ORTOBEE, la rete agricola che recupera terreni in abbandono sulle colline genovesi

Davide e Matteo sono due amici accomunati dallo stesso amore per il proprio territorio, le colline genovesi, con la voglia di sporcarsi le mani con la terra, recuperando terreni abbandonati, curando gli animali e ricercando la tipicità dei prodotti agricoli. ORTOBEE è una neonata rete agricola, aperta a gennaio di quest’anno, sulle alture di Genova, che fonde le tradizionali buone pratiche nella cura degli animali e della terra con le modalità d’acquisto del mondo di oggi: i prodotti sono naturali e, per dimostrarlo, ogni passaggio della filiera produttiva viene documentato, da ancora prima della messa a dimora della piantina, perché viene certificata persino la provenienza dei letami utilizzati per concimare i terreni. E poi, il cesto di prodotti viene settimanalmente consegnato sullo zerbino di casa, ordinato con un messaggio Whatsapp.

Da subito Davide e Matteo hanno deciso di sposare un approccio agricolo di tipo naturale, quindi i vari tipi di ortaggi seguono la stagionalità, rispettando i periodi di crescita di ogni prodotto. Mentre chiacchieriamo vedo arrivare Romeo, Giulietta e Apollo, seguiti da Filomena, Sandra, Honey, Happy e Bahamas. «Anche il nostro modo di tosare l’erba è completamente naturale – sorridono – come vedi, pecore e capre ci aiutano a tenere sempre pulito il terreno e noi, in cambio, offriamo grandi spazi da brucare e tutte le attenzioni di cui hanno bisogno».

«Quello che cerchiamo di trasmettere a chi si avvicina a noi è che i prodotti belli non sono necessariamente buoni, per questo le uova le inseriamo nei box esattamente come le raccogliamo, così come le insalate, per esempio, che vengono raccolte mezz’ora prima della consegna: il gusto è sicuramente autentico e poi mangiare prodotti di stagione apporta al proprio organismo gli esatti nutrienti di cui necessita».

Le loro pagine social sono molto seguite e raccontano i loro valori e la vita nell’orto: «Documentiamo praticamente ogni nostra azione sui social perché vogliamo che le persone che ordinano i nostri cesti sappiano esattamente cosa mangiano, come vivono le nostre galline, libere e all’aria aperta, con cosa concimiamo la terra, come imbottigliamo l’olio, come trattiamo le arnie e come potiamo le piante». Così si scopre che molti dei loro frutti nascono da alberi antichi, presenti nel nostro territorio da molti anni, a volte trascurati e non valorizzati o come funzionano gli alveari.

Tra i progetti futuri, è nell’aria l’idea di dare vita a una rete di collaborazioni con altri “farmer” come loro, in modo da allargare la produzione e far fronte a alle numerose richieste di questi mesi. Più nel breve termine, OrtoBee si sta preparando a creare due nuovi pollai utilizzando esclusivamente il metodo di allevamento del Rapace di Beano, un ragazzo di Udine che sta portando avanti una vera “rivoluzione della gallina”, che pensa innanzitutto al suo benessere, trattando questi animali come tali e non come macchine per produrre uova. Ogni uovo ha la sua particolarità, così come ogni gallina ha le sue tipicità e un proprio carattere. E così, la loro voglia di cambiamento investe ogni aspetto di questa realtà agricola, giovane e innovativa.

“Nell’alternarsi delle stagioni, la terra racconta le storie del vento, della pioggia, delle pietre e delle radici e il vero contadino è colui che sa ascoltarle”.Fabrizio Caramagna Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/ortobee-rete-agricola-terreni-abbandono/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Rinascere nella terra, viaggio alla scoperta dell’agricoltura naturale

Dopo un’intervista a Raúl Álvarez, regista di un documentario sui metodi e il significato profondo dell’agricoltura naturale, ho proposto a mio padre, che ha dedicato una vita allo sviluppo di quella convenzionale, di vedere quel film assieme. Due opposte concezioni di modernità a confronto. Sono tornato al Sud per vedere un film con mio padre. Beh, direte voi, cosa c’è di speciale? A parte poche eccezioni, a chi non è mai capitato di vedere un film con un genitore? Un momento, dico io. Aspettate almeno di sapere qual è il film; e pure chi è mio padre. Mio padre si è laureato in agraria alla fine degli anni ’60. Da quel momento ha iniziato a lavorare – lo ha fatto per quasi 30 anni – per una delle più note multinazionali della chimica. Lui al mattino saliva in auto e visitava ogni giorno decine di aziende agricole della sua area di riferimento – quattro fra le più grandi province del Sud – prescrivendo agli agricoltori tipologia e quantità di pesticidi (lui li chiamava antiparassitari) adatti a risolvere questo o quel problema a frutteti e altre colture: parassiti, erbacce, funghi, insetti, infertilità del terreno e quant’altro. A scuola, quando mi chiedevano quale fosse il mestiere di mio padre, io rispondevo con malcelato orgoglio: “Fa il medico; il medico delle piante”.√FrançoisArrival

