Il Monte McKinley, il più alto degli Stati Uniti, cambia nome

La decisione è di Obama, tornerà a chiamarsi con il nome datogli dai nativi: Denali.schermata-2015-08-31-alle-20-56-27

La decisione di cambiare nome al Monte McKinley – il più alto degli Stati Uniti (6.100 metri), situato in Alaska – ha provocato non pochi malcontenti. Era inevitabile: la montagna era intitolata a William McKinley, 25° presidente USA sul finire del 1800. Curiosità vuole che tra gli scontenti, però, non ci siano coloro i quali dovrebbero essere più interessati alla questione, gli abitanti dell’Alaska. Il malcontento si registra infatti soprattutto nell’Ohio, stato del quale McKinley era originario, e tra i politici repubblicani. Le ragioni dei primi possiamo comprenderle, le ragioni dei secondi le spiega l’Atlantic in un bel pezzo: la sensazione di alcuni tra i repubblicani più conservatori è che l’America di Obama, primo presidente nero, non sia più la loro; sia un paese che sta cambiando, lasciandosi alle spalle alcune tradizioni, in cui non si riconoscono più. Il fatto che si privi una montagna del nome di un presidente è solo l’ennesimo segnale. Tanto più che il nome che andrà a sostituire quello precedente è in verità il nome originario, quello che i nativi avevano attribuito: Denali. Che sta a significare “quello alto”. D’altra parte i nomi dei nativi americani di ogni latitudine erano sempre di questo tipo, per cui non c’è da stupirsi; di sicuro ci avevano visto particolarmente giusto, visto che il Monte McKinley/Denali è davvero quello alto, anzi quello più alto. McKinley (il presidente) invece con l’Alaska non c’azzeccava molto, non l’aveva mai visitata e all’epoca della sua presidenza non era ancora nemmeno uno stato. C’è di più, il nome non era neanche stato assegnato come onorificenza – come omaggio a un presidente finito ucciso come Kennedy o Lincoln e veterano della Guerra Civile americana; ma come un atto di trollaggio (la storia viene spiegata qui, sempre dall’Atlantic). Infine, già da qualche tempo il parco naturale che ospita la vetta era stato ribattezzato Denali, adesso riprende il nome originario anche il monte.

Fonte: ecoblog.it

Barack Obama chiede che l’Alaska sia protetto come riserva naturale

Obama promette che l’Alaska diventerà riserva naturale.

La questione è poco ambientalista e molto economica: rendere l’Alaska riserva naturale impedirà ai russi di prendere il prezioso petrolio. L’Alaska è una terra ricca di risorse naturali contese da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Russia. D’altronde il presidente Obama è impegnalo a lasciare dietro di sé il miglior ricordo possibile e rivendicando la scelta di intervenire con rigore nella lotta ai cambiamenti climatici (salvo poi investire nel fracking) Ogni anno, con l’arrivo della primavera e e lo sciogliersi della neve, decine di migliaia di caribù iniziano la loro grande migrazione – viaggiano per circa 1.500 chilometri attraverso l’Artico fino all’Alaska National Wildlife Refuge dove le femmine partoriranno. Questa regione è conosciuta dalle comunità native dell’Alaska come: “Il luogo Sacro dove la vita comincia”. Al Rifugio, che copre un’area di 12 milioni di acri, giungono le più diverse varietà di fauna selvatica da tutta la regione artica, come orsi polari, lupi grigi, buoi muschiati e tutte le specie uccelli che migrano alla pianura costiera dai 50 stati del Paese.alaska-refuge-611x350

La maggior parte del Rifugio non è protetto. Per più di tre decenni è stato chiesto a gran voce di stabilire una protezione che allontani le trivellazioni per il petrolio dalla pianura costiera che rientra nella Riserva. Oggi, il Dipartimento degli Interni ha pubblicato la revisione finale del Comprehensive Conservation Plan progetto per sostenere e gestire meglio l’intero Arctic National Wildlife Refuge e il presidente Obama ha intrapreso un ulteriore passo avanti annunciando che intende chiedere al Congresso di chiedere che la pianura costiera e altri settori chiave del rifugio siano lasciati allo stato naturale. Gli Stati Uniti oggi sono il primo produttore di petrolio e gas naturale al mondo e importano meno greggio rispetto a 30 anni fa. L’amministrazione Obama ritiene che le risorse di petrolio e gas naturale possono essere sviluppate in modo sicuro, anche se purtroppo, incidenti e sversamenti possono ancora accadere e gli impatti ambientali a volte possono perdurare per anni. Il Coastal Plain of the Arctic Refuge è a oggi uno dei pochi posti rimasti incontaminati nel Paese, così come lo era quando le più antiche comunità dei nativi dell’Alaska lo hanno abitato. Scrivono sul sito della Casa Bianca:

E’ una zona troppo preziosa per essere messa a rischio e riconoscere l’area come selvatica significa preservare questo posto selvaggio, libero e bello e far si che sia custodito non solo per i nativi ma per tutti gli americani.

