L’Orto Corto, dove l’agroecologia è di casa: “Non coltiviamo ortaggi, ma la Terra”

Corta è la distanza che li separa dalla Terra e corta è la filiera attraverso cui vendono i loro prodotti. A Decollatura c’è l’Orto Corto, una realtà agricola gestita da alcuni ragazzi calabresi che hanno deciso di restare e puntare sulla terra, facendo propri i principi dell’agroecologia e recuperando i semi antichi del territorio. Il viaggio nella Calabria che cambia continua e questa volta mi dirigo verso il Reventino, un’area montuosa e boschiva a ovest della Sila piccola. In particolare sto andando a conoscere l’Orto Corto, una realtà agricola che si trova a Decollatura (CZ) e che è gestita da due cugini, Carmine e Mario Gigliotti. Dopo una lunga strada in salita costellata da alberi e boschi arrivo in paese e andiamo subito a vedere i terreni, che si trovano ai piedi dell’area boschiva del Reventino e vicini al fiume Sorbello. «Come esperienza siamo nati nel 2015, quando all’interno dell’associazione Passaggìari, di cui facevamo parte, abbiamo avuto alcune esperienze con l’agricoltura», racconta Carmine. «Poi ci siamo appassionati e abbiamo deciso di provarci in modo più strutturato, perché era anche una maniera per restare». Da qui iniziano lo studio, le sperimentazioni e la ricerca dei terreni, che sono tre ettari dislocati in punti diversi e ottenuti in comodato d’uso dai proprietari. Fino ad arrivare al 2020, anno di nascita ufficiale dell’azienda.

Mario e, sullo sfondo, Carmine Gigliotti

L’Orto Corto – lo si intuisce già dal nome – si ispira a principi che valorizzano la terra e che puntano a un’agricoltura sana e in relazione col territorio: la coltivazione è completamente naturale, fatta anche attraverso la sperimentazione di tecniche di biodinamica e permacultura. «Diciamo che più che coltivare gli ortaggi, coltiviamo la terra», spiega Mario, mentre mostra i terreni che in questo momento stanno per essere messi a coltura. «Facciamo nostri i principi dell’agroecologia, per far rigenerare il terreno e far sì che sia sempre fertile».

Inoltre, Carmine sottolinea che una parte del loro lavoro consiste anche nel valorizzare i prodotti tipici del territorio che rischiano di perdersi: recuperano semi antichi e li coltivano. In particolare, hanno un intero terreno dedicato a una varietà di grano antico, il censarola, che poi viene macinato in un mulino a pietra. Fra i semi antichi, anche quelli di molti legumi: il fagiolo monachella, l’uacchiu e vua e la chiumbina, tipici del Reventino. A tutto questo si lega un rapporto con la comunità circostante. Da un lato c’è la valorizzazione dei prodotti del territorio e delle autoproduzioni di singoli, dall’altro il tentativo di fare rete con altri agricoltori e quindi sensibilizzare su determinate tematiche: «Quello che proviamo a fare è costruire una rete o comunque rapportarci a chi coltiva come noi in questi territori: all’inizio eravamo visti come dei visionari perché non usavamo nulla di chimico, ma poi piano piano abbiamo visto che è iniziato un dialogo e che ogni tanto ci chiedevano consigli: già questo è qualcosa», racconta Carmine.

Fare rete e creare circoli virtuosi infatti è fondamentale anche per l’ultima fase, che è quella della vendita. Per il momento l’Orto Corto si affida alla vendita diretta attraverso mercati e contatti di persone già sensibilizzate sul tema. Ma l’obiettivo è allargare il cerchio: più questa rete si estende, più si innescano dei circoli virtuosi e c’è meno spazio per lo sfruttamento della terra e dei lavoratori. Con le sue difficoltà, l’Orto Corto è comunque una realtà in crescita: oltre Mario e Carmine vi lavorano anche altre due persone, in base ai periodi dell’anno. Ci sono obiettivi per il futuro, fra cui la produzione di miele: se ne sta occupando Leonardo, un giovane di 21 anni anche lui di Decollatura, che gestisce le api in fondo ad uno dei terreni. E, non appena sarà di nuovo possibile, iniziative per coinvolgere la comunità in modo più concreto e far toccare con mano cosa significhi agroecologia. Tutto questo spesso avviene in connessione con Discovering Reventino, un progetto di riscoperta e valorizzazione del territorio. Anche uno di loro è qui con noi in mezzo ai campi e sta per raccontarmi la loro storia. Do un ultimo sguardo all’Orto Corto, alla terra prima di passare alle montagne, che sono le protagoniste di questo altro progetto, nella consapevolezza che tutto è connesso.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/06/orto-corto-agroecologia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cambiamo Agricoltura: il nuovo Ministro delle Politiche agricole punti a transizione agroecologica

CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiede una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, i cittadini e l’ambiente. Sostenuta da oltre 70 sigle della società civile è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista e del biologico italiane. E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo

La Coalizione CambiamoAgricoltura augura buon lavoro al nuovo Ministro alle politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, ed auspica che il cambio alla guida del Ministero di Via XX Settembre determini un rilancio della transizione agro-ecologica della nostra agricoltura.

Nella sua agenda il Ministro Patuanelli avrà alcuni appuntamenti importanti, primo fra tutti l’avvio del tavolo di concertazione con le parti sociali ed economiche e la società civile per la redazione del Piano Strategico Nazionale della PAC (Politica Agricola Comune) post 2020, atteso da oltre un anno. Il Trilogo UE dovrebbe completare l’iter della riforma della PAC entro il mese di maggio e la partita della prossima programmazione, che sarà operativa dal gennaio 2023, si sposterà completamente nel terreno dei singoli Stati membri. Molti Stati hanno già avviato da tempo il confronto con le Associazioni agricole e ambientaliste, mentre il nostro paese è rimasto fermo al palo, nonostante ripetuti solleciti inviati dalla Coalizione #CambiamoAgricoltura, rimasti inascoltati. Le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, con i loro obiettivi sfidanti (riduzione del 50% dei pesticidi e antibiotici, riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici, aumento della superficie in agricoltura biologica fino al 25% a livello europeo, aumento fino almeno al 10% delle aree agricole destinate alla conservazione della biodiversità) impongono un cambio di rotta all’agricoltura italiana, per fare della sostenibilità ambientale e sociale un punto di forza delle produzioni “Made in Italy”.

Per la Coalizione #CambiamoAgricoltura l’Italia ha le carte in regola per puntare ad obiettivi più ambiziosi, come il 40% di superficie agricola utilizzata certificata in agricoltura biologica entro il 2030, e l’utilizzo degli aiuti PAC condizionati alla ristrutturazione delle filiere della zootecnia intensiva, per affrontare la crescente insostenibilità di questo comparto, in particolare in Pianura Padana, e scegliendo senza remore la strada  della transizione agroecologica per tutta l’agricoltura, l’unica in grado di coniugare la salute dell’uomo con quella dell’ambiente, nell’ottica di “One Health”.

Per questo sarà importante l’imminente approvazione da parte del Parlamento della nuova Legge sull’agricoltura biologica e il Ministero dovrà assicurare il massimo impegno per la sua rapida e concreta attuazione. Un altro impegno prioritario per il nuovo Ministro, condiviso con i suoi colleghi della Salute e della Transizione Ecologica, è l’approvazione del nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ormai scaduto dal febbraio 2018. Si tratta del principale strumento per l’attuazione della Direttiva UE sui pesticidi, 2009/128/CE, fondamentale per poter raggiungere gli obiettivi delle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”.

La Coalizione #CambiamoAgricoltura è disponibile su tutti questi temi e sul futuro dell’agricoltura italiana ad un confronto e collaborazione costruttiva con il nuovo Ministro ed invierà per questo nei prossimi giorni una richiesta d’incontro.

CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiede una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, I cittadini e l’ambiente. Sostenuta da oltre 70 sigle della società civile è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista e del biologico italiane (Associazione Consumatori ACU, Accademia Kronos Onlus, AIDA, AIAB, Associazione Italiana Biodinamica,CIWF Italia Onlus, FederBio, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu, Pro Natura, Rete Semi Rurali, Slow Food Italia e WWF Italia). E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo.

