Smartphone, entro il 2020 saranno i dispositivi più inquinanti soprattutto a causa delle emissioni

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Lo dice uno studio canadese: “Per ogni messaggio di testo, per ogni telefonata, ogni video che carichi o scarichi, c’è un centro dati che fa in modo che questo accada e che consuma molta energia derivante da combustibili fossili. È il consumo di energia che non vediamo” . Secondo uno studio della  Mcmaster University di Hamilton (Canada) gli smartphone saranno i dispositivi più dannosi per l’ambiente entro il 2020, non solo per la mole di rifiuti dovuti all’obsolescenza programmata, problema ormai noto, ma anche per l’impatto sulle emissioni nocive generate dalla loro produzione e dal loro utilizzo. Il professor Lotfi Belkhir, docente di Total Sustainability and Management alla Mcmaster University e autore della ricerca, ha studiato l’impronta di carbonio di dispositivi come smartphone, laptop, tablet, desktop, ma anche dei data center e delle reti di comunicazione, scoprendo che le Tecnologie di Comunicazione e Informazione hanno un impatto maggiore sulle emissioni di quanto si pensasse e la maggior parte di queste deriva dalla produzione e dal funzionamento: “Per ogni messaggio di testo, per ogni telefonata, ogni video che carichi o scarichi, c’è un centro dati che fa in modo che questo accada – spiega Belkhir – Le reti di telecomunicazioni e i data center consumano molta energia per servire le persone e la maggior parte dei data center continua ad essere alimentata dall’elettricità generata dai combustibili fossili. È il consumo di energia che non vediamo.”

Tra tutti i dispositivi, le tendenze suggeriscono che entro il 2020 i dispositivi più dannosi per l’ambiente saranno gli smartphone che consumano relativamente poca energia per funzionare, ma la cui produzione ha un impatto enorme sulle emissioni: la maggior quantità di energia è quella che serve per produrre il chip e la scheda madre perché sono costituiti da metalli preziosi che vengono estratti a un costo elevato. Gli smartphone hanno anche una breve vita che guida l’ulteriore produzione di nuovi modelli e questo genera una quantità colossale di rifiuti.”Chiunque può acquistare uno smartphone e le società di telecomunicazioni rendono facile acquistarne uno nuovo ogni due anni”.
Secondo i dati presentati da Greenpeace lo scorso anno, dal 2007 al 2017 stati prodotti 7,1 miliardi di smartphone. Solo nel 2014, secondo uno studio della United Nations University, sono stati prodotti 3 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici legati alla produzione di smartphone. Meno del 16% dei rifiuti elettronici globali viene riciclato. Solo due modelli su tredici, esaminati come parte delle ricerca da Greenpeace Usa e iFixit, avevano batterie facilmente sostituibili. Questo significa che, quando la batteria inizia a scaricarsi, i consumatori sono costretti e sostituire l’intero dispositivo. Nel 2020 le persone che posseggono smartphone saranno 6,1 miliardi, ovvero circa il 70% della popolazione globale. Belkhir lancia un messaggio chiaro alle compagnie: “I centri di comunicazione e data devono passare alle energie rinnovabili quanto prima, non c’è più tempo. La buona notizia è che i data center di Google e Facebook saranno gestiti con energia rinnovabile, ma dev’esserci una politica in atto che faccia in modo che tutti i data center seguano l’esempio.”

Fonte: ecodallecitta.it

Airbus, entro il 2020 arriverà l’aereo a propulsione ibrida

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A giudicare dai progressi fatti dal piccolo E-fan 1.2, il prototipo di aereo elettrico bimotore presentato da Airbus nei recenti air show, le premesse c’erano tutte ma ora è arrivata l’ufficialità: Airbus, Rolls-Royce e Siemens costruiranno entro il 2020 l’E-fan X, un dimostratore di volo che farà da apripista a un futuro aereo di linea con motori ibrido-elettrici.