Il film è “Rinascere nella terra” (titolo originale, “Land awakening”), un documentario indipendente di Raúl Álvarez, regista canadese-messicano che oggi vive in Italia e che ho avuto l’occasione di intervistare qualche giorno fa. Quando suo figlio gli comunica di aver deciso di fare il volontario presso alcune aziende biologiche in Spagna, Raúl prende la sua telecamera e parte anche lui per l’Europa, per un viaggio alla scoperta di diversi approcci all’agricoltura naturale, raccontando la reazione a quell’allucinazione produttivista che in pochi decenni ha impoverito, inquinato e desertificato i più fertili terreni del mondo per ottenere una quantità di cibo talmente sproporzionata rispetto ai bisogni reali dell’uomo al punto che un terzo di essa – 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, secondo la FAO – è finito direttamente in pattumiera e gli altri due terzi sono andati a ipernutrire e avvelenare la popolazione mondiale, causando obesità (soprattutto in Occidente) e altre conseguenze derivate dall’uso smodato di pesticidi: intolleranze, allergie, sterilità, tumori e altre sventure.

 

L’intervista di Italia che Cambia a Raúl Álvarez

 

Durante il suo viaggio, Raúl incontra persone e progetti che gli mostrano alcune delle tante alternative possibili rispetto al modello imperante, fondato sulla subordinazione dell’agricoltura alle leggi dell’economia, rendendo il suo viaggio straordinariamente affascinante: un inglese che a 70 anni si è trasferito in campagna e ha ricominciato tutto da zero; italiani che vivono e operano in comunità agricole; un francese esperto di piante selvatiche in grado di sopravvivere in mezzo alla natura selvaggia nutrendosi esclusivamente di ciò che l’agricoltura convenzionale definisce “erbacce”; una coppia che ha fondato un centro di eccellenza per la diffusione della permacultura e della bioedilizia in Spagna; un contadino greco, allievo di Masanobu Fukuoka, che possiede un’oasi botanica che il regista stesso definisce “paradiso in terra”, ottenuta in pochi anni con il più semplice dei metodi di coltivazione: lasciar fare alla terra.

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Queste e altre storie in un’avventura di 89 minuti selezionati fra più di 70 ore di girato, arricchita da una fotografia splendida che fa da sfondo alle parole di questi innovatori, che definirei con le mani contadini e con la mente filosofi. Un’esperienza che parte con una riflessione, anzitutto spirituale, sul nostro rapporto con la Terra, attraversa l’agricoltura biologica, la permacultura, le fattorie naturali, tutte realtà che utilizzano soluzioni alternative e sostenibili, e si chiude con la consapevolezza che non esiste l’uomo in azione nella natura, ma solo l’uomo come parte di essa. Perché la natura non è un posto da visitare. E’ la nostra casa.

Il trailer del film

“Rinascere Nella Terra” è un film totalmente autoprodotto che, come spesso accade per i film “obiettori”, non è mai entrato nel circuito della distribuzione cinematografica tradizionale. Proiettato per la prima volta alla fine del 2011 allo Slow Food Film Festival in Nova Scotia (Canada), a cui ha fatto seguito la prima europea nello storico ecovillaggio di Findhorn, in Gran Bretagna, è uno di quei documenti che restano attuali per anni. Uno di quei film che possono diventare un punto di riferimento per coloro i quali, specie se giovani, si trovano al guado tra la constatazione che il vecchio mondo ha esaurito la sua capacità propulsiva e sta portando l’umanità al collasso, e la consapevolezza che un altro mondo è possibile, se si capisce al più presto qual è la strada da imboccare. Se volete vedere rapidamente il film, magari con i vostri genitori, fratelli, amici, o con chiunque altro – come mio padre – non abbia ancora incrociato un’occasione per comprendere la verità sul paradigma dominante, potete collegarvi alla pagina Vimeo del film e acquistarlo in streaming per pochi euro. Chi invece ha voglia di esercitare un ruolo più attivo, può contattare direttamente Raúl Álvarez per chiedergli di presenziare ad una proiezione pubblica in qualunque parte d’Italia. Il suo recapito email è raul.films@gmail.com. Buona visione!AlbaAnaïs-2