E’ curioso immaginarsi il Congresso essere ispirato come gli attivisti di Greenpeace.

Fonte: White House
Foto | Alaska Federal Subsistence Management Program@facebook

Obama blocca sondaggi e trivellazioni nella Bristol Bay

Il presidente Usa ha vietato le esplorazioni per gas e petrolio e le trivellazioni in un’area di 52 miglia quadrate al largo dell’Alaska. Martedì 16 dicembre Barack Obama ha vietato le esplorazioni per ricercare gas e petrolio nella Bristol Bay, in Alaska. Niente esplorazioni significa niente estrazioni, una misura che è stata motivata dalla necessità di preservare le industrie del turismo e della pesca in questa zona ancora incontaminata. Con questa decisione il presidente degli Stati Uniti d’America a escluso il progetto di estrazione degli idrocarburi fino a data da definirsi. Un temporaneo blocco del progetto era già stato deciso nel 2010.

Ho preso questa decisione per essere sicuro che una delle regioni più belle d’America e uno dei motori dell’economia, non solamente per l’Alaska, ma per tutta l’America, sia preservata per le generazioni future. Si tratta di qualcosa di troppo prezioso per noi per metterlo a disposizione del miglior offerente,

ha detto Obama in un video. Il divieto proteggerà alcuni milioni di ettari di costa e terreni selvaggi. La Bristol Bay, situata nel sud ovest dell’Alaska, fornisce, da sola, il 40% del pesce non allevato consumato negli Stati Uniti, realizzando un volume d’affari di circa 2 miliardi di dollari (secondo i dati forniti dalla Casa Bianca). Inferiore ma comunque molto interessante è il volume d’affari dell’industria del turismo che si assesta sui 100 milioni di dollari. Nella Bristol Bay si trovano molte specie selvatiche di salmoni, lontre, foche, trichechi, balene, beluga e orche. La baia ha una lunghezza di 400 km e una larghezza di 290 km, ed è la più orientale estensione del mare di Bering.Obama Gives Major Speech On Climate Change And Pollution

Fonte:  Ansa

© Foto Getty Images

Alaska, trichechi in fuga a causa dei cambiamenti climatici

Lo scioglimento delle banchine sta provocando la fuga verso la terraferma. Sabato scorso NOAA e USGS hanno monitorato 35mila esemplari sulla spiaggia di Point Lay.

Trentacinquemila trichechi su di una spiaggia dell’Alaska: questa la pacifica “invasione” che ha creato un’enorme chiazza marrone su di una spiaggia del nord ovest del più settentrionale dei 51 stati dell’Unione. La causa? I cambiamenti climatici. La National Oceanic and Atmospheric Administratione La U.S. Geological Survey hanno osservato la “chiazza” sorvolando la spiaggia di Point Lay sabato 27 settembre e sono convenuti sul fatto che la fuga dei trichechi sia una diretta conseguenza dello scioglimento della banchisa causato dai cambiamenti climatici. Tradizionalmente, i trichechi non possono nuotare indefinitamente come le foche e si riposano sulle banchise di ghiaccio. L’aumento delle temperature e l’agosto più caldo dal 1880 hanno fatto sì che, però, ha fatto sì che alla fine dell’estate, il ghiaccio marino abbia raggiunto il sesto livello più basso dal 1979, anno in cui sono iniziate le analisi satellitari. Per i trichechi si tratta di un grave problema di sopravvivenza: i ghiacci restanti sono sempre più a nord, nell’Oceano Artico, dove le profondità marine raggiungono i 3000 metri e in cui i trichechi non possono più utilizzare i fondali marini per nutrirsi. I primi assembramenti furono registrati nel 2007, ma quella di una settimana fa, con 35mila esemplari, è una concentrazione da record. Non sono ancora quantificabili le conseguenze di questa situazione su questi animali, ma i ricercatori sanno che questi animali perdono più energia a cercare approdi sulla terra di quanta non ne spendano quando si installano sulle banchise e anche i cuccioli risultano essere più deboli sulla terra ferma.