L’accordo è la diretta evoluzione della collaborazione A-Aircraft Systems House fra Airbus e Siemens, iniziata nel 2016. Le prime prove saranno effettuate su un vecchio BAe 146 con la sostituzione dapprima di uno dei 4 reattori con un motore elettrico da 2 megawatt e successivamente, una volta dimostrata la maturità del sistema, anche di una seconda turbina. Le tre aziende hanno annunciato questa collaborazione rivoluzionaria che riunisce i migliori esperti mondiali in materia di tecnologie elettriche e di propulsione presso la Royal Aeronautical Society di Londra. “L’E-Fan X costituisce una nuova tappa importante del nostro obiettivo di fare del volo elettrico una realtà in un futuro prossimo. Le lezioni che abbiamo appreso grazie a un lungo passato di dimostratori di volo elettrici, che è iniziato con il Cri-Cri, seguito dall’e-Genius e dall’E-Star e che ha raggiunto il culmine con l’E-Fan 1.2, unite ai frutti della collaborazione E-Aircraft System House con Siemens, apriranno la strada a un aereo di linea a corridoio singolo ibrido sicuro, efficiente ed economico. Vediamo nella propulsione ibrida una tecnologia convincente per il futuro dell’aviazione”

ha dichiarato Paul Eremenko, Chief Technology Officer di Airbus.

Il nuovo dimostratore esplorerà le sfide poste dai sistemi di propulsione di grande potenza, come gli effetti termici, la gestione della spinta elettrica, gli effetti dell’altitudine e della dinamica sui sistemi elettrici e le questioni di compatibilità elettromagnetica. Per farlo, sfrutteranno le tecnologie messe a punto finora con i prototipi più piccoli, come appunto l’E-Fan 1.2 di Airbus e l’eFusion di Siemens.

Il volo del dimostratore tecnologico di propulsione ibrida E-Fan X è previsto per il 2020, dopo una campagna completa di prove al suolo che saranno condotte provvisoriamente su un aereo di prova BAe 146, su cui uno dei quattro reattori sarà stato sostituito da un motore elettrico da due megawatt. Verranno inoltre prese delle misure per sostituire una seconda turbina con un motore elettrico, una volta dimostrata la maturità del sistema. L’obiettivo è far maturare tecnologia, performance, sicurezza e affidabilità dei motori ibridi per arrivare presto ad avere aerei passeggeri più economici e sicuri e, al tempo stesso, formare la nuova generazione di progettisti, tecnici e ingegneri che un domani si troveranno a lavorare nel campo dell’aviazione commerciale ibrido-elettrica. Nell’ambito della collaborazione, Airbus sarà responsabile dell’integrazione globale e dell’architettura di controllo del sistema di propulsione ibrido, delle batterie e della sua integrazione con i comandi di volo. Rolls-Royce sarà responsabile dei motori turbo-albero, del generatore di due megawatt e dell’elettronica di potenza e lavorerà sull’adattamento della ventola alla navicella esistente e al motore elettrico Siemens. Siemens, invece, consegnerà i motori elettrici di 2 megawatt, le centraline e gli altri componenti elettronici.

Fonte: ecoblog.it

Entro il 2020 l’idrogeno coprirà il 20% consumi energetici

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Il 20% dei consumi energetici totali coperti dall’idrogeno entro l’anno 2020: è la proposta lanciata in occasione della conferenza sul clima Cop23 di Bonn, presso la quale i 18 leader dell’industria mondiale, uniti sotto l’egida di quello che è stato definito The Hydrogen Council, hanno lanciato una Vision sul ruolo dell’idrogeno sviluppata dalla società di consulenza McKinsey. Il tutto è contenuto in uno studio denominato Hydrogen, Scaling up, che delinea una roadmap completa ed esauriente che spiega l’impatto che l’idrogeno potrebbe avere sulla transizione energetica: lo studio dimostra come l’idrogeno possieda il potenziale per lo sviluppo di un giro di affari di circa 2,5 miliardi di dollari e 30 milioni di posti di lavoro, entro il 2050. Questo andrebbe a ridurre di circa 6 gigatoni le emissioni annuali di CO2 rispetto ai livelli attuali, contribuendo quindi all’abbattimento di quel 20% necessario a limitare il riscaldamento globale entro due gradi centigradi: lo studio prevede che la domanda annuale di idrogeno potrebbe decuplicarsi entro il 2050 raggiungendo gli 80 EJ, andando a coprire il 18% della domanda energetica totale. In un periodo storico in cui si prospetta una crescita della popolazione modiale di circa due miliardi di persone entro il 2050, le tecnologie legate all’idrogeno sembrano possedere un potenziale concreto per una crescita economica sostenibile. Questa nuova roadmap è stata presentata nel corso del Sustainability Innovation Forum in presenza di 18 Senior Member del Comitato, tra cui Takeshi Uchiyamada, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Toyota e Benoît Potier, Presidente e CEO di AirLiquide, accompagnati dal Prof. Aldo Belloni, CEO di The Linde Group, Woong-chul Yang, Vice-Presidente della Hyundai Motor Company e Anne Stevens, Board Member di Anglo American. Durante la presentazione, il Comitato ha lanciato un appello agli investitori, ai decisori politici e alle aziende per trovare quanto prima una soluzione per questa transizione. L’incontro ha visto anche l’annuncio di Woong-chul Yang, della Hyundai Motor Company, che prenderà il testimone di Takeshi Uchiyamada per il ruolo di Co-Chairman e per presiedere il Gruppo al fianco di Benoit Potier a partire dal 2018.