Ah, un momento. Dimenticavo che adesso vorrete certamente sapere di mio padre, di come abbia reagito di fronte a questo film, lui che non ha mai sfogliato un numero di “Terra Nuova”; lui che ancora oggi, nonostante sia in pensione da anni, continua ad aggiornarsi tramite “L’informatore agrario”, settimanale tecnico-scientifico che (dal sito della rivista) “offre occasioni di verifica e di stimolo per operare sempre meglio ed in modo competitivo”, e sul cui motore di ricerca la voce “permacultura” ottiene zero risultati. Prima di dirvelo voglio che sappiate che, quando gli ho proposto di vederlo, non avevo la pretesa di cambiare la sua mentalità, né mi andava di assumere l’atteggiamento di chi rinnega il piatto in cui ha mangiato, visto che senza il suo impegno in quella multinazionale forse non sarei neanche venuto al mondo (ahimè, il mio tempo da adolescente ribelle è finito da un pezzo). Ebbene, mio padre di 80 anni ha guardato tutto il film in religioso silenzio. Poi ha visto scorrere tutti i titoli di coda, fino all’ultimo dei ringraziamenti. Alla fine è rimasto muto per un altro, interminabile minuto, evitando perfino di armeggiare col telecomando della TV per cercare qualcosa di più interessante su un altro canale, come suo solito. Infine si è alzato e si è allontanato con passo malfermo pronunciando le seguenti tre parole: “Una bella utopia!” Ho aspettato che uscisse dal tinello. Una volta certo che non potesse vedermi, ho lasciato che un sorriso mi si accendesse sul volto. Sebbene non sia suscettibile di realizzazione pratica, un’utopia resta in ogni caso un’aspirazione ideale. Per la prima volta dopo tanti anni mi sono accorto che quel profondo solco culturale scavato proprio sul tema della terra fra me e mio padre, poteva essere superato. E che “rinascere nella terra” potrebbe avere un significato anche personale. Allora mi sono ricordato di una frase di Edoardo Galeano, perfetta per chiudere questo pezzo e lasciare traccia della risposta che il mio amore filiale ha ritenuto non necessario articolare in forma verbale: “Lei è all’orizzonte. […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare“.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/02/rinascere-nella-terra-viaggio-agricoltura-naturale/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

“L’agricoltura del futuro? Piccola, locale e naturale”

Da precario a contadino autodidatta, Gianni Fagnoli è oggi impegnato nel recupero dei frutti antichi della Romagna e, nel suo podere in provincia di Forlì, pratica e promuove quella che considera l’agricoltura del futuro: piccola, locale e naturale. Un approccio rispettoso della terra, che restituisce prodotti sani e gustosi. A Rocca San Casciano, sull’Appennino romagnolo alle spalle di Forlì, si trova un podere che produce frutti antichi e ritrovati della Romagna e che si dedica all’orticoltura naturale, castanicoltura e selvicoltura e allo sviluppo di un modello agricolo differente: piccolo, locale e naturale.PereVolpine

Il podere – chiamato “I Fondi” – appartiene a Gianni Fagnoli, agricoltore autodidatta che, dopo aver conseguito la laurea in scienze politiche, ha lavorato per anni con contratti provvisori (a tempo determinato, co.co.co, a progetto, ecc.). La sua vita cambia a luglio 2015 quando, oltre all’ennesima promessa non mantenuta di un contratto a tempo indeterminato, arriva anche l’occasione di rilevare 13 ettari di terreno a Rocca San Casciano. Insieme alla moglie e alla famiglia, Gianni decide di acquistare il podere e abbandonare una vita lavorativa precaria per dedicarsi a tempo pieno allo sviluppo del progetto “Podere I Fondi”.

“La mia famiglia – ci racconta Gianni – possedeva già una casetta con un ettaro di terreno in quest’area e a luglio 2015 è stato messo in vendita il fondo confinante, che conta circa 10 ettari di bosco più 3 ettari di terreno. Mio padre ha sempre avuto l’orto e mi ha trasmesso la passione per la terra, perciò quando mi è stato negato l’ennesimo contratto a tempo indeterminato, io e la mia famiglia abbiamo deciso di investire nell’acquisto del podere confinante. Il mio obiettivo è di elevare questo podere a presidio della biodiversità attraverso il recupero, la custodia e la riattivazione dell’antico patrimonio varietale e autoctono romagnolo”.I-Fondi-2

“Il lavoro di recupero del fondo è molto impegnativo e solo tre ettari sono adatti alla coltivazione vera e propria, il resto è bosco. Mio padre e mia moglie, quando non lavora, mi danno una mano, ma in genere sono da solo e non ho macchinari. Io lavoro soltanto con le mani e la zappa”, continua, “anche nel ripristino delle opere idrauliche e dei terrazzamenti, nel recupero della boscaglia degradata e nel restauro della storica “marroneta” (cioè il castagneto). Ho un impianto di circa un ettaro e mezzo di frutti storici della Romagna come le pere volpina e santa lucia; le pesche sanguinella e percoca romagnola; le albicocche reali di Imola; le melagrane verde di Russi e grossa di Faenza. Poi, nello spazio tra gli alberi da frutto coltivo la verdura di stagione. Ho anche frutta a guscio (marroni, noci, nocciole), nespole, mele cotogne e mele rosa, ma prediligo i frutti antichi perché, essendo stati selezionati dai contadini in centinaia di anni, sono piante molto rustiche che necessitano di pochissima acqua, hanno radici più resistenti e profonde, i frutti sono molto più saporiti e si conservano a lungo in modo naturale”.13782268_526743547522769_5591926286438914888_n