Fonte: ecodallecitta.it

Giornata della Terra: “Chiediamo stop a deforestazioni e sostegno all’agroecologia”

In occasione della Giornata Internazionale della Terra una coalizione planetaria di oltre 500 organizzazioni chiede lo stop alle deforestazioni e alla perdita di biodiversità e il sostegno alle piccole e medie produzioni agroecologiche. Riconoscere lo stato di crisi in cui si trova il pianeta Terra, identificare le reali cause che hanno condotto all’emergenza sanitaria Covid 19 e approfittare del lockdown per ripartire con un vero cambio di paradigma produttivo, economico, sociale e culturale che tenga conto di quanto la salute della Terra e di tutte le specie che la abitano, animali e vegetali, siano profondamente interconnesse. È questa la richiesta di oltre 500 organizzazioni della società civile internazionale, appartenenti a oltre 50 paesi, che hanno aderito all’appello lanciato da Navdanya International, Naturaleza de derechos e Health of Mother Earth foundation in occasione della Giornata Internazionale della Terra. Il documento, a cui hanno aderito le maggiori organizzazioni ecologiste di tutto il mondo fra cui Ifoam, Third World Network, International Forum on Globalization, Organic Consumers Association, Acción Ecológica, Isde-Medici per l’ambiente, Pesticide Action Network – Italia e Associazione per l’Agricoltura Biodinamica, e sottoscritto da centinaia di ambientalisti fra cui Vandana Shiva, Adolfo Perez Esquivel, Maude Barlow, Maria Grazia Mammuccini, Carlo Triarico, Patrizia Gentilini e Lucio Cavazzoni, denuncia lo stato di degrado del pianeta dovuto a un sistema economico estrattivista e irresponsabile, sotto il controllo di un pugno di multinazionali, interessato solo a ottenere il massimo dei profitti senza curarsi dei danni provocati a livello sociale e ambientale.

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La pandemia in atto, si denuncia nell’appello, è l’ennesimo esempio di una cattiva gestione delle risorse naturali ma è anche un ulteriore grido di allarme che deve necessariamente essere ascoltato prima della prossima inevitabile calamità. Le organizzazioni internazionali chiedono di non tornare al “business as usual” ma piuttosto di supportare le iniziative “bottom up”, già attive su moltissimi territori e basate sul rispetto dell’ambiente e del lavoro, per promuovere una fase di transizione verso sistemi economici democratici, equi ed ecologici. In particolare, è il sistema di produzione agricola industriale a confermare, anche in questa occasione, la sua insostenibilità. La corsa alla deforestazione, per ottenere nuove terre da sfruttare per piantagioni e allevamenti, crea le condizioni ideali per la diffusione di nuove epidemie: «Invadendo gli ecosistemi forestali, distruggendo gli habitat delle specie selvatiche e manipolando piante e animali a scopo di lucro, creiamo le condizioni per nuove epidemie. Negli ultimi 50 anni sono emersi fino a 300 nuovi agenti patogeni. È ben documentato che circa il 70% degli agenti patogeni umani, tra cui HIV, Ebola, Influenza, MERS e SARS, sono emersi quando gli ecosistemi forestali sono stati invasi e i virus sono passati dagli animali all’uomo (salto di specie). Quando gli animali sono costretti a vivere in allevamenti industriali per massimizzare i profitti, nascono e si diffondono nuove malattie come l’influenza suina e l’influenza aviaria».
Agricoltura industriale e allevamenti intensivi contribuiscono alla crisi sanitaria e a debilitare i nostri sistemi immunitari rendendoci ancora più esposti a nuove malattie: «L’agricoltura industriale ad alta intensità chimica e i sistemi alimentari industriali danno origine a malattie croniche non trasmissibili come difetti congeniti, cancro, disturbi endocrini, diabete, problemi neurologici e infertilità. In presenza di queste condizioni preesistenti, che sono alla base della compromissione del nostro sistema immunitario, la morbosità del Coronavirus aumenta drammaticamente».