Fonte: ecoblog.it

Oxford, dal 2020 in centro solo veicoli elettrici. Ed entro il 2035 in tutta la città

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Il piano delle celebre cittadina universitaria inglese prevede l’introduzione del divieto totale di circolazione di mezzi a benzina o diesel (senza distinzioni fra vetture private, taxi o bus) in una zona centrale limitata a sei strade entro il 2020 e nell’intero territorio cittadino entro il 2035. Solo veicoli elettrici, tutti gli altri fermi. Oxford punta a diventare la prima città britannica capace di raggiungere l’obiettivo delle ‘zero emissioni’. Lo riporta la stampa del Regno Unito, dando notizia dell’approvazione di un piano da parte delle istituzioni municipali del celebre centro universitario inglese in cui risiedono circa 150 mila persone. Il piano della città prevede l’introduzione del divieto totale di circolazione di mezzi a benzina o diesel (senza distinzioni fra vetture private, taxi o bus) in una zona centrale limitata a sei strade entro il 2020 e nell’intero territorio cittadino entro il 2035. Il municipio è già riuscito a ottenere un primo finanziamento da 500.000 sterline dal governo nazionale per realizzare decine di punti di ricarica per taxi elettrici e altri 800.000 per automobili private elettriche. Prevede inoltre da subito l’introduzione di tariffe di parcheggio scontate per chi guida vetture a elettricità. Il consigliere John Tanner ha dichiarato: “L’inquinamento atmosferico tossico nel centro della città danneggia la salute dei residenti. È necessario cambiare urgentemente passo; la zona a emissioni zero è quello che ci permette di farlo. Ognuno deve dare il proprio contributo, dal governo nazionale alle autorità locali, alle imprese e ai residenti, per porre fine a questa emergenza sanitaria pubblica”.

L’assessore della contea di Oxfordshire, Yvonne Constance ha aggiunto: “Sentiremo tutti coloro che usano il centro città, imprese, compagnie di autobus e taxi, residenti locali … ma abbiamo impostato il lavoro e siamo ambiziosi.”

 

Fonte: ecodallecitta.it

In Francia dal 2020 stop a stoviglie in plastica usa e getta. “Sforzo importante ma la legge rischia di generare qualche messaggio deteriore”

Enzo Favoino, coordinatore scientifico Zero Waste Europe, spiega ad Eco: “La norma consente l’uso di stoviglie usa e getta compostabili ma chiede che siano certificate come compostabili in sistemi di compostaggio domestico. Potrebbe passare il messaggio che si possano degradare in condizioni naturali, quindi abbandonandole nell’ambiente”386181_1

In Francia nel 2020 scatterà il divieto di produzione, vendita e cessione gratuita di stoviglie monouso di plastica. La legge da poco entrata in vigore fa parte delle misure approvate nel luglio scorso nel quadro della “Transizione energetica per la crescita verde” scaturita dalla conferenza sul clima di Parigi del dicembre 2015, la Cop21. Si tratta della stessa legge con la quale nei mesi scorsi sono stati definiti termini e condizioni per il divieto degli shopper monouso in plastica, legge che ha seguito le norme di quella analoga Italiana adottata qualche anno fa. In merito, abbiamo intervistato Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe, uno dei massimi esperti su gestione dei materiali post consumo, riduzione e raccolta differenziata, e da sempre attento ai temi della riduzione delle plastiche e degli standard di settore per la loro sostituzione (standard alla cui definizione ha peraltro partecipato, all’inizio degli anni 2000). “La Francia è il primo paese al mondo a vietare le stoviglie monouso in plastica – dice Favoino – e questo è certamente uno sforzo importante. Lavorando da sempre per superare la cultura dell’usa e getta non possiamo che gioire per questo primo importantissimo segnale, sperando che venga seguito presto dall’Italia (primo paese ad adottare il divieto sugli shopper in plastica) e da altri paesi. Va comunque sottolineato che il provvedimento presenta delle criticità nelle definizioni delle esenzioni e nelle previsioni accessorie, criticità che rischiano di generare confusione”.

