“Rifiuti? Una risorsa”. Presentato il progetto RicicliAMO Messina

Raggiungere il 40% di raccolta differenziata entro un anno e mezzo, il 70% entro tre anni e mezzo puntando su innovazione, rispetto dell’ambiente e sostenibilità. Questi gli obiettivi del progetto RicicliAMO Messina, presentato all’amministrazione comunale guidata da Renato Accorinti.ricicliamo_messina

Raggiungere il 40% di raccolta differenziata entro un anno e mezzo, il 70% entro tre anni e mezzo puntando su innovazione, rispetto dell’ambiente e sostenibilità. Questi gli obiettivi del progetto RicicliAMO Messina, presentato nel mese di luglio all’amministrazione comunale guidata da Renato Accorinti da un gruppo di professionisti, messinesi e non. L’innovativo progetto nasce dalla constatazione di un dato allarmante: oggi Messina rappresenta il fanalino di coda in Italia tra le città con più di 200.000 abitanti, con una percentuale di raccolta differenziata del 5,3%. RicicliAMO Messina si articola in diverse iniziative, ecologiche ed ambientali, volte al raggiungimento di obiettivi importanti, ma al tempo stesso attentamente ponderati. Tali obiettivi, sostengono i promotori, potranno essere raggiunti grazie ad una serie di incentivazioni e programmi di sensibilizzazione, per mezzo di una concreta e reale valorizzazione del rifiuto e con il coinvolgimento di tutti i cittadini. È prevista, innanzitutto, la raccolta di rifiuti differenziati a titolo totalmente gratuito. Come hanno spiegato i promotori, la sostenibilità economica del servizio sarà garantita dal trattamento e dallo smaltimento dei rifiuti, senza nulla pretendere né dai cittadini, né dai commercianti, né tanto meno dal Comune. Il progetto prevede anche la stipulazione di accordi con tutti i commercianti della città (bar, ristoranti, ecc..): verrà concordata la tempistica del servizio e, gratuitamente, la raccolta tutti i rifiuti differenziati da loro prodotti nell’esercizio delle loro attività. RicicliAMO Messina sarà implementato con impianti e macchinari di ultima generazione, al fine di raggiungere gli standard di eccellenza nord-europei ai quali si ispira tutto il progetto. Nella fase di ideazione del progetto numerosi sono stati infatti i contatti con tecnici ed ingegneri norvegesi, all’avanguardia nel settore della raccolta differenziata. Tra i sistemi pensati vi sono le Reverse Vending Machine, distributori automatici collocati in tutta la città che comprano i rifiuti. riciclo__4

I promotori del progetto assicurano che le soluzioni tecnologiche studiate permetteranno un’erogazione del servizio di raccolta dei rifiuti differenziabili in modo 100% ecologico: nessuna emissione di gas serra in nessuna delle fasi di gestione, dalla raccolta allo stoccaggio. Per i cittadini i benefici saranno immediati nel momento in cui effettueranno la consegna dei rifiuti differenziabili, ma vi sarà inoltre una sensibile riduzione dei costi collettivi per l’igiene cittadina, considerata la minore quantità di rifiuti da raccogliere. Secondo i promotori, RicicliAMO Messina, insieme all’attivazione del servizio di raccolta “porta a porta”, permetterà a Messina di divenire un importante modello di gestione sostenibile dei rifiuti, riabilitando così agli occhi del mondo una città fino ad oggi in forte declino. L’amministrazione comunale vaglierà ora le proposte esposte da Pierluigi D’Amore, imprenditore e consulente aziendale messinese con anni di esperienza a Milano e Londra nel settore delle energie rinnovabili. “Nelle mie esperienze lavorative pregresse – ha spiegato D’Amore a IlCambiamento.it – ho avuto modo di studiare il mercato dei rifiuti ed appassionarmi a quello delle energie rinnovabili. Messina negli ultimi anni ha toccato il fondo, economico e sociale. L’idea diRicicliAMO Messina è nata proprio per rispondere alle reali necessità della città, città alla quale sono da sempre legato, ancor più durante gli anni trascorsi all’estero”. Le soluzioni proposte, ci spiega D’Amore, sono efficienti sia in termini ecologici che economici. Tra le eco-soluzioni previste vi è l’installazione delle Reverse Vending Machine. “Le Reverse Vending Machine – spiega D’Amore – sono dei distributori automatici ‘al contrario’: invece di vendere un prodotto, queste lo acquistano. Ovviamente, il prodotto in questione è il rifiuto (bottiglie di vetro, di plastica o lattine). Dopo aver consegnato i rifiuti, il cittadino riceve un buono da utilizzare, immediatamente, nel supermercato ove sono installate le macchinette. Beneficio immediato a fronte dell’impegno del cittadino, questa è la chiave. Nei punti di raccolta che realizzeremo in città sarà inoltre possibile consegnare a mano tutti i rifiuti che non possono essere accolti dalle Reverse Vending Machine: in questo caso il beneficio per i cittadini sarà in contanti. In tal modo, tra l’altro, si vuole radicare nei cittadini il concetto, fondamentale, che il rifiuto rappresenta una risorsa”.messina9