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È allora necessario ripartire favorendo processi di localizzazione e di economia circolare: «Durante la crisi del Covid-19 e nella fase di ripresa post-coronavirus dobbiamo imparare a proteggere la Terra, i suoi sistemi climatici, i diritti e gli spazi ecologici delle diverse specie e dei diversi popoli – indigeni, giovani, donne, contadini e lavoratori. Per la Terra non ci sono specie sacrificabili e non ci sono popoli sacrificabili. Tutti noi apparteniamo alla Terra. Per evitare future pandemie, carestie e un possibile scenario in cui le persone vengano considerate sacrificabili, dobbiamo andare oltre il sistema economico globalizzato, industrializzato e competitivo. La localizzazione lascia spazio alla prosperità delle diverse specie, delle diverse culture e delle diverse economie locali. Dobbiamo abbandonare l’economia dell’avidità e della crescita illimitata, basate sulla concorrenza e sulla violenza, che ci hanno spinto a una crisi esistenziale e passare a una “Economia della cura” – per la Terra, per le persone e per tutte le specie viventi».
I membri della coalizione planetaria firmatari dell’appello si impegnano infine a sollecitare ed esortare le autorità e i rappresentanti dei governi dei rispettivi paesi, città e comunità, a favorire il passaggio a un paradigma in cui la responsabilità ecologica e la giustizia economica siano il fondamento per la creazione di un futuro sano e prospero per l’umanità. A questo scopo, le organizzazioni indicano una serie di azioni per favorire la transizione fra cui la protezione della biodiversità, l’impulso al biologico, la sospensione dei sussidi pubblici all’agricoltura industriale con la contestuale promozione dell’agroecologia e delle produzioni locali, la fine del sistema delle monocolture, delle manipolazioni genetiche e degli allevamenti intensivi di animali, il contrasto ai cambiamenti climatici e la tutela della sanità pubblica.

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Foto tratta dalla pagina Facebook di Navdanya International

Dichiarazioni:

Vandana Shiva, Navdanya International: «Un approccio sistemico all’assistenza sanitaria in tempi di crisi del Coronavirus non si occuperebbe solo del virus, ma anche di come le nuove epidemie si stanno diffondendo mentre invadiamo le case di altri esseri. È necessario affrontare il sistema alimentare industriale non sostenibile, antinaturale e malsano alla base dell’epidemia di malattie croniche non trasmissibili. I sistemi alimentari globalizzati e industrializzati diffondono le malattie. Le monocolture diffondono le malattie. La deforestazione diffonde malattie. L’emergenza sanitaria ci costringe a deglobalizzare e dimostra che, se c’è la volontà politica, possiamo farlo. Rendiamo permanente questa deglobalizzazione e la transizione verso la localizzazione».
Fernando Cabaleiro, Naturaleza de Derechos – Argentina: «Questa pandemia ci dice che il sistema di accaparramentoaccumulazione che governa le economie mondiali, e con esse la vita, la salute della terra e delle persone e della biodiversità, ha raggiunto il suo punto di svolta: la sua elevata vulnerabilità è stata esposta dimostrando che è giunto il momento che la politica ascolti tutte le organizzazioni, le assemblee, le persone, i contadini e le popolazioni indigene che da ogni angolo del pianeta già denunciavano e mettevano in guardia da disastri di questo tipo. In questa Giornata della Terra, la società civile globale si unisce in un unico grido di speranza».
Nnimmo Bassey, Health of Mother Earth Foundation (Homef) – Nigeria: «Il mondo è a un bivio. Questo è il momento di smettere di bruciare il Pianeta, dobbiamo lasciarci alle spalle l’era dei combustibili fossili, riconoscere i diritti della Madre Terra e punire l’ecocidio in tutte le sue forme».
Patrizia Gentilini, Isde – Italia: «Non possiamo continuare ad illuderci di essere sani in un mondo malato: la pandemia ha mostrato tutta la fragilità di un sistema predatorio, iniquo e violento nei confronti delle persone e del Pianeta. Tanto meno possiamo pensare di uscire dalla crisi sanitaria, economica e sociale rimanendo ancorati o addirittura prigionieri dello stesso modello di sviluppo e di consumo che ci ha portato ad essa e dobbiamo capire che neppure la tecnologia ci salverà, perché sarà utilizzata non per renderci più liberi, ma piuttosto sempre più schiavi, controllati e succubi. Da questa crisi possiamo uscirne più consapevoli e solidali, imboccando finalmente la strada giusta, ma anche purtroppo, peggiorando ulteriormente le cose e questo purtroppo vediamo profilarsi all’orizzonte».


Leggi e firma il Comunicato per la Giornata della Terra

Visualizza i firmatari

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/04/giornata-della-terra-chiediamo-stop-deforestazioni-sostegno-agroecologia/

Ecco perché gli ogm non sfameranno il mondo

La lobby del biotech ci ha provato fin dall’inizio con i ricatti emotivi: gli ogm risolveranno il problema della fame nel mondo, ci siamo sentiti ripetere per anni. Ma è quanto di più lontano dalla realtà ci possa essere. Ecco perché, nel rapporto del Canadian Biotechnology Action Network (CBAN).ogm_pannocchia

Ecco perché gli ogm non sfameranno il mondo.

