LaCasaRotta: da cascina abbandonata ad ecovillaggio diffuso dove ritornare a essere comunità.

Una casa “rotta” che riprende vita e viene trasformata in un progetto di ecovillaggio, ma anche una casa che “rompe” gli schemi per sperimentare la bellezza del crescere insieme. Si chiama, per l’appunto, LaCasaRotta e a Cherasco, tra le campagne piemontesi, è divenuto un progetto di vita comunitario che si ispira ai concetti di crescita felice e sovranità alimentare, per trovare insieme nuove “rotte”. Parcheggio, dopo essermi inerpicato per una stradina non segnata dai navigatori e raggiungo un casale. Qui mi accolgono dei bambini che subito mi indicano la direzione da prendere. Vedo dei campi coltivati e un uomo che sta trafficando con un marchingegno che non so identificare: capisco immediatamente che l’uomo in questione è Stefano Vegetabile, uno dei fondatori dell’ecovillaggio LaCasaRotta, nonché il responsabile della parte agricola. Ci presentiamo e subito entriamo in sintonia. Sono già stato qui, qualche mese fa, in occasione di un raduno di Italia che Cambia con degli attivisti cuneesi per creare, tramite tavoli tematici, un documento condiviso che racchiudesse sogni e progetti a cui dare vita sul territorio. In quell’occasione, però, non mi trovavo proprio qui. Ero in quella collinetta che vedo sopra di me, dove si trovano altre case, quelle da cui tutto ha avuto inizio, quelle che erano in effetti rotte e che hanno poi dato il nome al progetto.

Ci troviamo in Piemonte nella zona delle Langhe e, per la precisione, nei pressi della Morra Cherasco, in provincia di Cuneo. Allora, come oggi, mi sento a casa e ho la sensazione che per comprendere al meglio questi luoghi e i sogni che li ispirano ci vorrebbero giorni, forse settimane. Il progetto nasce nel 2011/2012 quando Claudio, Michela e Arianna decidono di fondare un’associazione per promuovere pratiche sostenibili di vario tipo. Nel giro di pochi mesi acquistano una cascina per avviare un progetto sociale e in quest’occasione si uniscono il nostro Stefano, con la compagna Ivana e il figlio Elia, insieme a un gruppo di amici con i quali stavano mappando il territorio. Ed ecco che nasce LaCasaRotta. La partenza è mossa dalla passione più che dalla programmazione. Stefano, infatti, ci confida che al momento dell’avvio del progetto non si sono fatti troppe domande, non si sono chiesti chi avrebbe messo più soldi o chi avrebbe messo a disposizione le case, ma sono partiti, mossi da un sogno e dall’entusiasmo di fare. E così LaCasaRotta viene aggiustata, grazie a una buona parte di lavori realizzati in auto-costruzione. Dopo alcuni anni, nel 2015, Stefano e la sua famiglia trovano una nuova casa, proprio quella dove ci troviamo ora, con 10 ettari di terreno disponibili vicino al fiume. Ed ecco che un nuovo grande passo viene fatto: quello verso il progetto agricolo, sfociato poi un’azienda chiamata “Nuove Rotte”.

Nelle due case e nelle abitazioni situate nei dintorni vivono diversi volontari, alcuni stanziali e altri di passaggio, nonché soci del progetto. Per questo, Stefano ci spiega che il loro è un ecovillaggio diffuso. Come ben specificato nel video che racchiude la loro storia e che qui vi proponiamo, il nome al progetto lo diedero proprio i bambini. Gli adulti, allora, coniarono lo slogan “CasaRotta: rompere le forme verso nuove rotte”.

«Vivere con un gruppo di persone così tanto tempo è una grandissima risorsa, permette di confrontarti su tantissimi argomenti, di rivedere il tuo rapporto con tutto ciò che ti circonda, dai bambini, agli aspetti ideologici, a quelli pratici. Ti confronti con persone che hanno la stessa età e in questo modo si crea una sorta di amore fraterno, con tutti i pro e i contro. Così il rapporto diventa più intimo, proprio come all’interno di una grande famiglia, dove l’accettazione e la comprensione reciproca sono un aspetto fondamentale.

Crediamo molto nel mutuo soccorso e quando uno di noi ha bisogno di un confronto o di un consiglio lo chiede e, se non riesce a parlarne, siamo abbastanza scaltri da comprendere le sue esigenze. Anche perché nelle incomprensioni e nei momenti di difficoltà tutto il gruppo ne risente e per noi è molto importante evitare situazioni che possano creare fraintendimenti».

Per questo motivo tutti gli abitanti dell’ecovillaggio si radunano una volta a settimana, per dare vita a dei cerchi operativi che permettano di confrontarsi sulla visione generale del progetto e almeno una volta ogni due o tre mesi organizzano un cerchio sul “come sto”. Come ci racconta Stefano, «ogni volta che una persona viene accolta nel gruppo, bisogna ricreare gli equilibri ed è molto interessante osservare le nuove dinamiche che vengono a crearsi».