I promotori del progetto hanno anche pensato ad un programma di educazione ambientale da svolgere negli istituti di istruzione primaria e secondaria. “Il programma di educazione ambientale è studiato in modo che i bambini imparino per mezzo del gioco. Per il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo prefissati, sarà necessaria una grande opera di sensibilizzazione ed abbiamo pensato di dare un ruolo importante anche ai più piccoli. Non dimentichiamo, infatti, che molte conoscenze apprese nelle scuole vengono poi portate a casa, rese disponibili alle famiglie. I bambini di oggi sono meravigliosi, molto più svegli di noi alla loro età. In fin dei conti, il futuro è dei nostri bambini, perché mai non dovrebbero essere protagonisti anche del presente?”. Pierluigi D’Amore sottolinea che RicicliAMO Messina nasce, senza partito o colore politico. “Il progetto è frutto della presa di coscienza, non solo mia, che la città sia pronta al cambiamento. I risultati delle elezioni dimostrano, al di là dei candidati, che i messinesi sono stanchi”. “Abbiamo avuto incontri con l’Amministrazione e con alcuni componenti del Consiglio Comunale (di ogni estrazione partitica) e sono tutti entusiasti e pronti ad impegnarsi affinché il progetto veda la luce. Abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere entusiasmo anche dai cittadini: migliaia sono le e-mail e gli attestati di partecipazione e solidarietà che ci hanno permesso di proseguire la strada con grande orgoglio, ma anche con grande senso di responsabilità. Il progetto RicicliAMO Messina è un atto di professionalità (mia e di tutti i professionisti coinvolti), ma anche un atto d’amore nei confronti della città di cui sono da sempre innamorato, ma della quale ora voglio essere anche orgoglioso”. “Messina – conclude D’Amore – ha bisogno di un cambiamento, immediato e concreto. RicicliAMO Messina può rappresentare un primo passo, consapevole, verso questo cambiamento”.

Fonte: il cambiamento

Green Hill vietato per legge: approvata la norma ‘restringi-vivisezione’

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“La norma restringi-vivisezione rappresenta la base per una legge realmente migliorativa per i quasi 900mila animali utilizzati ogni anno in Italia e un futuro concreto per i metodi sostitutivi e la ricerca innovativa nel nostro Paese”. È quanto ha affermato in una nota la Lav commentando la notizia dell’approvazione in via definitiva da parte della Camera dei Deputati dell’articolo 13 della Legge di delegazione europea che restringe la vivisezione e incentiva il ricorso ai metodi sostitutivi di ricerca. In particolare la legge ‘restringi-vivisezione’ che ha subito ricevuto il plauso degli animalisti, vieta in particolare ”l’allevamento nel territorio nazionale di cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione”, una norma che comporterà la chiusura definitiva dell’allevamento Green Hill. Verranno anche vietate alcune pratiche oggi comuni come i test per droghe, alcol, tabacco, armi, didattica e limitati alcuni utilizzi, con l’obbligo di anestesia e analgesia che fino ad oggi non venivano usate in almeno il 20% degli esperimenti sui quasi 900mila animali che ogni anno vengono utilizzati nei laboratori italiani. Al suo primo punto l’articolo ‘restringi-vivisezione’ impegna il governo a “orientare la ricerca all’impiego di metodi alternativi”, imponendo poi di “destinare annualmente una quota nell’ambito di fondi nazionali ed europei finalizzati allo sviluppo e alla convalida di metodi sostitutivi, compatibilmente con gli impegni già assunti a legislazione vigente, a corsi periodici di formazione e aggiornamento per gli operatori degli stabilimenti autorizzati, nonché adottare tutte le misure ritenute opportune al fine di incoraggiare la ricerca in questo settore con l’obbligo per l’autorità competente di comunicare, tramite la banca dei dati nazionali, il recepimento dei metodi alternativi e sostitutivi”. Il provvedimento prevede anche il divieto degli esperimenti e delle procedure che “non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse comportino dolore all’animale, ad eccezione dei casi di sperimentazione di anestetici o di analgesici”. Ad essere vietato è anche l’utilizzo di animali per gli “esperimenti bellici, per gli xenotrapianti e per le ricerche su sostanze d’abuso, negli ambiti sperimentali e di esercitazioni didattiche ad eccezione della formazione universitaria in medicina veterinaria e dell’alta formazione dei medici e dei veterinari”.