La lobby del biotech ci ha provato fin dall’inizio con i ricatti emotivi: gli ogm risolveranno il problema della fame nel mondo, ci siamo sentiti ripetere per anni. Ma è quanto di più lontano dalla realtà ci possa essere. Ecco perché.

A Robert Fraley, vicepresidente di Monsanto, è stato consegnato nel 2013 (scatenando polemiche in tutto il mondo) il World Food Prize, un premio, dunque, per il cibo. Fraley è un uomo che dice queste cose: «Ci sono 7,2 miliardi di persone sul pianeta. Ce ne saranno 9,6 miliardi nel 2050. La richiesta di cibo raddoppierà…Solo usando il cibo geneticamente modificato e la scienza  saremo in grado di nutrire il pianeta…Tutto ciò rappresenta un’opportunità di business ed è certo importante da una punto di vita sociale»[1]. Le parole di Fraley fanno fremere di indignazione ma danno l’idea effettiva di ciò che gli ogm sono, nulla più di un’opportunità per fare affari, un modo per arricchire una manciata di individui travestiti da altruisti. [2]  «Nel breve termine può sembrare difficile pensare che io possa fare soldi con gente che i soldi non li ha. Ma nella pratica lo sviluppo dell’agricoltura a livello dei villaggi è qualcosa che può fruttare moltissimo nel tempo». E queste sono le parole di Robert Shapiro, già dirigente di Monsanto (citato nel rapporto del CBAN “Will GM Crops Feed The World”). «Con la parola sviluppo, Shapiro intende la possibilità per Monsanto di assumere il controllo delle politiche agricole e delle strategie, distruggendo i metodi, le conoscenze e le pratiche tradizionali per poterle sostituire con le politiche aziendali [3]» spiega Colin Todhunter, giornalista inglese da sempre impegnato sul fronte ambientale e dei diritti umani; ha vissuto molti anni in India scrivendo per il Deccan Herald, il New Indian Express e il Morning Star. Vogliamo un esempio delle strategie di comunicazione con cui Monsanto e le lobby del biotech tentano di ammantare le loro politiche di altruismo e buonismo, cercando di trasformare chi è critico verso gli ogm in un nemico dei poveri? Lo fornisce il senatore statunitense Charles Grassley: «E’ una vergogna che i leader sudafricani, così evidentemente ben nutriti, preferiscano vedere il loro popolo affamato piuttosto che fargli mangiare lo stesso cibo che noi consumiamo ogni giorno negli Stati Uniti». Ecco qui: i sostenitori degli ogm vogliono convincerci che abbiamo bisogno di questa tecnologia per vincere la fame e nutrire i popoli del mondo. Ci hanno detto che gli ogm sono essenziali, che vanno bene per l’ambiente e che forniranno ai contadini gli strumenti necessari per affrontare i cambiamenti climatici. Ci hanno detto che gli ogm daranno maggiori raccolti e maggiori guadagni agli agricoltori. Ebbene, il Canadian Biotechnology Action Network (CBAN) ha appena pubblicato un rapporto che smentisce, punto per punto, tutte queste affermazioni [4]. Non è certo il primo e non sarà neanche l’ultimo; è un altro tassello che si aggiunge all’enorme mole di evidenze che dimostrano come gli organismi geneticamente modificati siano la peggiore delle strade imboccate. «Innanzi tutto la fame è causata dalla povertà e dalle disuguaglianze – spiega Todhunter, commentando il rapporto – Le persone non sono affamate a causa della produzione agricola insufficiente ma perché non hanno denaro per comprare il cibo, non hanno accesso alla terra per coltivarselo, perché il territorio è stato depredato, perché il sistema di distribuzione alimentare non funziona, perché mancano l’acqua e le infrastrutture per irrigare, conservare, trasportare e finanziare gli agricoltori. Se questi problemi di fondo non saranno risolti e se la catena alimentare rimarrà inaccessibile a chi è affamato e povero, allora un aumento della produzione agricola non servirà». Noi già produciamo abbastanza cibo per nutrire l’intera popolazione mondiale ed era così anche durante il picco della crisi alimentare, nel 2008. L’attuale produzione alimentare è sufficiente per nutrire dieci miliardi di persone. Nel mondo si produce il 17% del cibo in più a persona rispetto a 30 anni fa eppure il numero degli affamati è ancora molto alto. La crisi dei prezzi alimentari del 2008 e del 2011 si è manifestata in anni di raccolti da record, dimostrando con chiarezza che tali crisi non sono il frutto della scarsità di cibo. I cereali ogm che oggi sono sul mercato non sono destinati a sfamare gli affamati. Quattro tipi di cereali ogm coprono all’incirca il 100% dei terreni destinati a questo tipo di coltivazione. E tutti e quattro sono stati sviluppati per un sistema agricolo industriale su larga scala, vengono utilizzati soprattutto per essere esportati, per produrre carburante o per confezionare cibi industriali e mangimi animali. Le coltivazioni ogm non hanno prodotto un aumento dei raccolti e tanto meno un aumento nei guadagni degli agricoltori. Le coltivazioni ogm portano ad un aumento nell’utilizzo di pesticidi e causano immensi danni all’ambiente. In India avevano promesso una diminuzione di pesticidi con il cotone Bt, ma ciò non è avvenuto. Le coltivazioni ogm sono coperte da brevetto, appartengono alle multinazionali e generano profitti per le multinazionali. I piccoli agricoltori hanno visto aumentare i loro costi perché devono sempre comprare i semi e soggiacciono ai rischi insiti nell’utilizzo degli ogm. Ne esce un messaggio chiaro: la fame, la sicurezza alimentare e il fatto di poter nutrire il pianeta sono un problema politico, sociale ed economico e come tale va affrontato[5]. La sicurezza, la democrazia e la sovranità alimentare non si ottengono rendendo i contadini dipendenti da un pugno di multinazionali il cui scopo è quello di sfruttare l’agricoltura per massimizzare i profitti. Come anche altri rapporti [6,7], quello del CBAN conclude che abbiamo bisogno di metodologie agroecologiche differenti e sostenibili, sviluppando le economie alimentari su basi locali. Anche perché sono proprio i piccoli agricoltori (che spesso servono comunità locali) ad essere più produttivi dei giganti industriali (che puntano all’export) [8].

