L’uso di fonte energetiche alternative a quelle fossili sta attraversando una fase di incertezza, anche in attesa dell’emanazione di un decreto in discussione da novembre
“Le energie rinnovabili costano troppo e gravano sui costi energetici del Paese”. É questa una frase ripetuta spesso e sulla quale non mancano gli scontri, anche in virtù delle agevolazioni sinora concesse a chi ha investito in impianti finalizzati a sfruttare le fonti alternative. In effetti, sulla scorta di una serie di calcoli fatti da Adusbef (una delle associazioni attive nella difesa dei consumatori), sulle spese energetiche grava la componente “oneri generali di sistema”. Una voce che, nelle bollette, viene dettagliata in modo puntuale solo una volta l’anno “per ragioni di semplificazione”. Prendendo il caso di un utente medio, la cui spesa annua totale è pari a 512 euro a fronte di un consumo di 2.700 kWh, 252 euro coprono i servizi di vendita e 111 euro sono oneri di sistema. Una voce importante, soprattutto se confrontata con il fatto che, a fine 2012, gli importi erano, rispettivamente, di 297 e 88 euro. In cosa consistono questi oneri? Come spiega la stessa Adusbef, “la parte più elevata, ovvero 94 euro, copre gli incentivi alle fonti rinnovabili, cinque euro circa si pagano per smantellare le centrali nucleari dismesse (siamo appena al 22% di completamento), 7,5 euro vanno a finanziare, misura introdotta nel 2012, le agevolazioni concesse alle imprese a forte consumo di energia elettrica e il resto copre le tariffe ridotte per Rete Ferroviaria Italiana, la promozione dell’efficienza energetica, le compensazioni per le imprese elettriche minori, il sostegno alla ricerca e il bonus elettrico per le famiglie disagiate”.
L’inquinamento ha un costo
Il dato puramente economico, però, non tiene conto dei costi ambientali, prima tra tutte l’emissione di anidride carbonica, principale fattore del cambiamento climatico, e le polveri sottili, responsabili di un elevato numero di morti premature ogni anno. A sostegno di questa tesi Assorinnovabili, l’associazione dei produttori, dell’industria e dei servizi per le energie rinnovabili, cita lo studio Althesys dell’economista Alessandro Marangoni. Un documento secondo cui, seguendo uno sviluppo moderato “BAU – Business As Usual”, i benefici netti prodotti dalle energie rinnovabili sono quantificabili in oltre 29 miliardi di euro. Un dato già significativo, ma che potrebbe essere ancora più favorevole in uno scenario di sviluppo accelerato ADP – Accelerated Deployment Policy. Crescenti investimenti nelle energie rinnovabili, oltre ad essere coerenti con gli obiettivi di COP 21, porterebbero i benefici netti a superare i 104 miliardi di euro. Questo anche in considerazione del fatto che, benché il 40% dell’energia elettrica prodotta in Italia provenga da fonti rinnovabili, il nostro Paese registra il più alto livello europeo di morti premature imputabili proprio alle emissioni di polveri sottili. L’Agenzia Europea dell’Ambiente, infatti, sostiene che le morti dovute ai combustibili fossili in Italia siano oltre 8mila all’anno, contro le poco più di 3mila vittime di incidenti stradali.