Il testo definisce l’elenco dei prodotti – tazze, bicchieri e piatti – che hanno nella plastica la componente strutturale principale, e che verranno vietati, ma consente l’uso di stoviglie usa e getta compostabili. “Il che – spiega Favoino – ha una sua ragione, ad esempio per l’uso in eventi o servizi catering in cui per motivi logistici non è possibile organizzare il lavaggio, o ancora per lo street food in occasione di fiere ed eventi. Ma il problema – aggiunge – è che la disposizione francese richiede che tali manufatti siano compostabili in sistemi di compostaggio domestico“. Favoino sottolinea come questo generi confusione. Perché la ragione, ed il destino, dello stovigliame compostabile non è quello di venire poi incorporato in sistemi di compostaggio domestico, ma di essere un requisito per l’integrazione nei circuiti di raccolta differenziata, destinati poi a centri di compostaggio: “il requisito della compostabilità nei sistemi di compostaggio domestico, oltre a non rispondere a situazioni concrete, tende a generare un messaggio distorto, ossia che il manufatto si possa degradare in condizioni naturali e questo può fare pensare che il requisito della compostabilità sia una risposta all’abbandono nell’ambiente. Così non è e va sottolineato con forza, e tenuto a mente per sperabili disposizioni analoghe in Italia o altrove: la compostabilità non è una soluzione al littering, ma uno strumento per l’integrazione  nei circuiti di raccolta differenziata. Solo in tali condizioni, catering senza sistemi di lavaggio o distribuzione di street food, il compostabile ha una sua ragione d’essere”

La norma richiede poi che i manufatti siano realizzati con materiali bio-based (cioè da fonti rinnovabili) per tutto o in parte. Nello specifico ammette prodotti che contengano un 50% minimo di materiali bio-based nel 2020 ed un minimo di 60% nel 2025. “E’ solo un requisito ancillare, non centrale – spiega Favoino – ma anche  questo potrebbe generare confusione, perché molti potrebbero confondere bio-based con biodegradabile e viceversa, e così non è. Il requisito di componenti bio-based può avere significato nel medio e lungo termine, per una riduzione della dipendenza da materie fossili, ma la condizione primaria da tenere a mente è anzitutto che il manufatto risponda ai requisiti di compostabilità come da standrad europeo EN 13432, che da tempo costituisce il riferimento per l’incorporazione nei sistemi di compostaggio.”

Fonte: ecodallecitta.it

Scorie radioattive in Italia, dal 2020 il deposito unico nazionale

Le ultime informazioni sulla realizzazione del deposito nazionale delle scorie nuclearideposito-unico-scorie-radioattive-italia