1] http://www.globalresearch.ca/weaponization-of-the-food-system-genetically-engineered-maize-threatens-nepal-and-the-himalayan-region/30512

2] http://www.thetimes.co.uk/tto/business/industries/consumer/article4069203.ece

3] http://www.globalresearch.ca/independent-india-selling-out-to-monsanto-gmos-and-the-bigger-picture/5395187

4] http://www.cban.ca/Resources/Topics/Feeding-the-World

5] Glover, Dominic. 2010. Exploring the Resilience of Bt Cotton ‘s “Pro-Poor Success Story”. Development and Change, 41(6), pp.955-981.

6] http://unctad.org/en/PublicationsLibrary/tdr2013_en.pdf

7]http://www.unep.org/dewa/agassessment/reports/IAASTD/EN/Agriculture%20at%20a%20Crossroads_Global%20Report%20(English).pdf

8] http://www.grain.org/article/entries/4929-hungry-for-land-small-farmers-feed-the-world-with-less-than-a-quarter-of-all-farmland

9]http://www.theecologist.org/News/news_analysis/2267255/gm_crops_are_driving_genocide_and_ecocide_keep_them_out_of_the_eu.html

Fonte: ilcambiamento.it

 

Giornata mondiale dell’alimentazione: Actionaid lancia “Operazione Fame”

La fame si può sconfiggere solo cambiando il sistema produttivo e distributivo del cibo, un modello fallimentare che affama non solo i Paesi del Sud del mondo, ma anche 15.7 milioni di persone nei Paesi ricchi. È questo l’obiettivo di Operazione Fame, la campagna di informazione e raccolta fondi realizzata da ActionAid e lanciata ieri in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione.Immagine

 