Fonte: il cambiamento

Sorgenti irpine minacciate dal raddoppio della galleria

Principale risorsa idrica del meridione, le sorgenti irpine dei monti Picentini sono oggi minacciate anche dal raddoppio della Galleria Pavoncelli. Al fine di fermare la realizzazione di quest’opera che metterebbe ulteriormente a rischio l’ecosistema fluviale irpino è stata lanciata una petizione online.sorgenti_monti_piacentini

Acquedotti con perdite mediamente superiori al 50%, depuratori mal funzionanti, deflusso minimo vitale dei fiumi non rispettato, crisi idriche, sovrasfruttamento delle sorgenti, ecosistema fluviale a rischio, mancato ristoro ambientale, miriadi di microdiscariche e sversamenti abusivi in montagna, bonifiche inesistenti, minaccia di trivellazioni petrolifere e una grande opera dalla storia tormentata, il raddoppio della Galleria Pavoncelli, a complicare ancora di più il quadro generale. Stiamo parlando delle sorgenti irpine dei monti Picentini, la principale, e sconosciuta, risorsa idrica del meridione peninsulare. È un’informazione poco nota, infatti, che il massiccio carbonatico del Terminio Cervialto, grazie alla sua particolare conformazione calcarea, è un vero e proprio gigantesco serbatoio, una naturale “fabbrica dell’acqua” che, con il suo immenso reticolo di gallerie sotterranee, alimenta le sorgenti di queste montagne con benefici straordinari, soprattutto per i territori circostanti. A Caposele l’acqua dei Picentini orientali dà vita alla sorgente Sanità, 4000 litri al secondo mentre a Cassano Irpino un importante gruppo sorgivo produce tra i 2500 e i 4000 litri al secondo. Tranne che per una quota minima e insufficiente destinata all’acquedotto Alto Calore, che rifornisce Sannio e Irpinia, queste sorgenti approvvigionano, tramite la SPA Acquedotto Pugliese, le popolazioni lucane e soprattutto pugliesi, mentre le rinomate acque di Serino vanno a Napoli e le sorgenti di Calabritto e Senerchia nel Cilento. Milioni di cittadini italiani dipendono dalle sorgenti irpine per la loro acqua potabile e la Puglia riesce a sostenere la sua agricoltura grazie agli importanti apporti della diga di Conza – 60 milioni di metri cubi grazie alle sorgenti dell’Ofanto – e, in misura minore, della diga di San Pietro, tra Aquilonia e Monteverde, che raccoglie l’acqua dell’Osento. Eppure la questione della salvaguardia e tutela ambientale di questo territorio, di importanza strategica a livello nazionale, non riesce a varcare i confini dell’Irpinia, né a conquistare e ad appassionare i suoi abitanti.sorgenti_irpine

Lo sa bene il Comitato Tutela fiume Calore che nei giorni scorsi – sull’onda dell’interesse suscitato dall’azione parlamentare dei rappresentanti irpini Carlo Sibilia ma anche Giuseppe De Mita, Valentina Paris e Rocco Palese – ha lanciato on line una petizione per fermare la Galleria Pavoncelli bis e sollevare nuovamente la questione delle acque irpine. “Il problema – afferma il Comitato nella petizione – non è la sottrazione delle acque irpine ma l’insostenibilità delle captazioni. Le curve di deflusso delle sorgenti indicano chiaramente che le riserve di alimentazione stanno diminuendo. Bisogna rivisitare le concessioni di derivazione delle acque e adeguare le aliquote di distribuzione per garantire la vita negli ecosistemi dei fiumi e scongiurare le cicliche crisi idriche”.

