Crisi acqua dolce in Bangladesh per i cambiamenti climatici

La disponibilità di acqua dolce per l’agricoltura e il consumo diretto è minacciata dalle minori piogge e dalla salinizzazioneBangladesh-inondazione-586x390

Il Bangladesh è grande la metà dell’Italia e ospita 160 milioni di abitanti. Questa incredibile densità demografica è dovuta a tre fattori: terra fertile (più di un raccolto all’anno), fertilizzanti chimici e grande disponibilità di acqua dolce: 8000 metri cubi pro capite all’anno, ovvero due e volte e mezzo la quantità italiana. I cambiamenti climatici stanno però colpendo duramente il paese asiatico nella sua risorsa più preziosa in due modi diversi: minori piogge (1) e salinizzazione del terreno. L’innalzamento del livello dei mari non porta infatti solo alla perdita delle zone costiere, ma anche all’infiltrazione di acqua salata nei terreni. Fanno al loro parte anche gli allagamenti da acqua di mare dovuti a monsoni sempre più violenti. In diverse aree la salinità è già arrivata al 2%, molto di più dello 0,5% tollerabile per l’agricoltura e il consumo umano. Gli acquiferi superficiali si stanno svuotando più in fretta del ritmo di ricarica, oppure sono spesso contaminati da metalli pesanti come l’arsenico per cui occorre scavare i pozzi sempre più in profondità. I 28 milioni di persone che vivono in aree marginali o più difficilmente raggiungibili sono inoltre maggiormente a rischio per le inondazioni, l’erosione fluviale e il minore accesso alle risorse. Tutto ciò avviene in un paese in cui la popolazione aumenta di circa 2 milioni di persone ogni anno. Finora la produzione agricola è aumentata più rapidamente della popolazione per cui è stato possibile assicurare a tutti un nutrimento sufficiente, anche se scarso (2).

Il futuro sarà però sempre più legato ai capricci del clima, agli eventi estremi (siccità e inondazioni) e alla irregolarità della portata del Gange, arteria vitale e principale del paese.

(1) Le statistiche recenti non sono disponibili on line, ma secondo il prof. Ainun Nishat dell’Università di Dhaka, le precipitazioni si sono praticamente dimezzate negli ultimi cinque anni.

(2) Ciò è stato ottenuto al costo di una maggiore intensità nell’uso dei fertilizzanti (che inquinano l’aria e l’acqua e riducono la fertilità naturale del terreno); se nel 1980 ne occorrevano 15 kg per una tonnellata di cibo, ora ne servono 25.bangladesh-risaia

Fonte: ecoblog

Sottraiamo e inquiniamo il 54% dell’acqua dolce per agroalimentare e tessile

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Di tutta l’acqua presente sul Pianeta poco meno dell’1% è potabile e solo il 2,5% è acqua dolce (fiumi, laghi, ghiacciai ecc.).Ne sottraiamo il 54% agli ecosistemi e dunque all’intero Pianeta per industria e agricoltura. Oggi è la giornata internazionale dell’acqua, ricorrenza voluta dall’ONU per ricordare quanto questa risorsa sia fondamentale per la vita sul Pianeta. Noi viviamo di acqua e gli ecosistemi che vivono di acqua dolce sono il 7% delle 1,8 milioni di specie conosciute, tra cui un quarto dei 60.000 vertebrati noti e si estinguono mediamente 5 volte in più rispetto alle specie terrestri. Infatti l’uomo si prende il 54% di tutta l’acqua dolce accessibile per usarne il 20% nell’industria e il restante in agricoltura. Secondo il rapporto WWF Living Planet Report 2012 la capacità di autorigenerarsi dell’acqua è diminuita del 37% e del 70% nelle zone tropicali. Ma nonostante la consistente diminuzione l’industria continua a prelevarne il 20%. L’unesco ha stimato che l’acqua che sarà usata per l’industria passerà dai 752 km3 l’anno del 1995 ai 1.170 km3 nel 2025 rappresentando così il 24% del prelievo totale di acqua dolce. E non restituirà solo merci ma anche acqua inquinata. Infatti nelle acque sono accumulate ogni anno dalle 300 alle 500 tonnellate tra metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e di altri rifiuti. Le industrie che inquinano maggiormente sono quelle della trasformazione alimentare responsabile del 40% dell’inquinamento organico.  Ma anche l’industria tessile inquina e tanto. E’ Greenpeace international a portare avanti con la campagna Detox per avere industrie meno inquinanti e come ha spiegato l’attivista cinese Tianjie Ma a capo di Greenpeace East Asia’s Toxic Campaign: Lo scorso mese il governo cinese ha riconosciuto per la prima volta l’esistenza di” villaggi del cancro, legati all’inquinamento da sostanze chimiche pericolose e ha segnalato volontà di affrontare l’inquinamento delle acque in maniera aperta e trasparente. acqua in modo aperto e trasparente. D’altronde resta clamoroso il caso degli oltre 13 mila maiali trovati morti nel fiume Huangpu a Shanghai probabilmente per aver ingerito l’acqua inquinata. Per ora alla richiesta di disinquinare l’industria tessile, che ha le sue mille fabbrichette proprio in Cina e India, hanno risposto all’appello alcune tra le grandi multinazionali come Zara, H&M, Levi’s, Victoria’ Secret annunciando l’impegno di eliminare tutte le sostanze chimiche pericolose dalle loro catene di approvvigionamento e prodotti. In tutto il mondo un’ondata di modaioli, designer e attivisti si è unita insieme per chiedere vestiti la cui storia faccia sentire orgogliosi.