Dovrebbe iniziare nel 2020 e terminare nel 2024 la costruzione del deposito unico nazionale delle scorie radioattive in Italia. Il tema è chiaramente molto delicato e i fattori e gli elementi in gioco sono davvero tanti: in primis ovviamente l’aspetto sicurezza; c’è poi il dibattito politico (con alcuni ritardi strategici per aspettare di superare l’Election Day); il confronto tra le parti in campo e le popolazioni locali; l’ipotesi (per ora improbabile) del coinvolgimento di altre nazioni europee per un deposito comune dell’UE. Le centrali nucleari italiane sono spente. Ciò però non significa che il nostro paese non abbia dei rifiuti radioattivi, per ora sparsi in diversi (24) centri temporanei. Inoltre stanno per ritornare da Francia e Inghilterra delle scorie ad alta attività. La faccenda deposito è gestita dalla Sogin, la società dello Stato italiano responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari e della messa in sicurezza delle scorie. E’ la Sogin ad aver realizzato la Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), affidandola poi ai ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, che dovranno prendere la decisione finale sul luogo dove verrà edificato il deposito. La Cnapi non è stata pubblicata, ma si conoscono le linee guida alla base della sua realizzazione. Il luogo prescelto dovrà essere fuori da aree sismiche, zone soggette a frane, zone protette. Non dovrà essere sopra i 700 metri di quota, sotto i 20 metri, a meno di 5km dal mare, a meno di 1km da fer­ro­vie o strade di grande impor­tanza, vicino alle aree urbane e ai fiumi. Secondo quelle che al momento sono solo indiscrezioni, la Sardegna potrebbe essere la regione scelta per ospitare il deposito. Quando il Governo renderà nota la scelta, è facile immaginare che scatterà un braccio di ferro tra la Regione designata e il Governo stesso, per un deposito che per ovvi motivi nessuno vuole avere in casa. Due sono i tipi di componenti che conterrà il deposito: 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività (60% prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari, 40% prodotti dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca) e 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. Ma è proprio necessario che questi rifiuti debbano rimanere in Italia? Per Ermete Realacci, presidente Commissione Ambiente della Camera, “è chiaro che la meta finale dei rifiuti ad alta attività deve essere ottenuta facendo un accordo con Paesi che hanno questo problema dieci, cento volte più di noi e che sono obbligati a gestirlo“. Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, spiega è necessario gestire separatamente i rifiuti nucleari ad alta attività: “Si tratta di piccole quantità che fortunatamente non produciamo più perché le nostre centrali nucleari sono spente. I rifiuti ad alta attività possono essere gestiti in un deposito internazionale a livello europeo“. La questione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari ritornerà prepotentemente al centro del dibattito politico e sociale solo a partire da metà giugno, dopo i ballottaggi delle elezioni amministrative, quando si aspetterà da parte del Governo Renzi la comunicazione del luogo prescelto.

Foto: Centrale elettronucleare Garigliano, da Wikipedia

Fonte: ecoblog.it

Efficienza, emissioni e rinnovabili al 2020: come sta andando l’Europa?

L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha pubblicato un bilancio degli obiettivi UE al 2020 in materia di emissioni, rinnovabili ed efficienza energetica. Se l’Europa lotta ancora per raggiungere i primi due target, il terzo sembra sempre più lontano dalla possibile attuazione. E l’Italia non è da meno

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Salvo sorprese, l’Europa non riuscirà a centrare gli obiettivi di efficienza energetica previsti per il 2020. Lo rivela il rapporto Trends and projections in Europe 2013 (vedi allegato), appena pubblicato dall’AEA, l’Agenzia europea per l’Ambiente. Confrontando la situazione attuale con gli impegni assunti dagli Stati membri, infatti, risultano in linea con il rispettivo target solo 4 Paesi: Belgio, Estonia, Malta e Spagna. Per il resto, sembra a portata di mano soprattutto l’obiettivo che riguarda la riduzione delle emissioni di CO2. Stando alle stime dell’Agenzia, infatti, l’Unione europea ha ridotto le emissioni tra il 1990 e il 2012 di circa il 18%, per cui intravede il target di riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020. Più nel dettaglio, le emissioni sono scese quasi dell’1% nel corso del 2012, secondo i dati provvisori sulle emissioni pubblicati di recente dalla stessa AEA. Sempre sul fronte dei gas serra, i 15 Stati membri con un comune impegno nell’ambito del Protocollo di Kyoto (UE-15) dovrebbero aver ridotto le emissioni, tra il 2008 e il 2012, del 12,2%, ben oltre l’obiettivo dell’8% richiesto dal Protocollo di Kyoto per la sua prima fase di applicazione. Inoltre, quasi tutti i Paesi UE con un obiettivo individuale di riduzione dei gas serra nell’ambito del protocollo di Kyoto sembrano in condizioni di mantenere gli impegni assunti in sede internazionale. Ancora in bilico, infine, l’obiettivo in materia di energie rinnovabili: secondo il rapporto siamo al 13% del fabbisogno europeo coperto da fonti “pulite”, e il target del 20% al 2020 sembra alla portata dell’UE. Quanto ai singoli Paesi, nessuno sembra sulla buona strada per centrare tutti e tre gli “scores” della politica 20-20-20, ma neanche un Paese membro, d’altro canto, rischia il flop su tutti e tre i fronti. Più nel dettaglio, il rapporto indica come Austria, Belgio, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo e Spagna debbano impegnarsi di più in materia di riduzione delle emissioni, mentre Belgio, Francia, Lettonia, Malta, Paesi Bassi e Regno Unito dovranno darsi da fare sul fronte delle rinnovabili. Per quanto riguarda l’Italia, infine, risulta indietro proprio nell’inseguimento dell’obiettivo di efficienza energetica, nonostante il “contributo” della crisi economica al calo dei consumi e le recenti stime che parlano di target al 2016 centrato al 65%. Bel Paese più avanti, invece, sul fronte dello sviluppo delle fonti rinnovabili (nel 2011 eravamo al 12% del consumo totale di energia, rispetto a un obiettivo del 17% entro il 2020. La crescita percentuale dal 2005 è stata del 6,1%, una delle più significative in Europa), mentre l’impegno di riduzione delle emissioni dovrebbe essere raggiunto, ma solo a patto che vengano adottate tutte le misure previste. A questo proposito, comunque l’AEA sottolinea la carenza di informazioni relative alla situazione italiana, soprattutto per quello che riguarda il meccanismo di scambio dei crediti di emissione (ETS). «L’Italia – si legge nel rapporto – rimane l’unico Stato membro dell’UE a 15 che non ha fornito le informazioni sulla quantità di crediti che intende acquistare, né sulle risorse finanziarie stanziate a tale scopo».