“Il mio personale approccio all’agricoltura – spiega Gianni – è di tipo sinergico, ma cerco di prendere il meglio da tutte le pratiche agricole naturali, ad esempio la biodinamica e la permacultura. Il terreno agricolo, nei primi 20 cm, è un vero e proprio ‘organismo’ vivente e vitale ed è fondamentale salvaguardarne l’auto-fertilità, avvalendosi della collaborazione degli organismi della rizosfera ed evitando l’aratura, che porta con sé la distruzione della sostanza organica, il dilavamento e la desertificazione del terreno. Qui ai Fondi cerco di rispettare ed assecondare la terra nel suo essere ‘organismo’, per portarne lo stato di salute e vitalità alla sua massima condizione, che è poi quella del ‘suolo forestale’. Per quanto riguarda i 10 ettari di boscaglia, sto cercando di ripulirla da rovi e piante infestanti (la maggior parte delle quali non sono nemmeno autoctone) per poter ripristinare il bosco originario, costituito di carpini, frassini, castagni”.

“L’agricoltura del futuro – conclude Gianni – sarà piccola, locale e naturale: non ha alcun senso distruggere e desertificare sistematicamente la vita del suolo per poi passare alla concimazione e ai trattamenti stabiliti dal modello agro-industriale. Deve farne un tesoro, una ricchezza da valorizzare, investendo in colture attentamente selezionate. Ciò che voglio ottenere qui ai Fondi è un cibo degno di questo nome per valori organolettici, biologici e gustativi, ottenuti rinnovando in modo naturale la fertilità generata dalla terra”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/02/agricoltura-futuro-piccola-locale-naturale/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Ortociclo: la spesa in bicicletta, dall’orto a casa nostra

I prodotti dell’orto si ordinano online e arrivano direttamente a domicilio in sella ad una bicicletta. Partito qualche mese fa a Brescia, il progetto Ortociclo è stato ideato da Andrea Morandi che circa un anno fa ha rivoluzionato la sua vita inventandosi un lavoro. Lui si chiama Andrea Morandi, un trentenne di Brescia con un passato da geometra che da circa un anno a questa parte ha deciso di rivoluzionare la sua vita inventandosi un lavoro che potesse coniugare un modello di vita più sano con le sue idee di incentivazione dei prodotti vegetali a scapito di quelli animali. Nel città di Brescia, due giorni alla settimana, in sella ad una bicicletta speciale, consegna a domicilio frutta, verdure, spezie e altri prodotti come per esempio farine speciali, pasta e legumi rigorosamente Bio.
“Era un’idea innovativa, e all’inizio non è stata priva di difficoltà” racconta Andrea “Ma ancora in zona ci sono agricolture che rispettano la maturazione naturale dei prodotti e che non usano agenti chimici per alterarne le qualità o accelerarne la crescita”.10478434_987961021234459_4396377896809361042_n

Prendendo contatti con diverse aziende agricole, è riuscito quindi a costruire un’ampia proposta di prodotti che sono facilmente visibili sul sito Ortociclo.it  dal quale si effettuano le ordinazioni con la totale trasparenza per quanto riguarda prezzi e provenienza degli stessi. “Il riscontro è molto positivo” continua Andrea “Al momento più conosciuta da privati non si esclude in un futuro anche il coinvolgimento delle attività di ristorazione locali”. Un ragazzo che ha saputo reinventarsi e crearsi un lavoro che lo appaga totalmente, che gli permette di condividere e discutere con un numero sempre maggiore di persone i suoi ideali che vanno di pari passo con un’alimentazione più sana e naturale possibile.

 

 

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/01/ortociclo-spesa-bicicletta-orto-casa/

WWoofing: a scuola di agricoltura naturale

WWOOF Italia mette in relazione i coltivatori con i viaggiatori intenzionati a condividere in convivialità le progettualità e gli stili di vita delle aziende agricole biologiche e biodinamichepresanellaRododendro

Condivisione, conviviali­tà, apprendimento: fare un’esperienza di woo­fing significa impegnarsi e credere in un progetto culturale ricco, sia da parte delle fattorie ospitanti che dei viaggia­tori. Spesso descritta come la pos­sibilità di fare una vacanza a zero spese in fattoria, godendo di vitto e alloggio in cambio di qualche oret­ta di aiuto nelle attività dell’azien­da agricola, il wwoofing è molto di più. Chi si propone come viaggiatore (WWOOFer) dev’essere motivato dalla volontà di fare un’esperienza formativa forte, di vivere il lavoro agricolo a 360 gradi, di condividere tutti i momenti della vita in fat­toria, desco compreso: si tratta di entrare nel mondo dell’agricoltura naturale dalla porta principale, con l’intento di godere di un’esperienza di forte arricchimento umano e cul­turale, oppure in vista di mettersi alla prova in prima persona come agricoltore in una propria fattoria. D’altro canto le aziende agricole che si propongono come ospitanti (hosts) sono spinte dal desiderio di divulgare sia le migliori pratiche dell’agricoltura naturale, sia stili di vita decrescenti, di semplicità volontaria, di rispetto della natu­ra nei suoi ritmi e nei suoi tempi, valori che i viaggiatori possono fare propri e riproporre, adattan­doli, in contesti di vita urbani – si pensi solo al bagaglio di tecniche di autoproduzione che è possibile apprendere in una fattoria.

