.
Cosa pensano i tuoi
colleghi di questo approccio?
Molti colleghi sono
convinti che l’unica possibilità di togliere il dolore sia togliere la vita
all’animale. Mi sono dovuto allontanare da diversi gruppi web, perché venivo
spesso attaccato per la mia visione non tradizionale. Armonie Animali, il network di veterinari di cui faccio parte, è un
ambiente molto più sereno da questo punto di vista; magari non tutti sanno bene
nel merito di cosa mi occupo, ma rispettano il mio lavoro.
Vorremmo parlare
dell’impatto dell’eutanasia sui veterinari: pare che ci sia un tasso di
depressione molto alto. Cosa ne pensi?
È un aspetto
completamente sottovalutato. Noi veterinari nasciamo professionalmente per
salvare l’animale, ogni cosa che impariamo e facciamo va verso la vita. Di
conseguenza l’esperienza della morte viene vissuta come una sconfitta, doppia
essendo, in caso di eutanasia, noi ad indurla. Animicamente credo che si crei
una frattura all’interno del veterinario, come un attrito. A questo punto il
veterinario in questione ha due possibilità: o si separa da questa frattura
eliminando la valenza emozionale per proteggersi (a costo di ledere il senso
della professione), o – in caso di persone più sensibili – al ripetersi di
questa azione subisce una destabilizzazione interiore sempre maggiore.
Considerando che l’attività media di un veterinario conta statisticamente un
paio di casi di eutanasia la settimana, diventa un vero e proprio meccanismo di
non senso. La morte in natura è inserita in un contesto armonico, ed è ovvio
che quando l’animale entra nella vita della famiglia le cose si complichino, ma
ci sono delle possibilità di uscita da questa situazione. Purtroppo, nelle
facoltà veterinarie, il tema della morte non viene mai affrontato, nonostante i
dati statistici dimostrino che è un tema delicato e sempre più di attualità. Ma
le cose stanno cambiando, la sensibilità collettiva è in aumento. Da circa
dieci anni infatti è nato anche un comitato bioetico che ha cercato di inserire
delle regole per gestire questo fenomeno.