La gente “arriva” alla CasaRotta attraverso le “solite” piattaforme: Wwoof, Work Away, RIVE e chi vuole rimanere per più tempo si impegna a dare un piccolo contributo. Come ci spiega Stefano, «questi sono progetti basati sull’autocoscienza e sull’auto responsabilità, se non c’è questa presa di responsabilità il progetto non sta insieme. Ed è importante che le persone accettino ciò, soprattutto quelle che hanno l’illusione che nell’eco-villaggio funzioni tutto in modo paradisiaco. Dopo un po’ cambia il concetto di libertà e responsabilità che ognuno ha e questo dà la possibilità di potersi esprimere ed essere se stessi».

Il cibo è al centro delle numerose attività che svolgono, oltre che il cuore dell’azienda agricola, che è biologica e in parte biodinamica. Qui vengono coltivati cereali, frutta e verdura. C’è una piccola vigna e ci sono galline e pecore che “tagliano l’erba” e concimano il terreno. La logica che muove le coltivazioni non è la massimizzazione della produzione ma la costruzione di ecosistemi equilibrati e sempre più ricchi.

«Vogliamo invertire completamente il pensiero di una agricoltura classica dove decido di produrre in base al mercato e tutto il sistema si adegua a questa domanda. Qui facciamo esattamente il contrario. Cerchiamo di creare un ecosistema che sia sempre più ricco, sempre più biodiverso e pieno di relazioni. Gli aspetti economici vengono in seguito».

Stefano è un antropologo e ha cercato di portare in questo luogo anche concetti e pratiche di agricoltura indigena. Dalle pratiche sono nati anche dei corsi e una vera e propria scuola, la “Scuola di agricoltura indigena”. Questo però non è l’unico corso che si tiene qui (o via web quando le restrizioni non lo concedono). LaCasaRotta, infatti, ospita molti corsi ed eventi organizzati da diverse associazioni, nonché progetti di valorizzazione del Fiume Tanaro da un punto di vista storico, antropologico e culturale. Anche qui, la parola chiave è eco-sistema. Riparto. E mentre viaggio, da solo, ripenso alle emozioni della giornata. Sono certo che tornerò in questo luogo intenso e vivo e che ancora una volta, in strade spesso non segnate dal navigatore, cuori nobili pulsano e costruiscono un mondo complesso e funzionante, biodiverso e sistemico, eco-sistemico.

In attesa di andare a visitarlo… non vi resta che guardare il video!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/12/lacasarotta-cascina-ecovillaggio-ritornare-essere-comunita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Nasce la Scuola di Agricoltura Indigena

L’idea è del gruppo che ha deciso di costituire l’ecovillaggio “La casa rotta”, a Cherasco, in provincia di Cuneo. Hanno dato vita a un progetto che hanno chiamato “Scuola di agricoltura indigena”, «e cioè un’agricoltura che non distrugge la vita ma la genera continuamente» dicono gli ideatori.

La Scuola di Agricoltura Indigena nasce dallo sviluppo del progetto in agroecologia dell’ecovillaggio La Casa Rotta e dell’organismo agricolo Nuove Rotte.

Il termine “indigeno”, come spiegano i promotori, ha un’etimologia latina e significa “generare”.

«Ci piace usarlo perché la parola GENERARE indica un’agricoltura che non distrugge la vita ma la genera continuamente – spiegano dall’ecovillaggio “La casa rotta” – L’agricoltura indigena attinge a tecniche non solo locali e pone l’accento sull’intima relazione che esiste tra l’essere umano e l’universo».

«Con agricoltura indigena intendiamo l’insieme di tutte le osservazioni, le tecniche e le conoscenze che per migliaia di anni hanno accompagnato l’evoluzione e la sopravvivenza dell’uomo, inserendolo all’interno di un ambiente in modo armonico – spiegano ancora dall’ecovillaggio – Spesso in passato l’agricoltura era di competenza non solo dei contadini ma anche dei sacerdoti, dei monaci, degli alchimisti e di tutti coloro che studiavano la vita e il suo mistero e la natura in genere era il campo di indagine perfetto. È un patrimonio ricchissimo che va riscoperto: il nostro compito principale è rinnovarlo e adattarlo per renderlo comprensibile ai problemi della nostra epoca (ad esempio l’inquinamento o i cambiamenti climatici) o alla modernizzazione, al nuovo stile produttivo e alle nuove tecniche e tecnologie».

