Accordo USA-UE sui dazi: importeremo soia OGM e shale gas dall’America?

Firmato ieri l’accordo tra Donald Trump e Jean-Claude Juncker per mettere fine alla guerra dei dazi, tra le conseguenze c’è la promessa dell’UE di importare più soia dagli USA.http _media.ecoblog.it_e_eb0_accordo-usa-ue-sui-dazi-auto-2

Raggiunto ieri l’accordo tra Stati Uniti e Unione Europea che apre la strada alla pace commerciale tra le due aree economiche, che negli ultimi mesi si erano sfidate a suon di dazi e contro dazi. Dopo l’incontro tra il presidente USA Donald Trump e quello della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, infatti, è stata rilasciata una dichiarazione comune. In tale dichiarazione si legge che USA e UE si impegnano ad abbattere la gran parte delle barriere, sia tariffarie che non tariffarie, al commercio di tutti i prodotti industriali non rientranti nel settore delle automobili e dei componenti per automobili. Nella stessa dichiarazione si legge anche che l’Europa si impegna a comprare più semi di soia e più gas naturale dagli Stati Uniti.

Questa dichiarazione ha suscitato non poche perplessità in Europa, per due motivi. Il primo è che gran parte del gas naturale americano viene estratto con la ben nota tecnica del fracking, che devasta il sottosuolo in cerca del cosiddetto “shale gas“. Il problema, però, è più per gli americani che per gli europei. Diversa è la questione per quanto riguarda il secondo dei prodotti americani, i semi di soia. La perplessità degli europei sta nel fatto che quasi il 100% della soia prodotta negli USA è OGM. Di conseguenza Trump ha detto che la delegazione europea venuta a Washington per trattare la fine della guerra commerciale ha promesso di comprare soia OGM. Prima di gridare allo scandalo, però, è necessario vedere come stanno realmente le cose. Per quanto riguarda la soia ce le spiega Paul Donovan, economista di UBS, società svizzera di servizi finanziari con sede a Basilea e Zurigo:

Juncker wince nell’arte dell’accordo. Trump fa un passo indietro sulle minacce di tassare i consumatori auto americani. La UE è d’accordo a parlare (l’UE ama parlare). Le forze del mercato guidano le importazioni UE di soia, qualunque cosa Trump possa dire su Twitter.

L’Unione Europea, quindi, non può aumentare o ridurre gli acquisti di soia OGM americana.

Un concetto ribadito da Donovan anche sul suo blog: “Il presidente USA ha twittato che i dirigenti UE compreranno più semi di soia. I dirigenti UE non possono farlo. Gli Stati Uniti sono già il più grande esportatore di semi di soia in UE. Non ci sono sussidi, dazi o quote sui semi di soia in UE. I privati contadini decidono se comprare o meno più semi di soia“.

Le importazioni di soia dagli USA alla UE oggi ammontano a 4-6 milioni di tonnellate l’anno, come confermano sia i dati (tabella qui sotto) dell’USSEC (U.S. Soybean Export Council, organo che fa lobby per conto dei produttori americani di semi di soia, riconosciuto dall’Unione Europea) che quelli del Foreign Agricultural Service del Dipartimento dell’Agricoltura del Governo americano.http _media.ecoblog.it_b_bee_importazioni-di-soia-ogm-usa-in-europa-dati-ussec

Ma gli OGM non erano vietati (o comunque molto ristretti) in Unione Europea? Com’è possibile che ogni anno importiamo milioni di tonnellate di semi di soia palesemente OGM dagli Stati Uniti?

E’ più che possibile, visto che l’Europa permette l’ingresso di prodotti agricoli geneticamente modificati purché non siano destinati alla semina. In Europa, salvo rarissime eccezioni, è vietato solo seminare OGM e la grandissima parte della soia OGM che importiamo dagli Stati Uniti serve ad alimentare il bestiame allevato in territorio UE. Fino al dicembre scorso, ad esempio, l’Unione Europea ha confermato per altri dieci anni l’autorizzazione alla commercializzazione di sei prodotti agricoli OGM per mangimi e alimenti non destinati alla coltivazione: quattro tipi di soia, un tipo di colza e un tipo di mais. Con l’accordo sui semi di soia (che alla fine non è nulla di nuovo, come abbiamo visto) con l’Europa di Juncker il presidente Trump spera di tenere a bada i coltivatori americani di soia OGM che, recentemente, hanno dovuto subire la decisione della Cina di chiudere alle importazioni di soia americana come ritorsione, ancora una volta, ai dazi imposti da Trump su alcuni prodotti cinesi.