Fonte:  Comunicato stampa WWF, Comunicato stampa Greenpeace international

 

L’acqua che mangiamo ci farà soffrire la sete dal 2025

L’acqua dolce è poca e ce ne servirà sempre di più in futuro. I beni e le merci per essere prodotte hanno bisogno di acqua e di qui al 2025 almeno i 2/3 della popolazione mondiale potrebbero soffrire la sete.

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L’acqua potabile è una delle risorse più scarse sul nostro Pianeta ma sembriamo non accorgercene e neanche sembra ci interessi. La maggior parte di noi è nato con l’acqua potabile in casa, sia calda sia fredda; acquistiamo merci prodotte con acqua ma non realizziamo questo uso continuo e costante che ne viene fatto e compriamo come assetati, pur non avendone bisogno. L’acqua si mangia e noi ne mangiamo tanta: almeno 3800 chilometri cubi di acqua dolce sono prelevati ogni anno in tutto il Pianeta e se nel 20125 avremo un miliardo di bocche da sfamare in più allora serviranno ancora altri 1000 chilometri cubi di acqua dolce all’anno pari a 20 fiumi come il Nilo. Su Mareeonline l’intervista a Francesca Greco e Marta Antonelli che hanno scritto L’acqua che mangiamo (ed. Edizioni Ambiente euro 25) in vendita dal 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua, che presenta appunto i costi ambientali e economici di quell’acqua virtuale che viene consumata per produrre merci ma che non viene mai conteggiata.

Spiega Francesca Greco:

I consumatori non sono sempre al corrente di cosa ci sia dietro quello che consumano, in particolar modo riguardo all’acqua che viene usata per la produzione dei beni. Per questo motivo ogni consumatore dovrebbe iniziare a conoscere la filiera alimentare dei prodotti che compra e con quale acqua è irrigato. Alcune aziende private stanno cercando di attuare una tutela idrica e già alcune organizzazioni internazionali, una su tutte le Nazioni Unite, applicano questo tipo di tutela soprattutto nel settore alimentare.

In ogni caso se volete sapere quanta acqua si consuma per produrre merci sappiate che, come riporta waterfootprint:

  • con 300 litri di acqua si ottiene 1 litro di birra
  • con 1000 litri di acqua si ottiene 1 litro di latte
  • 2500 litri di acqua per avere 1 KG di riso
  • 15400 litri di acqua per avere 1 KG di carne di manzo
  • 10000 litri di acqua ci danno 1 KG di cotone
  • 1600 litri di acqua per avere 1 kg di pane di grano

Certamente le industrie dell’agroalimentare e l’agricoltura dovranno iniziare a porsi il problema e anche noi consumatori iniziando a premiare quelle aziende e imprese che sul serio applicano progetti e programmi per ridurre l’uso e non solo lo spreco dell’acqua.

Fonte: Mareeonline