La biodinamica e la permacultura sono buoni esempi di sincretismo tra antico e moderno in agricoltura e «nella scuola di agricoltura indigena  si attinge a queste due grandi pratiche filosofiche e a una miriade di ulteriori tecniche, tradizioni, esperimenti».

Inoltre i membri dell’ecovillaggio propongono un lavoro di osservazione interiore che precede il lavoro in campo.

«In tutte le culture indigene c’è sempre stato e ci sarà sempre un rapporto univoco e preciso tra il microcosmo (l’uomo) e il macrocosmo (l’ambiente): ciò che osservo dentro lo posso trovare fuori e viceversa, sicuramente in forma diversa ma con lo stesso principio che le unifica. Questo permette un duplice vantaggio: poter osservare da entrambe le parti la stessa cosa, pensarla, sentirla e praticarla nel modo giusto al momento giusto ti permette di padroneggiare la tua conoscenza in qualunque situazione! Quindi, in sintesi, durante ogni lezione cerchiamo di percepire dentro di noi quello che poi mettiamo in pratica in campo».

La Casa Rotta non è nuova a questo tipo di progetti; si pone infatti come una sorta di polo di ricerca pratica di agricolture naturali e stili di vita che arricchiscono l’individuo sia sul piano fisico che spirituale. «Ha cioè l’obiettivo di aumentare la sinergia tra l’uomo e la natura lavorando molto sull’atteggiamento dell’essere umano quale essere sociale e naturale – spiegano i promotori – La pratica dell’agricoltura indigena oltre che aiutare la Madre Terra e produrre cibo nutriente e vitale, infonde responsabilità, coraggio e creatività perché propone un processo di conoscenza e auto conoscenza continuo molto profondo».

La Casa Rotta, tramite l’agricoltura indigena, crea collegamenti tra individui, hobbisti e aziende che vogliano autoprodursi il cibo, conoscere la natura  facendone il proprio lavoro. «In un’era permeata di individualismo e di digitalizzazione, dove il tessuto sociale è iperconnesso ma nella concretezza della vita reale è sempre più sfibrato, la creatività e la collaborazione nella visione e nella pratica sono qualità fondamentali per nuovi modi di fare impresa tra le persone. La manualità unita alla conoscenza vera e interiore dei processi è una qualità sempre più preziosa dato il continuo sovraccarico di informazioni puramente mentali con cui il nostro essere viene sollecitato quotidianamente».

Ma vediamo cosa offre la scuola di agricoltura indigena.

«L’agricoltura ha senza dubbio tanti ruoli – spiegano i promotori – produrre cibo per altri esseri, cibo che può essere una medicina per corpo, mente e spirito; creare relazioni tra individui e opportunità di avvicinarsi ai grandi misteri della natura. L’agricoltura è una delle attività umane con le più grandi potenzialità perché permette di: osservare e interagire con tutti i regni; vivere in interazione diretta con loro in tutte le sue fasi compresa quella della nascita e della morte (i due più grandi e affascinanti avvenimenti della vita di tutti gli esseri viventi); osservare le relazioni tra gli esseri e le straordinarie bellezze della Natura; allargare la sfera delle relazioni al Cosmo, ai pianeti alle costellazioni».

«In questo modo nasce un nuovo agricoltore che è in relazione con se stesso e allo stesso tempo un coordinatore armonioso, in quanto l’agricoltura indigena è una sintesi tra scienza, mistica, filosofia e arte. La scuola ha la finalità di formare agricoltori come guardiani del paesaggio, in grado di osservare, conoscere e agire, abili nel capire le strategie da usare nei vari contesti. Per arrivare a questo verranno insegnate varie linee guida e le ricette base da applicare nelle diverse situazioni, sia di progettazione, sia di pratica quotidiana che di emergenza,  in modo da saper far fronte a ogni situazione. L’agricoltore è la chiave: molto più che la pratica agricola, la sua forma mentis, la sua moralità e la sua capacità di ‘sentire’ l’ambiente, la sua fantasia creativa verranno sollecitate in modo che si sviluppi la percezione su più piani».

La Scuola di Agricoltura Indigena si rivolge chi si approccia per la prima volta all’agricoltura e lo vuole fare in un modo totalmente rispettoso della natura conoscendo e usando le forze che ci mette a disposizione; a chi ha un progetto di comunità intenzionale o ne è attratto e vuole muoversi verso l’autosufficienza alimentare; ai piccoli coltivatori interessati ad una nuova metodologia di coltura sostenibile/rigenerativa, produttiva e del tutto rispettosa dell’ambiente; a chi vuole fare un percorso di autoconoscenza attraverso la comprensione delle forze che agiscono nel microcosmo (uomo) e nel macrocosmo (natura/agricoltura)».

Il corso di quest’anno è già iniziato, restano gli appuntamenti di luglio, settembre, ottobre, novembre e dicembre.

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Fonte:ilcambiamento.it