WWOOfing: come si fa? Ma come si fa a fare wwoofing? Come si mette in contatto domanda e offerta? «WWOOF è una rete internazionale di associazioni che intendono soste­nere lo sviluppo della cultura e della pratica dell’agricoltura naturale – ci spiega Claudio Pozzi presidente dell’Associazione WWOOF Italia. La nostra associazione è nata come movimento informale all’inizio degli anni Novanta e si è costituita come associazione nel 2000. Attualmente WWOOF Italia è un’associazione di promozione sociale che mette in relazione i coltivatori con i viag­giatori intenzionati a condividere in convivialità le progettualità e gli stili di vita delle aziende che vanno a visitare. Chi s’iscrive contatta diretta­mente le aziende che più lo stimola­no e stabilisce con loro un periodo di convivenza e le modalità dello scam­bio a seconda delle attitudini e degli interessi. I soci viaggiatori hanno, attraverso Caes, una copertura assi­curativa per infortuni e RC. La lista italiana WWOOF include aziende agricole di piccole e medie dimensio­ni, biologiche e biodinamiche: alcuni soci vivono delle loro coltivazioni e vendono i loro prodotti, mentre altri vogliono solamente essere autosuf­ficienti, o semplicemente coltivare i propri ortaggi biologici. I soci host non si aspettano dal WWOOFer conoscenza dei lavori agricoli al momento dell’arrivo in azienda: le aziende che conducono sono dei cen­tri educativi! Ciò che si aspettano è la voglia d’imparare, di collaborare alle attività, la capacità e la curiosità di adattarsi al loro stile di vita».

Perché scegliere il WWOOfing Con 600 aziende associate e circa 4500 viaggiatori nel 2012, l’espe­rienza del WWOOFing sembra susci­tare sempre più interesse, anche se la maggior parte dei WOOFers è di provenienza estera: sempre nel 2012 l’Associazione WWOOF Italia ha registrato circa 1800 viaggiatori pro­venienti dall’Italia, e i restanti 2700 circa dal resto del mondo, con una preponderanza dagli Usa. «WWOOFing – continua Claudio Pozzi – non è una vacanza economi­ca. È un’organizzazione volontaria per diffondere la cultura e la pratica dell’agricoltura naturale, per soste­nere i produttori nel loro impegno. Se state cercando solamente un modo per viaggiare e vedere l’Italia in modo facile WWOOF non fa per voi. WWOOFing è un’esperienza che rende possibile uno scambio umano e culturale fra persone di diversa provenienza: la pratica concreta dei ritmi della vita agricola permette di vivere in prima persona gli sforzi che i piccoli agricoltori fanno per rico­struire un buon equilibrio fra l’uomo e la natura garantendo la disponibi­lità di cibo sano. La più importante qualità di un WWOOFer è quello di potersi inserire e adeguare a tutte le diverse attività che si svolgono in ogni fattoria. Gli hosts si aspettano un’interesse generale per quello che fanno, e per il modo in cui vivono, che partecipiate volentieri a sostegno del loro progetto, dando anche una mano con i compiti di casa (lavare i piatti o cucinare) per non creare più lavoro per il vostro host. Tutti gli host sono molto impegnati e molti vivono con poche risorse. È impor­tante accettare e rispettare questo fatto. L’host deve garantirvi vitto e alloggio (potrebbe esserci una stan­za per i viaggiatori in fattoria, ma potrebbe essere anche solo una tenda, oppure la tenda dovreste portarla voi), dovrebbe stare con voi più spes­so possibile insegnandovi qualcosa sulla produzione, sulla vita dell’agri­coltore naturale e sulle tecniche da lui adottate. È molto probabile che vi troverete a fare da soli alcune cose, a volte un po’ noiose, l’agricoltura è anche pratica Zen!».

Informazioni:wwoof.it – il sito dell’associazione WWOOF Italia, wwoof.org – il sito della rete internazionale WWOOF

Fonte: vivi consapevole.it

WWOOF, agricoltura in condivisione. Intervista a Claudio Pozzi

Sostenere l’agricoltura naturale e condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura. Questa l’idea da cui nasce l’organizzazione WWOOF. Per saperne di più abbiamo intervistato Claudio Pozzi, presidente di WWOOF Italia.orto_agricoltura

Condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura. È questa l’idea da cui nasce l’organizzazione WWOOF. Per saperne di più abbiamo intervistato Claudio Pozzi, presidente di WWOOF Italia.

Vuoi presentarti? Quali sono state le tue esperienze e come sei arrivato a fare il presidente di WWOOF?