Sono 842 milioni le persone che soffrono la fame, nonostante al mondo venga prodotto cibo sufficiente a sfamare molte più persone di quelle che oggi lo abitano. La causa di questo squilibrio va ricercata in un sistema di produzione e distribuzione che si è rivelato fallimentare. Cambiare questo modello e creare una “nuova democrazia del cibo” è l’obiettivo di Operazione Fame, la campagna di informazione e raccolta fondi che ActionAid lancia alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Alimentazione. “Per combattere la fame ci vogliono gli strumenti giusti”: è questo il messaggio della campagna, il cui simbolo è proprio un cucchiaio bucato. Un dato rende bene l’assurdità dell’attuale modello: tre quarti delle persone che soffrono la fame, 652 milioni di persone, vivono laddove il cibo si produce. E il 75 per cento dei Paesi che presentano fenomeni di denutrizione sono esportatori di cibo. Al primo posto nella classifica delle aree più affamate della terra c’è l’Asia del Sud con 304 milioni di persone, al secondo posto l’Africa subsahariana con 234 milioni. Ma non sono solo i Paesi più poveri a soffrire la fame, segno che l’equazione “PIL più alto uguale maggiore benessere delle persone” è purtroppo un’illusione. La fame è un problema che colpisce anche 15.7 milioni di persone che vivono nei Paesi industrializzati. La crisi economica e sociale che ha investito i Paesi europei ha prodotto sacche di povertà e molti Paesi si sono trasformati in veri e propri incubatori di disuguaglianze e nuova povertà. Come L’Italia, segnata da gravi paradossi. Nel 2011 il 13,2%, più di 1 famiglia italiana su 10, dichiara di non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni (6,9% nel 2010). Più di sei italiani su cento mangiano alle mense dei poveri. Nel 2012 si registra un aumento del 9% delle famiglie che hanno chiesto aiuto per mangiare: in totale sono 3,7 milioni le persone assistite con pacchi alimentari e pasti gratuiti nelle mense. Sconfortante è il dato della distribuzione anagrafica della povertà, con una forte presenza sul totale di bambini tra zero e cinque anni (379.799) e anziani “over 65” (508.451). Eppure, in Italia lo spreco di cibo della filiera industriale e delle famiglie ammonta a 18,5 miliardi. Il tutto mentre il nostro paese, nel 2011, ha ricevuto dall’UE quasi 100 milioni di euro in aiuti alimentari (Fonte: AGEA). E questa fotografia che coinvolge anche l’Italia, ci racconta uno dei tanti paradossi e delle tante distorsioni di un modello che non funziona. Tradotto in numeri: ogni anno nel mondo finisce nella pattumiera una quantità di cibo pari a 750 miliardi di dollari (Fonte: FAO). Ogni anno i consumatori dei Paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo (222 milioni di tonnellate) dell’intera produzione alimentare netta dell’africa sub-sahariana (230 milioni di tonnellate). “Viviamo in un mondo attraversato da paradossi globali dove c’è chi mangia troppo poco, chi non mangia affatto, chi mangia troppo e si ammala e chi addirittura gioca in Borsa, speculando sui prezzi del cibo” dichiara Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid. “La sfida è costruire una nuova democrazia del cibo dove a dominare non sia solo il mercato, ma tutti gli attori che ne sono coinvolti. Solo ricreando e riequilibrando la relazione tra chi produce e chi consuma, tra chi mangia e chi non mangia, si può immaginare dei ridisegnare un sistema più giusto che garantisca il cibo a tutti”. Un altro modello è possibile ed è quello che ActionAid sta cercando di costruire in un altro Paese pieno di contraddizioni, il Brasile. Si tratta di un paese dal PIL in costante crescita ma con 16 milioni di poveri assoluti: qui ActionAid promuove un modello alimentare alternativo – basato sui principi dell’agroecologia – con l’obiettivo di garantire a quasi 10.000 persone la sicurezza alimentare nella regione semi arida di Bahia, nell’ultimo anno messa in ginocchio da una eccezionale siccità.  A fianco di Operazione Fame si sono schierati personaggi del mondo dello spettacolo: Alex Braga, Lillo e Greg, Frankie HNRG hanno conosciuto le comunità sostenute da ActionAid in Brasile, partecipato ai programmi dei ragazzi delle radio rurali e scoperto le tecniche innovative dell’agroecologia. Insieme a loro Beppe Fiorello, Stefania Rocca, Luca Ward, Paola Marella, Eleonora Daniele, Sebastiano Rovida, Tania Cagnotto, Fiona May, Arianna Errigo, Alessandra Sensini e tanti altri ancora hanno aderito alla campagna.

Fonte: il cambiamento