Il Paese del Centro America rappresenta il 60% del mercato globale del frutto. Ma a quale prezzo?
Da alcuni anni il Costa Rica rappresenta uno degli esempi di successo del Centro America: ha abolito l’esercito, ha sostenuto uno sviluppo democratico stabile e si è costruito un’immagine di meta dell’ecoturismo. In questo quadro idilliaco c’è, però, un grave difetto ambientale: l’industria dell’ananas. Il Costa Rica esporta, ogni anno, ananas per un valore di 800 milioni di dollari l’anno. Questo piccolo Paese la cui superficie è 1/6 dell’Italia fornisce il 60% degli ananas consumati in tutto il mondo. Questa monocoltura sta avendo un impatto devastante sull’ambiente: ogni pianta produce solamente due frutti in un periodo di 18-24 mesi e ciò richiede notevoli quantità di fertilizzanti e un uso massiccio di prodotti chimici quali bromacile,diuron e glifosato. Dopo il raccolto il fusto conico della piante si riempie d’acqua divenendo l’habitat privilegiato delle mosche ematofaghe che attaccano i bovini nelle vicinanze, causando perdita di peso e una diminuzione della produzione di latte. L’unica soluzione trovata per evitare la proliferazione di queste mosche è stata l’utilizzo di un altro erbicida, il paraquat, un prodotto bandito dall’Ue per la sua tossicità. La monocoltura dell’ananas, insomma, innesca una vera e propria reazione a catena: gli agrochimici per la fertlizzazione e per la deumidificazione dei fusti della pianta hanno contaminato le falde acquifere che abbeverano le popolazioni che abitano a ridosso delle piantagioni. Ai problemi ambientali si aggiungono anche quelli legati alle condizioni di lavoro dei braccianti che emigrano clandestinamente dal vicino Nicaragua e la perdita di sovranità alimentare delle comunità locali. Che cosa fare per invertire la tendenza? L’Instituto Costarricense de Electricidad(ICE), fornitore di energia in Costa Rica, sta testando la possibilità di raccogliere i fusti residui e convertirli in biogas attraverso un processo di biodigestione. Questo biogas avrebbe tre ricadute positive sull’ambiente: 1) potrebbe sostituire le energie fossili, contribuendo all’abbassamento delle emissioni; 2)sarebbe un fertilizzante organico alternativo ai prodotti che inquinano l’ambiente; 3) eviterebbe la proliferazione delle mosche e l’utilizzo del paraquat. Un buon progetto ma molto costoso e potrebbe essere proprio questo il principale ostacolo alla sua realizzazione.
Fonte: Foodtank