C’è un collegamento anche con la vostra storia. Risalendo all’indietro… nel 1993 sono diventato socio di MAG6, la cooperativa finanziaria di Reggio Emilia e poco tempo dopo in un momento in cui stavo collaborando con l’associazione ‘Piccole città dell’Italia centrale’ ho conosciuto Paolo Ermani e ho partecipato al primo corso su risparmio energetico ed energie rinnovabili del centro tedesco con cui lui collaborava a quei tempi ed abbiamo iniziato a collaborare sul progetto della casa mobile più che altro, che è stato il focus dell’attività di Paolo in Italia per diversi anni. Quindi collaboravo con MAG, con Paea che ancora non si chiamava Paea e sentivo l’esigenza di mettere in pratica uno stile di vita legato all’autosufficienza. Pur abitando in campagna non avevo a disposizione una terra neanche per fare un orto e quindi ero alla ricerca di un posto dove mettere in pratica questa passione. Fino a che non sono finito nel ’96 a collaborare in un podere qui nella provincia di Pisa dove si faceva già allora permacultura e fitodepurazione, insomma era un podere abbastanza sperimentale. In questo podere era nata una delle prime liste italiane di WWOOF che era un movimento internazionale. Le aziende ed i viaggiatori italiani che volevano partecipare facevano riferimento alle liste di altri paesi, quindi WWOOF Australia, WWOOF Germania, Inghilterra. Quindi Casolare Acqua chiara e parallelamente un’altra fattoria in Umbria all’insaputa l’uno dell’altro hanno iniziato a stilare una lista di piccole fattorie italiane. Erano liste veramente piccole: la lista di Casolare Acqua Chiara quando l’ho conosciuta contava 21-22 aziende, era addirittura scritta a mano perché i ragazzi che la gestivano erano contrario all’utilizzo dei mezzi elettronici. Uno dei miei ruoli all’interno del casolare Acqua Chiara oltre a curare l’orto ed ospitare i WWOOFers era quello di curare la crescita e la formalizzazione di questa associazione anche perché potesse dare lavoro a chi se ne occupava. Quindi l’ho curata e fatta crescere per due/tre anni fino a che grazie alla legge sul volontariato non sono riuscito a scrivere uno statuto e a formalizzarla. Nasce con un profondo spirito Mag tanto che tra i firmatari dell’atto costitutivo c’erano tre soci MAG che avevo coinvolto nel sottoscrivere l’atto costitutivo proprio perché mi dessero una specie di viatico da un punto di vista etico/formale. Chiaramente è stata una scommessa un po’ dura perché proprio per le esperienze associative che avevo vissuto fino a quel momento sapevo che fondare un’associazione fra persone che non si conoscevano fra di loro e che sono molto distanti fisicamente non sarebbe stato facile, tanto è vero che oggi dopo 16 anni devo dire che la maggior parte dei nostri soci ci percepiscono più come una società di servizi che non come un’associazione.wwoof_italia

A quando risale quindi l’atto costitutivo di WWOOF Italia?

L’atto costitutivo risale al ’98-’99, quando l’associazione aveva raggiunto un numero sufficiente a giustificare una polizza assicurativa, poi nel frattempo un altro passaggio è stato quello di conoscere le persone che stavano portando avanti il progetto CAES (Consorzio Assicurativo Etico e Solidale) ed affiancarle, contribuire in qualche modo al loro progetto presentandoli in MAG, cercando insomma di costruire rete intorno a loro perché poi comunque la polizza assicurativa era una cosa fondamentale per un’associazione come la nostra. Siamo ‘gemellini’ di Caes anche se non ci frequentiamo molto, ma non saremmo esistiti uno senza l’altro.

Quindi WWOOF Italia nasce ufficialmente nel 2000 e parte dal Casolare Acqua Chiara

Diciamo che nel 2000 l’esperienza del casolare Acqua Chiara era già finita, cioè la proprietaria ha deciso di venderlo, io ero già senza fissa dimora. Quindi diciamo che il movimento WWOOF Italia nasce anche dal Casolare Acqua Chiara ma poi nel 2000 il Casolare non esisteva giù più. In certi anni le cose si svolgono in maniera molto veloce. L’esperienza del casolare Acqua Chiara è durata due anni ma è stata intensissima per esempio.

Puoi darci qualche numero su WWOOF Italia? Quanti sono i soci? C’è stato un trend di crescita in questi anni?