Fonte: ecoblog.it

America: tattiche di una guerra infinita

Un altro fronte di guerra per l’America di Obama che va a bombardare il neonato Stato Islamico (Isis) in territorio siriano, violando la sovranità della stessa Siria. Una nazione il cui presidente, Bashar al-Assad, da lungo tempo non piace all’America. Le bombe sono indirizzate ad un autoproclamato califfato islamico estremista che gli Usa stessi hanno contribuito a creare e che ora, diventato scomodo e ribelle, va ritrasformato in una “faccenda gestibile”. Un califfato che se ne esce sulla scena occidentale diffondendo un film-propaganda, “Flames of war”, che sembra uscito da Hollywood. Cos’è che non quadra?raid_america_isis

Barack Obama…e pensare che nel 2009 il comitato di Oslo gli aveva conferito il premio Nobel per la pace. Ora, è ufficiale, ha aperto un altro fronte di guerra. Dopo avere scalzato Gheddafi dalla Libia e aver comandato di sganciare bombe in Somalia e nello Yemen, Obama ha iniziato i raid aerei nella fascia tra Iraq e Siria, dichiarando guerra allo Stato Islamico, «una decisione che vìola la sovranità della Siria» spiega Brahma Chellaney, docente di studi strategici al Center for Policy Research di Nuova Delhi e saggista. «Zelante nell’intervento, non ha perso tempo ma così facendo ha calpestato anche la legge internazionale e quella americana, poiché non ha cercato né ottenuto l’approvazione né del Congresso né del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il suo predecessore,  George W. Bush, era stato il promotore della cosiddetta “war on terror”, la guerra al terrore dalla quale Obama aveva cercato (chissà con quanta convinzione) di prendere le distanze e che puntava a sconfiggere quei gruppi che volevano istituire un impero islamico radicale. Ma l’invasione e l’occupazione dell’Iraq aveva sollevato tali e tante controversie da disgregare il consenso globale alla guerra, consenso che ne doveva costituire il fondamento. Poi si sono aggiunte le detenzioni e le torture a Guantanamo a simboleggiare gli eccessi». I proclami post-Bush sono rimasti evidentemente retorica, «visto che l’amministrazione Obama ha usato le attività anti-terroristiche per portare avanti gli interessi geopolitici degli Usa» aggiunge Chellaney. «Anziché considerare l’eliminazione di Osama Bin Laden come il culmine della guerra contro il terrore, Obama ha incrementato gli aiuti ai ribelli “buoni” (come quelli in Libia), perseguendo ancora più duramente quelli “cattivi”, i terroristi, ricorrendo anche a un programma di uccisioni mirate». «All’inizio Obama aveva messo lo Stato Islamico nella categoria dei “buoni”, poiché minacciava gli interessi del presidente siriano Bashar al-Assad e quelli dell’Iran. La sua posizione è cambiata quando lo Stato Islamico ha iniziato a minacciare di invadere Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, dove erano di casa l’esercito e i diplomatici americani e dove giravano gli affari. Aggiungete a ciò la decapitazione di due giornalisti americani diffusa con video ed ecco che arriva la dichiarazione di guerra in stile Bush». Quello che si rischia è che la guerra al terrore dell’America «diventi una guerra permanente contro una lista di nemici in continua espansione, spesso creati dalla stessa politica americana – prosegue Chellaney –  Così come gli aiuti forniti ai ribelli afghani anti-russi hanno contribuito alla nascita di Al Qaeda (cosa che Hillay Clinton sapeva benissimo quando era segretario di Stato di Obama), allo stesso modo gli aiuti forniti dagli Usa e dai suoi alleati agli insorti siriani dal 2011 hanno contribuito alla nascita dello Stato Islamico. Gli Usa sono tornati in Afghanistan nel 2001 per combattere una guerra infinita contro gli jihadisti, ora muovono guerra allo Stato Islamico perchè minaccia i piani americano in Iraq e Siria”. E l’esperto indiano lancia l’affondo affermando anche che «Obama è più interessato a confinare il terrorismo nel Medio Oriente piuttosto che a eliminarlo» e ricorda come la guerra che il Pakistan sta conducendo contro l’India sia proprio una conseguenza dell’operazione americana anti-Russia in Afghanistan. Non a caso il presidente americano, rispondendo a un reporter che gli chiedeva chiarimenti, ha detto che il suo vero obiettivo è riportare lo Stato Islamico ad un “problema gestibile”. «Ma a peggiorare le cose in questa nuova guerra ci si mette la tattica che viene usata, cioè la stessa che ha portato alla nascita dello Stato Islamico: autorizzare la Cia, aiutata da qualche sceicco delle regioni del petrolio, ad armare migliaia di ribelli siriani». Poi, non certo di minore importanza è la questione della legittimità o meno dell’intervento americano ai sensi del diritto internazionale e del diritto interno statunitense e su questo ci sono molti, molti dubbi.Intanto gira in tutto il mondo un film-propaganda dell’Isis, realizzato hollywoodianamente in stile “Die Hard” con slow motion, dissolvenze ed esplosioni. C’è chi si limita a indignarsi e intimorirsi per le scene di ammazzamenti, ma ci sono anche quelli, e sono tanti, che si pongono più di una domanda. Qualcosa non quadra? “Flames of War, fighting has just begun”, è questo il titolo del film (passatemi il termine, ma è azzeccato), va oltre, mette un’ipoteca sul futuro di tutti, annuncia altro terrore con avvertimenti costruiti sulle immagini di impatto. Saranno in molti a ricordare i filmati di Bin Laden che parlava in arabo, scarsa qualità, inquadratura fissa, immagine sgranata. Ebbene la nuova strategia hollywoodiana dell’Isis non ha nulla a che fare con questo. Evidentemente un salto tecnologico e di mentalità non da poco, se vogliamo intenderla così. Per non parlare dei militanti addetti ai social network che twittano e postano su Facebook! La Abc ha detto che dietro tutto ciò ci sarebbe Ahmed Abousamra; doppia cittadinanza americana e siriana, ha frequentato il college a Boston e avrebbe collaborato con l’Fbi. Poi ci sono le tante notizie choc passate sui media, roboanti, spesso contraddittorie e non verificate, grazie alle quali è stata mantenuta sempre accesa l’attenzione sull’Isis.

