Il referendum sarà il 17 aprile. Ufficializzata quindi la decisione del governo di non accorpare la consultazione con le elezioni amministrative ma la decisione della Consulta su due quesiti esclusi potrebbe impattare sulla data
L’Election Day non ci sarà. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto sulle norme in materia ambientale che indice il referendum popolare anti-trivelle per il 17 aprile. Viene quindi ufficializzata la decisione del governo di non accorpare la consultazione referendaria con le elezioni amministrative, come chiedevano gli ambientalisti e i presidenti delle Regioni interessati dalle trivellazioni in Adriatico. Il Colle si giustifica dichiarando che la firma è avvenuta in base al decreto 98 del 2011, che prevede la possibilità di abbinare tra loro referendum o elezioni di diverso grado ma non elezioni con referendum. Per l’unico precedente di abbinamento referendum-elezioni, nel 2009, è servita un’apposita legge. Secondo Greenpeace, che aveva avviato una raccolta firme on line per chiedere un’unica data, lo spreco di risorse pubbliche che sarebbe stato possibile risparmiare con l’Election Day “coincide con una sottrazione di democrazia ingiustificabile”. Per l’associazione questa scelta costerà agli italiani ” tra i 350 e i 400 milioni di euro di soldi pubblici”. Inoltre viene sottolineato come “la durata della campagna elettorale risulta compressa al limite della legge: è possibile, ad esempio, che non vi siano i tempi tecnici per garantire almeno i 45 giorni previsti dalla legge sulla par condicio”.
Opinione condivisa anche dalla presidente di Legambiente Rossella Muroni, che alla vigilia della firma di Mattarella, scriveva che il Governo Renzi “non solo sta investendo 360 milioni dei nostri soldi per far fallire il referendum, ma vuole anche impedire che ci sia il tempo e il modo per realizzare una campagna referendaria che metta al centro del dibattito pubblico e politico quelle scelte energetiche, come rinnovabili ed efficienza energetica, che il nostro Paese deve compiere in modo strategico e in coerenza con gli accordi presi alla Cop 21 di Parigi”.
La scelta di non accorpare i due appuntamenti ha suscitato anche le proteste anche del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che raggiunto da ilfattoquotidiano.it ha detto di essere “addolorato” per la decisione.
I cittadini sono chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni limitatamente alle parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. La Corte costituzionale il 19 gennaio ha infatti dichiarato ammissibile solo il sesto quesito tra quelli promossi da Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto,Calabria, Liguria, Campania e Molise. Si tratta di quello che si concentra sulla previsione che i titoli abilitativi già rilasciati debbano essere fatti salvi, appunto, fino a quando il giacimento si esaurisce.
La scelta del governo appare ancora più scellerata se si pensa che rimangono ancora in piedi due conflitti di attribuzione su altrettanti referendum esclusi dalla Cassazione a gennaio: quello sul piano delle aree per ricerca ed estrazione di idrocarburi e quello sul doppio regime per il rilascio dei titoli. La camera di consiglio della Corte Costituzionale dovrà valutare il 9 marzo la loro ammissibilità. Se dovesse essere riconosciuta le Regioni dovranno notificare alla controparte l’ordinanza di ammissibilità e poi dovrà pervenire alla cancelleria della Corte la documentazione dell’avvenuta notifica. Ci sono quindi dei tempi tecnici per l’espletamento di tutta la pratica che potrebbero impattare sulla data del 17 aprile decisa per il referendum.
Fonte: ecodallecitta.it