La galleria Pavoncelli bis

Le acque di Caposele e di Cassano Irpino arrivano in Puglia attraverso l’Acquedotto Pugliese che tra Caposele e Conza della Campania, agli inizi del ‘900, costruì la Galleria Pavoncelli captando prima le acque di Caposele e poi, dagli anni ’60, anche le sorgenti del Calore. La galleria di valico “Pavoncelli Bis” è un by-pass progettato per venire incontro alle difficoltà degli interventi di manutenzione e ai danni alla vecchia galleria seguiti al sisma del 1980. Ed è su questa galleria che si sollevano i punti critici nella petizione prendendo spunto anche dalle molteplici osservazioni alla realizzazione dell’opera presentate nel corso degli anni in primis da Sabino Aquino, idrogeologo dell’Alto Calore, ex Presidente del Parco regionale dei Picentini, punto di riferimento per chi si è opposto negli anni alla costruzione dell’opera. Dopo che nel 1992 il primo cantiere della galleria fu sospeso per il rinvenimento di una falda acquifera di 700 l/s le vicende giudiziarie tra imprese aggiudicatarie e Aqp contribuirono a rimandare i lavori fino ad arrivare al 2007, quando l’ordinanza del Commissario Straordinario validò il nuovo progetto esecutivo. Ordinanza che fu annullata dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, a seguito dei ricorsi presentati dal Parco dei Monti Picentini e dall’Alto Calore Irpino.piana_dragone

La battaglia continuò, anche in sede europea, fino alla sentenza definitiva della Suprema Corte di Cassazione che confermò le ragioni degli enti irpini. Nel 2009 il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza per la vulnerabilità sismica della galleria Pavoncelli aggirando le sentenze citate. Nella nuova Conferenza dei Servizi convocata tutti gli enti competenti, tra i quali Parco Regionale dei Monti Picentini, Provincia di Avellino, A.T.O 1 Calore Irpino, hanno espresso parere sfavorevole per la realizzazione dell’opera, dinieghi superati dal parere favorevole di compatibilità ambientale, emesso da una Commissione del Ministero dell’Ambiente la quale si limita ad affermare che “al termine della fase realizzativa dell’intervento, prima dell’entrata in esercizio, […] saranno effettuati gli studi afferenti il rilascio minimo vitale e la redazione del bilancio idrico”. Sarà quindi prima realizzata l’opera, finanziata per 150 milioni di euro, e poi verificata, a lavori compiuti, la compatibilità ambientale effettuando il bilancio idrico a posteriori. Gli enti hanno quindi nuovamente presentato ricorso presso il Tribunale Superiore delle Acque sostenendo che il Commissario Straordinario non può derogare dalla normativa ambientale che interessa un’area protetta all’interno del Parco regionale dei Monti Picentini. Attualmente si è di nuovo in attesa del parere del Tribunale mentre i lavori nel cantiere sono nella fase iniziale. I dubbi sollevati sono molteplici a partire dalla maggiorazione della portata della nuova galleria che metterebbe ulteriormente a rischio l’ecosistema fluviale irpino. L’intervento avviene in un’area fortemente sismica e il Comitato ricorda che potrebbe anche alterare, in modo serio, l’attuale equilibrio idrogeologico dell’acquifero come è già avvenuto negli anni ’90. Perché, si chiede il Comitato, non intervenire riparando la galleria esistente? È una posizione già espressa da Sabino Aquino il quale, al termine delle osservazioni che ha rilasciato per Il Cambiamento ricorda che “come già evidenziato nel corso della conferenza dei servizi del 15 Luglio 2010, si ritiene che invece di procedere alla costruzione di una nuova galleria si potrebbe sicuramente riparare quella esistente”. “Nel periodo occorrente per la riparazione della predetta galleria, – continua Aquino – l’approvvigionamento idropotabile di parte del territorio pugliese potrebbe essere garantito con il ricorso a fondi idriche alternative in primis l’invaso di Conza della Campania (capacità idrica invasata 58.000.000 di mc.) attraverso la costruzione di una condotta ed un potabilizzatore che, tra l’altro, è già stato previsto per la derivazione dal citato bacino idrico artificiale di una portata idrica pari a 1000 l/sec. da destinare sempre per l’approvvigionamento idropotabile di parte della Regione Puglia”.diga_conza