Intanto gli investimenti soffrono
L’impegno dell’Italia nello sfruttare le fonti alternative è stato riconosciuto dal rapporto Soer “L’ambiente in Europa – stato e prospettive 2015” dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. Secondo questo studio il nostro è uno dei Paesi più virtuosi nell’attenzione all’ambiente, in quanto la cosiddetta green economy ha registrato un incremento di oltre il 50 % negli ultimi anni. Al punto che già all’inizio del 2016 è stato raggiunto l’obiettivo di produrre, con fonti rinnovabili, il 17% del consumo energetico interno lordo. Con quattro anni di anticipo rispetto a quanto prescritto, quindi, l’Italia si è dimostrata un precursore in questo ambito. Le rilevazioni, compiute nel tempo, hanno mostrato come l’incremento della quota di energia da fonte rinnovabile risulti consistente a partire dal 2007, passando dal 6,4% al 16,7%, con un aumento annuo di oltre un punto e mezzo percentuale. Il valore, però, non deve essere considerato in termini assoluti, ma relativi alla delicata fase economica attraversata a partire dal 2008. Anche perché, secondo uno studio dell’Università Bocconi, dall’inizio della crisi, i consumi energetici nel settore industriale sono diminuiti del 25%, andando così a contrarre il valore totale sul quale vengono calcolate le percentuali. La difficile crisi economica, da cui l’Italia sta cercando di uscire, continua così ad avere effetti sui consumi energetici e, in particolare, sull’uso dei carburanti e dei derivati dal petrolio. É quindi interessante la previsione, proposta dall’Unione Petrolifera, sull’andamento del settore nei prossimi mesi. L’analisi, presentata all’interno del volume “Previsioni di domanda energetica e petrolifera italiana 2015-2030”, stima la domanda di energia complessiva in leggero recupero nel 2015, fino a 158,4 milioni di Tep, per poi salire a 164 milioni nel 2020 e 168,9 milioni nel 2025. Nel 2030 si arriverà a 170 milioni di tep, che sono un volume quasi equivalente ai consumi del 1995. La stessa Unione Petrolifera sottolinea, però, come l’incidenza delle singole fonti primarie sul totale consumo energetico si modificherà sensibilmente per l’affermazione delle fonti rinnovabili. In ogni caso il petrolio rimarrà la prima fonte di energia, almeno fino al 2018, con un peso intorno al 35%.
Un’incertezza che non aiuta
Il progressivo ricorso alle fonti rinnovabili potrebbe subire un radicale ridimensionamento a seguito del Decreto Ministeriale sulle Fonti Energetiche Rinnovabili che, dal novembre dello scorso anno, è in fase di valutazione. Il documento presenta una serie di novità proprio relativamente agli incentivi per la produzione energetica. Si tratta di variazioni che, come accaduto per gli impianti fotovoltaici, potrebbero modificare radicalmente i tempi di ritorno degli investimenti. Una situazione di incertezza che induce alcuni investitori a posticipare l’inizio dei lavori, in attesa di un documento definitivo. La bozza in circolazione prevede di mantenere la soglia massima di energia incentivabile, già prevista dal precedente meccanismo, a 5,8 miliardi di euro. Un valore ormai insufficiente rispetto alle potenzialità degli impianti disponibili. Quello che maggiormente preoccupa gli operatori del settore, però, è il ridimensionare degli incentivi che, in alcuni casi, raggiunge anche il 40%. Per essere competitivi sul mercato, quindi, i nuovi impianti dovranno essere sempre più efficienti e capaci di produrre energia a basso costo.
Attenti agli aggiornamenti
Una possibile contrazione negli investimenti in fonti rinnovabili non avrebbe impatti solo sui proprietari degli impianti e sugli investitori, ma soprattutto sulle aziende che operano in questo settore e che sono chiamate a disporre di personale qualificato. Dal 1° agosto 2013, infatti, la qualifica di installatore e di manutentore straordinario di impianti FER si acquisisce a seguito di un periodo di formazione, svolto ai sensi del punto 4 dell’Allegato 4 del D.lgs. 28/2011, e del superamento del percorso formativo di qualificazione professionale. Sono esclusi da tale percorso i soggetti che, come previsto dall’articolo 4, lettere a), b) e c) del D.M. 22 gennaio 2008 n.37, possedevano già specifici requisiti professionali. Anche loro, però, devono frequentare percorsi di aggiornamento, come previsto dalla norma del comma 1, lett. f dell’allegato 4 al D.lgs. 3 marzo 2011 n. 28. Considerando che le attività formative di aggiornamento devono essere effettuate ogni tre anni, a partire dal 1° agosto 2013, numerose realtà, soprattutto di piccole e medie dimensioni, stanno decidendo se investire nelle 16 ore di aggiornamento obbligatorio. Un aggiornamento spesso gravoso, dal punto di vista economico e organizzativo, che le aziende devono valutare anche in funzione dell’evoluzione del mercato e delle prospettive di fatturato.
Fonte: www.voltimum.it