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Fonte:  Le Monde

Multa a Shell di 1.1 milione di dollari per aver violato il Clean Air Act in Alaska

L’EPA multa la Shell con 1.1 milione di dollari per aver violato i permessi del Clean Air Act durante le estrazioni di petrolio e gas in Alaskashell-594x350

Dopo le ispezioni dell’EPA, United States Environmental Protection Agency, risulta che l’Agenzia federale ha rilevato e documentato le violazioni durante i due mesi della stagione di perforazione nel 2012 gestiti dalle navi-piattaforma Discoverer e Kulluk a Chukchi e nel mare di Beaufort al largo di North Slope in Alaska. La Shell ha accettato di pagare una sanzione 710 mila dollari per per le violazioni della Discoverer e una pena di 390 mila dollari per le violazioni della Kulluk. EPA ha rilasciato i permessi della Clean Air Act alla Shell nei primi mesi del 2012. I permessi riguardano i limiti di emissione, i requisiti di controllo dell’inquinamento e di monitoraggio dei registri, relazioni sulle navi e le loro flotte di supporto dei rompighiaccio, navi antiversamento e navi di approvvigionamento. Non è la prima volta che negli Stati Uniti sono elevate multe salate ai produttori di petrolio. Già nel 2010 la BP pagò una multa da 15 milioni di dollari per l’inquinamento causato dalle raffinerie in Texas e per la stessa raffineria nel 2005 pagò una penale da 50 milioni di dollari dopo un incidente che causò la morte di 15 persone e oltre 170 feriti. C’è da aggiungere che Shell è al centro di una campagna mediatica da parte delle associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa, che si stanno battendo affinché proprio le esplorazioni e le trivellazioni in Artico da parte di Shell non siano messe in atto. Dopo lo stop dovuto a cause tecniche sul finire del 2012 le attività sono riprese quest’anno. Greenpeace propone di fermare le trivellazioni Shell in Artico, fragile ecosistema che contribuisce a governare con i suoi ghiacci il clima del Pianeta.

Fonte:  EL

 

I cambiamenti climatici stanno generando centinaia di milioni di profughi

I cambiamenti climatici stanno amplificando i rischi di siccità, inondazioni, uragani e innalzamento dei mari. A farne le spese saranno soprattutto milioni di persone che vivono nelle aree più povere e marginali del pianetaProfughi-ambientali-Dadaab-2-586x390

Questo è il genere di notizia che non si legge volentieri, ma che non si può ignorare. Nei prossimi anni è sempre più probabile che centinaia di milioni di persone saranno costrette ad abbandonare la propria terra a causa del global warming. E’ il commento dell’economista ed esperto di cambiamenti climatici Nicholas Stern in seguito al fatto che la CO2 si sta avvicinando alle 400 ppm. (1) Movimenti di massa saranno sempre più frequenti nei prossimi decenni a causa di un aumento della temperatura che potrebbe arrivare fino a cinque gradi centigradi. Questo trend è sempre più probabile, visto che i livelli di CO2 continuano ad essere in crescita, anzi in accelerazione. «Se le temperature dov’essere arrivare a quei livelli, avremmo devastato gli schemi climatici tradizionali, diffondendo i deserti», ha dichiarato Stern «Centinaia di milioni di persone saranno costrette a lasciare le proprie terre a causa della riduzione o del collasso di agricoltura ed allevamento. I problemi sorgeranno quando tenteranno di migrare in regioni vicine, perchè nasceranno conflitti con le popolazioni locali. E non sarà un fatto occasionale; potrebbe diventare una caratteristica permanente della vita sulla terra.» Se qualcuno pensa che Stern esageri è perchè non conosce i fatti o non li vuole conoscere, visto che i profughi ambientali esistono già  in varie zone del mondo, come documenta la gallery fotografica qui sotto, che vi invito a sfogliare anche se non è esattamente piacevole guardarla. Siccità e inondazioni, unite ad un clima di alta instabilità politica stanno colpendo l’Africa orientale. Il più grande campo profughi del pianeta si trova a Dabaab (vedi le foto qui sotto) nel nord est del Kenya dove vivono circa mezzo milione di persone, in gran parte in fuga dalla Somalia. I profughi non scappano solo dalla guerra, ma anche da condizioni di vita sempre più difficili: negli ultimi quindici anni la disponibilità pro capite di cibo si è ridotta del 10% e quella di acqua del 50% (fonte FAO). Ma non si tratta solo di questo. Vorrei ricordare ancora altre due storie, per comprendere come i cambiamenti climatici possono influire in modo imprevedibile sulle condizioni di vita . In Bangladesh, migliaia di profughi si sono accampati nella capitale perchè a seguito della maggiore erosione fluviale hanno perso la loro abitazione.  Le basse isole del delta del Gange sono sempre più sommerse ed i pescatori si devono reinventare allevatori su terre arginali. Iniziano ad esserci profughi ambientali anche negli Stati Uniti. In Alaska gli Inuit sono forzati ad abbandonare alcuni insediamenti perchè la fusione del permafrost sta minando le fondamenta delle abitazioni e rende la costa più vulnerabile all’erosione. (1) Il 9 maggio la concentrazione media giornaliera per la prima volta ha superato le 400 ppm (parti per milione) all’osservatorio di Mauna Loa, Hawaii. La CO2 oscilla stagionalmente e regionalmente a causa della diversa intensità della fotosintesi. Il trend globale di lungo periodo della CO2 ha comunque raggiunto 395 ppm.

Fonte: ecoblog