Fonte: eco dalle città

Il Bhutan forse non riuscirà a vietare pesticidi e erbicidi al 100% entro il 2020

Il Regno del Bhutan non sarà un paese senza pesticidi e erbicidi al 100%, promessa pre elettorale rilasciata troppo in fretta171397266-594x350

La promessa di rendere il Bhutan il primo Paese senza pesticidi e erbicidi al 100% fu fatta, forse troppo frettolosamente e in pieno stile pre elettorale (le elezioni ci sono state tra aprile e maggio di quest’anno NdR) lo scorso anno dal primo ministro Jigmi Thinley (rieletto) alla Conference on Sustainable Development di Rio20+ dichiarò che i contadini del piccolo regno himalayano:

lavorando in armonia con la natura, possono contribuire a sostenere il flusso di doni della natura.

Tanto è bastato per scatenare media e blog americani (e con effetto rimbalzo anche tutti gli altri) che ancora oggi riportano quella dichiarazione di un anno fa senza tener conto che in Bhutan ci sono state le elezioni questo luglio e che il piccolo regno himalayano non è lo ShangriLa e che probabilmente non riusciranno molto realisticamente a eliminare del tutto pesticidi e erbicidi se la produzione agricola deve bastare a sfamare 700 mila bhutanesi. Infatti a febbraio di quest’anno Pema Gyamtsho ministro per l’Agricoltura nel question time rispondendo alla domanda del leader dell’opposizione Tshering Tobgay che chiedeva chiarimenti in merito alle notizie diffuse dalla stampa in merito alle dichiarazioni di un’agricoltura in Bhutan biologica al 100% entro il 2020 disse:

Non vi è una dichiarazione ufficiale che vieti i pesticidi chimici e gli erbicidi. Si richiedono molte discussioni con gli agricoltori prima di prendere una tale decisione. Tuttavia l’uso di prodotti chimici è stato ridotto del 70%. Un improvviso divieto di erbicidi e pesticidi porterebbe al blocco delle attività essendone l’agricoltura completamente dipendente. C’erano circa 16 pesticidi a base di potassio, fosforo, azoto, calcio e magnesio usati dagli anni ‘60 per coltivare riso, patate e mais. Ne sono stati eliminati 34 tonnellate con l’aiuto della Svizzera tra il 2005 e il 2006. Oggi usiamo erbicidi in piccole quantità.

Ma dopo le elezioni la squadra di governo è cambiata e primo ministro è Tshering Tobgay mentre ministro per l’agricoltura è stato nominato Lyonpo Yeshi Dorji del partito dell’opposizione People’s Democratic Party (PDP)che ha stravinto al voto. E’ biologo con master all’Università del Missouri.

Fonte: ecoblog