Nei primi due anni, prima della formalizzazione, c’è stata un po’ ‘una forzatura’ nel cercare adesioni per raggiungere il numero che permettesse la nascita di un’associazione. In seguito abbiamo sempre cercato di crescere per passaparola: oltre il 90% delle nostre adesioni derivano da persone che hanno già fatto l’esperienza. Tendiamo a non promuoverci troppo: non è la crescita che ci interessa, siamo più orientati a crescere in consapevolezza, in qualità delle relazioni interne più che a crescere numericamente. L’importante è riuscire a pagare lo stipendio a chi gestisce l’ufficio e coprire le spese dell’associazione. Non siamo un’impresa che deve produrre sempre di più e non a caso abbiamo aderito anche al movimento per la decrescita. Quando abbiamo avuto qualche sbalzo di adesioni (può capitare un anno di crescere più del solito) a noi ha sempre creato qualche problema. Insomma devi sempre riadeguarti: da una gestione familiare stiamo cercando via di professionalizzarci, ma senza che questa professionalizzazione voglia dire estraniamento perché la nostra è un’associazione fondata sulla relazione umana. È chiaro che si parla di agricoltura e di questioni sempre pratiche, ma se non funziona la relazione tra le persone non funziona tutto il resto. Il nostro più grosso problema è quello di essere letti in maniera molto sintetica “io lavoro quanto pastasciutta mi dai” o viceversa “se io ti do un letto allora quanto mi dai”. Non è una forma di reciproco pagamento quello dell’ospitalità e del lavoro e questo è un messaggio difficile da far capire perché l’orecchio della gente va sul messaggio che circola più facilmente che è “c’è la possibilità di scambiare l’ospitalità con il lavoro”. Sì è vero, non potrebbe esistere l’esperienza se non fosse così però mangiare insieme, dormire sotto lo stesso tetto fa parte di una condivisione più ampia.wwoof_italia2

Nel momento in cui io sono una fattoria ospitante mi metto nella condizione di condividere il più possibile del mio stile di vita cercando di trasmettere agli altri le mie competenze, cercando di spiegare il perché ho fatto certe scelte piuttosto che altre, perché sono venuto a star qui, perché ho deciso di coltivare questo piuttosto che altro… Cerco di mettere a disposizione il mio luogo, le mie scelte, le mie competenze e perché no anche parte del mio tempo libero, per cui si può anche andare a bere una birra insieme in un posticino simpatico, andare a fare un bagno nel torrente, andare a visitare i dintorni. D’altra parte chi viaggia e va a visitare un’azienda non va lì per avere un tetto e del cibo che paga con il lavoro, non è quello il senso. Il senso è andare ad immergersi nel ritmo, nello stile di vita di una famiglia, di una comunità, di un’azienda perché curiosi di quello che succede lì e per la voglia di condividere e di conoscere e, perché no, di portare anche le proprie di conoscenze. Girano anche dei WWOOFers che hanno competenze, magari le hanno acquisite anche facendo i wwoofers.

Questo è lo spirito dell’associazione sia all’Italia che all’estero o ci sono delle differenze tra il circuito italiano e quello internazionale?

Noi ci concentriamo di più su questo aspetto educativo e di convivialità e non a caso abbiamo aderito a Reti semirurali, abbiamo aderito al movimento della decrescita anche se questa è un’adesione un po’ sulla carta, siamo soci di Mag6 e siamo soci di Banca Etica, cioè cerchiamo di trasmettere dei valori e delle opportunità ai nostri soci perché possano alzare lo sguardo e fare rete sul loro territorio.

Quali sono le caratteristiche richieste a chi vuole entrare a far parte dell’associazione?

Per quanto riguarda i viaggiatori (WWOOFers) la voglia di partecipare ai ritmi e allo stile di vita di chi ti ospita in campagna. Non sono richieste professionalità ed esperienze pregresse e non c’è un filtro su chi aderisce per viaggiare. Chiunque una volta compiuta la maggior età può aderire. Sulle aziende invece facciamo un po’ più di filtro per ovvi motivi perché vogliamo conoscerli, sapere bene qual è la loro motivazione. Abbiamo la possibilità di conoscere le aziende un po’ meglio mentre sarebbe impossibile poter conoscere 5000 viaggiatori che arrivano da tutte le parti del mondo prima di accettare l’adesione. È importante che leggano il regolamento e lo sottoscrivono.

E le aziende? Quali requisiti devono avere?

Di aziende ne abbiamo un po’ di tutti i tipi. Il movimento soprattutto quando era informale era formato in particolare da aziende che non erano aziende: aziende è un termine che noi usiamo forse perché non siamo riusciti ad inventarcene un altro, ma non è detto che chi aderisce sia effettivamente un’azienda agricola. Può essere anche qualcuno che ha un’abitazione nella quale tende ad autoprodursi l’olio, le verdure o altro senza farne un’attività professionale. A noi interessa capire quali sono le motivazioni che li spingano: se dicono ad esempio “ho bisogno di qualcuno che mi aiuta a raccogliere le olive” tendiamo a rispondere che forse WWOOF non è il posto adatto e che ci sono altri sistemi e altri modi. Cioè se la tendenza è quella a trovare manodopera a basso costo non ci interessa. Noi vogliamo trovare realtà aziendali o non aziendali, la certificazione ci interessa poco, ci interessa che la pratica sia di agricoltura naturale ma poi vogliamo che le persone abbiano voglia di ospitare e di vivere in convivialità con le persone che ospitano.wwoof_italia_4

Non pensi che il sistema adottato da WWOOF rischia di favorire lo sfruttamento del lavoro gratuito?