Rischi e minacce: dalle esplorazioni petrolifere alla mancata bonifica montana

Ma la questione dell’acqua in Irpinia si arricchisce continuamente di nuove problematiche. A partire dal Progetto Nusco, la concessione per le esplorazioni petrolifere concessa dallo Stato italiano in un’area che si sovrappone parzialmente agli acquiferi dei Picentini e interessa i territori limitrofi. I comitati No Petrolio in Alta irpinia eNo Trivellazioni petrolifere in Irpinia, che hanno avuto il merito di sollevare la questione e di portarla all’attenzione delle istituzioni, stanno ancora aspettando il parere sulla Valutazione di impatto ambientale dalla Regione Campania sull’inizio delle trivellazioni nel pozzo Gesualdo 1, a pochi chilometri dalle Mefiti della Valle d’Ansanto e dal complesso termale di Villamaina, in un’area notoriamente ad altissimo rischio sismico. Come ha dichiarato Massimo Civita, idrogeologo di fama internazionale, i rischi del Progetto Nusco sono sia di tipo primario, ma anche di tipo secondario visto che un incidente nell’attraversamento dei Picentini per raggiungere i punti di trattamento sul Tirreno potrebbe mettere a rischio gli acquiferi. Le semplici implicazioni di eventi simili – non improbabili come dimostrano le casistiche delle rotture di pipeline e i ribaltamenti di camion in Basilicata – dovrebbero bastare a sconsigliare il coinvolgimento anche solo delle aree limitrofe. Ma la questione è ancora aperta e c’è chi parla di affidare le decisioni ad un referendum sull’oro nero come occasione economica dimenticando le valenze ambientali, enogastronomiche di un territorio rurale e ricco di biodiversità e quello che, dati alla mano, è stato dimostrato in Basilicata da Rita D’Ottavio del WWF Basilicata sull’impatto economico del petrolio . C’è poi la spinosa questione del mancato ristoro ambientale e il ritardo nell’istituzione del Distretto idrografico dell’Appennino meridionale che pesa sulla compensazione ambientale tra Puglia e Irpinia grazie all’assenza di un comune orientamento tra i comuni di montagna nei quali sono presenti le aree di ricarica delle sorgenti e alla storica assenza della Regione Campania. Regione che, affetta da atavico napolicentrismo, si ritrova tra Napoli e Caserta debitrici di acqua da Lazio e Molise e la creditrice Irpinia per la quale non sono previste nemmeno le azioni di bonifica montana necessarie a preservare il territorio.diga_san_pietro

Al danno, poi, si unisce la beffa. Attualmente oltre la metà della portata idrica dell’acquedotto Alto Calore, che rifornisce l’Irpinia e parte del Sannio, proviene dal sollevamento di falde idriche con considerevoli oneri energetici che si ripercuotono sulla tariffa idrica degli Irpini. Quindi le acque delle sorgenti, di qualità migliore, visto che il potere filtrante delle rocce le rende più pure, vanno fuori provincia mentre buona parte dei residenti beve acqua di pozzo ad un costo maggiore di chi si approvvigiona dalle sorgenti in territorio irpino. Inoltre gli innumerevoli pozzi privati, la modifica nelle precipitazioni meteoriche, il continuo prelievo da parte degli acquedotti che hanno preferito aumentare la portata dell’acqua costruendo sempre nuovi pozzi e aumentando la profondità degli scavi invece che intervenire nel rifacimento delle reti idriche, stanno causando, progressivamente, il depauperamento delle risorse idriche e le sorgenti sono a rischio. Senza dimenticare il mancato rispetto del deflusso minimo vitale dei fiumi irpini nei quali la salmonella si presenta ciclicamente e le morie di pesci sono una triste realtà. Infine l’inquinamento ambientale, che meriterebbe un approfondimento a parte, con la complessa situazione dei depuratori, l’inquinamento dei fiumi e la presenza sempre più consistente di sversamenti abusivi in montagna, spesso ignorata. È necessario avviare un dibattito condiviso, al di là delle appartenenze, a livello locale, ma ottenere anche l’attenzione a livello nazionale ed europeo sulle problematiche accennate, senza alcuna pretesa di esaustività. Questo per individuare fondi europei e nazionali per la messa in sicurezza del territorio, avviare la bonifica montana delle aree di ricarica delle sorgenti – la cui salvaguardia è prioritaria secondo lo stesso Codice ambientale – e definire interventi prioritari come il ripristino del delicato equilibrio nel bacino endoreico della Piana del Dragone. Inoltre bisogna rafforzare le iniziative già intraprese dagli enti competenti per il rifacimento delle reti idriche e avviare, finalmente, il Distretto Idrografico dell’Appennino meridionale che porrebbe le basi per la responsabilizzazione delle regioni coinvolte nelle azioni da intraprendere determinando il tipo di ristoro ambientale necessario. Compensazione che non si può risolvere in un semplice indennizzo economico a singoli comuni, ma in azioni di ripristino, bonifica e salvaguardia dell’intero territorio montano coinvolto. Diversamente il diritto di accesso all’acqua di milioni di meridionali, quasi il 10% della popolazione italiana, sarà seriamente compromesso.

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Fonte: il cambiamento