Allora: qualcosa non quadra o quadra tutto?

Fonte: ilcambiamento.it

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La svolta di Obama: dare un prezzo al Carbonio per lasciare i fossili sotto terra

Dare un prezzo al carbonio è secondo il presidente USA il metodo più efficace per lasciare i fossili sotto terra, in modo da limitare il riscaldamento globale a soli 2°C. Chi inquina paga, insomma, anche in ambito energetico

La politica climatica di Obama segna decisamente una svolta; anche se si tratta di un’intervista alla televisione e non di un discorso ufficiale, per la prima volta il presidente USA ha riconosciuto la necessità di dare un prezzo al carbonio emesso, in modo da limitare gli effetti dei cambiamenti climatici. L’intervista verrà trasmessa oggi nel programma Years of living dangerously, dedicato specificatamente ai cambiamenti climatici, ma il conduttore Thomas Friedman ha fornito alcune anticipazioni sul NYT:

Friedman: «Secondo l’IEA solo un terzo delle riserve possii potrà essere bruciato prima del 2050, per non superare il limite di 2°C nel riscaldamento globale (1)… è d’accordo con questa analisi?»

Obama:  «La scienza è scienza, e non c’è dubbio che se bruciassimo tutti i combustibili fossili che si trovano sotto terra, il pianeta diventerebbe troppo caldo e le conseguenze sarebbero gravi.»

Friedman: «Allora, non potremo bruciarli tutti?»

Obama: «Non non li bruceremo tutti. Nei prossimi decenni dobbiamo costruire una transizione tra come usiamo l’energia oggi a come avremo bisogno di usarla.»

Friedman: «Qual è la cosa più importante da fare per affrontare i cambiamenti climatici?»

Obama: «Mettere un prezzo al carbonio. Così abbiamo risolto altri problemi, come ad esempio le piogge acide. Abbiamo detto: vi faremo pagare se rilascerete queste sostanze in atmosfera, perché non è possibile. che a pagare siano tutti gli altri. Trovate un modo per mitigare le emissioni.»

Non sarà certo la fine del fracking o delle centrali a carbone, ma per la prima volta si pone chiara la questione: chi inquina paga, anche in ambito energetico. Un programma simile non si potrà probabilmente fare in due anni, ma potrebbe essere nell’agenda del prossimo presidente, anzi forse presidentessa.Obama Gives Major Speech On Climate Change And Pollution

(1) E’ la cosiddetta bolla del Carbonio, di cui abbiamo parlato su Ecoblog più di un anno fa.

Fonte: ecoblog.it