Noi stiamo molto attenti che questo non succeda, poi sono i viaggiatori che dovrebbero darci un feedback: se si trovano a disagio sono invitati a segnalarcelo. È successo che qualche azienda che non aveva dei comportamenti corretti è stata sospesa.

Tra i singoli iscritti ci sono delle tendenze? Ad esempio più uomini o più donne, più ventenni o quarantenni?

In linea di massima chiaramente la fascia più rappresentata è quella giovanile, dall’università in poi fino a 30 anni, ma girano anche pensionati o persone che usufruiscono del loro periodo libero per fare questo tipo di esperienza perché magari vogliono capire se la vita agricola fa per loro, o magari vogliono semplicemente entrare in contatto con questo aspetto della produzione agricola. A volte girano interi nuclei familiari, soprattutto all’estero dove è più facile che una famiglia riesca a prendersi un anno sabatico e poi quando rientra a casa non ha problemi a trovare un lavoro. Credo che ci siano più donne che uomini, non una prevalenza enorme comunque.

Cosa bisogna fare per aderire?

Per i viaggiatori: si va sul sito, si legge lo statuto, si paga la propria quota e in genere si entra. Per un’azienda si viene messi in contatto dove è possibile con il coordinatore di zona che visita l’azienda per capire se esistono i requisiti per l’adesione. Laddove il coordinatore non esiste ci penso io tramite interviste telefoniche.

Tu hai mai fatto il WWOOFer?

Non dentro la rete del WWOOF, l’ho fatto prima di conoscere il WWOOF. Il mio avvicinamento alla vita in campagna è stato da una parte facendo l’operaio in un’azienda agricola e nel tempo libero andando a collaborare con amici che avevano aziende biologiche nella zona dove risiedevo allora (andavo e aiutavo a potare, raccogliere, etc.). Da quando conosco il WWOOF ho avuto delle esperienze come ospitante quando ero in un’azienda agricola ma non avendone mai avuto una mia sono sempre state esperienze che sono durate due anni, due anni e mezzo.

Esistono dei circuiti analoghi al WWOOF?

Ci sono altre associazioni che non si occupano specificatamente di ospitalità in agricoltura, ad esempio c’è Workaway. Esistono dei circuiti internazionali ma vengono gestiti più come business. Noi stessi, a volte, quando ci sembra che un’azienda non sia molto adatta al WWOOF consigliamo di guardarsi intorno e di aderire ad altre associazioni che hanno un atteggiamento un po’ più libero.

Credi che il WWOOFing potrebbe essere applicato ad altri campi o è strettamente legato al settore agricolo?

La nostra organizzazione è nata per sostenere l’agricoltura naturale. A volte abbiamo pensato di aprire qualche situazione (magari non urbana) che più che agricoltura possa fare artigianato ma è rimasta poi un’idea sulla carta, non abbiamo spinto in questo senso. Da un certo punto di vista facciamo fatica a stare dietro alla nostra crescita perché dobbiamo trovare nuove persone che si impegnino e che ne condividano lo spirito, che imparino a lavorare in squadra, stare insieme. Non è semplicissimo.wwoof_italia9

Quante persone lavorano a WWOOF Italia?

Per WWOOF Italia lavorano: 1 lavoratore dipendente, 3 collaboratori a partita IVA, 3 consulenti amministrativi, 1 consulente legale ed 1 facilitatrice (per le riunioni). Inoltre vi sono i coordinatori locali, che come me sono volontari. Sicuramente il passaggio dal volontariato alla produzione sociale (avvenuto nel 2005) dunque per noi è stato essenziale perché ci ha permesso di stipendiare anche qualche socio.

Che tipo di visibilità mediatica sta avendo WWOOF Italia?

Si parla di WWOOF, ma noi non cerchiamo la visibilità.

Avete progetti in vista per il futuro?

Abbiamo deciso all’ultima assemblea di aumentare la quota partecipativa proprio per permetterci di sviluppare progettualità condivise. Ora ci sono dei progetti in corso che sosteniamo e riguardano da una parte la diffusione e formazione sulla questione della trazione animale in agricoltura, poi abbiamo contribuito alla campagna ‘Basta veleni’ portata avanti da una coppia di apicoltori piemontesi. Stiamo facendo inoltre un corso di formazione agli agricoltori sulla questione della riproduzione delle sementi di cereali e cercheremo di portare avanti sempre di più questi progetti. È chiaro che devono essere progetti di interesse collettivo e non del singolo.

Nel momento di crisi che stiamo attraversando molte persone e soprattutto molti giovani si stanno avvicinando all’agricoltura e stanno trovando impiego nel settore agricolo. Secondo te perché è importante che le persone si avvicinino all’agricoltura? Cosa ne pensi?

Io ritengo che questo sistema di sviluppo economico e di relazioni sociali sta implodendo. Se vogliamo raggiungere la sostenibilità dobbiamo per forza ritrovare un contatto con la terra.

Fonte: il cambiamento